Per garantire la sicurezza degli operatori che hanno lavorato a Rigopiano il gruppo di Geologia Applicata del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Firenze ha progettato in poche ore un sistema di monitoraggio del rischio – valanghe che ha unito due attrezzature molto diverse e complementari frutto di tecnologie molto avanzate. Al di là della rapidità dell’intervento in condizioni logistiche molto difficili se non proibitive, questa vicenda dimostra per l’ennesima volta l’importanza che riveste il settore ricerca & sviluppo: senza questi metodi innovativi e senza un gruppo che fa ricerca scientifica e tecnologica sui movimenti del terreno i soccorsi a Rigopiano sarebbero stati molto più difficili.
La tragedia di Rigopiano è stata sicuramente una delle vicende più toccanti degli ultimi anni: nel pomeriggio di mercoledì 18 gennaio 2017 una valanga si è abbattuta sull'albergo sui monti abruzzesi in provincia di Pescara, forse a causa della eccezionale nevicata (nonostante la coincidenza temporale chi se ne è occupato direttamente è invece piuttosto scettico sul possibile ruolo delle scosse di terremoto del giorno precedente). In questo post non voglio entrare nel dibattito sulla storia e sulla ubicazione della struttura, ma su un aspetto importante e poco conosciuto dei soccorsi: la sicurezza degli operatori. Questo perché l’operazione Rigopiano è stata una delle più difficili e rischiose fra quelle affrontate dalla Protezione Civile (in tutte le sue multiformi sfumature: Forze Armate, VVFF, Forze dell’Ordine, personale sanitario etc etc): si trattava di scavare fra neve e macerie, in condizioni proibitive, sia logistiche (difficoltà di raggiungere il sito, distanza dai centri abitati e le strade pesantemente innevate), sia ambientali (il freddo e il rischio che altre frane o valanghe si abbattessero su chi stava operando, e, in più, la necessaria attenzione dovuta alla eventuale presenza di superstiti).
Il rischio di nuove valanghe era reale: anche se dopo l'evento di neve ne è caduta poca (15 cm al massimo), la possibile presenza di masse non ancora cadute ma che rischiavano di farlo era reale, per non parlare degli effetti sulla copertura nevosa che avrebbe potuto arrecare un eventuale aumento delle temperaure. Però non si poteva certo aspettare in quanto, come è stato dimostrato, anche a distanza di giorni sono stati ritrovate delle persone vive.
LA RICHIESTA AL DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA TERRA DELL’UNIVERSITÀ DI FIRENZE. La sera del giorno successivo all’evento il Centro Operativo Misto di Protezione Civile istituito a Penne per il coordinamento dei soccorsi ha constatato la necessità di un sistema che garantisse l’incolumità dei soccorritori nei confronti del rischio valanghe e ha chiesto al gruppo di Geologia Applicata del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Firenze, centro di competenza della Protezione Civile soprattutto per lo studio dei movimenti franosi, se fosse possibile installare un sistema per l’allertamento rapido dei soccorritori.
Il gruppo è abituato a muoversi velocemente, perché gli interventi del genere devono essere rapidi e, soprattutto, giungono all’improvviso. Fra quelli degli ultimi anni posso citare i monitoraggi su episodi che sono balzati alle cronache italiane e non solo, come il relitto della Costa Concordia, le frane di Volterra, l’acquedotto di Messina e il Lungarno Torrigiani a Firenze e la continua attività di monitoraggio a Stromboli.
Il problema era veramente difficile: non si trattava del monitoraggio di un versante in frana, caso in cui i precursori di un nuovo distacco vengono avvertiti in tempi abbastanza lunghi ai fini della Protezione civile, ma di una situazione in cui il tempo utile di preavviso di una nuova valanga è solo di un minuto: ne consegue che in meno di 60 secondi dall'inizio dell'evento i soccorritori si dovevano mettere in sicurezza. Inoltre le temperature basse e la costante presenza di nebbia complicavano il tutto.
Insomma, la strumentazione a disposizione non andava bene per le valanghe fondamentalmente per due motivi:
- i tempi di innesco delle frane sono troppo più lunghi di quelli delle valanghe e i tempi di acquisizione delle immagini da parte di un classico radar per le frane (radar interferometrico) sono troppo lenti per le valanghe
- le lunghezze d’onda utilizzate da un laser – scanner che monitora le frane non sono utili quando si monitora della neve
Era quindi necessario trovare una strumentazione con frequenze e tempi di rilevamento adatti allo scopo. Ma la situazione richiedeva la massima urgenza in quanto, come è stato dimostrato dai fatti, c’erano delle vite da salvare e non si poteva certo aspettare la mattina successiva. La decisione è stata quindi quella di capire immediatamente cosa potesse essere possibile fare e quindi la notte è stata in gran parte passata a cercare di risolvere il problema.
COME È STATO AFFRONTATO IL PROBLEMA. Un grande vantaggio è stato costituito dalla presenza della iTem, una spin-off accademica dell’Università di Firenze (e, più precisamente, anche questa del dipartimento di Scienze della Terra, realizzata dal gruppo di Geofisica Applicata), che costruisce sensori appositamente concepiti per riconoscere le valanghe, basati sulla identificazione delle onde sonore infrasoniche prodotte da una valanga: la presenza di più sensori permette di localizzare la sorgente del rumore e quindi dove è avvenuta la valanga.
Il sistema dà certezze dopo meno di 2 minuti che una valanga è effettivamente scesa ed è molto utile ai fini della Protezione Civile per diversi aspetti:
- può dare delle indicazioni importanti per stabilire o correggere i livelli di allerta: se non vengono registrate valanghe una allerta può essere declassata, mentre se vengono rilevate valanghe in un periodo di bassa allerta, questa viene corretta verso l’alto
- spesso le zone montane sono caratterizzate da scarsa visibilità: un sistema del genere è in grado di indicare con precisione se e dove si sono verificate delle valanghe, il che è utile sia in caso di soccorsi, sia quando vengono programmati per sicurezza dei distacchi artificiali per verificare che siano avvenuti effettivamente
Pertanto questo sistema era estremamente necessario per monitorare a livello generale il livello del rischio – valanghe nella zona, ma non era sufficiente da solo, perché se i 2 minuti necessari all’individuazione della valanga non sono un problema in sede di monitoraggio in zone senza persone, diventavano troppi per poter dare il segnale di evacuazione rapida nella zona dell’intervento.
Nella notte quindi, studiando il caso, Casagli e il suo team hanno preso informazioni, riuscendo a parlare, nonostante l’ora con diverse persone e aziende e spulciando le informazioni in Rete. La mattina di venerdì 20 alle 8.00 è stata data la conferma: esisteva la tecnologia giusta, un radar doppler per valanghe costruito dalla Geopraevent di Zurigo, una startup specializzata negli interventi in alta montagna.
Questo radar è naturalmente capace di lavorare h24 in tutte le condizioni meteo e di luce. Alimentabile con pannelli solari o celle a combustibile, riesce a riconoscere movimenti di massa a 2 km di distanza e grazie al confronto con i modelli del terreno, è in grado di determinare il cammino della massa in caduta pochi secondi dopo l’inizio dell’evento.
La Geopraevent si è resa immediatamente disponibile e ha provveduto subito ad inviare l’attezzatura e i tecnici di supporto.
Verso le 11 il sistema è già progettato:
- l’array infrasonico di iTem per il supporto alla previsione e per il pre-allarme.
- il radar di Geopraevent per l’allertamento rapido entro 10 secondi dal distacco della valanga
Però, stante le condizioni ambientali, oltre ad una nutrita serie di strumentazioni tecniche è stato necessario provvedere anche a ciaspole ed attrezzature di sicurezza varie. Nonostante tutto, la sera di venerdì è stato raggiunto il centro operativo, da dove il giorno dopo le attrezzature sono state portate dove dovevano essere installate, in spalla in quanto le proibitive condizioni meteorologiche impedivano il volo degli elicotteri.
ll radar doppler è diventato operativo sabato 21 gennaio dalle ore 18:30.
L’Array infrasonico è diventato operativo domenica 22 dalle ore 16:30.
L’orientazione della antenna del radar, puntata verso la parte alta del canalone, è stata stabilita sulla base delle simulazioni effettuate su un modello digitale del terreno. Ma siccome, passata la valanga, il terreno non è più lo stesso e i modelli digitali rappresentano solo la memoria del passato è stato ricostruito un nuovo modello digitale sfruttando alcune foto scattate dalla Protezione Civile.
Il sistema ha funzionato fino a quando la macchina dei soccorsi è rimasta in loco, garantendone la sicurezza.
CHIOSA FINALE: LA NECESSITÀ DI FARE RICERCA & SVILUPPO. Come conclusione si può notare come la ricerca scientifica e tecnologica sia stata fondamentale per questa operazione, i cui protagonosti sono stati:
- uno spinoff universitario
- una startup che si muove in un settore particolare e, volendo, piuttosto estremo
- un gruppo in seno ad un dipartimento universitario che facendo ricerca sui metodi di previsione, monitoraggio e sistemazione di frane e altri movimenti del suolo ha conseguito un elevato livello di know-how in proposito e ha sfruttato al meglio le attrezzature prodotte dalle due realtà di cui sopra
Si conferma ancora una volta che la ricerca è il motore fondamentale dell’innovazione e che le sue ricadute in termini pratici possono essere le più varie.
Speriamo che la classe dirigente italiana (di cui la classe politica è una parte) capisca finalmente tutto ciò:
- finanziando il settore ricerca & sviluppo perché questo è l’unico modo che abbiamo per creare occupazione: non si può pensare di creare occupazione facendo “le solite cose”
- togliendo i lacci burocratici che affliggono l’università, come quelli che nel post precedente ho raccontato e che si riferiscono proprio agli ostacoli demenziali che il Prof. Casagli e il suo gruppo hanno dovuto superare anche in una occasione in cui il tempo era più che denaro
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