domenica 28 settembre 2014

Macalube in Italia e Ontake in Giappone: due esplosioni nello stesso giorno provocate da fenomeni geologici


Ieri giornata veramente devastante dal lato "esplosioni provocate da fenomeni geologici". Le Macalube sono un vulcano di fango, cioè un qualcosa che non c'entra niente con i vulcani e il magma, ma un qualcosa di intimamente connesso con la presenza di gas nel sottosuolo. Ontake invece è un classico e normalissimo vulcano giapponese, sia pure molto conosciuto in Patria. Cosa accomuna questi due disastri? La mancata previsione dell'accaduto, che ha sicuramente una ottima spiegazione scientifica per il caso giapponese, avvenuto in un edificio ben monitorato, e potrebbe anche essere che persino il monitoraggio non potesse prevedere la sciagura nell'agrigentino. 

IL VULCANO DI FANGO DELLE MACALUBE: 
SAREBBE ANDATA DIVERSAMENTE MONITORANDO L'AREA? 

È da tanto che vorrei scrivere qualcosa sui vulcani di fango, in Italia ce ne sono diversi (Macalube ad Agrigento, Salinelle di Paternò e le Salse di Nirano dell'Appennino modenese e qualcosa è successo di recente anche nei dintorni di Fiumicino). Mi riprometto di farlo prima o poi. Inoltre sembra che cose del genere siano comuni nelle aree fra una zona di subduzione e il continente: è probabile che siano causati da espulsioni dei fluidi (acqua in particolare) presenti nei sedimenti del prisma di accrezione (il complesso di sedimenti e altre rocce che viene deformato posto tra la fossa oceanica e l'arco vulcanico).

Per chi volesse informarsi sulle Macalube in modo scientificamente corretto ma chiaro a tutti, c'è un ottimo post sul blog di geoitaliani, dove c'è anche un prezioso filmato del 1936 e quindi non vado oltre nella geologia.
Premetto di non aver capito bene quali siano le procedure di chiusura dell'area (e neanche se esistono davvero), nè di conoscere gli atti che regolano la sua gestione; evito quindi di entrare nel ginepraio delle eventuali responsabilità perchè ho una sfiducia preconcetta nel leggere sui giornali articoli scritti da gente che non ha la minima idea della materia su cosa stanno scrivendo. 
Ho solo letto di dichiarazioni che ovviamente danno la colpa "agli altri", compresa la polemica sul monitoraggio in cui il gestore accusa la Regione siciliana e viceversa. 
Staremo a vedere ma se si deve andare con i tempi della giustizia italiana temo che le cose andranno per le lunghe.

Però se c'è stata questa estate una chiusura precauzionale, un qualche regolamento in merito esiste. Mi auguro che venga istituito un sistema di monitoraggio per motivi che vanno dallo scientifico (un fenomeno del genere è raro e va studiato bene) al pratico (la sicurezza delle persone deve essere sempre al centro dell'attenzione). 
Anche perchè le Macalube sono un centro di attrazione turistica e quindi devono essere valorizzate sia da un punto di vista dell'educazione scientifica, sia da quello turistico - paesaggistico (nonostante che sui beni paesaggistici la Sicilia sia molto più che normodotata e non abbisogni delle Macalube per attirare turisti, ma di ben altre cose, umane e non naturali...).

Ho accennato alla chiusura precauzionale, avvenuta questa estate: c'erano stati segnali come aperture di fratture, notoriamente possibili precursori di una eruzione, che poi però sembrano essere cessati.
Mi rifiuto di credere a quanto prospettato in alcuni servizi e cioè che c'erano state delle proteste per mancati introiti e quindi l'allarme sia stato tolto per questo (problema: quanto tempo può passare fra l'apertura delle fratture e l'evento esplosivo? ore? giorni? mesi? anni?) e quindi dò per scontato che l'evento sia arrivato inaspettato, senza fenomeni precursori VISIBILI, cioè determinabili senza monitoraggi strumentali quali sismica, geoelettrica, temperature, composizione di eventuali fumi o gas, deformazioni del terreno, etc etc.

Ma la domanda a cui non so rispondere è se anche avessimo avuto un sistema di monitoraggio si sarebbe potuto prevedere l'evento?
Per questo torno a stigmatizzare il comportamento di tanti sputasentenze che fino a ieri non sapevano neanche che esistevano i vulcani di fango.

L'ESPLOSIONE DELL'ONTAKE: 
PERCHÈ NON CI SONO STATI SEGNALI PREMONITORI?

Il caso dell'Ontake (pure noto come Ontakesan) è invece diverso in quanto si tratta di un evento nato su un classico stratovulcano monitoratissimo, al centro di Honshu, l'isola principale dell'arcipelago nipponico, a 200 km da Tokio; un vulcano particolare, formatosi dentro una preesistente caldera, il cui collasso avvenne qualche centinaio di migliaia di anni fa. Non era attivo da parecchio tempo quando eruttò per la prima volta in età storica nel XVIII secolo.

La questione è: si è trattato di una grave sconfitta della Scienza? Se decine di persone risultano decedute o sono ancora disperse con ben poche speranze di ritrovarle in vita a causa di una eruzione la risposta sembrerebbe affermativa, ma invece non lo è.
Perché sembrerebbe un errore della Scienza: perché si tratta di uno dei vulcani più monitorati al mondo, poco noto all'estero, poco attivo ma importante nella cultura locale: oltre ad essere il secondo vulcano più alto del Giappone (più di 3.000 metri) è una delle principali mete di pellegrinaggio da parte dei giapponesi.
Perchè non lo è: perché non è stato un evento magmatico, bensì si è trattato di una eruzione freatica: una certa quantità di acqua è passata nelle tante fratture del sistema vulcanico e venendo a contatto con il calore si è vaporizzata all'istante; pertanto l'esplosione è stata guidata esclusivamente dalla violenta espansione del vapore acqueo. Un po' come quando si scoperchia una pentola. La colonna di ceneri non è composta da parti di magma come nelle eruzioni normali, ma da fini brandelli di roccia sminuzzati dall'esplosione.

Il problema fondamentale è che non essendo questa una attività vulcanica vera e propria, non è stata preceduta dai classici fenomeni che precedono una eruzione, causati dalla risalita del magma: tremore sismico, deformazioni consistenti dell'edificio vulcanico, né da cambiamenti in temperatura e/o composizione delle fumarole. Tutti fenomeni possono anche essere presenti prima di una eruzione freatica, ma non sempre (come in questo caso). E se non si avvertono precursori non si può prevedere che stia per accadere qualcosa.
In questo momento c'è ancora un pennacchio sopra il vulcano.


Conferma questa idea il vulcanologo Erik Klemetti su Eruption, che solo ieri si era mostrato un po' scettico sulla natura del fenomeno.


venerdì 12 settembre 2014

L'orsa Daniza: considerazioni su una vicenda iniziata male e finita peggio


Su Daniza e sui suoi cuccioli ha parlato un sacco di gente e mi lasciano perplesso tutta una serie di commenti sia a favore che contro l'abbattimento. Il problema è che – al solito in Italia – parlano tutti tranne quelli che dovrebbero parlare, nella fattispecie i biologi. A questo punto mi sono sentito autorizzato a farlo anche io, anche se le mie cognizioni in materia di orsi, loro abitudini e loro dieta sono “rudimentali”. Questo post è sulla scia di un mio personalissimo commento su un social network, che oltre alle approvazioni ha scatenato le ire di qualche animalista. Ma certi fatti e certe opinioni, da quelle estremistiche pro – cattura e/o abbattomento a quelle estremistiche pro – Daniza meritano qualche commento in più. E, soprattutto, come leggerete, ce ne ho per tutti..... non ho messo i voti ma in ciascun punto oscillerebbero da 0 a 3. Una tipica vicenda partita stupidamente e risolta stupidamente. 
Nota: giunge ora la triste notizia che un orso in Abruzzo è stato trovato morto e le prime impressioni sono che sia stato avvelenato. Mi auguro che sia l'ultimo a morire così. 

All'inizio, tanto per sgomberare qualsiasi dubbio, dichiaro molto semplicemente che a me piacerebbe il ritorno degli orsi anche a Monte Morello, la montagna alta quasi 1000 metri che sovrasta Sesto Fiorentino e la parte NW di Firenze.
Ovviamente “piacerebbe” stando che al momento non vedo purtroppo le condizioni per farlo perchè la reintroduzione di un elemento del genere dovrebbe essere la giusta conclusione di un cammino di rinaturalizzazione e deantropizzazione con la reintroduzione, prima, di numerose altre specie animali e vegetali. Ne consegue che, senza conoscere specificamente la situazione, per me Daniza sarebbe stata da lasciare in pace. Mi sono chiesto se il mio giudizio sarebbe diverso se fossi stato coinvolto personalmente nella questione come “addetto ai lavori”. Penso che sarebbe rimasto lo stesso.

Veniamo ora alle considerazioni.

1. Cominciamo con una osservazione estremamente semplice: non conosco i dettagli della vicenda e mi fido poco della capacitò di dare le notizie chiare vere e obbiettive non solo da parte dei social network, ma anche da parte della stampa. Ma dal poco che mi risulta pare che tutto sia nato per colpa di una persona quantomeno irresponsabile che avrebbe deciso di rimanere lì ad osservare da vicino un'orsa con i suoi cuccioli, anziché darsela a gambe... se questo corrisponde al vero è semplicemente demenziale... cosa credeva, che una femmina di orso con dei cuccioli non si sarebbe alterata? Voleva forse farsi un selfie con l'allegra famigliola? 
Ora, una scena del genere è tremendamente interessante (quanti pagherebbero per averla? ) e la tentazione di vedere con i propri occhi quello che hai spesso visto comodamente seduto in poltrona davanti alla TV è forte; ma – insomma -  il caro e vecchio “buon senso” suggerirebbe di darsela a gambe (e io lo avrei utilizzato...).

In caso d'incontro con un orso bisogna darsela a gambe nella direzione da cui siamo venuti: l'orso non ci inseguirà, farà esattamente la stessa cosa nella direzione opposta (sempre che non sia in un vicolo cieco...). 
Questo concetto me lo ha spiegato un professionista, cioè il mio babbo il quale, anni prima che nascessi, passava per lavoro diversi mesi all'anno a contatto con i boscaioli di Pescasseroli, nel Parco Nazionale degli Abruzzi (a proposito, se qualcuno di quelle parti mi legge, ricordo con piacere tutti quelli che venivano a salutare “Fernando” quando siamo andati là in vacanza: erano passati più di 20 anni ma l'amicizia era rimasta e fu una cosa bellissima).
Naturalmente questo concetto vale per orsi “piccoli” come gli orsi bruni europei: con grizzly e orsi bianchi la situazione può cambiare, anche se le “bistecche di umano” sono considerate meno nutrienti di quelle di altri animali. E, appunto, vale molto meno nel caso di mamma orsa che difende i suoi cuccioli.
Se le cose stanno in questo modo a questa persona dovrebbe essere vietato non solo di uscire dai centri abitati ma, al loro interno, dovrebbe essergli impedirgli persino l'accesso ad un giardino pubblico. 
Insomma, tutto 'sto caos per una imprudenza colossale. 
 
2. sembra che Daniza abbia fatto dei danni grossi di recente ma questo è venuto fuori solo ora e, probabilmente, solo a seguito dell'episodio di contatto con un umano. Se la memoria non mi inganna è successo qualche tempo fa anche in Svizzera che sia stato abbattuto un orso troppo “ardito”.
La questione merita una riflessione: gli animali selvatici non “sanno” che devono rispettare le leggi degli umani e, nel caso dei carnivori, che devono abbattere per nutrirsi solo prede selvatiche e non animali di proprietà umana. Mi risulta (ma, ripeto, non sono “del ramo” e quindi potrei sbagliarmi) che proprio per questo gli allevatori vengano rimborsati nel caso di attacchi di carnivori a loro animali, e trovo strano che se la Provincia Autonoma di Trento ha preso fondi nazionali e/o comunitari per il progetto di reintroduzione dell'orso nel territorio regionale, in tali fondi non ci fossero risorse per eventuali (anzi, direi sicuri) danni all'allevamento e alla pastorizia.

D'altro canto la stessa Provincia ha preso queste risorse per la reintroduzione di un carnivoro e un carnivoro piuttosto cazzuto per giunta, sicuramente l'animale più forte che vive oggi in Europa dopo che per la distruzione del loro habitat a causa dei cambiamenti climatici e per la caccia erano spariti 10.000 anni fa i grossi erbivori come Mammut, rinoceronti e cervidi di grandi dimensioni; ricordo inoltre che fino a poche migliaia di anni fa vivevano in Europa anche leoni, iene e quant'altro, scomparsi a causa della pressione umana che ha occupato il territorio distruggendo loro e le loro prede. Di carnivori selvatici di dimensioni importanti erano rimaste solo quelle piccole popolazioni di lupi, orsi e linci in grado di vivere in aree montane poco frequentate e dei grandi animali selvatici che vivevano nelle pianure e negli acquitrini non è rimasto nulla.
Cioè, anche le marmotte nel loro piccolo potrebbero incazzarsi, ma danni estremi non ne fanno: decidere di reintrodurre gli orsi (cosa per me molto sensata) sperando (o pensando) che si limitassero a mangiare bacche senza conseguenze per gli animali domestici non è invece una cosa sensata...

3. vorrei sapere come è possibile che un animale del genere venga ucciso con un anestetico... ho letto che su 16 impieghi di anestetico contro gli orsi questa è la terza vittima. Di queste la seconda di queste non rimase completamente anestetizzata ed era solo intorpidita quando è finita in un lago annegando. 
È evidente che qualcuno possa aver sbagliato qualcosa. Mi auguro che una inchiesta rapida accerti le eventuali responsabilità di questo grave e intollerabile incidente.

4. fra le dichiarazioni dei “favorevoli all'abbattimento” prendo quella del Moige, secondo la cui presidente l’intervento della squadra di cattura ha avuto risvolti inaspettati, ma non drammatici ed è stato orientato alla messa in sicurezza della popolazione perche l’orsa Daniza rappresentava da tempo una minaccia concreta. Dichiarazione sulla quale evito di addentrarmi ma che denota a mio avviso una scarsa conoscenza del problema... mi chiedo quanti umani abbiano corso il rischio di essere sbranati da questa orsa, a parte il poco accorto di cui al punto 1. Ci aspettiamo da Maria Rita Munizzi anche una bocciatura senza scampo dell'automobile per le vittime innocenti che provoca e la scarsa sicurezza della popolazione a contatto con gli automobilisti. 

5. e adesso una considerazione sugli animalisti, ovviamente in testa al gruppo dei contrari. Ho letto diverse volte frasi che si riassumono con il concetto “se lei avesse voluto lo avrebbe sbranato e invece si è limitata a dagli solo una zampata per difendere i suoi piccoli
Eh, no... non ci siamo assolutamente! La mia opinione è che Daniza gli ha preso la gamba solo perché è arrivata un po' in ritardo per colpirlo meglio. Non ha assolutamente pensato di dargli un'unghiata e basta per dirgli “rompiballe, levati di torno”. Ha solo pensato a difendere se stessa e i suoi cuccioli (dal suo punto di vista cosa comprensibilissima) e poi è scappata appena ha visto che poteva farlo lasciandolo lì perchè – giustamente – ha paura degli umani come noi DOVREMMO aver paura di lei (presunto deficiente compreso...)

Questo è l'errore di fondo tipico di un certo animalismo: considerare gli animali (e nella fattispecie gli orsi!!) “buoni”. Tutti da bambini abbiamo avuto un orsetto di peluche, la maggior parte di noi se lo è portato anche a letto; l'orso Yoghi, che nei cartoons di Hanna & Barbera cercava di rubare le merende ai turisti a Yellystone è stato il capofila di una serie di orsi e orsetti simpatici protagonisti di vari cartoni animati; ma a dispetto di tutto questo sono gli animali più pericolosi che abbiamo in Europa, con cui però bisognerebbe saper convivere, anche a costo di dire “là non ci si può andare perché ci sono gli orsi”. E sono sufficientemente intelligenti da cercare di fare il più male possibile quando si sentono attaccati.

Mi è arrivata anche una risposta su questo: Rispondo ad un amico che mi contesta che noi che amiamo gli animali crediamo che loro siano "buoni", che dire? Loro seguono un istinto razionale, delle leggi chiare e sincere, uccidono per fame, difendono la prole, hanno una loro intelligenza e ci insegnano dignità e fedeltà, noi razza umana amiamo la guerra, torturiamo per ideologia, divertimento, egoismo, abbiamo il male dentro di noi, ci basta un bicchierino di troppo per abbassare i freni inibitori!! Basta vedere cosa succede davanti a uno stadio, eppure la nostra arroganza ci fa credere di essere padroni del mondo! Gli animali non avranno l'anima ma noi abbiamo IL PECCATO ORIGINALE e si vede!!!

Detto che condivido con la mia amica una scarsissima stima della “razza umana”, non capisco bene cosa c'entri questo con Daniza e la mancata uccisione dell'imprudente. Pensare che l'orsa si sia limitata a dare un puffetto a quella persona perché è "buona", segue un istinto razionale e una legge chiara e sincera mi sembra, al contrario, una antropizzazione degli animali simile al mito del “buon selvaggio” (che poi, tanto buono non era). Dopodichè o segui un istinto razionale o ti rifugi nel peccato originale. 

Piccola postilla: un animalista ha risposto: il tuo amico contesta? Risposta inutile. Con i CEREBROLESI (maiuscolo nell'originale) non serve.

Ho respinto questa accusa al mittente, usando il mio “istinto razionale”.

martedì 9 settembre 2014

Le faune del Lagerstätte di Jehol in Cina e la loro importanza nelle ricerche sull'evoluzione di Mammiferi ed Uccelli


Una gran parte delle maggiori scoperte paleontologiche sono dovute a delle formazioni in cui una serie di condizioni molto fortunate ha permesso la conservazione di una grande quantità di reperti e addirittura spesso di parti molli. Queste formazioni sono conosciute con il nome di Lagerstätten e sono noti da secoli; proprio in un Lagerstätten è stato trovato uno dei primi fossili determinanti nel dibattito ottocentesco sull'evoluzione, Archaeoperyx litographicaVedremo come proprio un Lagerstätten che si trova nella Cina Occidentale è stato fondamentale per la ricostruzione delle faune giurassiche di quella zona. Non solo, ma le conseguenze di queste scoperte hanno consentito di mettere dei paletti molto importanti nelle storia e nella filogenesi di Mammiferi e Uccelli.

Il più antico uccello finora ritrovato è Archaeopteryx litographica. Archaeopteryx in greco antico vuol dire “ala antica”, litographica perché i suoi fossili sono stati trovati nel Calcare litografico di Solnhofen, in Baviera. Depositatosi 155 milioni di anni fa nel Titoniano (piano del Giurassico Superiore), oltre all'antico pennuto, il calcare di Solnhofen ha prodotto una quantità incredibile di altri fossili: piante, insetti, altri invertebrati marini, pesci e vertebrati terrestri, compreso un piccolo coccodrillo.
Sedimenti come questo sono chiamati Lagerstätten: sono rocce che si sono sedimentate in condizioni talmente eccezionali da consentire una conservazione molto precisa di piante e animali che erano finiti in quel bacino. Ci sono Lagerstätten di vario tipo e per i paleontologi sono cose quasi leggendarie, come i Burgess Shale del Cambriano medio del Canada Occidentale, sui quali ha scritto un libro stupendo Steven Jay Gould  e, in Italia, i Calcari di Bolca dell'Eocene del Veneto. 

I Lagerstätten sono “drammaticamente importanti” perché sono delle “istantanee” sulla vita del tempo in cui si sono sedimentati e hanno fornito reperti in grande quantità e ancora migliori in qualità, spesso comprese le parti molli. Si può dire che molte cose che sappiamo sulla vita del passato le sappiamo proprio grazie a loro. 
Uno dei lagerstätten principali è quello delle “faune di Jehol”. Siamo nella Cina nordorientale, in una sequenza stratigrafica del Cretaceo Inferiore (tra 131 e 120 milioni di anni fa). 
Jehol è una Pompei del Cretaceo: a più riprese ceneri vulcaniche hanno ricoperto il fondo di alcuni laghi, intrappolando sul fondo gli animali che vi vivevano e le carcasse di altri animali che erano finite per i più vari motivi nei laghi. In particolare ci sono 3 orizzonti stratigrafici che hanno conservato una incredibile moltitudine di scheletri completi o quasi di insetti, invertebrati acquatici pesci, anfibi, tartarughe, coristoderi, lucertole, dinosauri, uccelli e mammiferi, oltre a piante di ogni genere. Sono conservate in alcune casi persino tracce di tessuti molli! Un autentico bengodi della paleontologia e soprattutto una finestra abbastanza precisa sulla vita di quella regione a quel tempo. 

Tra le tante cose che sono state trovate a Jenin ci sono in particolare quattro scoperte fondamentali di cui voglio parlarvi più approfonditamente.

REPENOMAMUS: IL PIÙ GRANDE MAMMIFERO MESOZOICO MAI RITROVATO

La storia dei mammiferi giurassici è molto complessa e soprattutto mentre attualmente si dividono in 3 sottoclassi (placentati, marsupiali e monotremi), all'epoca sono distinte ben 7 sottoclassi.  Il problema fondamentale è che ci sono pochi fossili di mammiferi giurassici perché in genere non vivevano in ambienti in cui la fossilizzazione era facile; è il motivo per cui la storia giurassica (e non solo, anche cretacea e terziaria) è soprattutto una storia ricavata dai denti (o al massimo dalle mascelle...). Tanto è vero che a parte i Gondwanateri, che devono il loro nome all'essere forme tipiche del Gondwana, la terminologia a livello di sottoclassi parla di caratteristiche dentali: triconodonti, australosfenidi (antenati dei Monotremi), multitubercolati, boreosfenidi (fra questi dovrebbero esserci gli antenati comuni di Marsupiali e Placentati) e quant'altro.
I mammiferi giurassici erano piccoli e leggeri esserini, probabilmente insettivori, e se c'è n'è uno vivente che può assomigliare a loro è il toporagno. Tutti convinti di questo? Al 99% si, ma c'è quell'1%  che ci frega... ed è questa la prima scoperta: non abbiamo fatto i conti con Repenomamus giganticus, un mammifero triconodonte lungo un metro parente di un altro coso simile un pò più piccolo, Repenomamus robustus. Aveva mascelle da carnivoro e probabilmente era un predatore diurno che si nutriva di piccoli dinosauri (piccoli come specie o piccoli perché giovani). 

A dimostrare le sue abitudini alimentari nel suo stomaco c'erano resti di un giovane Psittacosauro (un ceratopside di piccole dimensioni che da adulto poteva arrivare a 2 metri di lunghezza). È la prima evidenza di un mammifero che si nutriva di piccoli dinosauri. Mi è difficile pensare che proprio soltanto lì ci fossero mammiferi così grandi; per questo ritengo possibile che all'epoca potessero aggirarsi per i continenti altri mammiferi di dimensioni superiori a quelle di un toporagno. 
È stato trovato anche un cranio di una creatura simile, ma ancora più grande, chiamato Repenomamus giganticus

Repenomamus sostanzialmente si muoveva già come un mammifero odierno; le differenze principali stanno nel tronco più lungo rispetto a quello di un mammifero attuale di pari altezza e in alcune caratteristiche del cranio, a partire dalla mascella dritta. I denti erano abbastanza evoluti, sia per la riduzione di quelli posteriori sia per una chiara distinzione fra molari e premolari. Però i molari non erano sufficientemente adatti alla masticazione per cui, come anche dimostrano i resti di Psittacosauro nello stomaco, Repenomamus ingoiava carne meno masticata rispetto ai mammiferi odierni, più similmente a come fanno i rettili attuali che ingoiano il cibo a pezzi non masticati. I Triconodonti si sono estinti 

GLI ANTENATI DI PLACENTATI E MARSUPIALI

Nelle faune di Jenin sono stati trovati altri mammiferi, fra cui il più antico placentato (Eomaia scansoria) e il più antico marsupiale (Sinodelphis szalaya).
In realtà dire che Eomaia scansoria sia un vero placentato è “un po' forte”: non è che i placentati si distinguono dagli altri mammiferi (viventi e fossili) solo per il sistema riproduttivo. Diciamo che Eomaia è sicuramente un Eutero, cioè un mammifero più vicino ai placentati che a tutti gli altri mammiferi, presenta arti più simili a quelle dei Placentati che a quelle dei Marsupiali però la struttura di anche e bacino non pare quella adatta per far uscire dall'utero un piccolo maturo. Quindi si presume che la sua strategia riproduttiva fosse quella di un marsupiale o – quantomeno – una via di mezzo, un placentato dalla nascita molto precoce.

Anche Sinodelphis Szalaya si trova nei confronti dei Marsupiali nelle stesse condizioni di Eomaia nei confronti dei Placentati: è più simile ai Marsupiali che a qualsiasi altro mammifero, ma non ha ancora tutti le caratteristiche che fanno di un mammifero un appartenente a questo gruppo.
La cosa evidente, comunque, è che 120 milioni di anni fa gli antenati dei Placentati e dei Marsupiali  erano già distinti fra loro rispetto ad un antenato comune.

DINOSAURI CHE DIVENTANO UCCELLI

E veniamo ad un'altra scoperta importante, che riguarda invece la transizione fra Teropodi Celurosauri ed uccelli. 
Una differenze fondamentale fra gli uccelli e i loro parenti più prossimi viventi, i coccodrilli, sta nell'apparato riproduttivo: negli uccelli i follicoli che stanno per “entrare in funzione” sono decisamente più grandi di quelli ancora in attesa, questo per ottenere una maggiore velocità di formazione dell'uovo e di crescita del pulcino, che deve essere in grado di volare come un adulto entro un tempo molto ridotto. Un altro particolare di non trascurabile importanza è l'apparato riproduttore femminile, ridotto alla sola parte sinistra.
In un esemplare straordinariamente conservato di Jeholornis e in due Enanthiornithes non meglio classificati è evidente la presenza del solo sistema riproduttivo sinistro. 
Jeholornis, un mangiatore di semi al contrario dei suoi antenati carnivori, a dispetto di questa “modernità” è ancora più un dinosauro che un uccello, a cominciare dalla lunga coda, più lunga che in Archaeopteryx (rispetto ad esso ha una dentatura meno sviluppata); i follicoli però hanno dimensioni simili fra loro, come nei coccodrilli (ignoro se si sappia qualcosa sui follicoli ovarici dell'”ala antica”).   È quindi un apparato riproduttivo femminile intermedio fra quello dei Teropodi e quello degli uccelli moderni. 

Jeholornis pertanto rappresenta in modo eccellente una dimostrazione di come tante delle differenze fra “normali” celurosauri e aves si siano evolute in una fase molto precoce. Notare che la maggior parte dei Celurosauri di Jenin erano dotati di piume e nella maggior parte, come in Compsognathus, è evidente la presenza di due ovaie.

Senza le faune di Jehol quindi certe cose non si sarebbero mai potute accertare e ancora una volta un Lagerstatte è stato fondamentale per capire degli aspetti fondamentali della Storia Naturale.

  


mercoledì 3 settembre 2014

Storia, genetica ed identità storica dei popoli: errori comuni, il "Caso Sardegna" e riflessioni sull'attuale (post "a due tastiere" con Francesco Saliola)


Un lettore di Scienzeedintorni ha posto una domanda a proposito del popolamento della Sardegna: ma è vero che esistono margini di rilievi genetici in comune tra i sardi, e i popoli del mare e soprattutto con i falasti poi filistei e ora palestinesi?
A seguito di questa domanda e della mia breve risposta ho coinvolto il “solito” Francesco Saliola, il quale mi ha fornito (come supponevo...) una risposta articolata e piena di spunti interessanti che vanno al di là del caso specifico sardo, grazie alla quale abbiamo colto l'occasione di un approfondimento su un problema generale interessante e poco noto: il rapporto fra identità genetica ed etnie e gli errori che spesso vengono commessi invocando la cosiddetta “continuità storica”. Pertanto questo è un “post a due tastiere” scritto in collaborazione fra me e Francesco, a cui va come al solito un grande ringraziamento

La conoscenza del passato indubbiamente è cosa interessante e bella, ma potrebbe apparire un po' fine a sé stessa. Ed è un rischio che purtroppo oggi è più vivo che mai, con le specializzazioni estreme di “ganzi eccezionali nella loro nicchia” come diceva il compianto professor Pietro Passerini, geologo di rara multidisciplinarietà. È invece chiaro come nelle pieghe della storia si presentano "casi di studio" che ci aiutano a comprendere problemi anche attuali e ci forniscono possibili opzioni di soluzione (che però poi, come comunità, possiamo scegliere o meno di applicare...). In tal senso, una chiarezza su concetti come quello di "etnia", "popolo", "identità" ci aiuterebbe molto a disinnescare motivazioni "bacate" e rivendicazioni "farlocche" che spesso finiscono per creare tensioni e difficoltà, quando non addirittura guerre e distruzioni.


1. POPOLI ED IDENTITÀ IN STORIA, ARCHEOLOGIA E GENETICA

Ci sono due errori molto comuni quando si parla di "popoli" e "identità" in storia e archeologia.

Il primo è quello di dare un valore "culturale" alle caratteristiche genetiche o linguistiche. Oggi, grazie agli studi sul DNA, abbiamo la possibilità di ottenere informazioni preziosissime su ascendenze e discendenze delle varie popolazioni odierne e antiche e sui legami genetici fra i diversi gruppi umani antichi. Inoltre non c'è nessun dubbio che la lingua sia, di fatto, un tratto fondamentale dell'identità culturale di un popolo, ma tra un abitante di Parigi e un ivoriense di Abidjan,  di differenze ce ne sono parecchie: parlano entrambi francese, appartengono entrambi alla "razza umana" ma sono molto diversi in abitudini, credenze, aspetto fisico etc etc.

Un dettaglio di non trascurabile importanza è che la maggior parte degli studi sono svolti attraverso il DNA mitocondriale, che si trasmette esclusivamente per linea femminile; per cui in questo modo si possono perdere delle sfumature non di secondo piano, ricordando che le dinamiche degli spostamenti possono essere molto diverse fra individui maschili e femminili. Un caso interessante è quello del Nordafrica, dove il DNA mitocondriale è fra i più “antichi” del mondo ed indica una migrazione nell'area molto antica, pre-olocenica: secondo alcuni Autori potrebbe essere il DNA mitocondriale delle prime femmine di Homo sapiens giunte nell'area circa 40.000 anni fa, quando si estinsero gli ultimi neandertaliani. Il cromosoma Y invece sembra più legato all'espansione neolitica dell'agricoltura del VI millennio AC. Quindi con i nuovi venuti c'è stata una massiccia sostituzione della linea diretta maschile della popolazione (Henn et al. 2012).

In ogni caso gli studi genetici ci hanno consentito di comprendere meglio tanti processi, specie per quanto riguarda il più antico popolamento umano, diciamo fino alla prima parte dell'Olocene e alla nascita delle prime civiltà pienamente storiche.
Ed è interessante notare, peraltro, che gli studi genetici applicati alla paleontologia umana hanno in genere confermato (e ancor meglio spiegato) certe intuizioni che già erano state proposte dall'antropologia fisica e dall'archeologia del paleolitico, a dimostrazione che certe metodologie vanno di pari passo; avere lo stesso risultato da tecniche indipendenti è una specie di “prova del nove” che consente di trasformare delle ipotesi in certezze.

Questi metodi ricalcano un po' quello che è successo confrontando i rapporti di parentela fra le varie specie ricavati dalla paleontologia con quelli ricavati con la genetica, potendo però usufruire di un numero maggiore di tipologie di informazione: rispetto alla Storia Naturale, nella quale si può solo disporre di ossa e di geni, nello studio dell'Umanità possiamo sfruttare, oltre a questi, i vari reperti degli scavi archeologici, a partire dai manufatti (dei quali possono essere notati pure precursori o derivati).
Un altro aspetto importante sono i confronti linguistici, anche se su questo ultimo punto si deve notare come non sempre linguistica e genetica vadano d'accordo, a causa di possibili “sostituzioni linguistiche”. Prendiamo ad esempio turchi e azeri: parlano lingue “turche” (inquadrabili fra le lingue uralo – altaiche) ma le loro caratteristiche genetiche e somatiche sono più da indoeuropei che da esponenti delle stirpi mongole (“stirpi”, non “razze” ci raccomandiamo!); questo perché le popolazioni indoeuropee che all'epoca professavano il cristianesimo e in precedenza religioni pagane o anche lo zoroastrismo, sono state in seguito sottomesse, con diverse modalità, da una elite turcofona. Altro caso del genere è rappresentato dalle popolazioni autoctone dell'America Latina: esiste ancora una consistente minoranza che parla regolarmente una lingua amerinda, il quechua, ma la stragrande maggioranza della popolazione parla lo spagnolo pur avendo tratti somatici e culturali inconfondibilmente locali, tutt'altro che indoeuropei.
Questo è successo anche in Sardegna, dove al pari dell'Etruria e di tutta l'area che va dall'Aquitania alla Penisola Iberica le lingue locali non indoeuropee (presumibilmente caucasiche di ceppo bascofono) sono state sostituite da idiomi neolatini a causa della conquista romana, con l'eccezione delle zone pirenaiche dove si parla ancora il basco.

Il problema dov'è allora? Sta nel fatto che, per popoli "recenti", inseriti a pieno titolo nel panorama di civiltà complesse pienamente storiche, il DNA ci racconta solamente una delle varie sfaccettature che contribuiscono a creare la "identità" di un popolo, e allo stesso modo succede esaminando le caratteristiche linguistiche.
Prendiamo appunto il caso della Sardegna: la prima risposta al quesito è che, se anche ci fosse un legame stretto da un punto di vista genetico tra Sardi nuragici e Filistei – e non ci risulta che ci sia – questo ci direbbe ben poco a livello culturale.

La storia della Sardegna, dal Neolitico a oggi, è storia di stratificazioni continue, pur su un nucleo molto compatto e relativamente isolato. Ma certe eventuali similarità culturali non sono dovute al DNA (altrimenti si finisce al "razzismo scientifico") ma ai forti scambi culturali con il mondo del Vicino Oriente, che in tutto il secondo millennio, e poi ancor più nel primo, investono tutti i popoli che si affacciano sul Mediterraneo; e i Sardi non fanno eccezione a questo aspetto.
Quindi il fatto che l'attuale popolazione sarda abbia caratteristiche di maggiore "uniformità" genetica che la collega più strettamente ai suoi antenati neo-eneolitici e dell'età del Bronzo, che alle popolazioni italiche, ci dice molto sulle origini e sulle dinamiche del popolamento dell'isola, ma ben poco da un punto di vista culturale: i Sardi attuali parlano l'italiano e un altro idioma neolatino, “sa limba sarda”, e non la lingua "mediterranea" dei loro antenati, (probabilmente una lingua ergativa legata al basco e alle lingue caucasiche), si professano cristiani e non adorano circoli di pietre o statue menhir, come i loro antenati, né Dei semitici come i loro colonizzatori fenici, mangiano un pane di grano duro molto simile a quello arabo e così via.

2. LA FALSITÀ DELLA CONTINUITÀ STORICA

Abbiamo citato i nazionalismi non a caso, perché il secondo errore è quello, chiamiamolo così, della "continuità storica immutabile".
Per farla breve: gli attuali "cittadini romani" non corrispondono ai cittadini romani dell'epoca augustea, perché nel frattempo c'è stato nel mezzo un sostanzioso numero di eventi e di processi che ha fatto sì che, pur rimanendo il nome ("romani") non sia possibile certo identificare come unica "etnia" i sudditi di Ottaviano e gli abitanti della Capitale. Allo stesso modo chi abita a Volterra o a Pienza sicuramente ha parti significative di DNA mitocondriale etrusco, ma non è assolutamente etrusco, nel senso che il legame con quella cultura è spezzato da un paio di millenni, legame che viene esaltato solo per motivi turistici, peraltro giustificatissimi.

Stesso dicasi per gli attuali Palestinesi (filasṭīniyyūn, in arabo) che portano certamente nel nome la denominazione ebraica degli antichi Filistei (felištīm), e che sono con ogni probabilità da mettere in relazione con i Peleset, popolo forse di origine micenea che si stabilì nell'area cananea a partire dal XIII secolo a.C.
Ma il legame tra antichi filistei e attuali palestinesi esiste solo nel nome: abitano la stessa terra, la Palestina appunto, ma a livello linguistico e culturale c'è ben poco da spartire. I primi, che se la loro origine fosse davvero micenea, potrebbero essere indoeuropei, si sono subito fortemente semitizzati con l'adozione della lingua cananea (tanto da non essere distinguibili dagli ebrei in età romana, perché parlavano tutti quanti l'aramaico); ma con l'avanzata araba nel VII sec. d.C. coloro che abitavano l'area si sono assimilati agli arabi, si sono convertiti alla religione islamica (a parte una minoranza che è rimasta cristiana) e si sono imparentati (proprio a livello di tribù) con gente che oggi definiremmo "siriani" e "giordani" (ma queste due nazioni hanno un “valore storico” tale da poter essere considerate delle “nazioni” oltre che degli “stati”?)
Quindi parlare di "continuità" tra antico e moderno in tutti questi casi è una cosa irrealistica e ha solo un mero scopo politico. L'identità non è uno "status quo" ma un processo continuo di scambi e rielaborazioni, cosa che qualcuno fa finta di non capire, per esempio coloro che professano idee nazionaliste.
NB: con questo non intendiamo assolutamente entrare nè nella questione politica medioorientale in generale, né in un giudizio sugli eventi bellici di questa disgraziata estate che non competono ad un post di questo tipo

3. IL CASO SARDEGNA FRA POPOLI DEL MARE E GENETICA

Quanto ai "popoli del mare" va notato che le fonti egizie parlano più genericamente di "genti straniere" e che in questi gruppi di predoni e mercenari abbastanza ben organizzati, sono certamente citati Peleset e Shardana (come anche i Turusha, cosa che ha fatto balenare un collegamento anche fra popoli del mare ed Etruschi). Ma non vuol dire che questi due gruppi siano in qualche modo legati geneticamente o culturalmente: anzi, è più probabile il contrario. È attestato che a più riprese (1350 a.C, 1175 a.C., 1080 a.C.), nutriti gruppi di questi "pirati" hanno compiuto scorribande in diverse aree del Vicino Oriente, tanto che alcuni di questi hanno finito per essere inglobati come mercenari nell'esercito egizio.
Queste migrazioni possono essere state innescate, almeno parzialmente, da questioni climatiche. Sicuramente la terza è in curioso collegamento con l'inizio del periodo siccitoso che ha determinato la crisi con cui si è conclusa l'età del bronzo: la diminuzione delle precipitazioni, che erano già prima al limite che consentiva una sussistenza basata su attività agro-pastorali, ha tolto in alcune aree del Levante la possibilità di sostentare una popolazione aumentata in tempi immediatamente precedenti caratterizzati da condizioni climatiche più favorevoli. Contemporaneamente era iniziato un ciclo di altre robuste migrazioni terrestri in tutto l'areale europeo che, per esempio, nella penisola italiana si sono riflesse nel rimescolio da cui sono poi uscite le culture italiche ed etrusche.

Le ondate precedenti potrebbero essere legate invece a crisi di sovrappopolazione, un po' come è successo in seguito, nel V secolo a.C, quando una parte degli abitanti delle Gallie furono costretti a emigrare e invasero la pianura padana e l'Iberia settentronale.

Venendo al caso specifico, identificare i Sardi con gli Shardana sembra essere più che altro una ipotesi basata solo sulla suggestione del nome e di alcuni elementi iconografici. In realtà ci sono parecchi aspetti che fanno rifiutare questo collegamento fra la Sardegna e i cosiddetti "popoli del mare" (semprechè siano esistiti, non tutti gli Autori sono d'accordo su questo): la difficoltà maggiore è squisitamente storiografica, in quanto la civiltà nuragica non pare abbia avuto in quelle fasi (diciamo attorno al X secolo a.C.) una discontinuità particolare che dimostri l'influenza di nuovi arrivati. Anzi, alla fin fine è l'unica civiltà che continua imperterrita anche nei secoli della grande siccità e delle grandi migrazioni che tra l'XI e l'VIII secolo a.C. ha investito Europa e Mediterraneo nel dopo età del bronzo.
Ci chiediamo come sarebbe stato possibile che un avvenimento come l'arrivo da fuori di un numeroso gruppo etnico non sia evidenziato da una discontinuità nella civilizzazione....

Da un punto di vista genetico i sardi sono invece una popolazione autoctona che si è installata lì parecchio tempo fa e sono geneticamente molto diversi dagli italiani di terraferma e dagli altri europee.
Per questo sono molto verosimili le argomentazioni secondo la quale nell'epoca nuragica nell'isola era parlata una lingua affine a quelle iberiche e quindi di tipo basco.
Altra dimostrazione che non era una lingua indoeuropea potrebbe essere il fatto che la conquista romana ha portato ad una sostituzione linguistica totale.

Da ultimo non va dimenticato che la Sardegna è stata in parte e a lungo sotto il dominio fenicio. E questa è una ottima spiegazione per la presenza di varianti genetiche che si ritrovano di preferenza lungo la costa meridionale del Mediterraneo orientale (notizia, si badi bene, della quale fino ad oggi non eravamo a conoscenza né siamo in grado di confermare).

4. L'INSEGNAMENTO DEL PRESENTE

Anche oggi arrivano in Sicilia centinaia di disperati che chiamiamo genericamente "migranti" ma tra un profugo afghano che spera di trovare lavoro in Germania, una donna che scappa con i suoi figli dalla guerra in Siria e dei giovani africani che vengono in Europa per finire a raccogliere pomodori nel meridione d'Italia, ci sono differenze culturali enormi.
Eppure noi non stiamo a fare tante suddivisioni e parliamo di "barconi" e "migranti". Lo stesso succede per le "genti straniere" delle fonti egizie: non è che mettendo insieme Peleset e Shardana (sempre ammesso e non concesso che questi ultimi siano i "Sardi" nuragici, il che appunto non pare troppo verosimile) ne venisse decretata l'affinità etnica e culturale.


Henn BM et al. (2012) Genomic Ancestry of North Africans Supports Back-to-Africa Migrations. PLoS Genet 8(1): e1002397. doi:10.1371/journal.pgen.1002397