martedì 18 gennaio 2011

Le variazioni climatiche oloceniche e la loro influenza sulla civiltà umana

Robert W. Kates nel 1984 è stato il primo ricercatore che ha capito l'importanza delle variazioni climatiche nella storia dell'umanità, concetto che specialmente in Italia gli archeologi, tutti di estrazione umanistica e molto dediti fino ad oggi allo studio delle opere d'arte e dei manufatti in genere, molto meno a quello delle ossa e di altri aspetti scientifici della questione, stentano a capire (tranne alcuni esempi illuminati, soprattutto fra i giovani). Secondo questo autore il clima determina alcuni effetti
- effetto principale: rendita ricavata dalla coltivazione e dal bestiame
- effetto secondario: il prezzo della biomassa, regolato dalla sua abbondanza
- effetto terziario: effetto demografico dovuto alla maggiore o minore possibilità di accedere alle riserve di cibo

È quindi evidente che lo storia umana sia stata influenzata moltissimo dalle mutazioni climatiche, specialmente dopo la trasformazione da una economia di cacciatori – raccoglitori a quella dedita ad agricoltura e pastorizia.
David Thornalley, della Cardiff School of Earth and Ocean Sciences, è primo firmatario di un lavoro pubblicato su Science in cui la chiave di queste alternanze climatiche è una situazione particolare della distribuzione della salinità nell'Atlantico settentrionale, che induce brusche fermate alla circolazione termoalina e quindi provoca in Europa fasi fredde e umide, mentre quando la circolazione riprende il clima diventa più caldo e più secco. Per altri la spiegazione sta nelle variazioni a periodo medio dell'attività solare (quindi non quelle undecennali di cui tanto e asproposito si parla oggi).
Tornerò su questo argomento in un prossimo post, perchè ora voglio soffermarmi sulla storia di questi effetti e su alcuni cambiamenti nelle civiltà umane.

L' 8300 AC è il limite convenzionale dell'Olocene. Convenzionale perchè la nostra mente discontinua, con la necessità di classificare rigidamente le cose, ha bisogno di un limite. In realtà la deglaciazione è stata complessa e polifasata, molto influenzata dalla distribuzione delle rotture dentro le varie calotte, quindi trovare un limite esatto è difficile. È stato quindi assegnato questo valore che corrisponde ad un evento importante per l'Europa e cioè la scomparsa definitiva della calotta scandinava. 

Per studiare il clima e la storia dell'Olocene si usa la scala di Blytt – Sernander. Principalmente i due scienziati scandinavi hanno basato questa classificazione sullo studio dei pollini ma questo sistema ha ricevuto ampie conferme dagli studi su avanzamenti e retrocessioni dei fronti dei ghiacciai e sui sedimenti lacustri e fluviali. Suddivide l'Olocene in 6 fasi, di cui l'ultima è quella in cui viviamo anche noi: 


Sostanzialmente durante una fase più calda le fasce climatiche si allargano, con i loro limiti che si spingono verso nord, mentre durante una fase fredda si stringono, spostandosi verso sud. I mutamenti nel clima si riflettono ovviamente sulla vegetazione e sulla fauna, per cui hanno pure condizionato in maniera massiccia l'umanità del mesolitico e del neolitico (ma anche quella più recente). 

Tralasciamo l'inizio e veniamo all'Optimum Climatico Postglaciale (OCP o, in inglese, CPO) che inizia versi il 4200 AC e termina nel 2600 AC: è stato un momento in cui il clima europeo era più caldo di quello attuale e non di poco: 2 o 3 °C alle basse latitudini e fino a 5°C in più alle alte latitudini. La definizione di "optimum" è stata molto discussa perchè se da un lato la Scandinavia ne è stata sicuramente avvantaggiata nell'Europa centro – orientale e mediterranea la diminuzione di piovosità ha causato non pochi problemi alla vita.

Nel 2600 AC invece succede qualcosa di nuovo: dopo migliaia di anni i ghiacciai hanno ricominciato ad avanzare nei monti scandinavi e nelle Alpi. Da allora la situazione è un po' cambiata: dopo 1500 anni di clima costante si assiste ad una alternanza, che continua tuttora, tra cicli più caldi (e in Europa meno piovosi) e più freddi (in Europa meno piovosi), con pesanti riflessi sulla condizione umana: in buona parte delle coste del Mediterraneo la piovosità media si attesta a circa 300 mm/anno, un livello minimo di precipitazioni per una economia basata sulla pastorizia. Una diminuzione di questo valore, anche di poco, comporta gravi rischi per l'approvvigionamento del foraggio per il bestiame, per cui se i valori nei momenti più freschi sono superiori o vicini a questo limite, un calo anche non troppo sostenuto delle precipitazioni si riflette molto gravemente sulle capacità di produrre cibo a sufficienza per tutti. Di fatto questi periodi più caldi hanno provocato delle crisi come quella dell'XII – XI secolo AC che corrisponde al momento in cui i cosiddetti “popoli del mare” tentarono l'invasione dell'Egitto, evidentemente spinti a muoversi dalle loro sedi dalla mancanza di risorse. 

Venendo a tempi più recenti, tra il 1500 e il 1200 AC c'è stata una fase fresca e umida, mentre dal 1200 al 900 le temperature sono state più calde, anche se con temperature inferiori a quelle dell'optimum climatico postglaciale e hanno innescato appunto una grossa crisi alimentare nel Mediterraneo orientale. In Italia tra il XVII e il XII secolo si sviluppa la civiltà delle Terramare: si suppone che queste costruzioni così alte fossero necessarie per difendersi dalle frequenti alluvioni. Il dato interessante è che più o meno la fine di questa civiltà e l'inizio di quella villanoviana si collocano al momento in cui il clima diventa più caldo e più secco. Sarà proprio un caso? 

La sequenza di Blytt-Sernander assegna il I millennio AC alla fase subatlantica in cui si alternano fasi globalmente più calde a fasi più o meno fresche. Nel Mediterraneo ed in Europa in generale si può dire che le fasi calde sono contraddistinte da bassi valori di piovosità e le fasi fredde sono invece più umide.
In particolare il periodo etrusco è stato contrassegnato da un ciclo in 4 fasi: 



Il livello marino: circa 1 metro al di sotto di quello attuale e le temperature: tra i 2 e i 3°C inferiori a quelle attuali.

Vediamo come la formazione dell'Impero Romano sia avvenuta durante una fase in cui la temperatura è aumentata e non di poco: in queste  due carte vediamo:


- un esempio di distribuzione delle fasce climatiche durante un periodo freddo, in cui il clima atlantico, piovoso, si estende molto a sud (nel periodo etrusco il limite fra clima atlantico e clima continentale probabilmente era ancora più ad est, oltre l'Italia) 



- un periodo caldo in cui il clima mediterraneo, caratterizzato da estati secche, si estende molto verso nord, con un evidente calo di piogge nella Francia, per esempio. Il disegno si riferisce proprio alla situazione tra il III secolo AC e il III secolo DC.

Successivamente assistiamo ad una diminuzione della temperatura che perdurerà fino al IX secolo. Un periodo freddo anche per la storia umana, complicato forse anche da eventi eccezionali non dovuti direttamente al clima. 
A questo è seguito il “Periodo Caldo Medievale” che è durato fino all'inziio del XIV secolo, in cui le temperature sono risalite fino a livelli simili a quelli odierni. In quell'epoca i vichinghi tentarono la colonizzazione della Groenlandia, da cui dovettero poi uscire quando le condiziona climatiche sono di nuovo peggiorate. 

Poi all'inizio del XIV secolo è arrivata la "Piccola Era Glaciale": un periodo molto freddo e molto umido, in cui i ghiacciai alpini sono avanzati moltissimo. La fase più acuta è stata alla metà del XVIII secolo. Poi le temperature sono risalite e la Piccola Era Glaciale si è conclusa verso il 1850. Da allora, fatto salvo un piccolo intervallo tra il 1950 e il 1975, le temperature stanno risalendo ai livelli più alti degli ultimi 5000 anni. Ma oggi probabilmente oltre alla Natura e alla circolazione termoalina c'è lo zampino di qualcun altro....

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