mercoledì 11 marzo 2020

Il crollo del petrolio del 9 marzo 2020: possibili retroscena


Tra le conseguenze dell’epidemia del coronavirus c’è una drastica riduzione dei consumi di energia. Di conseguenza c’è una netta diminuzione dei consumi di petrolio, che a sua volta aveva provocato una riduzione dei prezzi dai 60 $ al barile a poco più di 50. A questo è seguito il crollo di lunedì 9 marzo. Il sospetto è che approfittando dell’eccedenza di greggio sul mercato, qualcuno abbia deciso per una resa dei conti. Vediamo perché.

Le quotazioni dei vari benchmark del petrolio
Allora, tutti a dire che il crollo del prezzo del petrolio è dovuto al mancato accordo fra russi e sauditi sul taglio della produzione. 
Beh, io sospetto invece che sia l’esatto contrario: cioè che queste due nazioni siano state perfettamente d’accordo per farlo crollare.
Ricordo che qui parlerò del Brent come parametro di riferimento (quelli “saputi” direbbero “benchmark”), in realtà ogni tipo di petrolio viene quotato in base alle sue caratteristiche, come vediamo qui.
IL CROLLO DEL 2014-2015. L’Arabia Saudita ci aveva già provato nel 2015 quando sperava di far abbassare a 80 $ il prezzo del greggio che allora per il Brent era tra 100 e 110 dollari. Per chi volesse “rivangare” quegli avvenimenti nell’agosto 2015 avevo spiegato cosa stava succedendo: riassumendo, i sauditi hanno un costo di estrazione basso e speravano abbassando il prezzo di mettere fuori mercato le tante aziende che in USA stavano vertiginosamente aumentando la produzione di idrocarburi. questo aumento ha determinato una rivoluzione nel mercato, perché da  un pò di tempo gli Stati Uniti da importatori sono diventati esportatori di idrocarburi. In USA il costo di estrazione è, piuttosto alto, per una serie di motivi e quindi per i Sauditi, che lo hanno molto più basso, un prezzo del Brent sugli 80 dollari avrebbe azzerato i guadagni dell'oil&gas di oltreoceano, le quali si sarebbero trovate senza risorse per finanziare l'esplorazione di nuovi pozzi, innescando una carenza di petrolio da lì a qualche anno (per un po' in effetti le esplorazioni sono state poche), che avrebbe fatto riprendere con gli interessi ai sauditi i minori guadagni del periodo a prezzo più basso.   
Però la cosa sfuggì loro di mano e molte nazioni per incassare le stesse royalties aumentarono la produzione e fu un disastro per i paeai produttori e anche le le aziende oil&gas americane.

Produzione di petrolio di USA, Arabia e Russia
IL MERCATO OGGI. Oggi siamo in una situazione particolare: la produzione non è mai stata così alta perché, nonostante in Iraq e soprattutto in Libia siano a livelli molto bassi e l’Iran sia impelagato con le sanzioni, gli States macinano record su record, ma proprio a causa della sovrapproduzione in USA i prezzi del 2019 sono stati inferiori al previsto per i primi 3 trimestri del 2019; inoltre stiamo assistendo ad uno sganciamento parziale o totale dei fondi di investimento dall’azionariato di queste compagnie, come risposta ai cambiamenti climatici: questo ha messo in difficoltà molte aziende oil&gas (di cui non si contano negli USA i default finanziari) anche perchè il sistema bancario è diventato molto più prudente con il settore; di conseguenza alcune aziende non si sono salvate dalla bancarotta, altre hanno ristrutturato il debito e in genere tutte hanno ridotto se non azzerato gli investimenti.
Adesso c’è il coronavirus e tante immagini ci fanno vedere la riduzione dei consumi attraverso la riduzione dell’inquinamento (l’unico effetto collaterale positivo…)
Di conseguenza crolla la richiesta di petrolio nel momento in cui c’è la massima offerta di sempre, non del tutto sostenuta dalla domanda anche prima di questa grave perturbazione.

IL CROLLO DEL 9 MARZO. Da diversi anni l’OPEC sta perdendo quota ma si sta avvicinando politicamente ad uno dei massimi produttori mondiali, la Russia. 
Lunedì, come abbiamo visto, il prezzo del petrolio è crollato anche brevemente sotto i 30 $, ufficialmente perché Russia e Arabia Saudita non hanno trovato l’accordo per ridurre la produzione.
Ma la mia impressione è quindi un’altra: un accordo sottobanco per mettere in difficoltà gli americani: non penso proprio che ai russi dispiaccia fare uno scherzetto agli Stati Uniti. Quanto all’Arabia Saudita ci aveva già provato 5 anni fa, quindi sarebbe “recidiva” (nonostante che la monarchia locale sia molto sponsorizzata dagli USA ). 
Basta vedere le dichiarazioni di ieri, proprio il giorno dopo il collasso dei prezzi:
Si tratta di prezzi assolutamente insostenibili per il settore oil&gas nordamericano, per il quale si preannuncia un vistoso calo della produzione di idrocarburi a non più di 10,5 milioni di barili al giorno contro i quasi 13 milioni di oggi.
Mi pare dunque che sia Arabia Saudita che Russia abbiano la volontà di tenere i prezzi tutt’altro che alti, ma io sono un geologo e non un economista o un geopolitico degli idrocarburi.
Staremo a vedere

PS: il prezzo così basso del petrolio ha delle conseguenze dal punto di vista dei gas-serra dal punto di vista dei gas-serra perché se quando il petrolio è basso la produzione di corrente elettrica con il carbone va fuori mercato, in giacimenti attivati solo in questi ultimi anni, come il Permian shale del Texas, il gas estratto insieme al petrolio viene bruciato perché il prezzo sul mercato rende antieconomico venderlo.



3 commenti:

ijk ha detto...

Mi ha colpito il fatto che a prezzi bassi del petrolio gli usa brucerebbero il gas piuttosto che venderlo. Lo ignoravo e rafforza la mia convinzione che gli usa stiano cercando di imporre l'acquisto del loro gas all'europa in diretta concorrenza con i russi.

Aldo Piombino ha detto...

gli USA di gas ne bruciano tantissimo da anni, specialmente in North Dakota e in Texas... si parla di quantitativi enormi.

Aldo Piombino ha detto...

grazie del commento ma ... quelle indicate sono semplicemente delle morene glaciali...

aggiungo che non è assolutamente possibile che siano rimaste tracce chiare dal punto di vista morfologico di quegli eventi. sono rimaste un pò di rocce...