È uscito da poco un interessante articolo, di cui primo firmatario è un italiano, Daniele Silvestro, in cui grazie a PyRate, un nuovo software da poco ideato allo scopo, è stata fatta luce sulla dinamica della evoluzione delle piante, in termini di tassi di diversificazione e di estinzione delle specie. I risultati di questo lavoro non solo confermano (o precisano!) quanto si sapeva: esaminati con attenzione, gettano nuova luce su alcuni eventi di estinzione di massa (per esempio sugli avvenimenti della fine del Permiano). Quindi il confronto e l'integrazione fra dati paleoambientali e paleofaunistici e i dati ottenuti in questo lavoro (e possibilmente, altri dati ottenuti con PyRate selezionati per confrontare fra loro diversi ambienti e diversi tempi) potrebbe darci un grosso aiuto per comprendere meglio l'evoluzione della vita e delle condizioni climatiche sul nostro pianeta. Provo a fare una breve sintesi che dimostra come sia possibile correlare i dati floristici di questo lavoro con altri accadimenti geologici e faunistici.
Da parecchio tempo si sa che l'evoluzione delle piante e quella degli animali si sono svolte con tempistiche un po' diverse, anche se spesso nuove piante hanno avuto grandi influenze sulla vita animale.
Anche lo studio dell'evoluzione delle piante è piuttosto diverso da quello degli animali. Per la paleontologia animale le impronte fossili rappresentano l'unico supporto ulteriore ai fossili, ma sono poche; le piante sono anche studiabili grazie ai pollini, che possono dare un'idea della situazione anche senza reperti diretti e sono piuttosto abbondanti. Ma ci sono anche degli svantaggi: in particolare incrociare i dati palinologici con quelli di foglie e rami fossili non è sempre semplice e spesso non c'è un consenso totale della comunità scientifica su questi dati.
Nel 1983 un articolo di KJ Niklas, BH Tiffney e AH Knoll descrisse quattro fasi in cui dei gruppi di piante hanno avuto una veloce diffusione:
- la prima diversificazione delle prime piante terrestri, con la comparsa nel Siluriano delle prime vere foreste
- nella seconda fase felci arborescenti e licopodi dominavano le foreste del Carbonifero inferiore
- le flore carbonifere hanno continuato a persistere ma da quel momento presero sempre più campo le gimnosperme, che comunque erano comparse già dal Devoniano medio
- Finalmente, all'inizio del Cretaceo, arrivano le angiosperme, le piante con fiori, il gruppo dominante oggi.
Generalmente si considerano le prime presenze fossili di una linea vegetale piuttosto vicine alla loro origine (e qui, appunto, si innesta il dibattito sul confronto fra foglie e pollini); le datazioni genetiche alle volte hanno semplificato le cose, altre hanno fornito età non concordanti con i reperti fossili.
Per venire a capo del problema un gruppo di ricercatori ha inventato un software, PyRate, che consente di stimare i tassi di speciazione, estinzione e preservazione con una analisi statistica bayesiana dei fossili. Noto innanzitutto che il primo firmatario dei lavori che descrivono PyRate è il “solito” cervello in fuga: si tratta di Danilele Silvestro che laureatosi a Torino, oggi lavora a Goteborg.
Questo andamento è stato precisato dall'analisi con questo software effettuata da un gruppo di cui è sempre leader il nostro Danile Silvestro, in cui si evidenziano il tasso di comparsa e di estinzione delle piante.
Il lavoro di Silvestro considera 3 gruppi principali delle piante vascolari:
- piante con spore, come le felci e i licopodi
- piante con semi ma senza frutti (che indicherò con il termine Gimnosperme, un concetto che geneticamente ha oggi poco significato). Oggi sono rappresentate soprattutto dalle conifere
- piante con fiori, le angiosperme
LE PIANTE NEL PALEOZOICO SUPERIORE
Le analisi mostrano un picco nel tasso di origine di nuove specie a metà del Devoniano, in coincidenza con lo sviluppo delle foreste iniziato nell'Ordoviciano. A questo è seguita una riduzione nel tardo Devoniano, in sincronia con le estinzioni di massa negli animali che si registrano alla fine del Frasniano (uno dei più importanti di questo genere di eventi) e del Famenniano, le ultime due età di questo periodo. Alla fine del Frasniano sono state colpite più le piante con spore di quelle con semi senza frutti.
Passata questa dura fase, nascono le grandi foreste tropicali del Carbonifero inferiore, quelle delle felci e dei licopodi. Ma a metà del periodo è avvenuto il cosiddetto “collasso delle foreste tropicali del Carbonifero medio”, un evento dalle dinamiche ancora poco chiare, accompagnato da una estinzione di forme animali.
Secondo me almeno una parte del problema è stato dovuto alla deriva verso sud del Gondwana, che in quell'epoca raggiunge le alte latitudini meridionali con il conseguente raffreddamento e l'inizio delle glaciazioni del Permo – Carbonifero
Il Carbonifero superiore non è stato un buon momento per le piante con spore, mentre le Gimnosperme riuscirono ad ottenere un buon tasso di speciazione.
All'inizio del Permiano PyRate mostra mostrano un episodio di forte differenziazione delle piante con spore. Forse le grandi province magmatiche che si sono messe in posto all'inizio del Permiano (in particolare quella dello Skagerrak intorno all'odierno mare del Nord) hanno aumentato il tenore di CO2 atmosferico, che per la presenza di calotte glaciali doveva essere non proprio ai massimi livelli, date le capacità dei ghiacci di stoccare questo gas.
LA CRISI BIOTICA DELLA FINE DEL PERMIANO
Come era già noto, sia pure in maniera meno dimostrata matematicamente, la biodiversità delle piante è crollata come è successo per il mondo animale alla fine del Permiano: la madre di tutte le estinzioni ha quindi colpito duro anche nel regno vegetale.
Nel Permiano terminale il tasso di estinzioni è stato altissimo sia nelle piante con spore che nelle Gimnosperme, ma queste ultime mostrano anche un alto tasso di speciazione, forse una risposta alle drammatiche e continue variazioni climatiche caratteristiche di quella fase.
Come ho avuto modo di dire gli eventi di fine Permiano sono stati due, a meno di 8 milioni di distanza l'uno dall'altro e sono stati entrambi molto duri. Secondo alcuni Autori le estinzioni delle piante sono avvenute sopratutto con il primo evento, quello innescato dai trappi dell'Emeishan, che dal secondo, innescato dalle terribili eruzioni che hanno portato alla messa in posto dei trappi della Siberia Occidentale.
Nell'analisi con PyRate spicca un dato: le piante con spore (come le felci) hanno risentito maggiormente dell'evento rispetto alle gimnosperme. È un particolare che si lega bene con quello che si osserva negli animali, dove gli anfibi sono stati colpiti in una maniera talmente dura che non si sono più ripresi e sono stati sostituiti nei fiumi da rettili come i notosauri, antenati di tartarughe, ittiosauri e plesiosauri. Insomma, mentre al passaggio fra Cretaceo e Paleocene i sistemi fluviali si sono dimostrati estremamente resilienti, 200 milioni di anni prima sono state proprio le zone umide a subire i danni peggiori.
IL MESOZOICO E L'AFFERMAZIONE DELLE ANGIOSPERME
In perfetto accordo con quanto ipotizzabile, PyRate registra un fortissimo aumento della biodiversità all'inizio del Triassico, durante la ripresa della biosfera dalle grandi perturbazioni di fine Permiano, ma le piante con spore reagirono un po' dopo rispetto alle gimnosperme. Anche qui si nota una buona correlazione con il clima: le terribili condizioni dell'inizio del Trias, quando si sono registrate le temperature più alte ed il clima più secco dell'ultimo mezzo miliardo di anni, hanno evidentemente ostacolato la vita a chi aveva maggiori necessità di umidità.
Passata senza grossi problemi l'estinzione faunistica della fine del Triassico, nella flora del Giurassico e del Cretaceo le Gimnosperme se la passano bene fino all'avvento delle Angiosperme, che comparvero all'inizio del Cretaceo e si diversificarono abbastanza velocemente, pur senza ricoprire all'inizio delle posizioni dominanti, a cui arrivarono una trentina di milioni di anni dopo, e cioè circa 100 milioni di anni fa, nel Cretaceo medio.
Da quel momento il tasso di speciazione delle piante con spore aumentò, ma siccome si accompagnò ad un forte tasso di estinzione, il raggruppamento perse nettamente biodiversità, mentre le gimnosperme esibirono solo un forte tasso di estinzione. Le Angiosperme, pur affermandosi mostrano nella elaborazione con PyRate una diminuzione nella velocità di speciazione e una perdita di biodiversità. Lì per lì appare una contraddizione, ma è possibile che il tutto sia correlato ad un peggioramento delle condizioni climatiche e ad una maggiore resilienza delle angiosperme, che avrebbero semplicemente subìto meno perdite degli altri gruppi?
Cerchiamo di ipotizzare cosa possa essere successo.
Il Cretaceo superiore ha visto tutto sommato un aumento della biodiversità degli animali (anche dei dinosauri) guidato da un aumento delle temperature, che raggiungono nel Turoniano, circa 90 milioni di anni fa, un massimo notevole.
Fondamentalmente all'epoca ci sono stati due Eventi Anossici Oceanici al limite Aptiano – Albiano (112 MA) e al limite Cenomaniano – Turoniano (93 MA), collegati alla messa in posto di importanti Large Igneous Provinces oceaniche (il plateau caraibico e quello di Ontong Java – Manihiki – Hikurangi), più la messa in posto di altri grandi accumuli lavici connessi alla rottura del Gondwana.
Le emissioni di CO2 hanno causato un forte effetto serra; il caldo e l'umido hanno aumentato il tasso di fotosintesi, per cui in atmosfera si accumulava più ossigeno di oggi. Per questo c'è stata una maggior frequenza degli incendi, come dimostra la presenza nei sedimenti di tutto il Cretaceo superiore di fuliggine e fullereni dispersi (e non solo, come vorrebbero i sostenitori del meteorite – killer, all'intervallo K/T). Una situazione del genere ha favorito le angiosperme rispetto alle conifere, notoriamente più soggete algli incendi per le caratteristiche del fogliame e per la presenza di resine.
L'ESTINZIONE DI FINE CRETACEO E IL TERZIARIO
La fine del Cretaceo è stata difficile anche per le piante, ma i problemi hanno riguardato differentemente i vari ambienti. Nelle piante con spore il forte tasso di estinzione si accompagna ad un incremento del tasso di speciazione. L'estinzione è molto severa, nonostante che proprio al K/T, come già era successo alla fine del Triassico, alla fase più acuta delle estinzioni faunistiche corrisponde un temporaneo aumento dei pollini di felci, addebitato alla deforestazione provocata dalle piogge acide in una atmosfera devastata dalle emissioni dei trappi del Deccan (e alla fine del Trias da quelle della provincia dell'Atlantico Centrale) o agli incendi dovuti al clima, un po' meno caldo di prima ma sicuramente molto più arido.
All'inizio del Paleocene si nota un forte incremento della biodiversità floristica, più nelle angiosperme che nelle gimnosperme e ancora minore o nelle piante con spore.
Alla fine, mi sembra dai diagrammi di vedere un aumento del tasso di estinzione delle piante alla fine dell'Oligocene. Anche in questo caso c'è un rapporto fra estinzioni faunistiche e floristiche. La motivazione è probabilmente l'inizio del raffreddamento che ha portato successivamente alla glaciazione plio – quaternaria.
Insomma, i dati presentati da Silvestro & c. sono molto interessanti e, soprattutto, mostrano una buona coerenza con quanto si poteva immaginare in generale, analogie interessanti fra flora e fauna, (molto più stringenti di quanto qualcuno si poteva aspettare) e aiutano a comprendere le modificazioni paleoclimatiche.
Sarebbero interessanti degli studi di questo genere che anzichè la globalità del record vegetale fossile, prendessero in considerazione differenze nelle dinamiche di differenziazione ed estinzione in ambienti diversi, specialmente nei tempi a cavallo delle estinzioni di massa, e che probabilmente consentirebbe di capire meglio come le gigantesche emissioni delle Large Igneus Provinces abbiano determinato questi fenomeni, determinanti per la storia della vita sulla Terra
Daniele Silvestro et al., 2015: Revisiting the origin and diversification of vascular plants through a comprehensive Bayesian analysis of the fossil record. New Phytologist (2015) doi: 10.1111/nph.13247
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