giovedì 12 ottobre 2017

La dorsale di Gakkel, i suoi strani tufi e il limite fra Eurasia e America Settentrionale nell'Artico e in Siberia


In questi giorni sono venute fuori delle strane storie su un supervulcano nell’Artico. Ovviamente le cose non stanno per niente così. Inoltre si tratta di un sito che si arrampica sugli specchi per contestare nientepopò di meno che … il riscaldamento globale dando, non si sa come mai la colpa a del vulcanismo allo scioglimento dei ghiacci... L’occasione viene comunque opportuna perché così ne approfitto per parlare di una dorsale medio-oceanica come la Gakkel, che se fosse situata in una zona meno disagevole (per il freddo e per la copertura di ghiaccio) sarebbe stata molto studiata in quanto possiede delle caratteristiche piuttosto peculiari, essendo la dorsale a minore velocità di espansione attualmente esistente.

L'OCEANO POLARE ARTICO. Innanzitutto per un inquadramento regionale occorre parlare dell’Oceano Polare Artico in generale. Farlo è un po' difficile perché siamo tutti abituati a guardare la Terra in prospettiva verticale mentre invece per osservare bene questa zona occorre guardarla dall’alto. Ho provato con Google Earth a fare la carta qui accanto, dove si vedono i limiti di zolla e i vulcani attivi.
Fondamentalmente l’oceano Artico si può dividere in due bacini distinti, quello dell’Amerasia, apertosi nel Mesozoico e il più giovane Bacino Eurasiatico che si è formato nel terziario a partire dal tardo Paleocene per l’espansione del fondo oceanico dovuta alla dorsale di Gakkel.
I due bacini sono separati dalla dorsale Lomonosov, una fascia stretta di crosta continentale che individua una vasta area a profondità minore. la Lomonosov è una struttura lunga e stretta cha fatto da margine passivo prima per l’apertura del bacino amerasico e poi per quello eurasiatico. Quando ancora il bacino euroasiatico doveva aprirsi si trovava accanto alla piattaforma continentale del mare di Barents, quindi era il prolungamento verso nord della piattaforma continentale del mare di Barents, a nord della Scandinavia e della penisola di Kola.
Sulle sponde dell’Oceano Polare Artico affiorano rocce deformate da eventi orogenici piuttosto antichi, il più recente dei quali dovrebbe essere l’orogene di Taymir: si trova sulla ampia penisola omonima della costa siberiana, e la sua costruzione si è conclusa nel mesozoico inferiore quando la Siberia si scontrò con il blocco di Kara (all’epoca parte di un territorio ben più esteso ora disperso, appunto, dalla successiva apertura dell’Oceano Artico).
La storia del bacino amerasico è complessa (e ancora un po' controversa): per fortuna se si parla della dorsale di Gakkel e del bacino eurasiatico non occorre infilarsi nel ginepraio che sono le ipotesi sulla sua storia: segnalo solo che ha dei rapporti con la HALIP, una delle tante Large Igneous Provinces cretacee. Di recente qualche lavoro ha tentato, proficuamente, una sintesi, per esempio quello di Døssing et al (2013) [1].

IL BACINO EURASIATICO. Il bacino eurasiatico, è invece – per fortuna – più semplice dal punto di vista geologico e geodinamico: si tratta di un bacino oceanico a tutti gli effetti, la cui crosta è il risultato dell’espansione a partire dalla dorsale di Gakkel. Questa dorsale oggi è l’ultimo, estremo, ramo del grande sistema interconnesso di dorsali medio-oceaniche del globo terrestre, ma è interessante notare come quando è iniziata l’espansione del bacino Euroasiatico (e quindi la attività di questa dorsale) oltre 55 milioni di anni fa, nel tardo Paleocene, la dorsale Gakkel si è trovata in una posizione isolata: Europa e America Settentrionale erano unite dalla Francia in su perchè l’Atlantico settentrionale ha iniziato ad aprirsi nel settore nordeuropeo poco dopo, a partire dalla messa in posto dei basalti della Provincia Magmatica dell’Atlantico settentrionale (NAIP). ci sono poi voluti altri 20 milioni di anni prima che Svalbard e Groenlandia si separassero fra loro, 35 milioni di anni fa. La separazione fra Eurasia e America settentrionale a nord dell’Islanda e la formazione del settore oceanico che congiunge l’oceano Artico all’Atlantico per la sua complessità fa invidia anche al bacino amerasico, anche se è meglio compresa perché si trova in una zona meno difficile da studiare: tanto per dire, nei 1500 km che separano Islanda e Svalbard esistono ben 3 piccole dorsali attive (Kolbeinsey, Mohns e Knipovich), una dorsale fossile (Aegir), 3 punti caldi fra certi e probabili (Islanda, Jan Mayen e Yermak) e persino un microcontinente (Jan Mayen), la cui storia ricorda quella di un altro microcontinente da tutta un’altra parte (quello delle Seychelles) e varie faglie di importanza regionale. Anche la stratigrafia e il tipo di crosta di alcune di queste aree, specialmente quelle settentrionali come a nord delle Svalbard il plateau di Yermak, sono ancora piuttosto incerti [2] 

Carta del bacino Eurasiatico da [4]: come si vede il bacino è più largo ad ovest
dove la velocità di espansione è maggiore
ANATOMIA DELLA DORSALE DI GAKKEL. La Gakkel si estende per circa 1800 km tra la Groenlandia settentrionale e il mare di Laptev che bordeggia le coste centrosettentrionali della Siberia e nel quale la dorsale prosegue in un'area soggetta ad estensione ma che (ancora?) non ha iniziato ad aprirsi al punto di produrre crosta oceanica: il rift del mare di Laptev, essendo un rift allo stadio iniziale sarebbe un eccezionale laboratorio per capire come un continente si rompe e da un rift si sviluppa una divergenza fra i due lati della crosta continentale: solo nel corno d'Africa abbiamo attualmente una situazione simile[3]. Purtroppo come per la Gakkel il problema del mare di Laptev è la sua difficile accessibilità. 
Il sistema dorsale di Gakkel - rift del mare di Laptev costituisce il limite di placca fra America settentrionale ed Eurasia, limite che prosegue verso l’interno della Siberia, dove mostra di essere trascorrente, fino alla cintura di fuoco del Pacifico: non tutti sanno che la parte più nord-orientale della Siberia è nella placca nordamericana! Nella carta qui sotto generata con l’Iris Earthquake browser si nota bene la sismicità lungo il margine fra le zolle, che dall'oceano prosegue nell'interno della Siberia. 

La valle assiale della dorsale di Gakkel è molto ben definita, vi si trovano molti centri vulcanici ed è sede di una intensa attività sismica a bassa profondità, che però fono a pochi anni fa è stato difficile rilevare a causa della distanza. In questa immagine tratta da [4] si vede come il bacino Eurasiatico è più largo nella parte occidentale che, non casualmente, è quella che si espande più velocemente.
Ho detto che se fosse in una zona più ospitale sarebbe una delle dorsali più studiate; il motivo è che si tratta della dorsale a minore tasso di espansione attualmente esistente, con valori compresi tra 0,6 e 1,5 centimetri all’anno. È quindi un termine estremo nel sistema e per questo sede di alcune caratteristiche particolari, previste dalla modellistica:

  • uno spessore crustale minimo, compreso fra i 5 e i 2 km, ma nella zona meno attiva arriva addirittura a 1,5 km
  • una attività vulcanica e tettonica simile a quella della dorsale medio – atlantica, sia pure in tono minore, giustificato dalla bassa velocità di espansione
  • la valle assiale (la depressione che troviamo nelle dorsali medio-oceaniche) è più profonda ed evidente che altrove (altra conseguenza della bassa velocità di espansione) ed è contraddistinta da numerosi edifici vulcanici. Il suo fondale si trova fra i 3500 (nella zona occidentale) e i 5500 metri di profondità


La sismicità con M>5 al limite fra la placca euroasiatica e quella Nordamericana
tra la parte meridionale della dorsale di Gakkel e la Siberia
elaborazione da Iris Earthquake Browser
Da un punto di vista sismo-tettonico e vulcanico la dorsale di Gakkel si può dividere in tre distinte zone di cui due, quelle laterali, sono molto attive, mentre in mezzo si trova un segmento in cui l’attività è più sparsa. 
È interessante notare come ci siano divergenze nel chimismo del vulcanismo fra le due zone estreme: sotto la parte ad ovest, verso la Groenlandia, il mantello da cui provengono i magmi ha la cosiddetta “anomalia DUPAL” [5]. Si tratta di rapporti diversi dal normale nella composizione isotopica di piombo e stronzio. L'anomalia è presente anche nell’attività basaltica delle Svalbard, che si è protratta fino a tempi molto recenti (100.000 anni fa). L’anomalia DUPAL è frequente nell’Oceano Indiano e, talvolta, nell’Atlantico meridionale ma mai nell’emisfero settentrionale. La sua origine è piuttosto controversa; nell’oceano Artico è probabilmente dovuta al fatto che questi magmi si sono originati da un mantello che stava sotto ai continenti.
Il limite fra i magmi contenenti l’anomalia DUPAL e quelli “normali” è piuttosto brusco ed è posto nella zona centrale, quella a minore attività vulcanica.

I MAGMI E I TUFI DELLA PARTE ORIENTALE DELLA DORSALE DI GAKKEL. Nella parte orientale della dorsale ci sono dei normalissimi basalti MORB (basalti di dorsale medio – oceanica). Una spedizione del 2007 ha studiato una zona che nel 1999 era stata interessata da una serie di eventi sismici correlati con una eruzione vulcanica: la valle assiale è caratterizzata come altrove dalla presenza di parecchi crateri vulcanici, tipicamente larghi tra 1,5 e 2 km e alti tra 300 e 500 metri [6]. Ma c’è stata anche una sorpresa: sono stati trovati dei tufi. Appurato che si tratta davvero di tufi e non di hyaloclastiti (frammentazione post – eruzione della parte superiore delle lave basaltiche), e che la loro provenienza è locale, la cosa ha destato un po' di stupore vista la profondità di oltre 4000 metri in cui si trovano: la formazione di tufi nei mari a profondità maggiori di qualche centinaio di metri è considerata generalmente molto difficile a causa della pressione idrostatica, la quale sarebbe sufficiente a bloccare la fuoriuscita violenta dei gas, il fenomeno che è alla base della formazione dei tufi. Le superfici butterate caratteristiche dei cuscini di lave basaltiche eruttate a grande profondità sono proprio dovute all’intrappolamento dei gas sulla parte alta del cuscino a causa della pressione idrostatica.
Ora, è evidente che se questi tufi ci sono c'erano le condizioni perché si formassero. La spiegazione più plausibile è la presenza di un tenore molto alto di CO2 in questi magmi [7], valore che nel lavoro sulla spedizione del 2007 è stato stimato in circa il 14% contro l’1,4% di un normale basalto MORB
Si badi bene: questi tufi non sono una cosa molto grande, essendo spessi al massimo 15 cm.

Da tutto questo qualcuno ha dedotto che sulla dorsale di Gakkel ci sia il rischio della presenza di un supervulcano… confondendo (volutamente?) il tenore di gas con la pressione (che poi, la pressione da sola basta per “fare” un supervulcano?). Ora, pensare a 15 cm di tufi come traccia della possibile presenza di un supervulcano e che un supervulcano possa essere prodotto dove si producono dei normalissimi basalti MORB di dorsale medio-oceanica non è neanche fantageologia, ma idiozia totale… Ma da gente negazionista del riscaldamento globale possiamo aspettarci questo ed altro…

[1] Døssing et al 2013 On the origin of the Amerasia Basin and the High Arctic Large Igneous Province—Results of new aeromagnetic data Earth and Planetary Science Letters 363 (2013) 219–230
[2] Geissler et al 2011 The Yermak Plateau in the Arctic Ocean in the light of reflection seismic data—implication for its tectonic and sedimentary evolution - Geophysical Journal International 187, 1334-1362
[3] Mazur et al 2015 Extension across the Laptev Sea continental rifts constrained by gravity modeling Tectonics 34, 435–448
[4] Berglar et al 2016 (2016) Initial Opening of the Eurasian Basin, Arctic Ocean. Front. Earth Sci. 4:91. doi: 10.3389/feart.2016.00091
[5] Goldstein et al 2008 Origin of a ‘Southern Hemisphere’ geochemical signature in the Arctic upper mantle Nature 453, 89-93
[6] Sohn et al 2008 Explosive volcanism on the ultraslow-spreading Gakkel ridge, Arctic Ocean Nature 453, 1236 - 1238
[7] Head & Wilson 2003 Deep submarine pyroclastic eruptions: theory and predicted landforms and deposits. J. Volcanol. Geotherm. Res. 121, 155–193

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