lunedì 8 agosto 2022

La paleosuperficie appenninica: quando al posto delle superbe montagne di oggi l'Appennino centrale era formato da basse collinette


I massicci dell’Appennino centrale sorpassano spesso i 2000 metri, mentre nel resto della catena solo il Pollino al sud e qualche vetta isolata tra Toscana settentrionale ed Emilia passano questa altitudine. La cosa impressionante in quest’area al centro della penisola è la costante presenza di aree a quota elevata anche nelle pianure intermontane (per esempio la conca del Fucino è a quasi 700 metri di quota, quella dell’Aquila a 600). Inoltre molti di questi massicci presentano una cima formata da altipiani circondati da pendii molto ripidi. Questa straordinaria morfologia è causata da un violento sollevamento iniziato appena 700.000 anni fa, sollevamento che è ancora in corso.

il lago di Pilato, all'interno del massiccio del Monte Vettore
IL SOLLEVAMENTO RECENTE DELL’APPENNINO. Un occhio geologicamente attento capisce che questo paesaggio rappresenta l’effetto di un brusco sollevamento, grazie al quale un’area quasi pianeggiante o quantomeno dal rilievo non particolarmente energico è stato trasformato in questo fantastico mondo di maestosi massicci carbonatici circondati da valli circondate da pendii estremamente acclivi (spesso molto strette e profonde) inframmezzati da alcune conche importanti (Colfiorito, Castelluccio, Norcia, Rieti, L’Aquila, Fucino): le creste, ma soprattutto gli altipiani sulle cime dei massicci rappresentano appunto le tracce di quel vecchio paesaggio noto in letteratura scientifica come “paleosuperficie appenninica” (Coltorti e Pieruccini, 2000).
La sismicità attuale dell’area non è dovuta a un regime compressivo, bensì ad un regime estensionale connesso all’allontanamento dei due blocchi che dividono longitudinalmente l’Italia peninsulare in due parti, il cui confine passa proprio all’incirca nel cuore della catena appenninica (Farolfi, Piombino e Catani, 2019); la maggior parte delle pareti ripide che circondano i massicci sono impostate su grandi faglie estensionali, molte delle quali sono ancora attive, come purtroppo la storia anche recente e i lavori di paleosismologia ci hanno insegnato.

FORMAZIONE ED EROSIONE DELLA VECCHIA CATENA NEOGENICA. Nel Pliocene inferiore, fra 5,3 e 3,5 milioni di anni fa, la collisione fra la placca adriatica e quella europea ha formato nel lato occidentale della catena le pieghe e i sovrascorrimenti di diverse unità una sull’altra, in particolare delle serie carbonatiche mesozoico – terziarie e delle serie arenacee più antiche (quelle del terziario inferiore): particolarmente spettacolare è al proposito il versante orientale dei Monti Sibillini, dove la base del sovrascorrimento dei calcari mesozoici molto permeabili sulle arenarie del flysch della Laga, molto meno permeabili, è contrassegnata da una linea di sorgenti. Contemporaneamente nel lato orientale della catena si sedimentavano le ultime turbiditi e i sedimenti di mare poco profondo del gruppo delle argille azzurre. Finita la fase compressiva, a poco a poco l’erosione ha demolito i rilievi che si erano creati. Questo processo si è svolto durante due fasi, una nel tardo Pliocene e la maggior parte del Pleistocene contraddistinta da un clima caldo e umido, a cui è seguita una fase molto più fresca e secca a partire da circa 900.000 anni fa, conseguente all’inizio vero e proprio della glaciazione quaternaria.

IL NUOVO REGIME TETTONICO. Le cose cambiarono circa 700.000 anni fa, quando nel quadro di riassetto della geodinamica italiana, la Calabria ha cessato la sua deriva verso SE e quindi si è conclusa l’apertura del Tirreno sudoccidentale, in particolare del bacino del Marsili (Rosembaum e Lister, 2004) e contemporaneamente è iniziato il sollevamento che continua ancora adesso in buona parte della penisola italiana, dividendo l’Appennino centrale in una serie di blocchi, in ciascuno dei quali la vecchia paleosuperficie si trova ad una diversa altezza.

LA DETERMINAZIONE PRECISA DEL SOLLEVAMENTO ATTUALE. Negli ultimi decenni molti ricercatori hanno usato i dati degli spostamenti delle stazioni GPS per capire i movimenti superficiali della crosta terrestre (per esempio: Farolfi e Delventisette, 2015) ma le stazioni di questo tipo sono poche (ad esempio qualche centinaio in tutta Italia) perché vanno allestite specificamente; le immagini radar invece ottengono i dati sui movimenti di milioni di punti nel territorio già esistenti. 
il sollevamento del duomo abruzzese 
(da Farolfi et al 2019)
Nel 2019 grazie ad un nuovo algoritmo escogitato dal mio amico Gregorio Farolfi che ha armonizzato i dati radar satellitari con quelli GPS, abbiamo applicato a grande scala i dati ricavati da queste immagini, e siamo così riusciti ad ottenere una fotografia a scala molto fine degli spostamenti tettonici attuali in Italia tramite le immagini dei satelliti RADAR dell’Agenzia Spaziale Europea ERS 1, ERS 2 e ENVISAT, che offrono una copertura continua fra il 1993 e il 2011 (Farolfi, Piombino e Catani 2019); abbiamo potuto addirittura vedere i confini precisi di aree che si muovono diversamente in direzione E-W e in verticale (i satelliti sono in orbita polare e quindi non riescono a fornire dati sui movimenti N-S). Ne ho parlato qui.
Cosa abbiamo visto nell’Appennino centrale? Innanzitutto confermando i dati delle stazioni GPS, tutta la catena – e specialmente la sua parte centrale – è in sollevamento. In particolare i valori maggiori del tasso di sollevamento li troviamo in quello che abbiamo chiamato “Duomo abruzzese, che oltretutto è non casualmente l’area dove le altezze delle montagne sono maggiori. Questa terminologia è stata adottata in analogia a due aree alpine con caratteristiche di sollevamento simili, che si vedono nella carta presa dal nostro articolo: il duomo delle Alpi Pennine e quello delle Alpi Retiche, che anche in quei casi sono le aree a quota media più alta di tutta la catena alpina.
Inoltre è interessante vedere che l’area del bacino dell’Aterno si solleva maggiormente rispetto a quella del bacino del Tronto e questo si riflette in particolare sul reticolo fluviale, con il Tronto che sta catturando a mano a mano aste fluviali che prima erano nel bacino dell'Aterno.
Un altro aspetto interessante e ottenibile solo con un numero di punti di riferimento enorme (non era possibile farlo con i sensori GPS) è che aree a diverso tasso di sollevamento sono limitate da importanti linee tettoniche: ad esempio il limite settentrionale del duomo abruzzese (quello con la parte più a nord di esso dell’Appennino centrale) corrisponde alla linea Olevano – Antrodoco e il suo limite meridionale al bordo NW della fascia Ortona – Roccamonfina, che divide l’Appennino centrale da quello meridionale.

MA PERCHÈ L’APPENNINO SI STA SOLLEVANDO? Vediamo alcune ipotesi sul perchè di questo sollevamento. 

Il sollevmento della Scandinavia
a causa della deglaciazione (fonte:EGMS)
a. SOLLEVAMENTO ISOSTATICO PER DEGLACIAZIONE. L’esempio più classico di sollevamento attuale è la Scandinavia: 11.000 anni fa si è sciolta la calotta polare spessa anche diversi km che la ricopriva. È l’isostasia, ben visibile anche oggi con i dati satellitari InSAR del Ground Motion Service europeo (EGMS): la crosta si sta comportando come una nave che quando viene scaricata si solleva rispetto alla linea di galleggiamento.
Durante i vari massimi glaciali dell’ultimo milione di anni, anche nell’Appennino centrale le vette più alte erano coperte dai ghiacciai (lo dimostrano i circhi glaciali ancora ben evidenti). Allora, il sollevamento attuale può essere dovuto alla scomparsa dei ghiacci? No, perché lo spessore della calotta era molto ridotto – poche centinaia di metri al massimo rispetto ai diversi km di quella scandinava – e la copertura era tutt’altro che continua. Inoltre il fenomeno è iniziato ben prima della fine dell’ultima era glaciale; anzi, era in atto anche durante le fasi glaciali ed è continuato indipendentemente dalle fasi di avanzamento e arretramento dei ghiacciai. Quindi la deglaciazione non può essere la causa del fenomeno.

b. SOLLEVAMENTO ISOSTATICO PER EROSIONE. Un altro motivo per cui molte catene montuose presentano un innalzamento con valori paragonabili a quelli dell’Appennino centrale è l’erosione che le alleggerisce: anche in questo caso il paragone con la nave che si scarica regge, ma se fosse un effetto dell’erosione che ha provocato la formazione della paleosuperficie, con il tempo ci dovrebbe essere stato un rallentamento del fenomeno e invece non è così. Inoltre analisi che hanno confrontato i dati GPS con quelli gravimetrici confermano che il sollevamento non è dovuto alla erosione (Hammond e D’Agostino, in stampa). A questo dobbiamo aggiungere un altro aspetto: raffinati modelli numerici indicano che il sollevamento della Scandinavia avrebbe dovuto produrre un abbassamento a latitudini come la nostra (Serpelloni et al., 2013).
Quindi il rimbalzo isostatico non è una ipotesi che funziona (insomma, non è che la “nave” Appenninnica si sollevi perché perde il carico) e vanno ricercate altre cause; un aspetto che risalta agli occhi dei geologi è proprio la coincidenza tra inizio del sollevamento e la brusca modifica del quadro geodinamico di 700.000 anni fa. 

c. SOLLEVAMENTO DOVUTO ALLA DINAMICA DEL MANTELLO TERRESTRE. Oggi le velocità delle onde P e la sismicità profonda dimostrano la presenza di crosta della placca adriatica in subduzione sotto l’Appennino centrale e sotto l'Appennino meridionale. Sotto quello centrale non si vede nulla del genere, ma solo due croste un po' diverse tra il lato tirrenico e quello adriatico, con quella adriatica decisamente più spessa (30÷35 km, contro i 20÷25 del lato tirrenico). Inoltre, andando più in profondità, sotto l’Appennino centrale si trova una anomalia delle velocità delle onde sismiche che viene interpretata con la presenza di materiale di mantello in risalita. Tale risalita di materiale profondo sarebbe alla base (a) del sollevamento della catena, (b) delle importanti emissioni di CO2 (Chiodini et al 2013) e (c) della diffusa presenza di piccole aree vulcaniche recenti (Cupaiello, San Venanzio etc etc).


la zona di mantello in risalita che provoca l'innalzamento dell'Appennino Centrale
L'ipotesi più realistica quindi è che in questo quadro anche l’Appennino centrale abbia risentito degli effetti di questo stop e il motore sarebbe lo squilibrio nel mantello, che da quel momento ha iniziato a risalire.
Di conseguenza anche la crosta si è inarcata, formando i grandi sistemi di faglie paralleli fra loro e alla catena, quelli che provocano i terremoti più importanti.
Il tasso di sollevamento medio da allora è tra 0,6 e 0,8 millimetri all’anno secondo alcuni Autori, tra 1 e 2 mm secondo altri. Ma ci sono casi in cui è (o è stato) molto superiore (Galli e Galadini, 2000). Insieme al sollevamento è iniziata la messa in posto di alcune sporadiche rocce vulcaniche di origine molto profonda, la cosiddetta provincia ultrapotassica dell’Italia Centrale, contraddistinta da piccole masse tipo Cupaello, San Venanzio, Carsoli ed altre. In questo post ho parlato di come sia possibile che i terremoti del Matese del 2013/2014 siano dovuti a una risalita fino a pochi km dalla superficie di magmi di questo tipo (Di Luccio et al, 2018). 
Insomma, la nave dell'Appennino si solleva perché si solleva il mare sopra a cui si trova!

Da ultimo una osservazione: è vero che per l’effetto dei movimenti diversi fra il blocco occidentale e quello orientale nell’Appennino centrale i due blocchi si stanno allontanando fra loro, ma questo non significa che l’Italia si sta spaccando in due come qualcuno ha detto. Anche nelle Alpi sono successi fenomeni simili in passato: per esempio la faglia del Brennero e il tratto E-W della Valle d’Aosta corrispondono a situazioni simili, ma di durata breve (geologicamente parlando).


BIBLIOGRAFIA CITATA

Chiarabba e Chiodini (2013). Continental delamination and mantle dynamics drive topography, extension and fluid discharge in the Apennines. Geology, 41, 715-718. 

Chiodini et al  (2013). Advective heat transport associated with regional Earth degassing in central Apennine (Italy). Earth Planet. Sci. Let., 373, 65-74. 


Coltorti e Pieruccini (2000) A late Lower Pliocene planation surface across the Italian Peninsula: a key tool in neotectonic studies journal of Geodynamics 29 (2000) 323±328

Di Luccio et al. (2018) Seismic signature of active intrusions in mountain chains Sci. Adv. 2018; 4 : e1701825

Galli e Galadini (2000) Active Tectonics in the Central Apennines (Italy) – Input Data for Seismic Hazard Assessment Natural Hazards 22: 225–270,

Farolfi e Del Ventisette (2015) Contemporary crustal velocity field in Alpine Mediterranean area of Italy from new geodetic data. GPS Solut. 2015, 20, 715–722.

Farolfi, Piombino e Catani (2019) Fusion of GNSS and Satellite Radar Interferometry: Determination of 3D Fine-Scale Map of Present-Day Surface Displacements in Italy as Expressions of Geodynamic Processes Remote Sens. 2019, 11, 394; doi:10.3390/rs11040394

Hammond and D’Agostino (2020) GPS Imaging of Mantle Flow-Driven Uplift of the Apennines, Italy in press.

Rosenbaum e Lister (2004) Formation of arcuate orogenic belts in the western Mediterranean region. Geol. Soc. Am. Spec. Pap. 2004, 383, 41–56.

Serpelloni et al (2013). Vertical GPS ground motion rates in the Euro-Mediterranean region: New evidence of velocity gradients at different spatial scales along the Nubia-Eurasia plate boundary. J. Geophys. Res., 118, https://doi.org/10.1002/2013JB010102.