Nello scorso autunno la mia attenzione è stata rivolta al 50esimo anniversario dell’alluvione del 1966, di cui Firenze è il simbolo, la più illustre fra le vittime, ma non certo l’unica: oltre a quasi tutta la Toscana, dobbiamo ricordare soprattutto l’eccezionale acqua alta della laguna veneta e le alluvioni nel nordest (con particolare riferimento a Trento e alle vallate alpine tra Veneto e Friuli). In questa occasione l’Arno ha recitato la parte del cattivo e nel “film” della storia di Firenze a prima vista fa sempre così. In realtà non è del tutto vero. Anzi, senza l’Arno Firenze non sarebbe mai nata, né, in seguito, sarebbe diventata quello che tutto il mondo conosce. In questo post vorrei parlare di cosa l’Arno ha fatto PER Firenze e non di quando le sue intemperanze hanno arrecato danni ingenti, come nel 1966 (anche se, forzatamente, un po' se ne deve parlare…).
FIRENZE E IL SUO BACINO INTERMONTANO. Iniziamo da un inquadramento geografico: Firenze si trova al vertice meridionale di una delle vallate parallele all’asse della catena tipiche del versante occidentale dell’Appennino settentrionale. Dico versante occidentale perché, anche se “popolarmente” il mare della Toscana è chiamato “Tirreno”, in realtà a nord dell’Isola d’Elba sarebbe tutto “Mar Ligure”.
Un’altra cosa particolare è che queste valli di solito (e logicamente) hanno un nome (Casentino, Mugello, Valdarno superiore, Val di Chiana, Valtiberina etc etc ). Quella in cui oltre a Firenze, ci sono anche altre città importanti come Prato e Pistoia invece non ha un nome, e quindi nei lavori di geologia viene chiamata “bacino di Firenze, Prato e Pistoia”, per evitare di scontentare qualcuno (si sa che i toscani sono particolarmente campanilisti e polemici, in specie con quelli del paese accanto).
In genere questi bacini sono interamente percorsi da un fiume principale e anche in questo il bacino di Firenze, Prato e Pistoia costituisce una rilevante eccezione: infatti l’Arno vi entra al suo vertice SE e lo percorre solo nella parte meridionale, perché si infila nella stretta della Golfolina (dove Leonardo fece una delle prime considerazioni geologiche) fra Signa e Montelupo, sbocca nel Valdarno inferiore, dirigendosi verso Pisa, passando per Empoli e Pontedera. L’unico fiume che percorre per una buona parte il bacino è l’Ombrone pistoiese.
Storicamente la piana era inabitabile o quasi per le paludi e l'ambiente malsano: lo dimostra il fatto che i centri principali erano tutti posti ai suoi bordi o arroccati sui colli prospicienti, specialmente su quello settentrionale (Firenze, Fiesole, Quinto, Calenzano, Prato, Montemurlo, Pistoia) ma anche su quello meridionale (Signa, Carmignano, Artimino e Quarrata). Firenze stessa è stata circondata da paludi fino al XV secolo.
Per un autorevole referenza in merito ci si può rivolgere ad Annibale: arrivato dopo aver valicato gli Appennini nella zona di Pistoia, si trovò nel mezzo di una alluvione devastante e faticò non poco ad avanzare, subendo la perdita dell’ultimo elefante e, per una malattia, anche di un occhio. Quindi si può dire che attraversare il bacino di Firenze – Prato e Pistoia sia letteralmente costato al celebre condottiero cartaginese un occhio della testa...
Le bonifiche hanno consentito l’occupazione antropica della piana anche se molte aree sono ancora cronicamente soggette a periodiche alluvioni, specialmente nella sua parte occidentale.
Le dimensioni dell'Arno fino al XII secolo riportate nella cartografia attuale, da [1] |
L'AREA DI FIRENZE NEL I SECOLO a.C. I ritrovamenti archeologici più antichi a Firenze sono rappresentati dalle tracce di un insediamento villanoviano del X secolo a.C. Dal V secolo a.C. la potenza dominante era Fiesole, una delle principali città etrusche.
Ma arriviamo alla situazione del I secolo a.C: l’Arno, all’entrata del bacino nella zona di Rovezzano, si divideva in più rami, ma doveva tenersi verso la sinistra idrografica della piana perché alla sua destra scendevano dei torrenti (Affrico, Mensola e, soprattutto Mugnone) che portavano parecchi sedimenti. Il ramo meridionale passava all’incirca al bordo delle colline, nella zona di Badia a Ripoli e rientrava nel corso principale nella zona dell’attuale rione di Gavinana, più o meno lungo l’asse ora percorso dalla viabilità (Viale Europa e Viale Giannotti), perché sulla sinistra idrografica la collina del monte alle Croci (quella del Piazzale Michelangelo) si incunea all’interno del bacino, separando la piana di Ripoli a monte della città da quella di Scandicci, a valle. Il ramo centrale seguiva grossolanamente l’attuale percorso del fiume, però non era sicuramente così dritto. C’è poi la possibilità che le paludi nella zona dell’attuale Campo di Marte fossero alimentate, oltreché da Mensola e Affrico, anche da un terzo ramo dell’Arno (non ho ben capito come stavano le cose).
Come si vede dalle immagini rielaborate da [1] il fiume o, meglio, l’area occupata dall’alveo fluviale compresi gli spazi golenali, era piuttosto larga, molto più di adesso, a monte dell'attuale centro storico, mentre a valle dell’odierno Ponte alle Grazie l’alveo si restringeva drasticamente (e in misura minore lo fa anche adesso).
Perché succedeva questo? Perché l’Arno nel suo percorso incontrava la conoide del Mugnone, cioè tutti i sedimenti erosi nel bacino di questo affluente che il torrente trascinava a valle.
Il Mugnone scendeva dalla zona della attuale Piazza Libertà passando all’incirca dove ora ci sono Via Cavour e via San Gallo. Il tratto finale corrispondeva alla parte più settentrionale di via Tornabuoni.
Le paludi della zona del Campo di Marte erano dovute anche alla presenza di questa conoide che bloccava le acque.
Alla confluenza fra Arno e Mugnone c’era (e c'è ancora) un rialzo compreso fra i due corsi d’acqua, posto ad un livello leggermente superiore a quello della piana, come dimostra questa immagine, sempre da [1].
Il modello digitale del terreno evidenzia la conoide del Mugnone e l'elevazione della zona del castrum romano (nel quadrato) rispetto alle aree adiacenti. Da [1] |
FIRENZE NON SAREBBE NATA SENZA L’ARNO. Florentia è una tipica città di fondazione, cioè non è nata lì spontaneamente (come poteva esserlo invece l’insediamento villanoviano) ma per un preciso disegno urbanistico e strategico. A dimostrazione di questo segue rigidamente gli schemi costruttivi del classico castrum romano, una cinta muraria con all’interno strade in due direzioni perpendicolari, una N-S e una E-W con le due strade principali a croce, il cardo maximus e il decumanus [2].
Telemaco Signorini (1835 - 1901): l'alzaia (1864) |
Ovviamente Florentia fu dotata immediatamente di un porto fluviale che la metteva in comunicazione con il porto di Pisa.
E qui si evidenzia un aspetto poco noto del passato: le condizioni delle pianure, che fino alle bonifiche sono state una successione di acquitrini e paludi, erano di ostacolo ai trasporti via terra, per cui le persone e le merci si muovevano preferenzialmente lungo i fiumi, con delle imbarcazioni a fondo piatto. Di fatto le strade sugli argini, le alzaie, erano percorse da uomini e animali che da terra muovevano queste imbarcazioni e ciò è continuato anche dopo le bonifiche: solo l’avvento delle ferrovie nel XIX secolo ha consentito un cambiamento nel sistema dei trasporti. L’alzaia, il celebre dipinto di Telemaco Signorini del 1864, è una eccellente testimonianza di tutto ciò: il celebre pittore fiorentino dipinge lo sforzo di alcuni braccianti che tirano una chiatta lungo l'alzaia dell'Arno.
Inoltre i fiumi consentivano l’uso dei mulini, fornivano acqua per vari usi, e rappresentavano con il pesce e la cacciagione palustre una fonte di cibo sufficiente per l'epoca.
Ricordo che Leonardo progettò un canale che da Firenze doveva raggiungere l’Arno passando per Pistoia proprio per le stesse motivazioni per cui sono state costruite in seguito ferrovie e strade, cioè per trasportare le merci (c’era poi pure la necessità di bonificare definitivamente il bacino).
Anche il toponimo evidenzia la fondazione ex-novo. Ed è possibile che anziché Florentia fosse in origine Fluentia, con riferimento alla confluenza dei due fiumi. Un toponimo analogo è rappresentato da Coblenza, città fondata dai romani alla confluenza fra Reno e Mosella, originariamente chiamata Confluentes.
Quindi Florentia essendo una città di fondazione è nata lì proprio perché era il luogo giusto per costruirla: un rialzo nel punto in cui un fiume all’epoca navigabile si stringeva consentendo un passaggio agile e la possibilità di costruite un porto. Inoltre la confluenza con il Mugnone consentiva una migliore difesa.
Florentia ebbe una discreta fortuna, anche se la scarsa disponibilità di acqua potabile e a scopi termali non ne faceva una meta particolarmente appetibile (ho parlato dell’acquedotto romano in questo post).
Poi anche per Florentia vennero i secoli bui, dopo i quali l’età carolingia sancì una rinascita della città, che fu guardata con un certo interesse dalla dinastia imperiale, come dimostra il capitolare di Corteolona dell’825, con il quale l’imperatore Lotario scelse Firenze come sede di una delle otto scuole nell’Italia centro – settentrionale per la preparazione dei giovani ecclesiastici, segnatamente quelli della Tuscia.
FIRENZE È DIVENTATA GRANDE GRAZIE ALL’ARNO. Nell’XI secolo la netta ripresa dei commerci ha avuto come conseguenza la ripresa delle attività del porto e anche in questo caso si vede come l’Arno sia stato necessario per l’incremento dell’economia. La città si ingrandì velocemente (al pari di altri centri italiani) espandendosi oltre la cerchia muraria carolingia e costringendo il Libero Comune a decidere nel 1170 la costruzione di una nuova cerchia di mura, la prima cinta comunale, conclusasi entro il 1175.
La crescita della città si svolse dalla vecchia area romana e carolingia verso l’Arno, grazie al fatto che la depressione che caratterizzava in antico questa zona della città, compresa tra Palazzo Vecchio e l’Arno, iniziò ad essere colmata dalla tarda età imperiale e fino all’XI secolo con una serie di scarichi composti per lo più dai rifiuti della popolazione che abitava dentro il nucleo urbano [3]. Una forte espansione ulteriore avvenne nella riva opposta.
Un ponte nella posizione dell’attuale Ponte Vecchio o (più probabilmente poche decine di metri più a monte), al servizio della Via Cassia Nuova almeno nel II secolo d.C. Qui si capisce il ruolo strategico della città, che presidiava l’attraversamento del ponte sul fiume più importante lungo questa strada. Il ponte è crollato nei “secoli bui” probabilmente durante una alluvione (nel clima freddo e umido dell’epoca le piene a Firenze erano più frequenti che nel periodo caldo attuale e durante il periodo caldo medievale, proprio come è successo durante la piccola era glaciale). Quindi fino alla ricostruzione di una struttura del genere, che è ritornata ad esistere almeno dall’epoca carolingia, l’unico modo per attraversare l’Arno era ridiventato il guado. Quasi sicuramente il ponte carolingio fu distrutto nel 1177 dalla prima delle alluvioni inserite nell’elenco del Morozzi. Ricordo che, contrariamente a quello che si ritiene comunemente, il Morozzi non dice che le alluvioni iniziarono in quella occasione: accenna ad eventi precedenti e inizia il suo elenco con il 1177 solo perché è il primo evento che ha coinvolto la nuova situazione urbanistica della città. La crescita dell’Oltrarno costrinse anche a costruire nel XIII secolo e in pochi anni gli altri 3 ponti “storici” il Ponte alla Carraia (che fu brevemente noto come Ponte Nuovo nel 1220), il ponte a Rubaconte (oggi Ponte alle Grazie) nel 1237 e il Ponte a Santa Trìnita, nel 1252.
I ponti fiorentini hanno una storia travagliata: la piena del 1333 li aveva tutti distrutti. Due secoli dopo, nel 1557 resistette solo il Ponte Vecchio, dopo la quale gli altri furono ricostruiti con l’aspetto attuale. Ho detto “con l’aspetto attuale” perché la Wehrmacht nel 1944 li fece saltare tutti ad eccezione del Ponte Vecchio e nel dopoguerra ponte alla Carraia e ponte a Santa Trìnita, considerati dei veri capolavori del genere, sono stati nuovamente realizzati esattamente come erano.
Comunque, ecco che l’Arno dal XII secolo in poi si è dimostrato ancora una volta fondamentale per la crescita della città: Firenze è diventata quella che è grazie all’arte della Lana e le rive del fiume erano un continuo di mulini e gualchiere (macchinari di epoca preindustriale fondamentali appunto per la manifattura delle lane) e non sarebbe potuto succedere tutto questo senza il fiume che forniva acqua per tingere le lane, l’energia per fare la farina e altro e pure la via per l’esportazione.
A cascata vennero i “banchi”, la seconda fortuna della città: all’epoca era vietato prestare il denaro a strozzo (il concilio di Lione del 1274 e il concilio di Vienna del 1311 ribadirono la condanna dell'usura, minacciando di scomunica i Comuni o gli Stati che la permettevano) ma con le tante valute dell'epoca i cambiavalute erano necessari. Di fatto le grandi banche fiorentine sono proprio nate a seguito della necessità di cambiare le valute nelle esportazioni della lana e per poter gestire nuovi strumenti del credito come le lettere di cambio, sorta di fidejussioni grazie alle quali chi si recava all’estero poteva condurre transazioni con la fondamentale sicurezza di non dovere portare con sé il denaro contante.
LA FRANA DI CASTAGNO, L'INTORBIDIMENTO DELL'ARNO E LA CRISI CONSEGUENTE NELLA LAVORAZIONE DELLA LANA. A dimostrazione del ruolo determinane del fiume, ricordo un episodio storico nel quale si evidenzia come l’importanza di qualcosa la si sente proprio quando manca.
Siamo nel versante occidentale del monte Falterona, quello mugellano (l’Arno nasce nel versante casentinese dello stesso monte). Nel 1335 si mise in moto una frana, nota come la frana di Castagno d’Andrea (all’epoca si chiamava solo “Castagno”, oggi Castagno d’Andrea in quanto luogo natale di Andrea del Castagno). Si tratta di un evento enorme: il Villani, testimone diretto della situazione scrisse che "uno sprone della montagna di Falterona della parte che discende verso il Dicomano in Mugello, per tremoto e rovina scoscese più di 4 miglia infino alla villa che si chiama il Castagno, e quella con tutte le case e persone e bestie selvatiche e dimestiche e alberi subissò" [4]
La conseguenza più grave fu che l’Arno divenne estremamente torbido per almeno 3 mesi, impedendo la lavorazione della lana. Sempre il Villani scrisse: la quale torbida acqua discese nel Decomano, e tinse il fiume della Sieve; e la Sieve tinse il fiume dell'Arno infino a Pisa; e durò così torbido per più di due mesi, per modo che dell'acqua d'Arno a neuno buono servigio si poteva operare, né cavalli ne voleano bere; e fue ora che i Fiorentini dubitaro forte di non poterlo mai gioire, né poterne lavare o purgare panni lini o lani, e che peròl'arte della lana non se ne perdesse in Firenze; poi a poco a poco venne rischiarando, e tornando in suo stato".
Dopo le distruzioni dell’alluvione del 1333, quest’altra sciagura mise in ginocchio l’economia della città, che però riuscì a riprendersi quando le acque ritornarono alla precedente chiarezza.
Quindi l’Arno, che è noto soprattutto per le sue intemperanze, in realtà gioca anche questo aspetto più sconosciuto ma fondamentale: senza di esso Firenze non sarebbe mai nata, né sarebbe diventata la città che conosciamo.
[1] Morelli et al 2014 Rapid assessment of flood susceptibility in urbanized rivers using digital terrain data: Application to the Arno river case study Applied Geography 54,35-53
[2] Sabelli 2016 Il progetto strategico di ricerca “FIMU | Le mura urbane e il sistema difensivo di Firenze”Restauro Archeologico 2, 94-113 ISSN 1724-9686
[3] Francovich et al 2007 La storia di Firenze tra Tarda antichità e Medioevo. Nuovi dati
dallo scavo di via de’ Castellani, Firenze, Annali di Storia di Firenze, II 9-48, FUP: Firenze.
[4] Giovanni Villani “Nova Cronica”, libro XI cap.26
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