venerdì 28 dicembre 2007

non se ne può più! firmate la petizione contro l'astrologia

come ogni fine di anno assistiamo da tutti i canali dell'unica Fonte di Sapere a cui gli italiani attingono per la loro cultura alla sequela degli oroscopi per l'anno a venire.
La cosa peggiore è che nessuno si scusa per le idiozie previste un anno fa e nonavvenute, oppure per i fatti non previsti avvenuti....
Io mi domando perchè si debba prestare ascolto a certe idiozie, dimostrate scintificamente nella loro inconsistenza. Ma poi è mai possibile che mi debbano chiedere sempre "di che segno sei?" come se questo fosse un dato di fatto che influenza la mia persona, i miei destini, il mio sviluppo mentale, i miei rapporti con gli altri...
rispondete come me, dite che il vostro segno è l'orsa maggiore, distinguetevi dalla massa pecorona e stupida.
E non solo, firmate la proposta di legge per "Disposizioni in favore di una corretta informazione dell'opinione pubblica sulla ascientificità delle previsioni probabilistiche diffuse attraverso l'uso di oroscopi, carte, numeri o pratiche analoghe" sul sito della UAI - Unione Astrofili Italian, proposta di legge che io ho già firmato diverso tempo fa.


Di seguito posto il comunicato stampa della UAI per la fine di quest'anno



COMUNICATO STAMPA

il futuro fra le stelle ... senza l'oroscopo.

Le feste di fine anno sono in pieno svolgimento, e ci aspetta come il solito l’orgia delle previsioni astrologiche, non solo sulle emittenti private, ma anche sulle emittenti nazionali, a cominciare dalle reti pubbliche e spesso all’interno dei Telegiornali stessi.
Su molti schermi televisivi parole accattivanti e consigli vaghi e superficiali scorrono mentre i notiziari espongono avvenimenti di attualità, a volte tragici; oroscopi a pagamento vengono offerti sui nuovi mezzi di comunicazione; giornali che influenzano l’opinione pubblica, con il pretesto di rendere più accattivante la realtà che ci circonda, ospitano l’oroscopo giornaliero, talora perfino in prima pagina, dandogli una patente di serietà che non gli compete, essendo nella migliore delle ipotesi puro intrattenimento.
In questi giorni il Ministro della Pubblica Istruzione ha deplorato il fatto che i ragazzi delle scuole medie inferiori non conoscano "la causa del giorno e della notte, dovuto alla rotazione della terra intorno al proprio asse”; invece sanno con precisione di che segno sono (anche se non ne sanno nemmeno l’origine!), bombardati fin dall’infanzia da questa pericolosa sottocultura dell’oroscopo che provoca il fatalismo e che spesso accompagna i nostri giovani, convinti che ciò che accade loro sia dovuto ad un destino scritto nelle stelle.
Cogliamo quindi l’occasione per ricordare a tutti la nostra proposta di legge - consultabile alla pagina web http://astrologianograzie.uai.it/legge.htm - comunemente definita “del bollino per gli oroscopi", presentata in Parlamento nel maggio 2006 (proposta n. 483).
L'obiettivo è avvertire i fruitori di oroscopi, attraverso un apposito messaggio, che quelle parole non hanno nulla a che vedere con il loro futuro, che non c'è alcun obbligo né necessità di seguire quelle indicazioni, che ognuno è libero di seguire la propria strada senza vincoli.
Non sono mancate, nei riguardi dell’Unione Astrofili Italiani, critiche che irridono alla nostra proposta, oppure ci ricordano che nella società contemporanea ben altri sarebbero i problemi da risolvere. Tuttavia riteniamo che qualsiasi iniziativa volta a limitare una sempre più diffusa incultura, promuovendo di pari passo la cultura scientifica, possa dare un contributo a migliorare le prospettive per le generazioni future, attualmente colpite da molti sintomi preoccupanti, dall’insufficiente preparazione scolastica nelle materie scientifiche alle scarse possibilità di carriera nella ricerca e conseguente “fuga dei cervelli”. Ci sentiamo inoltre molto gratificati dal sostegno e dall’approvazione di oltre 2000 persone, tra cui numerosi scienziati, che ci hanno voluto dare il loro consenso e incoraggiare la nostra iniziativa.
L’UAI, che rappresenta tanti appassionati osservatori delle stelle continuerà, nonostante le critiche, a suggerire un modo sempre affascinante ma molto più serio di guardare al cielo, per imparare a conoscerlo e per approfondirne lo studio.
A questo proposito, per sapere cosa ci riserva il cielo nel prossimo futuro, sul sito UAI - alla pagina www.uai.it/index.php?id=1060&tipo=A - è consultabile il Calendario delle iniziative astronomiche promosse dall’UAI nel 2008. E' un calendario fittissimo di iniziative, legato ai principali eventi celesti ed alle osservazioni pubbliche previste per il prossimo anno ed alla cui realizzazione parteciperanno centinaia di associazioni locali di astrofili.
Tanti auguri di buone feste dall'Unione Astrofili Italiani e dai responsabili della campagna "Astrologia? No, Grazie!".
Per maggiori informazioni consultare il sito UAI (www.uai.it) all'indirizzo della campagna "Astrologia? No, Grazie!" (http://astrologianograzie.uai.it email: astrologianograzie@uai.it).

Roma, 28 Dicembre 2007



martedì 25 dicembre 2007

dighe ed energia idroelettrica: mostri presenti, futuri e futuribili

L'energia idroelettrica è stata considerata a lungo (e a torto) un'attività di basso impatto ambientale. In realtà una diga, anche la la più piccola, produce delle conseguenze sul regime fluviale. Se da un lato può regimare le magre (più che le piene), dall'altro la formazione di un lago e il conseguente rallentamento della corrente interrompe il trasporto dei sedimenti. Quindi a valle di una diga il fiume trasporta meno sedimenti, ha maggiori capacità abrasive e, non consegnando al mare il solito quantitativo di sedimento, contribuisce all'erosione della costa. Il fenomeno, in Italia, è accentuato dal rimboschimento, giustissima opera per la prevenzione dell'erosione dei versanti: il disboscamento eccessivo ed il conseguente aumento del carico solido dei fiumi, aveva rimpolpato le coste più del lecito e contribuito in parte a mitigare l'abbassamento continuo a cui sono soggette naturalmente le pianure costiere (incrementato dall'indiscriminato prelievo di risorse idriche per mezzo di pozzi). Inoltre la diminuzione del carico solido ha influenzato fauna e flora fluviale. Le conseguenze della costruzione di una diga possono essere tragiche anche per le popolazioni, costrette ad abbandonare case, campi e quant'altro.

Tutto sommato le dighe sono state fino ad oggi di dimensioni modeste, a parte quella di Assuan e quella di Kariba in Africa, e qualcosa in Sudamerica, ma ora stiamo assistendo alla costruzione o alla progettazione di autentici mostri, con conseguenze ambientali a dir poco devastanti.

In Cina la “diga delle tre gole” sbarra lo Yangtze, il maggior corso d'acqua asiatico. Il progetto avrebbe tre obiettivi principali: produrre energia, migliorare la navigazione interna del paese e prevenire le periodiche inondazioni dello Yangtze. Ci sono forti dubbi sulla prevenzione delle alluvioni, ma chiaramente per la Cina i primi due obbiettivi sono fondamentali. E un bacino idrico di oltre 600 chilometri di lunghezza è una modificazione ambientale drammatica specialmente se vicina ad un'area fra le più ricche in biodiversità della Cina. E ci sono più di un milione di sfollati (ufficiali...).

In Brasile c'è un progetto di sbarrare il Rio Madeira, il secondo fiume più grande dell’Amazzonia, un gioiello per quanto riguarda la biodiversità. Il suo bacino copre un quarto dell’Amazzonia brasiliana, e si estende per più di 1,5 milioni di Km quadrati in Perù, Bolivia e Brasile. E' il principale affluente del Rio delle Amazzoni e il responsabile per circa il 15% del volume delle acque del Rio delle Amazzoni. Ma soprattutto pare che il 50% dei sedimenti trasportati dal Rio delle Amazzoni nell’Oceano Atlantico provengano da questo fiume. Il danno al sistema alluvionale del bacino Madeira - Rio delle Amazzoni potrebbe essere devastante

Ma dove si passa veramente il segno è in un progetto dell'università di Utrecht, in cui si propone una diga all'altezza dell'imbocco del Mar Rosso. Senza l'afflusso di acqua dall'Oceano Indiano, l'intensa evaporazione provocherebbe una drastica diminuzione del livello del Mar Rosso. Si creerebbero i presupposti per un impianto idroelettrico da 50 gigawatt di potenza che risolverebbe i problemi energetici dovuti alla sempre crescente domanda da parte dei paesi del Medio Oriente. Gli autori del progetto ammettono che ci sarebbero conseguenze ambientali enormi, ma anche una eccezionale riduzione delle emissioni di gas serra a fini energetici.

Analoga proposta fanno per uno sbarramento sullo stretto di Hormuz per il Golfo Persico.

Non c'è nessun accenno a difficoltà da un punto di vista sismico, specialmente ad Aden, dove c'è una giunzione tripla fra 3 zolle, vulcani attivi etc etc.

A questo punto faccio una proposta anche io: siccome lo stesso aspetto dell'evaporazione c'è con il Mediterraneo, che viene rifornito di acqua dall'Atlantico dallo stretto di Gibilterra, perchè non fare una diga anche lì? In fondo con 100 metri in meno di acqua nel Mediterraneo sai quante terre ci sarebbero a disposizione? (scherzo..............)

Il problema della produzione di energia è sicuramente il grande assillo dei nostri tempi (tranne che per chi fa finta di niente). Ma forse si risolve in altri modi. La Standford University, che non è una dittarella qualsiasi, ha proposto a largo di Capo Mendocino un parco eolico che potrebbe fornire il 5 per cento dell’elettricità che la California ricava attualmente da combustibili fossili con evidenti minori conseguenze sull'impatto ambientale. E la California non è un paesino, ma uno dei masimi consumatori mondiali di corrente.

Ce la faranno?

giovedì 20 dicembre 2007

Forme bipedi sarebbero le antenate delle scimmie? O questa?

Confermo l'imbarazzo: sinceramente ho sempre guardato male le teorie scientificamente non ortodosse. E' però vero che il progresso scientifico è passato attraverso diverse rivoluzioni le cui idee portanti non erano di sicuro ortodosse nei confronti della scienza ufficiale dell'epoca: cito l'astronomia copernicane a galileiana, l'evoluzione della specie o la tettonica a zolle (nella sua prima accezione di “deriva dei continenti”. Il concetto vale sia per “massimi sistemi” come questi, sia per ricerche di portata più limitata. Però anche io nel mio piccolo ho un'idea eretica su parte della geologia dell'Appennino Settentrionale, come da regolamento smantellata in pochi minuti dal buon Professor Pandeli, ma continuo (in privato – essendo fuori dall'accademia) a considerarla un buon punto di partenza per una certa fase geostorica.

Parliamo adesso dell'avvento della “stazione eretta”, cioè come, quando e perchè i nostri progenitori hanno “deciso” di muoversi su due arti anziché sui canonici quattro. Su questo le idee sono le più varie (specialmente sul perchè). Quasi ogni giorno se ne sente una e i creazionisti ci sguazzano, approfittando che tutto è molto difficile da studiare per la cronica scarsezza di reperti fossili: savane e/o foresta sono ambienti di vita che rendono la fossilizzazione quasi impossibile: un corpo morto sul suolo viene divorato quasi totalmente in pochissimo tempo. Ultimamente ho letto di una antropologa la quale sostiene che il bipedismo si è sviluppato perchè i peli sono diventati troppo deboli e non consentivano più ai genitori di tenere i piccoli sul dorso o sotto la pancia (come fanno i primati) e quindi si sono dovuti alzare per tenerli sulle spalle. Di una cosa siamo ragionevolmente sicuri: il bipedismo è successivo alla divergenza fra gli antenati nostri e quelli dello scimpanzè.

Avevo già notato anche io una contraddizione cronologia di fondo: se la divergenza uomo – scimpanzè si fissa con l'orologio molecolare a 5/6 milioni di anni fa, come possono esistere forme bipedi più antiche? O è mal calibrato l'orologio molecolare (che funziona in base alle differenze fra i corredi genetici di due specie) o sono sbagliati i dati stratigrafici oppure questi fossili non fanno parte della linea umana (e il bipedismo è comparso più volte) o è sballata la certezza.

A questa ultima possibilità pensa l'antropologo Aaron Filler. In una sua recente pubblicazione esordisce dicendo che non pretende – bontà sua – che l'intera antropologia mondiale riconosca valida la sua idea. Lui sostiene che la stazione eretta fu conquistata molto presto dall'antenato diretto di tutti gli ominoidei, che poi, per motivi sconosciuti, sarebbero quasi tutti tornati quadrupedi. Quindi la stazione eretta non sarebbe stata l'origine della diversificazione uomo – scimpanzè, semmai di quella fra le scimmie antropomorfe e le altre scimmie del vecchio mondo.

Filler parte da due osservazioni: la prima è l'incongruenza fra la stratigrafia e l'orologio molecolare, la seconda che i piccoli di tutte le scimmie antropomorfe si alzano in piedi per camminare, e lo fanno regolarmente i gibboni adulti (che di tutte le antropomorfe sono i più geneticamente distanti da noi!). La terza che gli ominidi miocenici come Oreopithecus Bambolii camminavano già eretti 9 milioni di anni fa (su questo c'è un po' di dibattito, ma per molti è un fatto assodato).

Quindi sostiene che l'antenato comune di tutte le scimmie antropomorfe era bipede e che POI ci sia stato un ritorno generalizzato al quadrupedismo, tranne che in alcuni casi. E' un rovesciamento notevole della medaglia: non è l'uomo che viene dalla scimmia, è la scimmia che viene dall'uomo...

Per me esiste la possibilità che l'origine della stazione eretta risieda nella brachiazione, il sistema particolare di spostamento sviluppato dai primati, eccellente per un animale arboricolo: camminare sugli alberi utilizzando le braccia e restando in sospensione. Chiaramente per un corpo che cammina così è più facile tenere una stazione verticale piuttostochè orizzontale, semplicemente per l'azione della gravità.

E' chiaro che nella scienza ci sono dei “preconcetti mentali” che guidano la ricerca: Darwin stesso ci cascò arrivando alle Galapagos quando cominciò a collezionare fringuelli e tartarughe, ma essendo ancora creazionista non si curò bene delle località di cattura. Se lo fosse già stato li avrebbe catalogati con una attenzione particolare per la geografia. Anche i genetisti negli esami comparati fra DNA umano e di altri primati prendono per buona l'ipotesi tradizionale, e così pure fanno altre discipline.

E se davvero fosse stato come dice Filler? Non è che mi sono "convertito". Però i dati che ha esposto uno spunto di riflessione lo meritano.

Solitamente al giorno d'oggi le idee “bizzarre” nascono da ufologi o in generale da persone che sono fuori dalla scienza ufficiale e quindi, sinceramente, quando mi imbatto in questi personaggi cambio sito. Ma se parla uno scienziato dotato pure di Ph.D a Harvard... beh, allora calma e sangue freddo e vediamo che dice.

martedì 18 dicembre 2007

geofisici come avvoltoi appollaiati su una faglia che dovrebbe muoversi (e in California toccano ferro)



Charles Richter, ideatore della scala che prima si chiamava Richter, ora semplicemente detta la Magnitudo, nel suo classico e fondamentale libro “Elementary Seismology” aveva dedicato un capitolo intero ai terremoti della California, per cui chiunque all'epoca studiasse Fisica Terrestre usciva dall'esame che conosceva questo Stato come adesso non si riesce usando GoogleEarth...

Non stupisce che la California sia la patria della ricerca sismica: in molti campi della scienza gli USA sono avanti alle altre nazioni (anche grazie ai cervelli che noi formiamo e poi se ne vanno, ma questa è un'altra storia). La California, in più, è una vera palestra naturale per questa disciplina: la maggior parte delle faglie (e ce n'è una quantità industriale) è attiva e splendidamente riconoscibile da foto aerea o semplicemente da terra.

La situazione italiana è molto diversa: l'individuazione delle faglie attive è molto difficile anche perchè la maggior parte non arriva in superficie. Qualcuna è stata trovata e studiata, ma per esempio la grande faglia del terremoto del 1908 a Messina la stiamo ancora cercando, sepolta chissà dove dai sedimenti sotto il mare Jonio.

Il fatto che le faglie affiorano in superficie è quindi molto comodo per la ricerca geofisica: è facile controllare movimenti asismici e piccoli sismi indici di movimenti improvvisi, variazioni di inclinazione, deformazioni, portata delle sorgenti ed altre varie amenità delgenere. Però è dannatamente scomodo per la popolazione e le costruzioni: ad esempio la settimana scorsa ci sono stati, completamente ignorati dai media, un terremoto di proporzioni gigantesche alle Isole Fiji e uno di discreta potenza in Cile. Ma erano molto profondi e quindi il primo non ha neanche provocato un allarme tsunami, il secondo ha avuto effetti tutto sommato deboli. Terremoti di potenza comparabile, ma alle profondità tipiche degli ipocentri californiani, avrebbero avuto drammatiche conseguenze

La ricerca sta facendo dei buoni progressi, ma è ancora impossibile prevedere quando ci sarà un terremoto. Si può però dare un valore di probabilità che un dato evento avvenga in un certo tempo. Facendo una similitudine con l'atmosfera terrestre, la climatologia ci dice più o meno per una zona quali saranno le temperature in un determinato periodo, qual'è la stagione in cui piove di più ed altre caratteristiche climatiche. La meteorologia invece cerca di sapere che tempo farà domani.

In geofisica siamo ancora alla climatologia.

Il criterio fondamentale è la ripetitività degli eventi sismici: si è visto che una faglia tende a scatenare terremoti simili a intervalli piuttosto regolari. Ci sono diverse possibilità di sapere come e quando una faglia si è mossa provocando un terremoto: l'esame dei sedimenti e di altre caratteristiche morfologiche quali frane, deviazioni di fiumi e torrenti, età degli alberi, e, per quanto riguarda markers umani, archivi storici, crolli di edifici, abbandoni di siti o declino di civiltà. Le faglie che affiorano in superficie possono essere studiate attentamente scavando trincee parallele o perpendicolari al piano di faglia. Questo metodo, nato in California, comincia ad essere usato anche in Italia, ovviamente dove le faglie arrivano in superficie o provocano alterazioni topografiche.

In California c'è la “madre di tutte le faglie”, la Faglia di San Andreas, quella più conosciuta dal grande pubblico. Ma oltre a questa ce ne sono nella zona di San Francisco almeno altre 5 capaci di fare grossi danni. Quella che sta creando le più forti preoccupazioni è la faglia di Hayward.

Questa struttura corre parallelamente alla costa un po' all'interno rispetto alla San Andreas, e attraversa centri importanti come Hayward e Berkeley. Esaminando le trincee, è stato notato che la periodicità degli eventi è di circa 170 anni, ma negli ultimi 5 terremoti l'intervallo è calato a 140 anni. L'ultima volta che si è mossa è stato nel 1868, quando si mosse di quasi due metri in un segmento lungo oltre 50 kilometri. Questo terremoto provocò grossi danni e fu chiamato “il grande terremoto di San Francisco”. Il titolo gli fu tolto dal tragico terremoto del 1906 lungo la Faglia di San Andreas (che, nell'occasione, si mosse di ben 6 metri).

Facendo il conto, dal 1868 sono giusto passati quasi 140 anni e questo fa pensare che ci siano 80 probabilità su 100 che il terremoto si scateni entro i prossimi 30 anni.

La faglia di Hayward mostra evidenti segni di attività: c'è un continuo sottofondo sismico, ma soprattutto c'è un notevole scorrimento asismico, testimoniato dall'asfalto deformato e dai marciapiedi rotti nelle strade che attraversano la faglia e da edifici posti sulla sua linea che sono stati abbandonati, come il vecchio municipio di Hayward o mostrano danni anche ingenti. Fra questi annoveriamo persino lo stadio di Berkeley (certo, qualche dubbio sulla legislazione californiana in materia di costruzioni antisismiche viene per forza...). C'e una bellissima serie di fotografie disponibili in rete, nell'”Hayward Fault Virtual Tour”: http://www.mcs.csuhayward.edu/~shirschf/tour-1.html

La zona di faglia è attentamente studiata in tutte le sue sfumature e questi studi potranno essere le linee – guida per il futuro anche in altre situazioni: la speranza è quella di vedere finalmente cosa succede immediatamente prima di un terremoto che, secondo le attese degli scienziati (ma non secondo le speranze della numerosa popolazione che vive lungo la faglia...) dovrebbe avere una magnitudo di circa 7 e corrispondere, almeno localmente, a una intensità del X grado della scala Mercalli.

So che può sembrare non bello stare appollaiati come avvoltoi su una faglia sperando che si muova disastrosamente per capire quello che succede e confermare che l'avevamo detta giusta... Ma sta avvenendo proprio questo. Comunque, per eventuali superstiziosi che leggono, non è questione di portare sfiga, ma di tettonica a placche....

venerdì 14 dicembre 2007

Non bastava il riscaldamento globale: nuovi guai incombono sulla calotta della Groenlandia (e potrebbero colpire anche in Antartide)

Nella attuale situazione di cambiamenti climatici la calotta polare della Groenlandia è uno degli osservati speciali. La sua estensione e soprattutto la zona di scioglimento estivo stanno aumentando, contribuendo all'allarmismo generale (ahimè, mi dispiace dirlo, sostanzialmente fondato).

Ora ci sono un paio di notizie che non ridimensionano certo questo allarme, ma che potrebbero giustificare l'eccessivo tasso di scioglimento della calotta groenlandese quest'anno. Purtroppo la seconda è molto preoccupante... L'estate 2007 passerà alla storia come quella dell'apertura del “passaggio a nord-ovest”: per la prima volta da quando gli europei hanno conosciuto il Nordamerica una striscia di mare libero dai ghiacci ha collegato la Groenlandia all'Alaska. Sembra che la causa del fenomeno sia la scarsa copertura nuvolosa di questa estate, che ha permesso un riscaldamento solare eccessivo. Il che, se fosse avvenuto in un periodo di ghiacci normali, non sarebbe stato un problema. Ma il ghiaccio assottigliato dal riscaldamento globale è più sensibile, e quindi la maggior insolazione ha sortito effetti devastanti. In pratica, mi si perdoni l'umorismo, ha “piovuto sul bagnato”.

Logicamente anche la calotta glaciale groenlandese non è stata esente dal problema

La seconda notizia lì per lì appare sconcertante: è stata trovata una anomalia termica all'estremità nordorientale dell'isola. Si può spiegare solo con una massa magmatica risalita nella crosta che trasferisce calore alla base della calotta. Non si sa ancora se si tratta di magma intruso all'interno della crosta o l'indizio del risveglio di un vulcano sepolto dal ghiaccio. Le mie conoscenze geologiche della zona sono scarsine. Ci sono vulcani vicini nell'oceano Atlantico (Islanda, Jan Majen, Svalbard) e una dorsale oceanica. Nell'oceano polare artico sono stati scoperti dei vulcani lungo la dorsale oceanica nel 1999 (siamo comunque a distanze superiori ai 100 kilometri dal luogo dell'anomalia termica). A senso dovrebbe trattarsi di un magma basaltico di origine molto profonda.

Alla comparsa dell'anomalia il ghiaccio in zona ha incominciato a scorrere ed è un po' difficile che sia una combinazione: un vulcano non si caratterizza solo con l'emissione di lave e ceneri. Attività come quella fumarolica possono proseguire durante le fasi di quiescenza tra un'eruzione ed un'altra o anticiparne una. La convivenza fra vulcani e ghiaccio è molto pericolosa, come ci insegna la tragedia di Armero, quando nel 1985 l'eruzione del Nevado del Ruiz sciolse un ghiacciaio la cui acqua travolse la cittadina, oppure l'eruzione del Grímsvötn in Islanda, che per lo stesso motivo provocò un'alluvione di proporzioni enormi nel 1996.

I guai in Groenlandia potrebbero venire da un riscaldamento eccessivo: già una serie di fumarole porebbe sciogliere la base della calotta locale, facendola scorrere verso il mare, figuratevi cosa potrebbe succedere in caso di una eruzione...

Lo stesso fenomeno potrebbe accadere prima o poi in Antartide, dove tutta la costa tra la Penisola Antartica ed il mare di Ross pullula letteralmente di vulcani.

E' quindi importante per una modellizzazione della calotta groenlandese misurare il flusso di calore dall'interno della terra e questa è una variabile a cui sinceramente la scienza non aveva pensato. In più occorre capire se sepolti sotto il ghiaccio ci siano altri edifici vulcanici. Fino ad oggi si sapeva che le grandi eruzioni vulcaniche hanno provocato dei grossi problemi a livello climatico. Ma in questa visione anche eruzioni minori possono davvero provocare grosse alterazioni climatiche.

la vita su Marte: notizie clamorose e conclusioni affrettate

In questi giorni l'idea che su Marte ci sia stata vita è tornata alla ribalta grazie a due notizie, una proveniente da Marte che ha fatto molto rumore e una proveniente dagli Stati Uniti che è passata quasi sotto silenzio. ad una sua scoperta. Torniamo quindi a parlare di Spirit (a proposito: hanno individuato il punto che dovrebbe consentire all'eroico rover di riprendere corrente con le sue batterie solari nel freddo inverno marziano), che con il gemello Opportunity sta esplorando da oltre tre anni la superficie marziana. Opportunity ha potuto esplorare delle rocce stratificate la cui interpretazione è un passaggio da un clima più umido ad uno più secco, denotato dalla presenza di un alto tenore di solfati (quasi come una salina terrestre).

Ma lo scoop del momento è di Spirit: quasi un anno fa ha scoperto un sito dove c'è silice quasi allo stato puro. C'è ancora discussione su come questo deposito si è formato: è un accumulo di silice rimossa da una roccia vulcanica ad opera di una sorgente calda, oppure l'attività di una fumarola che ha rimosso dalla roccia tutto il resto dei minerali, lasciando solo la silice? Il chimismo ci dice che se si fosse sulla Terra sarebbe valida la seconda ipotesi, quella della fumarola. Ma siamo su Marte, e anche se il team di esperti continua a preferirla anche per il Pianeta Rosso, c'è ancora dibattito.

Comunque, che sia valida la prima o la seconda ipotesi, in entrambi i casi sulla terra attorno a un deposito del genere, quando il vulcanismo è attivo, ci sono colonie di batteri in quantità industriale (ed è probabile che la vita sulla terra sia realmente nata attorno a fenomeni simili). Per cui si sono scatenate le voci, amplificate dai mass-media, che su Marte siano state trovate zone adatte alla vita.

Calma, la cosa non è proprio scontata.

Se Marte ha avuto condizioni umide, almeno nel suo lontano passato, non è detto che la vita si sia sviluppata per forza. Innanzitutto le fumarole e le sorgenti calde che sulla terra hanno consentito la nascita della vita erano nelll'acqua, in fondo a vecchi oceani di cui si sono perse le tracce, e su Marte non si sa ancora realmente quanta acqua c'era, per quanto tempo c'è stata e qual'era la composizione dell'atmosfera.

Sicuramente l'atmosfera era diversa da quella attuale e soprattutto doveva esserci una pressione molto superiore a quella attuale: attualmente l'acqua liquida non può esistere, o è ghiaccio o è vapore.

Ma c'è un'altra notizia interessante che il clamore della prima ha fatto passare sotto silenzio. Ricordate il meteorite marziano Allan Hills 84001? Questo meteorite trovato in Antartide fu al centro di un dibattito perchè alcuni ricercatori vi avevano individuato delle strutture che potevano sembrare batteri e quindi avrebbero costituito una testimonianza diretta della presenza di vita su Marte. La scoperta attuale è che contiene davvero composti organici di base, una specie di mattoni per costruire la vita. Secondo Andrew Steele, autore principale di questo studio effettuato dalla Carnegie Institution's Geophisical Laboratory, questo materiale è strettamente associato alla magnetite, che avrebbe agito come catalizzatore, formando composti organici a partire da CO2 e H2O, contenute in un fluido magmatico. E' molto interessante notare che come rocce eruttate sull'isola di Svalbard, nell'Artico norvegese, un milione di anni fa presentano le stesse caratteristiche. Questo potrebbe essere un colpo di scena nelle ricerche sull'origine della vita, che hanno sempre privilegiato i composti esistenti nell'atmosfera primitiva della terra piuttosto che quelli del suolo.

La dimostrazione che i primi mattoni della vita si possano formare in maniera molto semplice, anche in condizioni piuttosto fredde, è molto importante per le possibilità teoriche di sviluppo della vita anche al di fuori del sistema solare.

Resta ben inteso che tutte queste osservazioni non significano che su Marte ci sia o ci sia stata la vita, ma che ci sarebbero state almeno alcune condizioni necessarie per permetterlo.


sabato 8 dicembre 2007

Spirit in lotta per sopravvivere con l'inverno marziano che avanza

E' proprio così: il vecchio rover della NASA, che assieme al gemello Opportunity, sta esplorando la superficie marziana da più di tre anni terrestri (precisamente dal luglio 2004) sta lottando duramente per sopravvivere. I due Rover erano già stati dati per spacciati un paio di mesi fa: se il vento sulla superficie marziana è stato prezioso, perchè ha ripulito gli specchi delle batterie solari permettendole di continuare ad alimentare i veicoli, quando è troppo la cosa diventa rischiosa: qualche mese fa una tempesta di polvere aveva interessato tutto il Pianeta Rosso e il cielo polveroso, non facendo filtrare la luce solare necessaria per ricaricare le batterie solari, li aveva messo in crisi entrambi. Ma Spirit e Opportunity ce l'hanno fatta ancora una volta, testoni e risoluti come sempre.

Possiamo comunque essere molto soddisfatti: la durata della missione sta andando ben oltre le più ottimistiche previsioni e i risultati spettacolari delle loro osservazioni stanno influenzando pesantemente i nuovi progetti di esplorazione marziana. Ma il giorno che la NASA sarà costretta a dire “basta” sarà lo stesso un giorno molto triste: sono molto affezionato ai due Rover e li sto seguendo con estremo interesse.

Adesso la situazione per Spirit è molto difficile: dopo aver esplorato il Cratere Gusev, aver scalato e disceso la collina Husband come un avventuroso appassionato di trekking, sta cercando un posto per orientare le batterie verso il debole sole dell'inverno marziano di Home Plane per riuscire a sopravvivere. Purtroppo il cammino verso la luce è rallentato dal terreno sabbioso. Forza Spirit, siamo tutti con te!!!!!


venerdì 7 dicembre 2007

Uomo primitivo e ambiente: due realtà in aperto conflitto (con sconfitta dell'ambiente)

Nelle isole Bahamas sono stati recentemente rinvenuti i resti fossili di una fauna che lì abitava fino a poco più di 1000 anni fa: tartarughe, uccelli, coccodrilli terrestri (sembra strano, ma il coccodrillo caraibico è l'unico adattatosi a vivere fuori dall'acqua...). Come mai questa fauna è scomparsa? Ovviamente per colpa della colonizzazione umana. E' una storia che si ripete da qualche decina di migliaia di anni. Di recente l'uomo ha cominciato a modificare l'ambiente immettendovi in quantità massiccia composti chimici vecchi (come l’anidride carbonica) e nuovi, mentre l’aumento della popolazione e la crescente urbanizzazione stanno modificando pesantemente l’uso del territorio. La coscienza ecologica che si sta formando è molto importante, ma è profondamente sbagliato pensare che soltanto l'uomo moderno abbia distrutto o almeno degradato l'ambiente: i nostri progenitori si sono distinti in queste azioni fin dalla preistoria più remota, da quando hanno cominciato ad usare armi per la caccia..

Dovunque alla comparsa della prima rudimentale tecnologia, o, in tempi più recenti, alla comparsa in una nuova area della specie umana ha corrisposto l'estinzione di molte specie animali. Vediamo la differenza fra Europa e Nordamerica continentale. In Europa sono praticamente scomparsi tutti i carnivori, anche di taglia medio - piccola e non ci sono più erbivori di grossa taglia. Eppure l’Europa aveva una fauna molto ricca in un passato non molto recente: non lo dicono soltanto i fossili ma anche le centinaia di pitture rupestri (più di 150 grotte nella sola Francia!) dove sono riprodotti mammuth, rinoceronti, uri, renne, leoni, leopardi, iene, pinguini, foche e via discorrendo, in perfetto accordo con i dati paleontologici. Queste testimonianze sono estremamente utili, perchè in un certo modo fotografano delle specie animali che non ci sono più.

In Nordamerica fino a 100 anni fa la popolazione era scarsa e composta soprattutto da cacciatori – raccoglitori più che da agricoltori. Qui molte specie erano riusciti a sopravvivere, pur contando numerose perdite, soprattutto fra gli animali di grossa taglia come elefanti e tigri dai denti a sciabola. Però sono rimasti bisonti, puma, caribù, alci etc etc.

Anche in sudamerica la comparsa dell’uomo ha provocato la fine di numerose creature, dai bradipi giganti ai gliptodonti, armadilli di imponenti dimensioni. Stesso problema in Australia 40.000 anni fa, mentre in Nuova Zelanda l'arrivo dei Maori ha provocato l'estinzione di Moa, enormi uccelli non volatori endemici dell'arcipelago.

Pinnipedi (foche, otarie etc), e pinguini, animali adattati alla vita marina ma costretti a venire sulla terraferma, sono stati in gran parte sterminati: la loro andatura molto goffa ne rende la cattura facile anche per uomini dotati di tecnologie molto semplici. Noi li associamo quasi sempre ad ambienti polari, ma nel passato non era così. Di fatto le coste europee, mediterranee ed atlantiche, sono le meno ricche di pinnipedi in senso assoluto. Per quanto concerne i pinguini europei, sono sopravvissuti nell'estremo nord fino al loro sterminio nel XVII secolo. Sopravvivono soltanto quelli che nidificano in zone inabitabili come l’Antartide o scarsamente popolate come Australia e Patagonia.

Ma perchè l’uomo li ha distrutti? Gli erbivori di grossa taglia come elefanti, rinoceronti ed ippopotami non hanno grossi nemici naturali perchè la loro massa scoraggia i predatori. Nello stesso tempo per non distruggere le risorse a loro disposizione l’evoluzione li ha dotati di una bassa natalità. Quindi hanno potuto sopravvivere incontrastati fino a quando un nuovo nemico ha cominciato a cacciarli (erano un buon bersaglio perchè fornivano una bella riserva di carne) usando l’intelligenza e un minimo di tecnologia. A questo punto il loro basso tasso di riproduzione li ha condannati, non essendo stati in grado di compensare le perdite con nuovi nati.

Quello che non fecero i cacciatori raccoglitori fecero poi gli agricoltori, che sottrassero anche ad animali più piccoli spazio vttale, mente l’allevamento del bestiame ha segnato la fine dei grossi bovini come gli Uri. Diverso è il discorso sui carnivori, che con l’uomo, in aggiunta ai precedenti, hanno due conflitti di interesse in più: (1) l’uomo ne era preda potenziale e (2) predavano animali che lo interessano per la caccia o che allevava. Quindi la loro distruzione è avvenuta non per motivi di predazione ma per una “guerra”.

Di fatto è possibile che molti animali mitologici quali l'uccello del tuono nordamericano e i dragoni cinesi non siano altro che il ricordo di nemici ancestrali del genere umano. Sto studiando la cosa e non è detto che non esca presto un post al riguardo.

Una terza motivazione per l’estinzione di tante specie in epoca più recente ma sempre pre-industriale è stata la modificazione dell’ambiente: quasi tutte le zone umide, paludi o lagune, sono state bonificate. Se da un lato sono ambienti malsani per l'uomo a causa della malaria, dall’altro rappresentano quanto di più produttivo esista in senso biologico: la quantità di specie animali e vegetali che le popolano o che vi transitano è enorme. Le uniche lagune che ancora esistono in Italia sono quella di Orbetello e quella Veneta. Quest'ultima non è scomparsa solo perchè i veneziani la vollero mantenere per motivi strategici (difesa dai nemici trerrestri). Nel passato invece tutte le coste basse (anche molto strette come la Versiia) avevano le lagune e tutte le pianure paludi.

La pratica dell'agricoltura ha provocato altri danni collaterali: le coltivazioni non sono in grado di trattenere l'humus come invece fanno foreste e macchia mediterranea. Pertanto il disboscamento totale delle coste per favorire l'agricoltura ha causato (e continua a causare) la desertificazione di intere regioni. Pensare che la Libia era il granaio dell'impero romano!

Chiaramente la scomparsa di un ecosistema costringe alla scomparsa anche le sue specie animali e vegetali caratteristiche.

Il disboscamento di massa è tuttora praticato in molte parti del mondo ed è stato ipotizzato anche come causa della scomparsa di civiltà del passato in zone attualmente desertiche, come la civiltà sahariana e quella degli anasazi degli Stati Uniti sudoccidentali. Forse si esagera, ma resta il fatto che regioni un tempo fertili e ricche di vita sono diventate deserte dopo aver ospitato delle civiltà. Bisognerebbe imparare questa lezione prima possibile.

martedì 4 dicembre 2007

Un dente di ominide ritrovato in Bulgaria: un fatto sorprendente (ma solo per chi non conosce l'antropologia)

Riporto la notizia più o meno come l'ho letta, navigando su internet (più o meno come voi avete fatto per leggere questa pagina), solleticato a proposito da un altro forumista di www.paleofox.com: un team di ricerca del Museo Bulgaro di Storia Naturale ha scoperto nel paese balcanico un dente di ominide del tardo Miocene (Tureoliano - circa 7 milioni di anni fa). L'età è stata dedotta dalla ricca fauna di mammiferi presente nel sito. Il reperto è stato studiato da un'autorità nel campo della paleoantropologia, il francese prof. Dennis Geraads.

Annoto anche che la notizia è rimbalzata su siti dedicati ai misteri, agli UFO e compagnia bella, come se fosse una cosa stupefacente....

Oddio, proprio stupefacente non è.

I Primati (a cui appartengono uomo, scimmie antropomorfe, e le altre scimmie) sono un ordine di mammiferi confinato a regioni calde. L'uomo è un'eccezione ma il suo stanziarsi in altre regioni è stato legato sempre alla presenza di una tecnologia, sia pure minima (fuoco, pelli di animali) per difendersi dal freddo: senza vestiti addosso non potremmo certo sopravvivere agli inverni europei.

Attualmente solo la fascia equatoriale risponde a queste caratteristiche, ma non era così nel Miocene e nel Pliocene, periodi molto più caldi: gli ominidi convivevano in Europa con gli antenati degli odierni macachi (diffusi al nord fino all'Olanda!), cercopitechi ed altri primati. Per notizie più dettagliate si veda il lavoro di Jussi T. Eronen e Lorenzo Rook (mio compagno di corso all'università, con cui ho simpaticamente condiviso anche una settimana di “campo” di Geologia Strutturale sulle Alpi Apuane): http://www.helsinki.fi/science/now/pdf/Eronen_Rook_2004_JHE.pdf

Val la pena di fare una precisazione terminologica, perchè non tutti hanno chiare le differenze terminologiche fra ominini, ominidi, ominoidi.

Andando a ritroso nel tempo, gli “Ominini” comprendono l'umanità attuale e tutti gli antenati fino alla separazione tra uomo e scimpanzè, gli “Ominidi” comprendono anche gli antenati del gorilla e, finalmente, il termine “Ominoidi” si applica a tutte le scimmie antropomorfe.

E' sicuro che l'origine dei Primati sia stata l'Europa: i placentati si dividono in Laurasiateri, Afroteri e Xenarti a seconda della loro origine (Eurasia – Nordamerica i primi, Africa i secondi, Sudamerica i terzi). I Primati sono Laurasiateri, ma come altri gruppi di Laurasiateri, come carnivori e ungulati, migrarono in Africa appena ne ebbero la possibilità.

I Primati sicuramente scomparvero dall'Eurasia durante il raffreddamento del medio terziario. Così tra 35 e 20 milioni di anni fa (Oligocene) troviamo fossili di primati solo in Africa. Attualmente si ritiene che la divergenza fra ominoidi e le altre scimmie del vecchio mondo sia avvenuta intorno a 25 milioni di anni fa. Poi succede qualcosa: esistono sempre degli ominoidi in Africa, ma non hanno lasciato discendenti (Proconsul, Afropithecus, Kenyapithecus), e a giudicare dai fossili rinvenuti sembra che il ramo che ha portato alle antropomorfe attuali sia migrato di nuovo in Eurasia, dove si è sviluppato fino a poco più di 7 milioni di anni fa. In seguito gli Ominidi sono tornati in Africa, appena in tempo per evitare i guai del raffreddamento globale della fine del Pliocene, che ha coinciso con la fine della presenza dei Primati in Europa.

Niente di strano, quindi, che in Bulgaria siano state rinvenute tracce della presenza di ominidi 7 milioni di anni fa.

Quello che fa imbestialire è che una scoperta del genere susciti “emozione” da parte di personaggi come ufologi, stravaganti coltivatori di scienze alternative e simili (la notizia è persino evidenziata in un sito di negazionisti dell'11 settembre...), come se fosse un'assurdità rispetto alla Scienza “ufficiale”.

Un altro particolare divertente è che l'articolo dell'agenzia di stampa bulgara “Novinite” finisca orgogliosamente con il concetto che “questo ritrovamento porta un contributo all'idea che i diretti prededessori degli ominidi si siano originati nell'Europa Sudorientale e non in Africa”. Come sempre il nazionalismo trionfa. Prendiamo un esempio pseudoscientifico, Atlantide: tutti, da americani a russi, elaborano teorie in base alle quali atlantide è a casa loro. Purtroppo questo succede per molte discussoni scientifiche, non solo per le leggende.