martedì 22 aprile 2008

Atlantide !

Le ricerche che ho svolto per il post precedente sul terremoto di Lisbona mi hanno portato su un terreno “minato”: Atlantide.
Tra i 24 lettori di manzoniana memoria di questo blog, chi mi conosce personalmente potrà stupirsi se mi avventuro su un argomento del genere. Ma la scienza secondo me ha molto da dire, tantochè qualche anno fa si è addirittura svolto un simposio sull'argomento.
E' molto difficile, navigando in Rete, trovare qualcosa di serio al proposito. Da qualche parte ho persino letto dI “evidenze geologiche di un collegamento recente fra America ed Europa” che “giustificano la presenza di un continente in mezzo all'Atlantico”.
Roba da ricovero alla neurodeliri, come i collegamenti fra le piramidi egizie e quelle centroamericane (di oltre 3000 anni posteriori), l'alone di mistero (incoraggiato soprattutto da chi scrive i libri sull'argomento...) o l'assonanza fra atlantide e tutte le parole mesoamericane che usano le consonanti tl unite seguite da “an” (mazatlan, tenochtitlan etc etc) che non considerano la differenza di età né hanno riferimenti sulla traslitterazione di quei suoni nel nostro alfabeto.
Un fulgido esempio di quanto tempo sia stato sprecato per strane elucubrazioni su Atlantide si trovi su Archeo Sciences di Salvatore Poma: certo questo dell'Atlantide, come dicevamo in principio, è un mistero. La prova palmare sarà sempre difficilmente ottenuta. E il mistero si presenta alle nostre menti per fede e per tale via le nutre secondo particolari suoi atteggiamenti e con risoluzioni sconosciute alla cognizione scientifica e aperta.
Non ho parole...... Sarò fuori moda ma secondo me il metodo scientifico è ancora quello valido... e non mi sento uno degli ultimi superstiti della tribù degli illuministi o di quella dei positivisti...
Annoto che spesso c'è una relazione fra chi avanza un'ipotesi su una localizzazione della misteriosa civiltà e il luogo dove vive: ne deduco che avere Atlantide nel proprio territorio sia un grande onore. Pertanto un francese che mette Atlantide in un'altra nazione, conoscendo lo sciovinismo tipico dei cugini transalpini, è roba grossa: Marc-Andrè Gutscher, geologo francese, localizza Atlantide sullo Spartel Bank, una zona a bassa profondità davanti al Marocco che forse fino a 12000 anni fa, quando il livello marino era molto più basso di oggi, era davvero emersa. Peccato che quella età, proposta nel Crizia da Platone sia una datazione impossibile su base antropologia e archeologica. Gutscher asserisce addirittura di aver trovato i sedimenti depositati dallo tsunami. Credo che in seguito il geologo francese si sia reso conto dell'errore commesso, dimostrandosi una volta di più una persona seria, anche se i suoi studi sono sempre molto preziosi per la cronologia dei paleo terremoti della zona.
Nel racconto di Platone ci sono molte cose che vanno dall'impossibile al fantasioso. Come accennato, la datazione è sicuramente sbagliata: all'epoca indicata l'umanità era ancora allo stadio dei cacciatori – raccoglitori e quindi non potevano esistere società complesse, città, navi, allevamento di animali, uso del bronzo, ponti e acquedotti, Alla base dell'errore ci potrebbe essere una confusione fra mesi e anni, con ciò riducendo di 12 volte il tempo trascorso tra l'evento e il momento in cui i sacerdoti egizi ne parlarono a Solone presumibilmente attorno al 600 AC. Un linguista,Georgeos Diaz-Montexano, sostiene invece che in Egitto ci fosse poca differenza nella pronuncia delle migliaia e delle centinaia, pertanto uno straniero potrebbe aver capito migliaia di anni al posto di centinaia. Un problema simile si incontra sulla Bibbia: secondo il libro della Genesi i patriarchi avrebbero vissuto centinaia di anni ciascuno.
La soluzione migliore è che l'evento sia da collocare fra il 1800 e il 1500 AC (e quindi ampiamente successivo alla costruzione delle piramidi, tanto per dirne una).
Un altro aspetto quantomeno curioso è che gli Ateniesi vengano a sapere dagli egiziani di aver combattuto centinaia di anni prima una guerra di cui non c'era accenno nella loro memoria storica. Colpisce anche la ciclopicità delle costruzioni, un po' improbabile. Qualcuno, leggendo dei cerchi concentrici, accenna a Stonehenge (manco a dirlo...). Detto questo, nel racconto ci sono anche delle indicazioni interessanti che lo rendono credibile. La prima è la localizzazione “al di là delle colonne d'Ercole” (lo stretto di Gibilterra). Platone ambienta la storia proprio nella zona del mondo conosciuto all'epoca in cui sono piuttosto frequenti terremoti accompagnati da tsunami (frequenti nel senso geologico del termine: non è certo una zona che nella percezione comune abbia fama di essere particolarmente sismica...). Di più: se io dovessi scegliere dove ambientare un simile evento, beh, sceglierei proprio il golfo di Cadice.... Sarà proprio un caso?
Uno tsunami si può formare per un terremoto che sposta il fondo marino (il meccanismo più noto), per una frana sottomarina, innescata da un terremoto o no, per un vulcano che esplode posto in un'isola (esempi Santorini e Krakatoa) o per il collasso verso il mare del fianco di un vulcano. Ricordo che nel Mediterraneo dell'antichità ci sono stati almeno due tsunami di dimensioni gigantesche causati da vulcani e che hanno lasciato poche tracce storiche il primo, nessuna il secondo: quello dovuto all'esplosione di Santorini (1638 AC) e quello dovuto al collasso del fianco orientale dell'Etna, circa 8000 anni fa. Mi ero ripromesso di parlare dello tsunami etneo, ma sull'argomento c'è un eccellente articolo di Ignazio Burgio, catanese e quindi comprensibilmente interessato al problema, a cui rimando per chi volesse approfondire l'argomento: http://www.cataniacultura.com/120TSUNAMI.HTM )
Il racconto di Platone fa pensare che si sia trattato di un sisma gemello di quelli del 1775, 1531 e di quello che colpì proprio Cadice nel 218 AC. Correttamente, tra la scossa e lo tsunami sarebbe passato un po' di tempo. Difficile che sia stato provocato da un vulcano, sia perchè non sarebbe molto spiegabile un contemporaneo terremoto, sia perchè non sono note in quel periodo né esplosioni, né grossi collassi dei fianchi vulcanici nelle Azzorre o a Madeira, come invece è successo per l'Etna o per Santorini. In quanto a frane sottomarine, non mi pare che ci siano condizioni adatte nell'area, anche se un terremoto di dimensioni più modeste di quelli citati potrebbe averne prodotta una (e di qui lo tsunami).
Ma dove, nel mare ad ovest delle Colonne d'Ercole era collocata Atlantide? Osservando con attenzione le coste (una localizzazione a largo mi pare molto difficile), fra le pochissime isole che ci sono, quelle più interessanti sono nei dintorni della foce del Guadalquivir.
E infatti Rainer Kuhne, uno storico germanico, pone Atlantide proprio alla foce di questo fiume, davanti all'odierna città di Cadice (Gadir in fenicio), che è costruita anch'essa, praticamente, su un'isola. E' una ambientazione interessante: il nome coincide incredibilmente con Gadiro, uno dei nomi citati da Platone: sarebbe il secondogenito della prima coppia di gemelli nati dall'unione di Poseidone e Clito (il primo era Atlantico). La zona è soggetta agli tsunami, nella laguna si possono formare isole abbastanza grandi ma in qualche modo ben sommergibili dalle onde e soggette per loro natura a modifiche di forma, dimensioni e localizzazione. Per quanto riguarda la rete di canali così come sono stati descritti, su un'isola sabbiosa sarebbe stato relativamente facile disegnarli e metterli in opera. Una Venezia iberica, quindi. Da ultimo annotiamo la presenza di miniere nelle montagne circostanti.
E' facile che un terremoto così abbia avuto l'effetto di abbassare tutta la zona al punto di impedire la ricostruzione della città nello stesso sito.
La presenza di una sorgente calda e di una fredda è correlabile a fenomeni legati ai vulcani di fango che sono presenti e diffusi nel golfo di Cadice.
Per quanto riguarda la guerra, gli indizi portano a un conflitto fra le popolazioni locali e i fenici (che avevano l'obbiettivo di stabilire colonie) oppure genti appartenenti alla civiltà minoica (soluzione interessante: i sacerdoti egizi potrebbero semplicemente aver confuso gli ateniesi per altri greci). La civiltà minoica è più indicata anche per la data proposta.
Certo, è indubbiamente comodo prendere il racconto solo dove serve e respingere il resto come fantasia o esagerazione, ma sono convinto che in tutto questo un barlume di verità debba per forza esserci: diversi indizi non fanno una prova (la prova sarebbe unicamente il ritrovamento delle rovine di una città!), però il racconto di Platone fa davvero pensare che un terremoto e uno tsunami abbiano colpito, distruggendolo, un insediamento fortificato e che questo fatto sia avvenuto vicino all'odierna Cadice.

giovedì 17 aprile 2008

Quando un terremoto è capace di rimettere in movimento una vecchia faglia: il caso di Lisbona del 1755


Tra il Marocco e la parte meridionale della penisola iberica i teremoti non sono infrequenti (e spesso sono costati molto cari anche in termini di vittime umane). Nell'Atlantico ad ovest di Gibilterra il confine fra la zolla euroasiatica e quella africana costituisce una fascia sismica dalla vivace attività. Ma difficilmente le cronache sismiche si occupano del Portogallo. Eppure nel 1755 Lisbona è stata distrutta da un violento terremoto che non è stato il primo a colpire la capitale lusitana
Comunemente chiamato “terremoto di Lisbona” perchè distrusse, anche in “collaborazione” con il conseguente incendio e lo tsunami, la città portoghese, è stato uno dei 10 più forti terremoti degli ultimi 500 anni e presenta alcune stranezze.
Le distruzioni riguardarono tutto il Portogallo meridionale, parte della Spagna e l'Africa settentrionale dal Marocco fino addirittura ad Algeri. La violenza delle scosse fu tale che fu sentito in Francia, Italia e Germania. Piccole onde sull'acqua (le sesse) furono percepite persino in Finlandia. Se ne formarono persino nei laghi e nei fiumi, dalla Svizzera alla Scandinavia, alla Scozia: per esempio sembra ci fu un'onda alta più di un metro nel Loch Ness!!! Lo tsunami colpì tutte le coste atlantiche iberiche e nordafricane, ma anche le Azzorre e il Nordamerica.
La magnitudo rimane incerta, anche se superiore a 8,5 e forse anche a 9: basta confrontarlo con l'evento del 1969 avvenuto secondo molti Autori più o meno nella stessa zona, che oltre ad un risentimento molto inferiore provocò uno tsunami di dimensioni molto più ridotte, notato soltanto dalla strumentazione. Un evento quasi passato sotto silenzio, neanche minimamente confrontabile con il disastro del XVIII secolo, nonostante una rispettabilissima magnitudo (7,9!).
Nella foto è indicata con un tratto rosso il confine fra la zolla euroasiatica e quella africana, lungo il quale – come detto – avvengono molti terremoti e che secondo molti Autori è la zona in cui si è prodotto il sisma del 1755, contrassegnato da una stella (il terremoto del 1969 è avvenuto pochi kilometri a nord). La localizzazione è stata dedotta sulla base del tempo trascorso fra la prima scossa e l'arrivo dello tsunami nelle varie ciottà colpite.
Un terremoto così forte ha tutte le caratteristiche per avere un piano di scorrimento suborizzontale, come nel caso di Sumatra 2004: questi eventi, per fortuna rari, nascono in un ambiente di scontro fra zolle e quindi c'è un problema: il limite fra le due zolle, considerato “trascorrente” (un limite in cui le due zolle scorrono l'una accanto all'altra) deve avere anche delle componenti compressive. Si ipotizza che la crosta dell'Atlantico si stia preparando per cominciare a scendere al di sotto della penisola iberica e del nordafrica con un nuovo piano di subduzione. Altri Autori collocano l'epicentro più ad est, verso la costa nel Golfo di Cadice, che ha molte caratteristiche di un braccio di mare posto davanti a una zona di compressione.
La geologia di questo settore è ancora, comunque, parzialmente irrisolta.
La catastrofe del 1755 è stata abbondantemente studiata e presenta alcune anomalie. A Lisbona sono state sentite 3 scosse importanti, tra il settore di Lisbona e quello meridionale iberico sono state notate grosse differenze nella distribuzione delle repliche nel tempo e nello spazio e, cosa abbastanza sconcertante, è stato notato un forte innalzamento dei danni nell'area della capitale lusitana, anche rispetto ad aree più vicine all'epicento.
Ci sono notizie certe che quello del 1755 non sia stato il solo terremoto accompagnato da tsunami a colpire Lisbona. Ne avvenne uno anche due secoli prima, nel 1531 (secondo alcuni autori è stato addirittura più violento), che come per il 1755, è stato sentito in tutta l'Europa nordoccidentale. Le notizie sullo tsunami sono un po' confuse: qualche cronaca parla più di una generica “tempesta” che era in atto. Per questo se la maggior parte degli studiosi ne colloca l'epicentro nella stessa zona di quello del 1755 (e correlando i due eventi), ci sono alcuni autori che lo collocano nel mare davanti alla foce del Tago e rigettano l'ipotesi dello tsunami. Ma se fosse stato così non ci sarebbero notizie, neanche frammentarie, su uno tsunami che avrebbe colpito in quel momento le coste dell'Africa settentrionale.
Escludendo una locale amplificazione delle onde sismiche, sembra che delle tre scosse principali del 1755 almeno una dovrebbe avere l'epicentro in zona e non a centinaia di kilometri di distanza, dove si è originata la rottura principale. Quindi il terremoto principale e soprattutto la deformazione indotta dall'evento avrebbero rimesso in moto violentemente una faglia esistente in zona. Ma siamo ben all'interno di una zolla (al limite, eventualmente, fra crosta oceanica e crosta continentale) e la teoria ci dice che terremoti, specialmente violenti, si scatenano difficilmente all'interno di una zolla.
Gli studi hanno dimostrato che a Lisbona esiste davvero una faglia importante: la parte finale del Tago segue la “faglia del basso Tago”, che più di 200 milioni di anni fa era importante come adesso la californiana “Faglia di San Andreas”. Questa linea, passata la sua vechia funzione, ha continuato a “funzionare” in qualche modo perchè è una zona di debolezza che quindi muovendosi assorbe il campo di deformazione all'interno di una zolla e ha guidato la storia della regione da allora fino ad oggi, a cominciare dal periodo della apertura dell'Oceano Atlantico. Che sia in qualche modo attiva ancora ai nostri giorni lo dimostano le deformazioni molto recenti che interessano sedimenti che hanno poche migliaia di anni.
Quindi è altamente probabile che gli eventi del 1531 e del 1755 abbiano impresso sulla penisola iberica uno sforzo talmente grande da rimettere in movimento la faglia del Basso Tago.
Le lezioni principali che si traggono dai terremoti di Lisbona è che un sisma particolarmente intenso può influenzare il comportamento di una faglia posta ad una grande distanza e che le vecchie cicatrici della terra, una volta cessato il loro ruolo, possono rientrare in scena. La “Great Glen Fault” della Scozia, per esempio, è ancora sede di piccoli terremoti, eppure si è fermata ormai oltre 300 milini di anni fa.
Anche in Italia ne abbiamo un esempio, la “linea delle Giudicarie” che dal lago di Garda va verso nord e raggiunge l'Alto Adige. Lungo questa linea, che ha avuto un grande ruolo durante l'orogenesi alpina nel cenozoico, avvengono ancora dei terremoti perchè è un punto di debolezza lungo il quale si può ridistribuire il campo di sforzi regionale (Salò è stata colpita da un terremoto lungo questa linea pochi anni fa).
C'è poi una considerazione finale: in Portogallo ci sono stati altri terremoti importanti e non correlabili agli eventi massicci del 1531 e del 1755, come quello del 1909 nella valle del Tago (sempre la solita faglia....). Ma se i due fossero “parenti” e dunque fossero eventi ricorrenti con una certa periodicità? Inseriamo nella lista l'evento del 1009 e uno di quelli del XIV secolo, per esempio il 1344 (attenzione, lo faccio senza avere le prove che siano correlati......). Otteniamo una distanza fra gli eventi di 336, 147 e 244 anni. Dal 1755 sono trascorsi poco più di 250 anni. Credo che si ponga urgentemente il problema di una sorveglianza attenta della situazione: l'”Instituto Geografico Nacional” spagnolo censisce “almeno” 24 tsunami a partire dal 218 AC (molti comunque localizzati nel mare di Alboran e non nell'Atlantico). Troppi eventi per fare finta di nulla.
Il terremoto del 1755 è stato comunque preceduto da variazioni nella portata delle sorgenti e, probabilmente, da dislocazioni che con i nuovi sistemi geodetici potrebbero essere rilevate.

venerdì 11 aprile 2008

La rana senza polmoni e l'importanza degli organi respiratori nella evoluzione dei vertebrati

Recentemente David Bickford, un biologo dell'Università di Singapore, era in cerca di una rana rarissima, di cui erano noti pochissimi esemplari. Trovata una popolazione di discrete dimensioni, lui e il suo team le hanno studiate ed è venuto fuori una cosa clamorosa: questa rana non ha i polmoni! Barbourula Kalimantanensis, questo è il nome della rana, è lunga meno di 5 centimetri, e vive nei ruscelli freddi e dalle acque veloci delle montagne del Borneo. Il suo parente più prossimo è una rana delle Filippine, regolarmente polmonata.
Da bambino rimasi molto impressionato quando lessi che se in qualche modo si ricopriva la pelle di una rana di un materiale impermeabile all'aria, il povero anfibio sarebbe morto, perchè i suoi polmoni sono così poco efficaci che la pelle è la responsabile di buona parte della respirazione (e soprattutto della eliminazione dell'anidride carbonica). Non ci si può stupire, allora, se fra i tetrapodi, cioè i vertebrati terrestri, esistano degli anfibi che non possedono polmoni. Fino ad oggi la loro mancanza era nota in una famiglia di salamandre, le Pletrodontide, diffuse nelle Americhe ma anche in Europa Occidentale ed in Sardegna, ed in una Cecilia (le Cecile sono anfibi che hanno perso anche gli arti, come i serpenti). Fino a pochi giorni non si conosceva nessuna rana così.
Gli anfibi usano quattro sistemi di respirazione: polmonare, branchiale, cutanea e buccofaringea che possono essere usati in varie combinazioni. Non stupisca questa variabilità: gli anfibi sono un gruppo molto versatile, con una vasta gamma di adattamenti: anche all'interno di una stessa famiglia, alcune specie vivono sia allo stadio larvale (girini) che adulto, altre si riproducono allo stadio larvale senza arrivare allo stadio adulto, altre nascono dall'uovo già come adulto.
Mi soffermo un attimo sulla respirazione buccofaringea, perchè credo sia poco nota: in pratica è un sistema in cui l'aria entra nella bocca dove avviene l'interscambio di gas con il sangue. Sembra sia nato come supporto alle branchie in condizioni di scarsa ossigenazione delle acque. Siccome in alcuni casi esiste proprio una “cavità buccofaringea” cieca e dedicata alla respirazione, la suppongo essere l'antenata della respirazione polmonare.
Oltre ad alcuni pesci, anche degli anfibi e almeno una tartaruga presentano la respirazione buccofaringea. Annotamo che fra le tartarughe ce n'è una, la australiana Rheodytes Leukops, che ha un altro sistema ancora di respirazione quantomeno singolare: quando è sommersa respira tramite delle sacche in cui viene pompata l'acqua. Vi chiederete cosa ci sia di strano. Vi accontento: l'acqua viene pompata nell'ano e le sacche sono nella parte finale della cloaca!
La storia della respirazione è anche la storia della colonizzazione delle terre emerse da parte di alcuni pesci. Riepilogando brevemente, ad eccezione degli squali, degli storioni e di poche altre specie, la maggior parte dei pesci è rappresentata dagli Attinopterigi (i pesci dalle pinne raggiate) che hanno antenati comuni con un gruppo attualmente molto ristretto: i Sarcopterigi (i pesci dalle pinne carnose), di cui fanno parte i Dipnoi, ancora ben diffusi, e i Crossopterigi, di cui gli ultimi rappresentanti sono i Celecantidi. I Crossopterigi adesso sono poca cosa, ma sono stati molto importanti nella storia dell'evoluzione: da un loro ramo sono nati i Ripidisti, gli antenati dei tetrapodi, i vertebrati delle terre emerse: anfibi, rettili, uccelli e mammiferi.
I Dipnoi possiedono i polmoni oltre alle branchie. Gli attinopterigi hanno un polmone regredito: la vescica natatoria. Da questo si deduce che gli antenati comuni di Sarcopterigi e Attinopterigi ad un certo punto vivevano in acque poco ossigenate e avevano imparato a trarre parte del loro fabbisogno di ossigeno dall'aria.
Il collegamento fra vescica natatoria e polmoni è anche dimostrato dal fatto che negli embrioni dei vertebrati una cavità si differenzia dall'esofago e diventa o i polmoni o la vescica natatoria. Ad ulteriore conferma la vescica di alcuni pesci molto primitivi delle acque dolci Nord Americane ha pareti alveolate e ripiegate e quindi svolge ancora funzioni respiratorie.
Ma cosa spinse sulla terraferma i crossopterigi? Prima si pensava che lo sviluppo degli arti fosse avvenuto per spostarsi da una pozza all'altra, come fanno ora i dipnoi, camminando sulle pinne. Invece pare che non sia andata così. Sembra strano, ma il motore fu la necessità di respirare vivendo in acque poco ossigenate. Per i primi tetrapodi quindi l'imperativo era soprattutto quello di respirare e probabilmente hanno imparato a farlo dalla pelle per avere qualche chance in più di sopravvivenza. Evidentemente questo non bastava più e la respirazione buccofaringea cominciò ad usare l'aria atmosferica al posto dell'acqua.
In pratica l'equazione tetrapode = animale terrestre è falsa: i primi tetrapodi erano ancora legati all'ambiente acquatico ma in qualche modo hanno incominciato a camminare sul fondo e assieme al collo, di cui i pesci sono privi, gli arti sono serviti soprattutto, all'inizio, per tenere la bocca fuori dall'acqua e respirare.
Quindi la conquista delle terre emerse è stata una conseguenza accessoria dell'evoluzione della respirazione. Succede spesso che un nuovo adattamento abbia delle conseguenze imprevedibili: guardiamo gli uccelli: non è che hanno quella struttura perchè volano, ma al contrario è stata la loro struttura a permettere dopo di volare (ad alcuni di loro: gli antenati degli struzzi ad esempio, non credo proprio abbiano mai volato). Il piumaggio, così ben sfruttato e adattato per il volo, all'inizio serviva solo per mantenere il calore corporeo e la leggerezza dello scheletro era fondamentale per correre. Inoltre, siccome i teropodi (i dinosauri carnivori) usavano ben poco gli arti anteriori, questi si sono facilmente liberati per fungere da ali.
In certe condizioni i polmoni sono un fastidio: mi riferisco a tutti i tetrapodi che vivono in acqua per la maggior parte del tempo (o per sempre) e che quindi come minimo hanno dovuto adeguare la forma delle narici. Ma sono necessari quasi per tutti: solo alcuni anfibi hanno potuto farne a meno grazie ad un sistema di respirazione alternativo.
Barbourula Kalimantanensis preferisce restare sommersa anziché nuotare e questo modo di vita è sicuramente meglio affrontabile senza la necessità di tornare in superifcie a respirare tramite i polmoni, sfruttando appieno l'ottima ossigenazione delle acque in cui vive. C'è anche un altro vantaggio: l'aria dentro i polmoni tenderebbe a far galleggiare l'animale, che invece, appunto, vuole starsene rintanato sul fondo.
La mancanza di polmoni ha plasmato il corpo dell'animale, che ha dovuto assumere una forma estremamente piatto per esporre all'aria la massima superficie possibile. E infatti Barbourula Kalimantanensis è la rana più piatta che ci sia. Sembra che anche le salamandre della famiglia delle pletrodontide abbiano perso i polmoni vivendo in un ambiente simile a quello di Barbourula Kalimantanensis, quindi in risposta agli stessi stimoli ambientali
Se quindi l'invenzione del polmone ha portato delle conseguenze che sono andate molto al di là della necessità di respirare nelle acque stagnanti di un delta fluviale, anche l'abbandono delle branchie come organo respiratorio ne ha permesso il riciclo in altri usi. Le branchie propriamente dette si sono trasformate nelle ghiandole paratiroidi: questo è stato dimostrato da Anthony Graham e Masataka Okabe del King's College di Londra: le ghiandole paratiroidi dei topi si sviluppano nell'embrione dallo stesso tipo di tessuto da cui nei pesci si sviluppano le branchie, e sono codificate dallo stesso gene. Inoltre nei pesci le branchie svolgono anche la funzione di regolazione del calcio, la stessa funzione, guarda caso, che svolgono le ghiandole paratiroidi. Gli opercoli sono diventati le aperture degli orecchi e alcune ossa del vecchio sistema branchiale hanno fornito il materiale per le loro ossa.
Quindi la presenza delle branchie è stata necessaria per la formazione degli organi auditivi ed è, alla fine, un altra conseguenza inaspettata del cambio del sistema di respirazione

venerdì 4 aprile 2008

Il Monte Marsili, un gigantesco vulcano nascosto dalle profondità del Mar Tirreno


E' opinione comune che l'Etna sia il più grande vulcano italiano (ed europeo) e che gli altri siano nettamente più piccoli. Ma cosa vuol dire “più grande”? Più voluminoso? Più alto? E se “più alto”, da dove: dalla base o rispetto al livello del mare?
Considerando l'altezza sul livello del mare l'Etna, con i suoi 3500 metri (circa e al momento in cui scrivo) è vincente alla grande, ma se consideriamo l'altezza dalla propria base, ad esempio, Stromboli fa la sua bella figura: alto quasi 1.000 metri sul livello del mare è circondato da acque piuttosto profonde, e quindi possiamo dire che la sua base sia posta a circa 2000 metri di profondità. Il che lo trasforma in un vulcano alto 3000 metri. Ma il rivale più duro per l'Etna è il Monte Marsili, nel Tirreno sudorientale.
I lati del mare Tirrenio pullulano letteralmente di vulcani attivi o che sono stati attivi fino a pochi milioni di anni fa. Fra Sardegna, Toscana, Lazio, Campania e le acque davanti a Calabria e Sicilia si estende una fascia di vulcani che circonda il bacino (le Eolie, di cui solo poche isole raggiungono la superfice, sono in realtà una catena di vulcani che si estende parallelamente alla costa dalla Calabria Settentrionale fino alla Sicilia nordoccidentale). Non tutti i vulcani sono conosciuti: addirittura una colata lavica sottomarina sarebbe la causa del danneggiamento di un cavo telefonico a nord di Palermo nel 2002 in una zona in cui non si conosceva l'esistenza di strutture del genere.
Di vulcani ce ne sono anche all'interno del bacino: la piana abissale tirrenica, a quasi 3500 metri di profondità è dominata da 3 vulcani, il Magnaghi, sicuramente spento, il Vavilov, con possibili tracce di attività recente ed il Marsili, che è sicuramente attivo e di cui si vede una ricostruzione nella foto.
La sua cima si trova circa una sessantina di kilometri a Nord della zona emersa delle Eolie, al centro del bacino omonimo. Il bacino del Marsili si è aperto negli ultimi due milioni di anni (che è più o meno anche la data dell'inizio della attività del vulcano) ed è caratterizzato da una crosta di tipo oceanico: una crosta pesante, formata essenzialmente da silicati di ferro e magnesio e spessa meno di 10 kilometri. E' anche un'area con un elevatissimo valore del flusso di calore dall'interno della Terra.
E' un classico esempio di “bacino di retroarco”, come quelli che bordano la costa pacifica dell'Asia. Si è formato a causa dello scorrimento della crosta ionica e africana sotto la Sicilia e la Calabria, che ha anche provocato la formazione dell'Arco Calabro e dei monti della Sicilia settentrionale.
Le lave del Marsili sono essenzialmente di composizione basaltica, quindi relativamente povere in silice. Vista l'età e il tipo di magma non possiamo stupirci quindi di essere davanti ad un vero colosso: un vulcano alto quasi 3000 metri, quindi meno dell'Etna, ma lungo 60 kilometri e largo almeno 30 e con i fianchi crivellati da crateri secondari. Una massa non indifferente, quindi, che ne fa di uno dei meno conosciuti il più esteso complesso vulcanico europeo.
Siccome c'era il fondato sospetto che il vulcano fosse attivo, nell'estate del 2006 è stato piazzato sulla sua cima, a 700 metri di profondità, un sismografo – idrofono completamente italiano nella concezione e costruzione (curata dal laboratorio di Gibilmanna del Centro Nazionale Terremoti).
Per nove giorni l'apparecchio ha registrato una intensa attività sismica locale tipica di un vulcano con eruzione in corso o in arrivo. Oltre ai classici tremori sismici, sono stati registrati degli eventi legati ad attività idrotermale, alcuni sismi particolari dei vulcani, i cosiddetti “eventi tornillo” (legati alle dinamiche dei gas contenuti nel magma) e un paio di segnali captati dall'idrofono riferibili a frane dovute probabilmente a lave o scorie che si erano fermate in posizione di equilibrio procaria.
Il tutto in appena 9 (lo ribadico in lettere maiuscole, NOVE) soli giorni di osservazione.
E' chiaro che avere sotto il mare di casa una struttura come questa dovrebbe quantomeno preoccupare un pò di più l'opinione pubblica che è invece non ne sa assolutamente nulla.
In particolare è molto importante aver rilevato delle probabili frane sottomarine, che se di grandi dimensioni possono provocare degli tsunami, come è successo per l'Etna 8000 anni fa.
Bisogna notare che il Vavilov, un'altro grande vulcano tirrenico al centro della altra grande piana abissale tirrenica, più antica di quella del Marsili, ha una forma strana, asimmetrica, con il versante occidentale molto più ripido di quello orientale. La cosa viene spiegata o con il collasso dell'edificio o, con una esplosione. Entrambi i fenomeni possono aver provocato uno tsunami.
E' statisticamente molto improbabile che nella nostra vita si possa assistere ad una esplosione del Marsili ed è leggermene meno improbabile assistere ad uno tsunami provocato da una frana lungo le sue pendici, ma è lo stesso auspicabile che venga messo sotto stretta sorveglianza sia sismica che geochimica, al pari degli altri vulcani attivi italiani.
Credo che sia necessario per la protezione civile e per la scienza, conoscere meglio uno dei più grandi vulcani europei e sarebbe giusto che venisse inserito nei testi scolastici al pari degli altri vulcani attivi del nostro territorio.