venerdì 29 marzo 2013

Il carburante della Tettonica delle Placche: 1 - il "canale a bassa velocità"

Le mutazioni genetiche sono il carburante con cui funziona la selezione naturale, che è il motore dell'evoluzione; ancora non è ben chiaro invece quale siano il motore ed il carburante con cui funziona la macchina della Tettonica delle Placche, che per le Scienze della Terra ha lo stesso ruolo dell'evoluzione per le Scienze della Vita: è la teoria unificante, il quadro generale della materia da cui non puoi prescindere, la macchina che provoca i fenomeni geologici. Sul motore della Tettonica delle Placche sono aperte tante ipotesi ma solo oggi il mondo scientifico sta facendo luce al riguardo. In questo post oltre agli aspetti generali presenterò le ultime scoperte sul "canale a bassa velocità" che separa litosfera ed astenosfera. In un prossimo post parlerò delle possibili connessioni fra il mantello profondo e le catene montuose. In un terzo post parlerò del perchè il Gondwana ha aspettato centinaia di milioni di anni a fratturarsi per poi farlo praticamente simultaneamente in diversi punti.


SCIENZE DELLA VITA: EVOLUZIONE, SELEZIONE NATURALE 
E MUTAZIONI GENETICHE 

Si può considerare l'evoluzione un po' come la "teoria unificante" delle Scienze della Vita. Ovviamente devo precisare, non solo a uso e consumo degli antievoluzionisti, ma anche di chi non se ne è ancora reso conto, che il termine “teorianasconde delle "sottigliezze": nel caso in questioneteoria” non vuole dire “mera ipotesi” ma “vasto corpus di osservazioni multidisciplinari che rinviano tutte ad un quadro coerente di unione. Un quadro del genere potrebbe essere demolito in base alla scoperta di una sola osservazione non coerente, tipo il famoso “coniglio (o qualsiasi altro vertebrato terrestre) nei sedimenti del precambriano di J.B.S. Haldane. Per adesso ancora non ci sono osservazioni che la smentiscono, con buona pace di De Mattei e compagnia. L'evoluzione fornisce alle Scienze della Vita (non solo biologia, anche zoologia, botanica, embriologia etc etc) un ottimo quadro di riferimento in cui vengono spiegati tutti i fenomeni, dalla nascita di un nuovo essere vivente alla classificazione tassonomica. Ipotizzata nel XVIII secolo, quella che poi venne chiamata “evoluzione” (in origine c'era un termine molto più piatto ma meno deterministico: "transmutazione") ha avuto alterne fortune fino a quando Darwin e Wallace ne scoprirono indipendentemente il motore, la “selezione naturale”. Fu proprio la scoperta di un meccanismo credibile che fece pendere le Scienze dela Vita per l'evoluzione.

Poi, per capire quale fosse il carburante che muoveva quel motore c'è voluto un bel po' di tempo: le mutazioni del DNA (oggi la cosa è un po' più complessa ma il principio va bene lo stesso).


 SCIENZE DELLA TERRA: TETTONICA DELLE PLACCHE E.... ?

Nelle Scienze della Terra siamo un po' indietro rispetto a quelle della Vita. La "Tettonica delle Placche" è sicuramente la "teoria unificante" dei fenomeni geologici: vulcanismo, terremoti, movimenti tettonici, ambienti di sedimentazione, metamorfismo e quant'altro hanno la possibilità di essere tutti inquadrati in una visione in cui la parte superiore del pianeta è formata da un certo numero di blocchi perennemente in movimento e spesso in “conflitto” fra loro. 

Diciamo che l'Evoluzione sta alle Scienze della Vita come la Tettonica a Placche sta alle Scienze della Terra. Ma proseguendo c'è un problema: cos'è che sta alle Scienze della Terra come la selezione naturale e le mutazioni genetiche stanno alle Scienze della Vita?
In altre parole: la macchina delle Scienze della Terra è la Tettonica delle Placche. Ma qual'è il suo motore e quale il carburante che lo fa funzionare?

Già negli anni '30 del XX secolo Arthur Holmes, uno dei pochi scienziati dell'emisfero Settentrionale a considerare valide le idee di Wegener, aveva ipotizzato le correnti convettive del mantello, raffigurate qui accanto (per una panoramica di come dalla deriva dei continenti siamo arrivati alla tettonica delle placche qualche tempo fa ho scritto questo post). Ricordo che per il grande John Tuzo Wilson (negli anni '80 un vero mito per noi studenti) "il sistema alpino – himalayano e le montagne intorno al Pacifico sono indubbiamente dovute alla compressione lungo i fianchi discendenti delle celle di convezione del mantello".
Le correnti di convezione in parte sono ancora in voga ma non sono più un motore unico.

I MOVIMENTI DEL MANTELLO INFLUENZANO LE DINAMICHE 
DELLE ZONE DI SCONTRO FRA LE PLACCHE

È certo che ci siano dei movimenti nel Mantello differenti rispetto a quelli della crosta, altrimenti non ci sarebbero differenze così evidenti tra le zone di subduzione orientate verso Est e quelle orientate verso Ovest:

- le subduzioni verso ovest (vediamo la situazione delle Isole Marianne come l'ha raffigurata lo splendido Ole Nielsen) non formano grandi catene montuose e dietro all'arco magmatico si forma una zona a crosta oceanica (o molto simile alla crosta oceanica) ovviamente coperta dal mare: il bacino di retroarco (classico esempio le coste asiatiche del Pacifico)



- sopra le subduzioni orientate verso est si formano al contrario imponenti catene montuose ed il retroarco è solo una zona in distensione nella parte posteriore della catena (le Ande sono l'esempio più importante). Questa immagine è tratta da Volcano World

- non dimentichiamo che molte (ma non tutte) le zone di subduzione verso ovest presentano un “roll-back”, un forte arretramento verso Est dell'arco (Calabria, Sandwich del Sud e la parte settentrionale del complesso Tonga – Kermadec sono ottimi esempi di questo): è questo arretramento il principale indiziato per la formazione dei bacini marginali

Per spiegare la differenza fra le subduzioni a diversa orientazione, oggi si tende a pensare che ci sia un flusso del mantello astenosferico verso Est: le subduzioni verso Est  “seguono” questo flusso, mentre quelle verso ovest in qualche modo “si oppongono” al flusso e quindi tendono ad arretrare (da qui la formazione dei bacini di retroarco) e ad essere più inclinate.

LITOSFERA, ASTENOSFERA ED IL "CANALE A BASSA VELOCITÀ

La divisione fra la litosfera (che comprende la crosta e la parte più superiore del mantello) e l'astenosfera, il resto del mantello è invece un  punto fondamentale della tettonica delle placche e dell'espansione dei fondi oceanici; la presenza di un canale a bassa velocità delle onde sismiche che segnala questo limite è pure essa un concetto accettato universalmente.
È comunque dibattuta l'origine di questo livello: la maggior parte dei modelli propendono per una fascia in cui la roccia sia parzialmente fusa, ma altri spiegano l'abbassamento della velocità delle onde sismiche con la presenza di una zona completamente anidra.

Per quanto riguarda l'origine del canale a bassa velocità forse siamo ad una svolta: un team di scienziati USA (S.Naif, K. Key, S. Constable e R. L. Evans) ha pubblicato sul numero del 21 marzo della rivista Nature un lavoro fatto con rilevamenti magnetotellurici a largo del Nicaragua (il rilevamento magnetotellurico osserva le variazioni del campo elettromagnetico in un certo intervallo di tempo).
Vediamo cosa hanno trovato Naif e soci. In questa immagine vediamo una parte della crosta oceanica e la zona dove questa va in subduzione sotto l'America Centrale. In base a questi rilevamenti hanno visto che la litosfera (in blu) è molto più fredda dell'astenosfera sottostante (in giallo) e siccome si è formata in una zona di dorsale oceanica è anche significativamente scarsa di sostanze volatili (quali l'acqua per esempio); secondo loro questa massa fredda impedisce ai liquidi provenienti dal mantello più profondo di salire nella litosfera. I liquidi si ammassano quindi nella parte dell'astenosfera immediatamente sottostante la litosfera (sarebbe quella piccola striscia arancione perchè più calda, proprio per la presenza di questi liquidi), provocando sostanzialmente la formazione di uno strato meno viscoso perchè più caldo e contenente un pò di materiale liquido (entrambe le condizioni sono il motivo della bassa velocità delle onde sismiche in questa particolare zona); le caratteristiche del canale a bassa velocità permettono e promuovono uno scollamento fra litosfera ed astenosfera, che così si possono muovere relativamente fra di loro.

Sarebbe questo scollamento a disaccoppiare litosfera ed astenosfera e quindi a provocare i movimenti differenziali fra queste parti del globo terrestre.

Questo sarebbe un primo passo importante per capire i rapporti fra litosfera ed astenosfera. Ovviamente l'ipotesi deve essere controllata anche in altre aree del globo, ma è sicuramente un punto di partenza molto interessante. Facciamo però attenzione: il canale a bassa velocità non può essere altro che un ingranaggio mosso da un motore che sta più in basso!

In un prossimo post invece esaminerò come i movimenti e la struttura del mantello, anche (e soprattutto) della parte inferiore del Mantello, potrebbero influenzino la formazione, le rotture e le collisioni delle zolle litosferiche.
In altre parole: quale potrebbe essere il motore della Tettonica delle Placche.

martedì 26 marzo 2013

Nel Paese dei filosofi tuttologi la magistratura continua ad essere convinta che i terremoti sono prevedibili....


Al solito avrei altro da fare ma i fatti di cronaca mi spingono a scrivere qualcosa per cercare di ristabilire la verità scientifica in un Paese sempre più alla deriva economicamente, politicamente ed anche culturalmente. Oggi la Procura della Repubblica di Modena vuole capire se il terremoto dell'anno scorso era prevedibile. Scusatemi il francesismo toscanizzato: Ma che par di palle.......

Ecco... ci risiamo.... ancora una volta la magistratura indaga sulla prevedibilità dei terremoti, dopo l'Abruzzo stavolta in Emilia.
Questo è uscito oggi (Ringrazio il mio “referente emiliano” di cui presto uscirà un “pezzo” su Scienzeedintorni..)

Ecco la notizia, presa dal sito della Gazzetta di Modena:
La Procura della Repubblica estende le indagini dal fracking alla prevedibilità dei terremoti. Lo ha anticipato il procuratore aggiunto della Repubblica , dottoressa Lucia Musti, annunciando un fascicolo d’inchiesta nel quale confluiranno anzitutto dichiarazioni e filmati dell’ex presidente dell’Ingv Enzo Boschi. Boschi a Mirandola ad un convegno organizzato dal senatore Giovanardi a favore del deposito gas di Rivara è stato filmato mentre dichiarava che non c’era il rischio di terremoti di forza tale da far crollare le case nella Bassa. Le indagini della Procura erano finora incentrate sui decessi conseguenti alle scosse del 29 maggio 2012, sui danni delle scosse del 20 maggio e per l’appunto sul fracking, la frantumazione nel sottosuolo delle rocce per ricavare idrocarburi.

Premetto che i depositi di stoccaggio dei gas non mi sono mai piaciuti e non li avrei mai fatti, specialmente in una zona in cui c'è una certa pericolosità sismica (e questo è noto da almeno 10 anni a livello ufficiale, nel mondo della geologia si immaginava da parecchio tempo), Giovanardi permettendo (ma è stato rieletto?). 
Non voglio fare politica, ma insomma... limitandomi alle sue affermazioni in campo scientifico (le uniche che possono essere un oggetto di discussione valido per questo blog), tutto quello che sostiene quella persona non mi trova d'accordo..
Consiglio ancora una volta la lettura di questo post del Prof.Mucciarelli, con link a sue presentazioni.

Però non se ne può più.... ancora con queste storie.... fracking e prevedibilità dei terremoti...

Ennesima dimostrazione di quanto la classe dirigente italiana sia priva di conoscenze scientifiche...
cioè... anziché indagare sulle motivazioni antropiche del dissesto del territorio, sugli argini lasciati a se stessi, su versanti devastati e disastrati, piani regolatori folli che hanno cementato e impermeabilizzato il suolo, su idioti che costruiscono su versanti in frana, su cosa si indaga?
Ma è ovvio, sul fracking senza permesso e sulla prevedibilità dei terremoti...
Non se ne può più.

Voglio tornare un'altra volta su questi argomenti.
Sulla prevedibiltà dei terremoti sarò brevissimo: siamo alle solite, trovatemi un'altra Nazione in cui si fanno processi di questo tipo.....

Fracking: il discorso è un po' più complesso. Ricordo che per fare fracking occorrono “Gas Shales” o “Oil Shales”, che sono rocce tanto estremamente dure quanto poco fratturate. Rimando comunque ad un post in cui ho descritto (e ampiamente stroncato) questa attività. Ne ho parlato anche in incontri all'Università.
Quindi non posso essere certo considerato un filo-fracking, tutt'altro! Però ricordo anche che in Italia non abbiamo rocce che possano essere coltivate con il fracking.

Qualche tempo fa ho scritto un post sul petrolio in Italia e ribadisco, molto schematicamente, la situazione della Pianura Padana, la cui serie è formata da:


1. BASAMENTO ERCINICO PALEOZOICO (in bianco): rocce metamorfiche nelle quali non ci può essere petrolio
2. SERIE TRASGRESSIVA TRIASSICA (in viola): è quella in cui si sono formati i giacimenti di idrocarburi. Si tratta di depositi costieri e di mare basso in cui ci sono arenarie, calcari, dolomie e scisti scuri (questi ultimi rappresentano le cosiddette “rocce – madri” del petrolio padano). La si ritrova oggi in affioramento solo nel Canton Ticino
3. SERIE CARBONATICA MESOZOICA E TERZIARIA INFERIORE (in azzurro e verde): l'approfondimento del bacino e la collocazione in area tropicale e subtropicale, unita alla mancanza di apporti sedimentari dai continenti, ha consentito la formazione di una spessa serie di calcari sul bordo della placca adriatica. In questi calcari ci sono (meglio, c'erano...) dei giacimenti petroliferi in quanto il liquido era risalito
4. SERIE APPENNINICA DETRITICA OROGENICA (in marrone): quando l'area è rimasta coinvolta nella formazione di Alpi e Appennini è cambiata la sedimentazione perchè sono arrivati sedimenti provenienti dai continenti. Si formano quindi scisti (ahia???) e arenarie
5. SERIE RECENTE DELLA PIANURA PADANA (in giallo e la parte chiara in alto): per un certo periodo (che in appennino dura ancora) una buona parte della zona è emersa e dalla sedimentazione siamo passati all'erosione. Nella pianura Padana in seguito sopra i depositi marini di cui sopra si sono formati (e senza l'intervento umano si formerebbero ancora) depositi fluviali, lacustri e di paludi (sabbie, argille, ghiaie etc etc). Alcuni idrocarburi, per lo più gassosi, si sono formati in questi sedimenti, spesso ancora non consolidati completamente (e nei quali posso dire eufemisticamente che mi sfuggono le condizioni che determinerebbero la possibilità di farci il fracking)

Abbiamo quindi visto che anche in Pianura Padana ci sono degli scisti (o argilliti) ma i nostri condividono con i “Gas Shales” solo il fatto che derivano dalla sedimentazione di materiali molto fini, cioè le argille: i Gas Shales sono argilliti durissime, che per rompere occorre martellare molto, ma molto forte e siccome hanno subìto pochissimi eventi tettonici da quando si sono formati (e la maggior parte,,pensate, sono più antichi del basamento ercinico della pianura padana...) non sono neanche minimamente fratturati.
Gli scisti appenninici sono invece delle argilliti poco consolidate, fratturate, fagliate e spesso talmente piegate da risultare caotici. Cioè non hanno nulla a che fare con gli scisti di cui sopra. E, a proposito di martellate, spesso si frantumano da soli... Grande differenza: mentre martellare i gas-shales (per esempio le aree del Marcellus shale che affiorano in Pennsylvania) produce un bel rumore metallico (bink-bink), spesso se provi a martellare gli scisti appenninici senti quasi uno "splash"... capito la differenza?

È evidente che se, per fortuna, non ci sono rocce adatte per fare fracking, nessuno si sognerà mai di usare questa tecnica per coltivare giacimenti di idrocarburi: lavorare così sarebbe più costoso e non avrebbe come risultato un maggiore quantitativo di idrocarburi.
Tantomeno verrebbe usato, in rocce porose di suo, per prepararsi allo stoccaggio di gas.
É possibile che durante le perforazioni vengano usati degli additivi chimici (che a me non piacciono affatto...) ma questo con il fracking non ha nulla a che vedere.
A proposito, per fare fracking occorrono delle attrezzature e delle vasche per i liquidi da immettere nel sottosuolo e da smaltire, per cui è impossibile farlo alla luce del sole senza che nessuno se ne accorga, come questi qui sotto:

Mi spiegate come avrebbero potuto nasconderle?????

Aggiungo inoltre che non è il fracking a "fare" i terremoti, ma l'altra imbecille usanza americana di stoccare liquidi inquinanti iniettandoli in profondità, cosa che oltre per reflui industriali di vario tipo viene fatta anche per i liquidi usati per il fracking.
Quindi non solo il fracking in Emilia non è stato fatto, ma neanche è la causa della sismicità indotta che in USA è stata notata in alcune zone dove viene praticato il fracking. 

Già la giustizia italiana è lenta, ma perdere tempo per cose del genere è assolutamente folle. Ma purtroppo nel Paese dei filosofi tuttologi, tutto questo è possibile
A proposito: ho cercato "fracking Emilia" come consigliato da google.... la montagna di idiozie che si leggono è allucinante....


sabato 23 marzo 2013

Un libro divulgativo che ci dice tutto sul petrolio (finalmente!)


Tutti noi conosciamo l'esistenza del petrolio ma ci sono idee molto vaghe su cosa sia, come si estragga e come venga sfruttato. Fino ad oggi non ci sono state tante pubblicazioni complete al riguardo, ma oggi la lacuna non c'è più: è uscito “Petrolio – un percorso lungo le vie del petrolio in 101 domande e risposte”. Lo ha scritto Mauro Annese che già ha collaborato con Scienzeedintorni quando ai tempi della rivolta contro Gheddafi, parlammo del petrolio in Libia. Ne nacquero due post, uno scritto a quattro mani sulla storia dell'estrazione del petrolio in quel Paese e un altro con i ricordi di un giovane geologo (lui parecchi anni fa...) che rischiò il licenziamento perchè una volta perforando accanto ad un campo molto ricco non trovò nulla.

Non parlo di questo libro per dovere essendo l'Autore un amico con cui ho fatto e faccio delle collaborazioni, ma per il fatto che ritengo questa pubblicazione molto utile e quindi consiglio di leggerlo (è stato utilissimo pure per il sottoscritto!)
Vediamo perchè.
Percezione comune è che il petrolio sia un liquido nero, che viene trasportato e trasformato in carburanti.
Basilarmente questo è vero, il problema fondamentale è che sull'argomento “petrolio e dintorni” ci sono saggi di economisti, esperti di energia, ambientalisti, climatologi, giornalisti, blogger e quant'altro, ma latitano gli scritti tecnici di geologi che spiegano davvero cosa sia il petrolio, come si sia formato, come viene estratto, trasportato e raffinato. 
Con il risultato che la “realtà più intima del petrolio” non è conosciuta e succede spesso che castronerie immense passino per realtà.

A tutto questo pone rimedio questo libro. Mauro Annese è un geologo del petrolio: laureatosi giovanissimo, si è trasferito in Libia, portandosi dietro la altrettanto giovane moglie (a cui giustamente il libro è dedicato). Non solo conosce tutto del petrolio, ma soprattutto, ormai pensionato (non è un giovincello, si è laureato nel 1962...) è una persona fiera ed appassionata di quello che è stato il suo lavoro. E soprattutto una persona che vuole divulgare le sue conoscenze e riesce a farlo molto bene.
In questa pubbliazione viene usata una formula molto originale: domande (semplici) e risposte un po' articolate ma chiare e comprensibili a tutti (e non è poco...), condite da immagini significative.

È quindi un libro utilissimo per tutti coloro che sono interessati all'oro nero, dal fan sfegatato del petrolio ai no-triv (quelli che combattono contro le trivellazioni per gli idrocarburi). Lo consiglio quindi anche, ovviamente, a tutti i componenti delle categorie di cui ho parlato all'inizio (dopodichè dovranno anche studiarsi la geologia, ma vabbè... questo già sarebbe un primo passo per evitare di scrivere indecenze scientifiche come quelle sul fracking in Emilia...). Da domani non avranno più scuse di non avere un testo chiaro ed in italiano su cui esprimersi.

Poi, siccome sono obbiettivo, occorre precisare che è un libro che risente molto delle condizioni culturali del momento in cui Annese si è formato: all'epoca l'ambiente come viene inteso oggi non era una priorità (oddio.... non lo è neanche adesso in Italia, forse proprio perchè abbiamo una classe dirigente anziana, coetanea del nostro Autore...). Per lui è necessario continuare ad usare sempre più petrolio, è necessario che costi sempre così poco (e dimostra infatti che sostanzialmente il petrolio costi davvero poco alla fonte) e che non ci sia motivo di ricorrere ad energie alternative. Per me e per molti altri oggi non è così.
Ma questo non toglie niente alla validità tecnica e divulgativa del libro, che oltretutto ha un costo molto ridotto, 14 euro molto ben spesi.


Mauro Annese: Petrolio – un percorso lungo le vie del petrolio in 101 domande e risposte – Aracne Editrice 

sabato 9 marzo 2013

Come difendere la Cultura scientifica e tecnologica in Italia?


L'incendio della Città della Scienza a Napoli è sicuramente uno dei fatti più tristi del periodo. Non voglio entrare nel merito, ricordo solo i roghi che hanno interessato il Petruzzelli, la Fenice e, cosa sconosciuta ai più, il museo ferroviario di Bussoleno, in val di Susa.

Tutti elementi legati alla cultura, anche se nel concetto di alcuni c'è Cultura con la “C” maiuscola (ovviamente Lettere, Arti e Storia) e cultura con la “c” minuscolascienza e tecnologia.
Non solo ma una parte di quei signori che parlano di Cultura rompono le balle alla Scienza, in particolare quando si parla di evoluzione ed età della Terra.
Ho parlato spesso di questo problema (per esempio qui). Avevo iniziato un mese fa anche a leggere la sentenza del processo dell'Aquila (poi ho avuto una serie di inciampi che mi hanno tenuto lontano dalle scienze e dal PC per un bel po', niente di grave me anche lì in alcuni punti la Scienza va a pallino, sostituita dalla dialettica....

Fra questi signori annovero un personaggio che non nomino di un giornale che non nomino (per evitare pubblicità e link), il quale ha mostrato entusiasmo per l'incendio (“dovevano farlo prima”) spiegando che:
Alla Città della Scienza di gran scienza non se ne faceva, si faceva più che altro divulgazione scientifica, un’altra cosa. Il fondatore, professor Vittorio Silvestrini (ometto la parte politica) non ha mica vinto un Nobel: ha vinto un premio Descartes per la comunicazione scientifica. Bene, bravo, ma la scienza è fatta di scoperte e che cosa abbiano mai scoperto a Bagnoli non è dato sapere. Nemmeno la ricetta definitiva delle nozze coi fichi secchi sono riusciti a mettere a punto.

Cioè la divulgazione scientifica è una cosa inutile (aggiungo: perchè divulgare la scienza e la tecnologia è sbagliato, non sono forme di Cultura....)

Ma il tutto ha un motivo:
Quindi ho cercato di capire meglio quali fossero queste benedette attività culturali, non potevo credere che Bennato si riferisse solo ai telescopi e ai caleidoscopi. Ho scoperto che nei capannoni dell’ex Italsider si propagandava l’evoluzionismo, una superstizione ottocentesca ancora presente negli ambienti parascientifici (evidentemente anche nei residui ambienti cantautorali). Il darwinismo è una forma di nichilismo e secondo il filosofo Fabrice Hadjadj dire a un ragazzo che discende dai primati significa approfittare della sua natura fiduciosa per gettarlo nella disperazione e indurlo a comportarsi da scimmia. Dovevano bruciarla prima, la Città della Scienza.


Ecco... benissimo, al rogo perchè parla del darwinismo che sarebbe una superstizione della Scienza, ancora presente in "ambienti parascientifici" (e io che pensavo che gli ambienti parascientifici fossero Voyager, Mistelo, quelli dell scie chimiche o della Terra Piatta e via discorrendo....)
una cosa che non si deve insegnare ai bambini...
Questo capolavoro di persona “tollerante e razionale” quindi decide che quello che è scritto sulla Bibbia è la verità e che la scienza viva di superstizioni...

In attesa di essere candidato pure io al rogo (visto le mail che ricevo spesso – una anche ieri – da antievoluzionisti che quando parlano di Scienza denotano una gran confusione mentale), anche se sono convinto di essere in buona compagnia.
E questo improvviso post (che un'ora fa manco sapevo di scrivere) prende ispirazione da uno dei miei possibili compagni di rogo, il buon Marco di Leucophaea, che al proposito ha avuto una idea interessante.

Marco nota come 
Da altre parti si alzano altre voci, che pretendono (lo dico approvando, a scanso di equivoci) che chi si occupa di scienza, di divulgazione della stessa e di giornalismo scientifico faccia lobby. Si unisca cioè in un gruppo (per ora, non meglio identificato) che possa fare pressione perché il prossimo parlamento (??) tenga in maggiore considerazione le istanze del mondo della ricerca scientifica, affronti la politica con un piglio un po’ più ricco di materiale neuronale e gliale e respinga le analisi irrazionali che salgono dai nuovi eletti.
In sostanza propone una lobby che si proponga di difendere gli interessi della Scienza (e, aggiungo, della Tecnologia) in questa povera Nazione

Leggetevi il post originale su Leucophaea.
Dico solo che sì... ci sto.... sono eventualmente a disposizione per questa iniziativa.


giovedì 7 marzo 2013

Grandi impatti meteorici innescherebbero le estinzioni di massa? Ipotesi tanto ardita quanto dubbia



Con questo post rispondo anche ad un lettore che mi aveva chiesto cosa ne pensavo delle ricerche secondo le quali le Large Igneous Provinces che hanno provocato le estinzioni di massa sono state innescate dalla caduta di meteoriti. Questa ipotesi cerca di salvare capra e cavoli: visto che 
Large Igneous Provinces (LIP) ed estinzioni di massa sono un pò troppo correlate fra loro per non esserci un rapporto causa / effetto allora vengono invocati i meteoriti per provocarle. Sono piuttosto scettico al riguardo, però per far capire come mai è venuta fuori questa ipotesi bisogna riepilogare un po' la storia delle ricerche, ribadendo per l'ennesima volta il fatto ormai acclarato, a dispetto di quella che è una impressione ancora molto comune al giorno d'oggi e cioè che il meteorite dello Yucatan non può essere il killer dei dinosauri.


Dopo i primi articoli degli Alvarez e del gruppo di Berkley sull'anomalia dell'Iridio a Gubbio e in Danimarca dei primi anni '80, ci vollero 10 anni per trovare il cratere del Golfo del Messico. Nell'entusiasmo della scoperta, che finalmente metteva la parola “fine” alla ricerca delle cause di uno dei più enigmatici accadimenti della storia naturale, fu facile accostare anche alle altre estinzioni di massa eventi del genere e difatti fiorirono gli studi su ipotetici impatti meteoritici alla fine del Permiano e del Triassico ma non solo.

Il problema è che gli studi successivi sulla geologia dello Yucatan hanno iniziato a far scricchiolare l'ipotesi proprio quando ormai sembrava arrivata la conclusione finale. Ricordo che a causa della continua sedimentazione che da allora ha interessato l'area  il cratere dello Yucatan è praticamente impossibile da vedersi senza ausili tecnologici: lo si vede per esempio in questa immagine ottenuta con rilevamenti gravimetrici dall'aereo. Sulla terraferma l'unica traccia è l'allineamento di alcuni laghetti, determinato sempre attorno al 1990 da un progetto della NASA avveniristico per quei tempi, in quanto si prefiggeva di aiutare con immagini aeree e da satellite l'archeologia (cosa ormai molto comune).
Ma la mancata evidenza superficiale implica che per capirne di più sono stati necessari dei sondaggi. Ebbene, già pochi anni dopo il riconoscimento del cratere i sondaggi hanno evidenziato un problemino non da poco: lo schianto del meteorite sarebbe avvenuto qualche centinaio di migliaia di anni prima della fine del Cretaceo: hanno trovato gli ejecta (i detriti associati all'impatto: blocchi e blocchetti di rocce carbonatiche e magmatiche o metamorfiche del basamento sottostante con grani di quarzo che mostrano i segni di un improvviso e temporaneo aumento della pressione); quindi OK, il cratere c'è ma gli ejecta sono coperti da sedimenti inequivocabilmente depositatisi nelle ultime centinaia di migliaia di anni del Cretaceo.
Inoltre, come scrivono Gertha Keller ed altri, l'anomalia dell'Iridio è ben più evidente in questi ultimi sedimenti che nei depositi dell'impatto.
E anche a Gubbio l'anomalia dell'Iridio non inizia esattamente al K/T, ma ben prima, come si vede in questa immagine che somma due figure del famoso lavoro pubblicato su Science dal gruppo degli Alvarez nel 1981

Queste osservazioni sono state smentite spesso da parecchi Autori, anche recentemente per esempio su Geology dal gruppo di Timothy Bralower. Trovo queste smentite parecchio discutibili, specialmente quando affermano che i basalti del Deccan non c'entrano niente: persino Hildebrand, Penfield & C nel celebre lavoro del 1991 in cui mettono in relazione il K/T con lo schianto dello Yucatan hanno scritto che “however, the Chicxulub crater may not be the sole source of the boundary layers, because isotopic data suggest that a mantle component occurs in the boundary layers, and the presence of unaltered pyroxene spherules establishes that there is at least a small ultramafic component”.
In sostanza Hildebrand e soci dicono che nei sedimenti deposti al K/T ci sono anche delle evidenti tracce di qualcosa che viene fuori dal mantello terrestre (e i trappi del Deccan sono una soluzione di questo assolutamente ineccepibile) ed è una cosa di cui spesso gli ancora numerosi sostenitori dell'ipotesi “meteorite” si dimenticano, specialmente negando il riferimento a queste vulcaniti indiane e appunto alla stringente contemporaneità fra estinzioni ed episodi del genere.

Uscendo dallo Yucatan ci sono altre indicazioni nei sedimenti del Cretaceo Superiore che dimostrano come il processo che ha provocato l'estinzione dei dinosauri (ad eccezione di alcuni di quelli dotati di piume, altrimenti oggi non avremmo gli uccelli...) e di tante altre forme di vita non è stato “puntuale”: il deterioramento delle condizioni ambientali (come l'anossia nei mari) ha avuto il suo picco al K/T ma ha avuto precedentemente altre fasi “acute”, in cui c'era poco ossigeno nelle acque. Lo stesso dicasi per l'anomalia dell'Iridio, che compare ben prima del K/T anche a Gubbio.

Il problema è evidente: come è possibile che questi fenomeni siano iniziati PRIMA di un avvenimento che è invece tipicamente “puntuale” come la caduta di un asteroide?
Nei primi anni '90 la Keller ed altri autori hanno pensato per esempio a “impatti multipli”. Molto modestamente posso dire che anche io a Gubbio nel 1983, vedendo il Livello Bonarelli oggi inequivocabilmente attribuito ad un evento anossico oceanico tipo quello del K/T (anche se l'estinzione associata è decisamente minore) mi ero chiesto se anche quello potesse corrispondere alla caduta di un meteorite, data la somiglianza con il più famoso livello del limite Cretaceo – Paleocene.
Poi la relazione fra estinzioni di massa e attività da “Large Igneous Provinces” (in breve LIP) è diventata troppo stringente: piaccia o non piaccia ai sostenitori del meteorite, ogni estinzione di massa è facilmente associabile ad una attività magmatica del genere. Ne ho parlato spesso, per esempio qui.

Naturalmente, come ho scritto, l'articolo del 1991 scatenò la “caccia al meteorite” anche per le altre estinzioni. Però alcuni Autori che continuano a vedere favorevolmente l'ipotesi dei meteoriti (e, soprattutto, impatti sui quali non c'è accordo nella comunità scientifica) si sono resi conto della troppo sospetta contemporaneità fra LIP ed estinzioni. E allora, pensando di salvare capra e cavoli, hanno escogitato una ipotesi teoricamente non impossibile: le LIP sarebbero la causa delle estinzioni ma a loro volta i magmi sarebbero una conseguenza di impatti meteoritici particolarmente importanti. In pratica la caduta di un corpo piuttosto grandino provocherebbe in un'altra zona della Terra la formazione di spaccature dalle quali esce magma proveniente direttamente dal mantello.

Per esempio alcun Autori sostengono che ci sia un cratere in Antartide sotto il ghiaccio della Terra di Wilkes (la cui esistenza è tuttora controversa); gli stessi lo datano a fine Permiano, supponendo che il cratere avrebbe innescato all'estremità opposta della Pangea la formazione dei Trappi della Siberia e quindi l'estinzione di fine Permiano. 
È chiaro che, applicato al K/T, il ritardo fra caduta del meteorite e messa in posto delle lave basaltiche di una LIP spiegherebbe il “ritardo” fra impatto ed estinzione osservato nei sedimenti dello Yucatan.

Questo però si scontra, proprio a proposito del K/T, con alcune oggettive difficoltà, di cui la prima è cronologica:  i Trappi del Deccan erano in attività già prima dell'impatto, a cui è precedente anche l'inizio della fase parossistica che ha portato all'evento K/T. Qualcun altro ha messo in relazione i trappi del Deccan con un enorme cratere che ci sarebbe nel Mare Arabico, il cratere di Siva, ma anche questa è un po' debole come ipotesi.

Secondo alcuni di questi Autori addirittura gli impatti avrebbero guidato la frammentazione della Pangea e questo mi pare ancora più risibile.

Diciamo poi che i "candidati crateri" non sono inoltre "universalmente riconosciuti ed accettati", come ho osservato a proposito del supposto cratere antartico.

La mia (modesta) opinione, insomma, è che l'ipotesi degli impatti meteoritici come fattore scatenante della messa in posto di una LIP sia molto, troppo, per essere presa in considerazione. Anche perchè non appaiono strette relazioni temporali tra crateri attualmente riconosciuti sulla Terra e fenomeni del genere, se si toglie quello dello Yucatan nel quale caso, però, alla fine i conti non tornano