sabato 29 settembre 2012

Le grandi estinzioni di massa della fine del Permiano


La devastazione della fine del Permiano, che proprio per le differenze fra animali e piante prima e dopo è stata utilizzata fin dalla metà del XIX secolo come limite fra l'Era Paleozoica e quella Mesozoica è un punto fermo nella storia della vita sulla Terra: oltre il 70% dei vertebrati terrestri e oltre il 90% delle specie marine sono scomparsi. Quella che si può definire la “madre di tutte le estinzioni” è stata un processo complesso e fino a pochi anni fa di difficile interpretazione. Solo da pochi anni si è iniziato a capire che in realtà gli eventi di estinzione sono stati due, a breve distanza l'uno dall'altro, accompagnati da una serie di modificazioni ambientali e climatiche drastica e molto veloce. Quindi non è stato un processo lungo e più o meno continuo, ma la somma di due eventi diversi distanti circa 8 milioni di anni l'uno dall'altro.

Gli organismi che hanno abitato la Terra durante il Permiano sono stati fra i più sfigati di tutti, tali e tante sono state le modificazioni all'ambiente in questo periodo: i 52 milioni di anni di questo periodo sono stati molto intensi, geologicamente, climaticamente e biologicamente. E soprattutto lo sono stati gli ultimi 10.
Geologicamente si è assistito al ricompattamento dei continenti usciti dalla frantumazione della Rodinia, il supercontinente di inizio Cambriano.  Urali e fasi finali della Catena Ercinica sono le principali caratteristiche tettoniche dell'epoca, oltre all'inzio delle distensioni che formeranno i nuovi margini della Tetide, l'oceano interposto fra Laurasia e Gondwana.
Climaticamente siamo all'eccesso totale: il Permiano inizia durante l'Era Glaciale precedente alla nostra, detta infatti “Glaciazione del Permo – Carbonifero”, anche se il massimo glaciale era ormai passato; in compenso il Periodo finisce con un forte riscaldamento globale che ha distrutto le calotte residue e porterà, all'inizio del Triassico, ad una delle fasi più calde e più secche della storia del pianeta. Biologicamente le estinzioni di fine Permiano coinvolgeranno oltre il 90% delle specie viventi. Al loro cospetto l'estinzione alla fine del Mesozoico, quella che ha coinvolto anche i dinosauri, è stata una piccola vampata di calore.
La cosa ancora più sconvolgente è che le variazioni climatiche e faunistiche sono avvenute molto tardi, solo negli ultimi 10 milioni di anni del periodo. Quindi gli sfigati sono soprattutto gli abitatori della parte superiore del Guadalupiano (il Permiano Medio) e quelli del Lopingiano, il Permiano Superiore. La tabella qui sotto illustra la stratigrafia del Permiano.

Come succederà poi per il limite Cretaceo – Terziario, anche il limite Permiano – Triassico è contraddistinto nei sedimenti marini da un livello di argille scure piene di materia organica. Lo troviamo esposto ad esempio in Europa, Oman, Thailandia, Cina Meridionale, Giappone, Russia asiatica, Nordamerica. Questo è il punto focale per interpretare la questione, come lo è nei mari del Wuchapingiano la sostituzione in molte aree della sedimentazione calcarea con quella silicea (il fenomeno è chiamato PCE Permian Cherts Event, evento a diaspri del Permiano).
Questo evento denota un aumento di acidità delle acque marine per cui non solo il nannoplancton calcareo viveva con difficoltà ma dopo la morte eventuali scheletri e conchiglie calcaree venivano sciolte rapidamente quando scendevano sotto  la Profondità di Compensazione dei Carbonati (la sigla inglese con cui è conosciuto questo livello è CCD). La posizione della CCD dipende molto dalla acidità delle acque: oggi solo le parti più profonde degli oceani sono sotto la CCD, ma nel Wuchapingiano (il Lopingiano inferiore) troviamo la deposizione silicea persino in mari a bassissima profondità. Avere una CCD così superficiale è sintomo chiarissimo di una acidità elevatissima delle acque, a livello globale.

Inoltre l'aumento di temperatura comporta nel Wuchapingiano lo scioglimento di parte se non di tutte le calotte polari. Ovviamente a  questo si sono accompagnati un innalzamento del livello marino e la messa in circolo negli oceani di acque fredde poco salate che probabilmente hanno pesantemente inciso sulla circolazione globale delle correnti marine. La conseguenza è stata una serie di variazioni climatiche importanti, attestate in tutte le serie sedimentarie.

Il Wuchapingiano dura circa 7 milioni di anni. Poi viene il Changhsingiano, il Lopingiano Superiore: dura appena 3 milioni di anni e all'inizio c'è una diminuzione delle temperature, sia perchè si riattivano in parte i processi che “consumano” CO2 (fotosintesi, deposizione di rocce carbonatiche, segregazione in idrocarburi o giacimenti di carbone) sia perchè le correnti marine si riavviano.

Però alla fine del Changhsingiano la situazione ritorna a livelli drammatici: aumentano le temperature, il pianeta si fa più arido, la vita che si stava riprendendo subisce un tracollo che durerà almeno per i primi 5 milioni di anni del Triassico Inferiore.

È ormai accertato che tutto questo macello sia dovuto alla messa in posto di due enormi serie basaltiche, cioè all'attività di due LIP ("Large Igneous Provinces” - grandi province magmatiche). Si tratta di immensi “goccioloni” di roccia liquida che irrompono in superficie e depositano enormi quantità di magmi, per lo più basaltici, in un'area di centinaia di km quadrati in poche centinaia di migliaia di anni.

Le LIP deposte negli oceani hanno sempre provocato grossi guai, a cominciare dalla acidificazione delle acque ad opera delle emissioni di CO2, la conseguenza principale è l'anossia.
Questo processo non è stato di facile comprensione, ma l'associazione fra LIP e sedimenti anossici è regolare. Comincia con una fioritura algale: quando le alghe muoiono e vanno in decomposizione, il processo assorbe ossigeno, ossigeno che è assorbito pure da una popolazione animale cresciuta molto rapidamente perchè le fioriture algali inducono un aumento dello zooplancton che se ne nutre, seguito dall'aumento a cascata delle forme che si nutrono di questi ultimi e via via. Ovviamente l'aumento di esseri bisognosi di respirare provoca a sua volta un altro eccessivo consumo di ossigeno, che pertanto diventa sempre più raro. Pertanto gli animali muoiono soffocari e quando vanno in decomposizione consumano o tentano di consumare l'ossigeno residuo. Dico “tentano di consumare” perchè nei sedimenti deposti in condizioni anossiche l'abbondante materia organica si conserva proprio perchè non si è potuta ossidare per mancanza di ossigeno.

Quindi ad una LIP messasi in posto nei fondi oceanici segue un evento anossico con associato un picco di estinzioni con poche ripercussioni sulle terre emerse, dove invece gli effetti di una LIP che erutta su un continente possono essere (e sono stati) molto pesanti; le immissioni di CO2 provocano un effetto serra e se l'aumento delle temperature è sufficiente si libera anche il metano contenuto negli idrati dei fondi oceanici alle latitudini medio – alte. Questa condizione può non essere vera per la fine del Cretaceo perchè le temperature globali di 65 milioni di anni fa erano veramente molto alte, ma è chiaramente visibile nel PETM, il massimo termico che contraddistingue il passaggio Paleocene – Eocene, in cui il deriva dalla messa in posto di un'altra LIP, la provincia magmatica dell'Atlantico Settentrionale. E lo è stato anche per la fine del Permiano. Inoltre la diffusione in aria di CO2 e degli NOx provoca la formazione di piogge acide c c'è anche una diminuzione della quantità di ossigeno in atmosfera. Da notare che le pur ingenti emissioni di ossidi di zolfo (quelli che provocano ad esempio le diminuzioni di temperatura in corrispondenza delle grandi eruzioni dei vulcani lungo gli archi magmatici) non sono sufficienti a provocare raffreddamento.
La prova che la vita si è quasi fermata è dimostrata dal basso valore del rapporto fra gli isotopi 12 e 13 del carbonio, noto come δ13C. 

Queste osservazioni ci spiegano perchè le LIP eruttate nelle profondità oceaniche hanno fatto meno danni di quelle che hanno eruttato nei continenti.
Oggi è accertato che nel Permiano sia la crisi della fine del Guadalupiano che quella della fine del Lopingiano siano contemporanee a due eventi di LIP. La prima è costituita dai basalti dell'Emeishan, oggi situati tra Cina sudorientale ed Indocina, che si sono depositati essenzialmente in una piattaforma carbonatica a bassa profondità su una delle pochissime aree continentali che non facevano parte della Pangea: la Cina Meridionale si scontrerà con la Cina settentrionale nel Mesozoico.
La seconda invece corrisponde alla più grande LIP conosciuta: i trappi della Siberia, che occupano una area vastissima ad est degli Urali, dal Mare di Barents fino al Kazakhstan.
I basalti dell'Emeishan si sono messi in posto ad una latitudine medio – bassa. Invece quelli siberiani erano ad una latitudine paragonabile a quella odierna; oltre ad esssere particolarmente imponenti e aver quindi di suo immesso enormi quantità di CO2, i trappi della Siberia hanno sciolto anche il permafrost residuo dalle glaciazioni del Permo-Carbonifero (il cui spessore poteva essere di parecchie centinaia di metri), amplificando ulteriormente l'effetto – serra perchè il suolo ghiacciato conteneva grandi quantitativi di CO2 e Metano.

Oggi finalmente quindi si comincia a capire come si è svolta la grande crisi biologica della fine dell'Era Paleozoica.

giovedì 20 settembre 2012

Alla ricerca della vita su altri mondi: perchè per ospitare la vita un pianeta deve essere tettonicamente attivo


La ricerca di un pianeta adatto alla vita è in corso da tanto tempo. Dopo le prime timide scoperte di giganti gassosi molto vicini alla loro stella del 1992, la strumentazione a terra si è affinata e hanno dato una mano significativa satelliti come l'europeo Herschel e l'americano Keplero (quest'ultimo integralmente dedicato all'esplorazione del cielo in funzione della scoperta di esopianeti). Oggi  riusciamo a scoprire pianeti sempre più lontani dalla propria stella e di massa sempre minore. Ovviamente la cosa che si spera è di trovare un pianeta adatto alla vita, che deve avere un'atmosfera, una temperatura compatibile con la presenza di molecole organiche complesse e acqua liquida. Ma su questo punto molti si dimenticano un particolare: per avere acqua liquida occorre la presenza di calore interno al pianeta. Altrimenti l'acqua non rimarrà in superficie ma scomparirà sotto la superficie.


Tutto il mondo scientifico è convinto – e non potrebbe essere altrimenti – che la cosa fondamentale per lo sviluppo della vita, e non solo sulla Terra, sia la presenza di acqua liquida. La ricerca di pianeti in grado di ospitare la vita infatti si era circoscritta a quella fascia intorno ad una stella in cui eventuali pianeti potrebbero ospitare acqua allo stato liquido. In seguito, grazie alle osservazioni su Giove ed il suo sistema di satelliti effettuate dalla sonda Galileo fra il 1995 e il 2003, si è notato che anche in zona più esterna potrebbe essere possibile la vita su satelliti di grossi pianeti gassosi in cui le perturbazioni gravitazionali provocate dal pianeta inducono movimenti mareali che producendo attrito producono calore: questa è la spiegazione per l'intenso vulcanismo su Io e qualcuno ha ipotizzato che possa esistere  la vita in un oceano liquido sotto i ghiacci di Europa.


Inoltre un pianeta per essere adatto alla vita secondo le ipotesi attuali deve avere una struttura ed una massa simile a quella terrestre.  

La Terra corrisponde a tutte le condizioni necessarie per ospitare la vita in quanto ha una grande abbondanza di acqua sulla sua superficie e ce ne ha anche al suo interno, specialmente nella parte alta della crosta. 
Il problema fondamentale però è che l'acqua è un liquido ed i liquidi hanno il “vizio” di scendere sempre più in giù.

Per questo esistono le falde acquifere: l'acqua dalla superficie entra nei pori dei sedimenti, cioè negli spazi che rimangono fra un grano e l'altro; questo cammino è tanto più facile quanto la grana del sedimento è grossa: le argille, che hanno una grana finissima, sono impermeabili e, al contrario, sedimenti a grana grossa come le ghiaie sono estremamente permeabili.
Inoltre ovunque ci sono delle fratture l'acqua tende a penetrare nel terreno, sia sul fondo marino che sulle terre emerse. Questo fenomeno è massimo lungo le dorsali medio-oceaniche, dove si producono grandi fratture
C'è poi un terzo modo per portare acqua in profondità, in questo caso molto in profondità: nelle zone di scontro fra zolle, una delle due, specialmente se di crosta oceanica, scende nel mantello terrestre, trascinandosi l'acqua che vi si trova dentro. l'aumento della pressione nella zolla che subduce provoca l'espulsione dell'acqua, sia in maniera meccanica per quella libera, sia per cambiamenti nella mineralogia delle rocce, in cui minerali idrati si trasformano in minerali anidri. Ne risulta una migrazione del liquido nel mantello sovrastante, dove questa acqua svolge un ruolo fondamentale nella genesi del magmatismo di arco delle zone orogeniche: la sua presenza abbassa la temperatura di fusione delle rocce, che spesso per questo subiscono una fusione parziale generando magmi "orogenici" come quelli giapponesi, indonesiani e, nel caso italiano, quelli delle isole Eolie. L'acqua accompagna la risalita dei magmi e quindi risale anch'essa verso la superficie: di fatto il vapore acqueo compone la stragrande maggioranza dei gas che escono in atmosfera grazie all'attività vulcanica.
Vediamo il tutto in un disegno tratto da Rupke et al.: Serpentine and the subduction zone water cycle, pubblicato nel 2004 sulla rivista Earth and Planetary Science Letters

Teoricamente, allora, l'interno della Terra dovrebbe essere pieno di acqua e di conseguenza il livello dei mari dovrebbe essere diminuito drasticamente dall'inizio della storia della Terra ad oggi. Invece non è così. 

Perchè? Perchè l'interno della Terra è caldo. Come si vede da questo grafico la Terra ha un forte gradiente termico per cui – detta in maniera semplice e schematica – l'acqua scendendo in profondità a poco a poco si riscalda, fino a quando dalla fase liquida passa alla fase gassosa e quindi tende a risalire nuovamente verso la superficie.

Marte è proprio l'esempio di un corpo freddo in cui la maggior parte dell'acqua superficiale, cessata la fase in cui il pianeta era sufficientemente caldo per farla risalire, è letteralmente “affondata” nella crosta senza poter risalire in superficie. Non è quindi un caso che gli strumenti a bordo di satelliti in orbita intorno al Pianeta rosso abbiano rilevato ingenti quantitativi di acqua all'interno del pianeta. Venere al contrario è troppo caldo, non vi può esistere acqua liquida e per una serie di motivi alcuni ricercatori ipotizzano che proprio la mancanza di acqua liquida sia la causa della bassa attività tettonica di questo pianeta gemello della Terra.

È quindi interessante notare come la presenza di acqua liquida sulla superficie terrestre sia legata alla presenza di calore interno del pianeta. E siccome terremoti e vulcani hanno come loro origine il calore terrestre, si può dire che se non ci fossero vulcani e terremoti non ci sarebbero le condizioni necessarie per la vita. 
Ne consegue una corrispondenza biunivoca molto interessante fra queste due caratteristiche: il momento che scopriremo un esopianeta sulla cui superficie c'è acqua liquida saremmo anche sicuri che sia un pianeta tettonicamente attivo.




martedì 18 settembre 2012

Con la crisi è aumentato l'uso del Trasporto Pubblico: una occasione unica per le amministrazioni locali che devono approfittarne per migliorare le condizioni di vita nelle aree urbane


Chi mi conosce sa che sono un accanito sostenitore del trasporto pubblico, specialmente delle ferrovie ma non solo. Ora succede che la crisi economica e l'aumento del prezzo dei carburanti hanno generato una conseguenza dal mio punto di vista molto piacevole: un aumento del ricorso alla mobilità pubblica e, per brevi spostamenti specialmente nelle città, un aumento del numero di biciclette al posto dell'automobile. Questo post parte ovviamente dalla situazione della mia Regione, la Toscana, e della mia città, Firenze. Ma le considerazioni possono essere estese all'Italia tutta. Certo, la Germania o l'Olanda con la loro mentalità, i loro trasporti pubblici e le loro piste ciclabili sono inarrivabili... ma proviamoci... iniziando con il migliorare il TPL: solo così si potrà cambiare la tipica mentalità italiana che chi prende il bus o il treno al posto dell'automobile è uno sfigato.


Complice la crisi economica e l'aumento dei prezzi del carburante ben superiore al tasso di inflazione e tantopiù a quello di aumento dei salari, è aumentato sensibilmente il numero degli utenti del TPL. Per le ferrovie in Toscana si parla di oltre il 6% in più di utenti nel 2011 rispetto al 2010 mentre le prime proiezioni parlano di un aumento analogo nel 2012 sul 2011. Contestualmente nei grandi centri urbani si è assistito ad una diminuzione del traffico e dell'uso dei parcheggi.

Almeno in Toscana (ma per esempio anche in Lombardia, tanto per citare un'altra regione virtuosa nel campo dei trasporti governata da uno schieramento opposto)  una parte del merito lo ha la “cura del ferro” che la Regione persegue, però questo progetto ha molti anni nei quali c'è stato un sostanziale immobilismo nelle percentuali dell'uso delle ferrovie regionali e i buoni risultati stanno arrivando solo ora, appunto per fattori esterni. Ci sono state comunque delle situazioni emblematiche: ad esempio nel quadruplicamento di una parte della Firenze – Pisa è stata costruita la fermata di Lastra a Signa, presto trasformatasi da oggetto misterioso a fermata obbligatoria per tutti i treni che passano di lì (altri percorrono la vecchia linea e quindi non vi fermeranno per motivi... geografici) e il parcheggio di interscambio si è rivelato presto gravemente insufficiente. Inutile sottolineare che si tratta di traffico stradale in meno nell'area fiorentina.
Analoghi incrementi sono segnalati in altre regioni, ma in molte si sta abbattendo sulle ferrovie locali la pesante scure dei tagli, in particolare in Regioni come Abruzzo e Piemonte, dove probabilmente la politica e il personale regionale addetto hanno grosse lacune “culturali” in campo di mobilità pubblica.

Il problema è che il Trasporto Pubblico Locale è forse il comparto più pesantemente colpito dai tagli degli ultimi governi e senza finanziamenti pubblici (anche in un regime di liberalizzazione, precisiamolo) usare il TPL costerebbe più del mezzo privato.
Ma perchè è giusto finanziare il TPL? Perchè chi usa il TPL ha un impatto ambientale ed economico minore di chi usa la propria automobile. Vediamo i motivi.
La prima spiegazione è molto intuitiva: il traffico è sicuramente una delle peggiori maledizioni per la vita in città; aumentare l'uso dei mezzi pubblici sia per spostamenti all'interno della stessa aera urbana che per spostamenti tra aree urbane diverse fa diminuire il traffico e diminuirlo vorrebbe dire aumentare la qualità della vita urbana. Ma ci sono altre considerazioni più sottili che vanno considerate.
Altrettanto intuitivo è che se si muovessero ciascuno in automobile i passeggeri di un autobus o di un treno mediamente pieni consumerebbero ben più petrolio di quello che viene usato per muovere quel mezzo. La cosa ha significativi pregi ambientali (minore consumo = minori emissioni in atmosfera e quindi minore inquinamento) ma anche economici: meno importazioni di petrolio e meno investimenti per la manutenzione delle strade. Inoltre l'energia elettrica (e questo ovviamente vale per linee ferroviarie elettrificate, tramvie e filobus) viene prodotta anche con sistemi che non provocano uso di petrolio ed emissioni di CO2. In Toscana in particolare una buona parte dei treni elettrici viaggiano grazie all'energia geotermica di Larderello e quindi la riduzione della dipendenza da petrolio è ancora più significativa che altrove. 
Ci sono poi dei motivi socio – economici: sicuramente il tasso di incidentalità è minore nel TPL rispetto agli incidenti dovuti al traffico stradale e quindi teoricamente chi usa il TPL ha meno probabilità di infortunarsi e quindi un massicio uso del mezzo pubblico comporterebbe anche una diminuzione di incidenti (e, si suppone, delle tariffe assicurative RCAuto....), ricoveri in ospedale e ore di malattia per infortuni e per vari disturbi della salutela cui frequenza aumenta a causa dell'inquinamento atmosferico 

Insomma, finanziando il TPL lo Stato da una parte dà (in molti casi “dava”...) ma sicuramente anche, almeno in parte, riprende qualcosae , dunque, l'equivalenza non è solo ambientale: più mezzo pubblico = più salute pubblica, in tutti i sensi.

È quindi il momento di ringraziare chi usa il TPL, sia gli utenti vecchi che quelli nuovi. Come? Facendolo diventare in molti casi non più una scelta obbligata per motivi economici, ma la scelta consapevole di un sistema di trasporto davvero più comodo, più veloce e più economico. E incoraggiando sempre più utenti a preferirlo, cercando di ridurre l'uso del mezzo privato ai soli spostamenti che lo necessitano davvero (trasporto di persone con difficoltà motorie, trasporto di beni pesanti o ingombranti, spostamenti da e per zone non servite da mezzi pubblici o male servite almeno in certe fasce d'orario anomale etc etc).

Resta il fatto che specialmente nei grandi agglomerati urbani la mobilità privata su automobile è privilegiata per tanti motivi, anche culturali (come ho detto spesso in un luogo di lavoro chi prende il bus o il treno al posto dell'automobile è considerato uno sfigato e chi ha l'auto nuova un grande). E quindi anche per motivi elettorali. Ma soprattutto è lo scarso appeal del trasporto pubblico su gomma (mezzi lenti – spesso per colpa degli ingorghi generati dal traffico privato! – pieni e talvolta sporchi) e la pericolosità di muoversi a due ruote (sia cicli che motocicli) che impedisce a molti potenziali utenti l'uso di sistemi di mobilità più amici dell'ambiente, anche all'interno di un comune grande come Firenze.
Quanto al mezzo ferroviario il confronto fra le ferrovie nostre e quelle tedesche è spesso semplicemente impietoso ed insisto che nel nostro Paese non potrà esserci una vera cultura ferroviaria fino a quando ci sarà il Gruppo FS con tutte le sue zavorre regolamentari, sindacali, dirigenziali e una talvolta discutibile professionalità degli addetti (ma non facciamo di tutta l'erba un fascio... oltre a certi personaggi ho avuto modo di conoscerne persone che vanno anche ben oltre il proprio dovere!) e fino a quando gli assessorati regionali ai trasporti non saranno tutti composti esclusivamente da persone competenti (anche se non occorrerebbe avere centinaia di Giorgio Stagni)
Come abbiamo sottolineato, siamo coscienti che ci saranno sempre persone che non potranno per tanti motivi fare a meno della mobilità con autovettura e pertanto non proponiamo una valanga di divieti ma, specialmente nei punti critici, un largo impiego di corsie preferenziali adeguatamente protette: velocizzare il TPL, anche rallentando il trasporto privato, significa aumentare la comodità del mezzo pubblico collettivo e diminuire il ricorso a quello personale,

Occorre anche favorire la viabilità ciclabile, mediante la costituzione di una vera rete interconnessa di piste ciclabili. Stigmatizo al proposito il can-can di proteste per il caso fiorentino del cordolo sul Ponte Santa Trinita con tanto di proteste da parte addirittura di critici d'arte, fra i quali qualcuno ha persino detto che le biciclette non sono adatte a luoghi come il centro di Firenze: secondo questa persona dalla delicata cultura il problema sono le biciclette e non le migliaia di autovetture che quotidianamente e vergognosamente transitano su questo storico ponte.
A proposito di bicicletta: a me fanno impazzire quelli che prendono la macchina per fare un paio di km e poi la sera vanno in palestra per dimagrire (e protestano se parcheggiano un pò lontano che gli tocca fare qualche metro a piedi prima di fare ginnastica)

Chiudo sperando sul fatto che gli Enti Locali non abbiano più paura a prendere decisioni come chiusure alle automobili, aree pedonali e corsie preferenziali che sottraggono spazio al traffico privato, la cui immediata percezione da parte dell'elettorato sia estremamente negativa ma che con il tempo diventeranno motivo di vanto e di sostegno da parte della cittadinanza.

mercoledì 12 settembre 2012

Il popolamento del bacino del Tarim (Asia centrale): una mescolanza di influenze indoeuropee e turco-siberiane


I deserti e le steppe a nord del Tibet, in una zona fra le più aride della Terra, nascondono delle vicende umane molto interessanti: 4000 anni fa ci viveva una popolazione dalla pelle bianca, spesso con capelli biondi ed occhi azzurri, in parte già mescolata con popolazioni della Siberia. Gli Uiguri, la popolazione locale attuale, hanno occupato la regione nella seconda metà del I millennio AC, quando ci furono importanti spostamenti di tribù turcofone dalla Mongolia al Mediterraneo. una conseguenza importante è stata la scomparsa della lingua Tocaria, una lingua indoeuropea che, un pò stranamente, è correlabile più con le lingue italiche e galliche che con quelle iraniche o dell'Europa orientale. Ma anche i dati genetici correlano più le popolazioni di 4000 anni fa con l'europa Occidentale che con quella Orientale o con l'Asia Sudoccidentale. 

Il bacino del Tarim è una depressione situato nell'attuale provincia dello Xinjiang, la parte più nordoccidentale del territorio della Repubblica Popolare Cinese, a nord del Tibet. L'interno di questo bacino nel mezzo all'Asia è quanto di più inospitale si possa pensare, una distesa di dune. Ai margini però ci sono ampie testimonianze della presenza umana a partire almeno dalle ultime fasi del III millennio AC.
In questa regione gli abitanti, prima dell'arrivo negli ultimi decenni dei cinesi Han (l'etnia principale della Repubblica Popolare Cinese, facevano parte soprattutto di etnie turcofone islamiche (Kazaki, Kirghisi e Uiguri). In questa regione la cinesizzazione forzata, sia culturale che demica, ha provocato una serie di rivolte anche se l'attenzione internazionale è meno rivolta a questa zona rispetto al Tibet.
Queste rivolte hanno interessato soprattutto gli Uiguri, una etnia che ha caratteristiche genetiche piuttosto particolari: sono infatti un mix fra occidente ed oriente e basta vedere un po' di foto per capire come in questa popolazione vediamo tratti somatici caucasici e mongoli in diverse proporzioni. La cosa interessante è stabilire quando c'è stata tale ibridazione: siamo sulla Via della Seta e quindi in un'area che ha costituito un ponte fra occidente ed oriente, però non è quello il motivo dell'ibridazione, dato che altri popoli della zona non presentano caratteristiche similari.
In effetti la presenza di uomini dalle apparenze caucasiche qui è molto antica, dai tempi dell'età del bronzo: lo testimoniano ad esempio le mummie ritrovate a Loulan, come quella di una giovane donna, ma si ricavano oltrechè dalle tombe, anche da scritti cinesi secondo i quali in questi popoli abbondavano individui dai capelli biondi e dagli occhi azzurri.
Anche la genetica non ha dubbi: il primo popolamento del Tarim è da attribuire in parte a genti venute da Ovest.

Recentemente nella parte più occidentale del bacino, a Xiaohe è stato scoperto un cimitero di circa 4000 anni fa. Un team tutto cinese è riuscito ad ottenere da alcuni dei corpi rinvenuti alcune sequenze di DNA, che confermano una mescolanza piuttosto antica tra elementi caucasici e asiatici (ma non cinesi): sono stati trovati nel DNA mitocondriale aplogruppi tipici sia dell'Asia come dell'Europa. 
La maggioranza appartiene all'aplogruppo C: oggi limitato ad alcune popolazioni siberiane come gli Evenki e ai nativi americani, si suppone sia sorto in Siberia circa 60.000 anni fa (ben prima quindi delle migrazioni verso le Americhe).
Ci sono poi individui che mostrano aplogruppi molto noti in Europa, come H e K. Però andando dentro alle varianti interne a questi aplogruppi vediamo delle cose particolarmente interessanti: nell'aplogruppo H di Xaohe c'è una mutazione oggi poco presente in occidente, le cui minime tracce si trovano tra Italia, penisola iberica ed Inghilterra; tale variante è completamente sconosciuta oggi in Europa Orientale. L'aplogruppo K oltrechè in Europa, è diffuso anche nelle zone indoeuropee dell'Asia fra Iran e India; la variante locale di K ha delle mutazioni specifiche non presenti altrove ed è comunque molto interessante notare che la diffusione di K in Europa è simile a quella della variante di H di Xaohe: la troviamo lungo le coste atlantiche europee e molto più raramente in Europa orientale; e anche in Medio Oriente è poco frequente.
Ci sono poi delle sequenze uniche locali.
È interessante notare come fra gli aplogruppi europei non sono rappresentati a Xaohe quelli che appartenevano agli antichi cacciatori – raccoglitori del continente, come N, ancora oggi molto presenti in Europa nonostante l'arrivo degli agricoltori indoeuropei tra il VI e il V millennio AC.

Per quanto riguarda il cromosoma a trasmissione maschile del DNA nucleare, cioè Y, tutti i 7 individui da cui è stato possibile ricavarlo possiedono l'aplogruppo R1a1a, diffuso dall'Europa alla Siberia e all'Asia meridionale, ma non presente nell'Asia orientale.
Quindi la mescolanza genetica oggi presente fra gli Uiguri è dovuta sì alle invasioni turcofone della seconda metà del primo millennio, ma c'è pure una componente dall'Asia Settentrionale di origini molto antiche: già la popolazione che abitava la zona del Tarim 4000 anni fa aveva tratti genetici femminili dalla duplice provenienza, da occidente e dalla Siberia. Curiosamente non ci sono tracce di geni provenienti dalla Cina.
Secondo gli autori della ricerca i geni maschili erano tipicamente di provenienza occidentale; forse hanno omesso qualche particolare sulle variazioni di R1a1a presenti in loco che escludono provenienze da Siberia o Asia. È comunque sicuro che non potevano venire da Est, ma perchè non da sud o da nord ?


Ora qui nasca una simpatica coincidenza linguistica. È attestata in queste zone la presenza di una lingua indoeuropea, il Tocario, noto fino a quando, verso il VI secolo arrivarono in quella zona i turcofoni Uiguri. È una lingua ben conosciuta grazie a manoscritti scritti sia in Tocario che in Sanscrito, prevalentemente testi buddisti, come questo (la foto è da Wikipedia).
Penserete: cosa c'è di strano nel trovare lì una linqua indoeuropea se vicino a quelle parti c'è tutta la zona delle lingue indoeuropee del ceppo indo – iranico?
Vediamo la situazione: oggi tra le lingue indoeuropee occidentali e quelle dell'Asia sudoccidentale c'è una divisione geografica netta provocata dalle invasioni delle popolazioni turcofone della seconda metà del primo millennio DC: in quel periodo sono morte numerose lingue indoeuropee, fra le quali in particolare quelle anatoliche (i turchi geneticamente sono in buona parte indoeruropei). Queste vicende hanno messo fine alla continuità dell'areale linguistico indoeuropeo tra Europa ed India una, in mezzo al quale sopravvivevano) delle lingue relitte probabilmente affine a quelle caucasiche, che sopravvivono in parte ancora oggi, come in Europa il Basco.

La cosa strana è che il Tocario non è affine alle lingue indoeuropee dell'Asia sudoccidentale, ma... a quelle europee, in particolare alle lingue gallo – italiche!
Non essendoci a quel tempo documenti scritti, non ci sono ancora certezze che il popolo di Xiaohe o di Loulan parlassero Tocario, ma gli indizi di questo sono molto pesanti.
Quindi aspetto fisico, genetica, tradizioni cinesi e linguistica spingono insieme verso una origine occidentale molto antica, almeno dall'età del bronzo, di buona parte del popolo di Xiaohe.
Chiaramente non è che il popolo di Xiaohe abbia le sue radici in Europa Occidentale; è invece più probabile che popoli indoeuropei del bacina del Tarim abbiano antenati comuni con quelle popolazioni che hanno introdotto in Europa i dialetti gallo – italici.

Il lavoro citato è: Evidence that a West-East admixed population lived in the Tarim Basin as early as the early Bronze Age di Chunxiang Li et al., pubblicato nel 2010 sulla rivista BMC Biology






sabato 8 settembre 2012

Quaranta anni fa il lancio del primo satellite Landsat, una pietra miliare per il telerilevamento - di Niccolò Dainelli

Quaranta anni fa, il 23 luglio 1972, fu lanciato il primo satellite della serie LANDSAT, che ha rappresentato una pietra miliare nella storia del telerilevamento. Il telerilevamento non è una invenzione “umana”: anche un leone che sta su un costone e osserva il panorama fa, a modo suo, telerilevamento perchè riesce a vedere a distanza maggiore di quello che farebbe a livello del suolo. Venendo al genere umano, le torri di vedetta in cima ai colli sono degli esempi di telerilevamento. L'Uomo ha subito approfittato delle possibilità di usare per il telerilevamento le nuove invenzioni che la tecnica ha messo a disposizione per solcare i cieli, dalle mongolfiere agli aerei. I primi usi sistematici arrivarono con la Prima Guerra Mondiale, ma fu con il secondo conflitto mondiale che questa tecnica ebbe la consacrazione usando le prime pellicole capaci di vedere con i raggi infrarossi. 
Era ovvio che il telerilevamento diventasse, prima per scopi militari poi per quelli scientifici e civili, un uso fondamentale dell'industria aerospaziale: oggi se si tolgono quelli per le telecomunicazioni. i satelliti artificiali in orbita attorno alla Terra e agli altri corpi del Sistema Solare, da Mercurio a Saturno, fanno telerilevamento. Molti hanno compiti specializzatissimi, come la sonda Aquarius, che rileva la salinità dei mari, di cui mi sono occupato un anno fa o il Goce per lo studio della gravità. Altri forniscono immagini “generiche” che possono essere sfruttate per vari usi. 
Volendo celebrare degnamente questa ricorrenza, non potevo farlo meglio che chiedendo ad un geologo che si occupa proprio stabilmente di telerilevamento un post sull'argomento e Niccolò Dainelli, ha risposto con entusiasmo. (fra l'altro, è autore anche di apprezzati manuali in materia, come “Osservare la Terra - telerilevamento” e “Osservare la Terra – fotointerpretazione” editi da Flaccovio). Lo ringrazio sentitamente per la gentilezza.  

Il 23 di luglio del 1972, quaranta anni fa, l'osservazione della Terra a scopi scientifici fece un enorme balzo in avanti, entrando di fatto nell'era digitale e diventando la disciplina che attualmente viene definita “Telerilevamento”. In quella data, infatti, la NASA lanciò dalla base dell'U.S. Air Force di Vandenberg in California, a bordo di un razzo Delta 900, il primo satellite della famiglia Landsat, originariamente chiamato ERTS 1, acronimo per Earth Resources Technology Satellite, poi ribattezzato Landsat 1. 

Il Landsat 1, primo di una serie di sette piattaforme messe in orbita fra gli anni '70 e '90, trasportava, oltre ad una camera fotografica tradizionale a colori e all'infrarosso vicino, il nuovo sensore Multi Spectral Scanner (MSS) capace di acquisire immagini della Terra non più su supporto chimico, come fino ad allora era stato fatto, ma codificandole in formato digitale. Ecco perché si può definire il 1972 come l'inizio dell'era delle immagini digitali, anche se dovranno passare ancora molti anni prima che queste immagini possano essere direttamente utilizzate dagli utenti finali. Infatti, almeno fino agli inizi degli anni '90, le apparecchiature e i software per la lettura e l'elaborazione delle immagini digitali da satellite erano disponibili solamente ad alcuni enti di ricerca o grosse società, mentre attualmente, la quasi totalità delle elaborazioni sono realizzabili con un qualunque personal computer e persino con software open source. 


Ma la rivoluzione digitale non è stata l'unica novità portata dal Landsat 1: infatti, mentre le camere fotografiche scattavano fotografie prevalentemente in bianco e nero (e più di rado a colori o all'infrarosso), il Multi Spectral Scanner era dotato di quattro cosiddette “bande spettrali”, in sostanza occhi artificiali capaci di osservare la Terra in particolari regioni dello spettro elettromagnetico. In poche parole, la “multispettralità” di questo sensore lo rendeva uno strumento molto più potente delle normali macchine fotografiche poiché ogni acquisizione generava quattro immagini digitali sovrapposte eventualmente anche componibili, capaci di rivelare una quantità di informazioni relative alla superficie terrestre fino ad allora impensabile, con applicazioni soprattutto nei settori della geologia e delle risorse minerarie, delle scienze agronomiche e forestali, dell'idrologia e delle risorse idriche, dell'oceanografia e delle risorse marine.

Infine, grazie all'ampio angolo di visuale dell'MSS, ogni immagine ripresa copriva un'area di circa 180x180 km (per esempio, quasi l'intera Toscana), quindi una grande porzione di superficie terrestre rispetto alle tradizionali foto aeree. Questo permetteva analisi a scala regionale fino ad allora impossibili o molto complicate. 

Dalla messa in orbita del Landsat 1 in quel giorno di luglio del 1972 fino ad oggi, il numero di sensori e relativi satelliti per l'osservazione della Terra messi in orbita è cresciuto in maniera esponenziale. Attualmente volano sulle nostre teste decine e decine di questi satelliti, appartenenti ai più disparati paesi, dagli Stati Uniti d'America, alla Francia, all'India, al Giappone e anche all'Italia (la costellazione Cosmo Skymed), aventi finalità di ricerca o commerciale, per lo studio della terraferma, dei mari o dell'atmosfera. 

In quaranta anni, le caratteristiche dei sensori si sono evolute enormemente, dal punto di vista della discriminazione sia geometrica, sia spettrale degli oggetti, nonché dal punto di vista del tempo di rivisitazione di un determinato punto sulla superficie terrestre: se il sensore MSS era capace di discriminare oggetti grandi almeno di un centinaio di metri, attualmente il sensore Worldview 2, messo in orbita nel 2009 dalla compagnia statunitense Digitalglobe, riesce a risolvere oggetti di addirittura 50 cm (l'immagine del Colosseo è presa proprio con questo satellite, NdR)

Da un punto di vista spettrale, l'MSS osservava la Terra attraverso 4 bande, mentre ad oggi esistono sensori, cosiddetti “iperspettrali”, che possiedono centinaia di bande per una migliore discriminazione di particolari elementi (per esempio la presenza di amianto, o di altri minerali).

Infine, anche dal punto di vista del tempo di rivisitazione sono stati fatti passi da gigante: il Landsat 1 ripassava sulla medesima verticale ogni 18 giorni, mentre molti satelliti di ultima generazione (anche grazie al fatto di essere presenti in orbita non come singoli elementi, ma come “costellazioni” di satelliti) possono rivisitare un dato punto nel giro di pochissime ore, rendendoli utilissimi nella gestione dei disastri ambientali come terremoti, alluvioni, tsunami, ecc. 

Ultimo, ma solo in ordine temporale, è il boom che sta vivendo un particolare sensore per il telerilevamento: il radar ad apertura sintetica (SAR), il quale, per sue caratteristiche intrinseche e attraverso particolari elaborazioni, è in grado di monitorare gli spostamenti della superficie terrestre e, pertanto, risulta di grandissima utilità per tenere sotto controllo frane, subsidenza, verificare gli effetti di spostamento del suolo dopo un terremoto. Grazie a queste sue capacità, è presumibile che il SAR rappresenterà negli anni a venire il sensore di gran lunga più utile nello studio della superficie terrestre e dei fenomeni che vi si svolgono (questa immagine con il SAR di ENVISAT  si riferisce agli spostamenti del terreno dopo il terremoto abruzzese del 2009).

Niccolò Dainelli

martedì 4 settembre 2012

Il baratro lunare che molti umanisti pongono fra Cultura Umanistica e cultura scientifica (notare le iniziali maiuscole e minuscole non casuali)

Non leggiamo e scriviamo poesie perché è carino: noi leggiamo e scriviamo poesie perché siamo membri della razza umana; e la razza umana è piena di passione. Medicina, legge, economia, ingegneria sono nobili professioni, necessarie al nostro sostentamento; ma la poesia, la bellezza, il romanticismo, l'amore, sono queste le cose che ci tengono in vita
Nonostante siano parole di un film decisamente interessante (L'attimo fuggente), questa pretesa superiorità della poesia mi sta veramente antipatica... 
Per i letterati la LORO poesia e' la cosa piu importante e le scienze sono cose specialistiche che non concorrono alla formazione culturale.  La morte di Neil Armstrong ci ha fornito diversi esempi. A proposito, quanti sono in grado di capire la differenza fra Scienza e Tecnologia?


Non lo nego che la loro sia Poesia. Ma perche non ammettere che per qualcun altro possa essere poesia la formazione delle montagne, le varie forme di vita e come si sono evolute, come gli atomi formano molecole, le stelle, il corpo umano etc etc?
E questo senza pretendere che quanto a me interessa debba per forza interessare a tutti e tantomeno che sia la cosa più importante per l'umanità, come per qualcuno le poesie scritta da se o altri uomini (che, peraltro, ben vengano!)
Ora, succede che anche chi si diletta con la scienza si diletti pure con l'arte. Peccato non sia viceversa... 
In Italia questo fenomeno è più acuto che altrove, e nonostante che Benedetto Croce e l'idealismo siano (per fortuna) passati di moda (almeno, quando negli anni 79 ero al liceo si diceva così, non sono molto aggiornato in questo campo) la sua eredità, assieme a quella di Giovanni Gentile, permea ancora fortemente il sistema formativo e molti, sia pure su posizioni filosofiche non certo idealiste, rimangono dell'idea crociana che «mettere innanzi alla Storia una sezione di “paleostoria”, magari preceduta da un'altra di storia “della Natura” o di storia “della Terra”, non solo non vivifica l'intelletto». Insomma, che le Scienze siano una cultura di serie “b”. 
Ho visto lo speciale del TG1 in memoria di Neil Armstrong. Al di là dei miei ricordi personali (ero ancora un bambino di meno di 10 anni, ma per esempio mi ricordavo a memoria gli equipaggi delle varie missioni Apollo, come mi ricordo l'apprensione per le sorti dell'Apollo 13 e spesso i miei disegni a scuola erano sulle imprese spaziali), quello che ho visto stasera mi fa riflettere sul dannato rapporto che c'è soprattutto nel nostro Paese fra i letterati e la Scienza. 

Fra i diversi intervistati era abbastanza ovvio l'entusiasmo di astronomi, ingegneri spaziali, astronauti. Però su tutti mi hanno colpito le parole riferite di un filosofo e la testimonianza di una storica. Non ricordo esattamente le parole del filosofo, ma la sostanza era che “la Scienza ci porta sempre più lontano dalla Terra”. Io penso che un pensiero del genere sia una fesseria totale. Peggio ancora la storica, la quale ha raccontato che si stava talmente annoiando da andarsene dalla casa in cui una compagnia entusiasta di amici si era riunita per assistere all'evento, trasmesso in una diretta TV che per quei tempi e con i mezzi tecnici di allora, fu un avvenimento di portata eccezionale. Ovviamente non capiva il perchè di tutto questo entusiasmo. 
A parte che il non succedere niente era molto relativo, date le varie fasi dell'avvicinamento all'allunaggio, fa abbastanza specie che trattasi di una storica, cioè una appartenente alla categoria letteraria con più puzza sotto il naso. 
Per la cronaca mio nonno, che all'epoca aveva 78 anni, rimase tutta la notte a vedere la diretta, insieme ad un vicino di casa; è stato un più che discreto elettrotecnico, ma anche un patito di musica, di letteratura e di storia. 

Ma vediamo altre perle. 
Scrive un "filosofo": Mentre la televisione trasmetteva l’allunaggio, mi colpì l’entusiasmo pressoché unanime di contestatori e contestati, di anticonformisti e conformisti (in effetti l'interesse per l'allunaggio fu un qualcosa di molto trasversale in un'epoca di forti contrapposizioni ideologiche, al confronto delle quali quelle odierne fanno ridere...ndr). Alcuni anni prima, non so quale imbecille, dopo aver elencato dal piccolo schermo le “eccelse” mete a cui scienza e tecnologia ci avrebbero permesso di accedere entro tempi brevi, concluse osservando: «Ora si tratta di stabilire se l’uomo dovrà accettare di rimanere un piccolo uomo in un grande universo, o se sceglierà di essere un grande uomo in un piccolo universo». Quale bestialità! Qualunque persona, dotata di un minimo di capacità filosofica, può benissimo comprendere come la conoscenza universale non possa essere racchiusa entro le categorie quantitative del “grande” o “piccolo”; ridurre la conoscenza entro tali angusti confini equivale alla pretesa di svuotare l’oceano con un ditale,rinnegando l’unica vera Conoscenza, per la quale solo l’Assoluto conosce l’Assoluto. Non si tratta quindi di “diventare” questo o quello, bensì di svelare l’Essere che si È. Basta la semplice logica per far cadere la prosopopea acefala dello scientismo moderno. Ma siamo nell’Era Oscura: al toro del Dharma è rimasta una sola zampa sana e l’intelligenza degli uomini si è ridotta di tre quarti; le facoltà intellettuali si sono talmente atrofizzate da indurre i più a scambiare il peggiore tra gli inferni come un paradiso e la decadenza estrema come progresso ed evoluzione. L’uomo fisico è costituito di aria, acqua, terra, fuoco ed etere ed è vincolato alla Terra che lo nutre col suo cibo. Per tale uomo la Terra rappresenta lo “stato dell’Essere” imprescindibile, al quale appartiene. Violentare una simile realtà significa produrre una tecnologia tanto sofisticata quanto effimera, dagli effetti collaterali devastanti per la vita sul pianeta

Sono perfettamente d'accordo sulla questione degli scempi che oggi stiamo facendo, come anche che stiamo entrando in un'era molto oscura (illuminismo e positivismo appartengono ad un passato in cui si sperava per l'umanità in un po' più di razionalità). Ma se gli scempi sono colpa di una tecnologia e di un benessere arrivati prima di una coscienza ambientale, l'età molto oscura è proprio quella in cui ci vorrebbero ricacciare alcuni filosofastri del genere qui sopra. 

Io francamente preferisco la mia inquinata Terra ma dove grazie a Scienza e Tecnologia si vive più a lungo e meglio... o forse era meglio la “bella civiltà contadina di un tempo” dove la gente faceva figli come conigli, dei quali figli molti morivano entro 2 anni dalla nascita o erano costretti a prendere i voti religiosi per sopravvivere? Un periodo in cui una persona di 50 anni era già vecchio? Poi qualcuno gli dovrebbe spiegare che nel corpo umano di acqua ce n'è,ma che la sua divisione degli elementi è stata un pochetto modificata dalla Scienza.... 

E veniamo al mio amico Popinga che su Facebook riporta una considerazione di Oriana Fallaci. La riprendo in toto. 
Il trentanovenne Neil Armstrong, che in italiano vuol dire Braccioforte, ha un nome non gli si addice, soprattutto per via della faccia che è dominata da un nasino all’insù, dispettoso, e da una bocca a salvadanaio, maligna, dove il labbro superiore è invisibile perché troppo sottile. Le guance sono infantili, rotonde. Gli occhi sono piccoli, azzurri, e di rado si piantano con decisione nei tuoi. La pelle è rosea, lentigginosa. I capelli, color biondo carota, cortissimi. E anche se scendi al corpo che è lungo, irrobustito da faticosi esercizi in palestra, concludi che il tutto è decisamente antipatico. 

Io, quando lo conobbi cinque anni fa, me ne sentii respinta e molta gente m’ha detto d’aver provato la medesima cosa. Anche a causa della sua timidezza che è enorme e che egli combatte con l’arroganza. Per un nulla arrossisce, vampate di calore gli salgono dal collo alle tempie dove le vene si gonfiano in cordoncini paonazzi, e ogni volta che questo avviene Neil Armstrong si arrabbia e più si arrabbia più diventa sgarbato. Allora, per rimediare, sorride. Ma è un sorriso così smarrito, così sforzato, che riesce solo a complicare le cose, ad aumentare il suo imbarazzo che si traduce in una voce stridula come la voce di una donna bizzosa. V’è un che di femmineo, in Neil Armstrong. Di indifeso, di debole. 

Dichiara un suo amico: «Certo che gli piacciono le donne. Ma la sua unica donna è sua moglie. Dove trovò il coraggio di averla? Non lo trovò, fu Janet a conquistarlo. Janet ha un temperamento virile». Tale premessa non deve trarti in inganno, indurti a credere che Neil Armstrong nasconda una qualsiasi dolcezza. Chiunque te lo descriverà come «a cold, calculating guy. Un tipo freddo, calcolatore». Il suo modo di pensare e di vivere è rigido quanto una operazione aritmetica, tutto in lui è calcolato come dentro un computer e fra i cinquantadue astronauti americani è colui che più di ogni altro possiede le virtù del robot. Vale a dire assenza di passioni, ordine e legge, controllo, nessuna fantasia. 

Se l’umanità del futuro sarà un esercito disciplinato di creature asettiche, cervelli elettronici, Neil Armstrong è già il futuro. Niente lo interessa fuorché volare, conoscere le macchine che servono a volare. Niente lo seduce fuorché la tecnica necessaria ad andare sulla Luna, e la Luna stessa per lui non è che uno strumento per applicare quella tecnica. Apprenderai dalla sua biografia che imparò a guidare l’aereo prima dell’automobile, che si laureò molto presto in ingegneria aeronautica, che divenne subito pilota collaudatore e che all’infuori di ciò non fece mai altro. Non lesse mai un romanzo o una poesia,non ammirò mai un quadro, non andò mai a un concerto, non si formòmmai un’idea politica, non trasse mai piacere da qualcosa che non fosse un’elica o un reattore. Il suo unico hobby, quello cui dedica ogni domenica, ogni vacanza, sai qual è? Il volo planato. Sicché parlare con lui è una sofferenza che sfiora l’incubo. Io, che l’ho visto più volte in questi anni, non sono mai riuscita a stabilire con lui un contatto che assomigliasse a un contatto umano, a farlo mai indulgere a un attimo di cordialità, di curiosità, di calore ,ammenoché non pronunciassi le parole Mercury, Gemini’, Apollo, LM. 

Immagino che Armstrong non si scusò con la Fallaci perchè non lesse mai un romanzo o una poesia, non ammirò mai un quadro, non andò mai a un concerto, non si formò mai un’idea politica, non trasse mai piacere da qualcosa che non fosse un’elica o un reattore (ma sarà vero?, non lo so...) Si vede anche in questo la superiorità di cui si sentono armati i letterati. 
Perchè diavolo alla Oriana le dava noia che qualcuno provi piacere con la tecnologia del volo? Ci si affranca dallo stato di bestie brutali solo con la filosofia e con i romanzi? 

Ma ancora più divertente ed esemplificativo è il commento a questo post da parte di un amico di Popinga: Scusate, ma a me è piaciuto proprio tanto e temo che sia stato pure verissimo - inutile dire che alla luna della NASA preferiamo quella dei poeti. Certo, per occuparsi di scoprire tutto ciò in un Neil Armstrong qualsiasi, occorrevano gli occhioni della Fallaci; e un ego smisurato e prepotente che permettesse di piantargli le pupille nelle pupille da lasciarlo nudo sull'orlo del precipizio. Non che ci voglia molto, peraltro, con i soggetti così, se non ci si picca di immotivata soggezione. Non lo conosco abbastanza da giudicare per un verso o per l'altro e,sinceramente, tendo a pensarlo come un meccanismo della macchina del potere, che di solito ha bisogno di cervelli programmabili e prevedibili: avevano bisogno di un incosciente coraggioso e motivato, come quando si va alla guerra. Incoscienti che troppo spesso ci si affanna a definire eroi eccellenti. O Asperger, se intervengono psichiatri altrettanto zelanti. 

Simpatico il discorso e soprattutto il concetto iniziale. Per cui ho chiesto di specificare se quando dice che PREFERIAMO la luna di poeti a quella della NASA si da del plurale maiestatis o e' convinto di parlare per l'umanita'? E in caso affermativo l'ho pregato di contare almeno una eccezione (ne è stata registrata immediatamente una seconda) 

Trovo questo atteggiamento degli umanisti semplicemente arrogante (siamo NOI a decidere cosa sia bello e voi dovete darci retta), e a quanti si lamentano per lo spreco di risorse investite in missioni spaziali ed attività scientifiche in generale, rispondo, limitatamente all'Italia, che ci sarebbero soldi sprecati allora anche in tanti premi letterari,m mostre del cinema, fondazioni ed enti lirici. 
Sui quali però non ho mai sentito dire da parte dei soloni del “non si sprecano soldi per la scienza” che sono spese inutili anche queste...
Ah, a scanso di equivoci, visto che ho citato quei pozzi senza fondo che sono gli enti lirici (o come si chiamano oggi), annoto che mentre rimettevo a punto questi appunti per dargli un volto leggibile ho ascoltato il Concerto Imperatore op.73 di Beethoven e la quarta sinfonia di Mahler, inframmezzati dalle musiche di scena per il Sogno di una notte di mezza estate di Mendelssohn... E che all'Opera ci vado volentieri.

Sapete... chi parla di Scienza e ne vede la poesia, trova gusto a studiare la Natura, ma riesce anche ad ascoltare musica, leggere la Divina Commedia o una elegia di un poeta latino o visitare una mostra d'arte. 
Se succedesse anche il contrario ci sarebbero meno no-tav, meno proteste contro gli inceneritori, meno idiozie scritte su terremoti e meno fans di apprendisti stregoni millantatori di previsioni sismiche tipo Giuliani, che nel popolo dei letterati abbondano...