lunedì 29 luglio 2013

Terremoti di origine antropica 2: rapporti fra grandi terremoti tettonici e terremoti da reiniezione di liquidi



Ricordate il “clamoroso” terremoto del 4 Aprile 2011 a largo dell'Indonesia? Lo definisco “clamoroso” per una serie di caratteristiche strane:
- per molti studiosi una magnitudo simile – 8.2 – non poteva essere raggiunta per un meccanismo trascorrente
- questo evento si è scatenato all'interno della placca Indo – australiana e non al suo limite
Ma c'è un particolare in più e sconosciuto a più: un generale aumento della sismicità in tutto il mondo nelle due settimane successive.
E cosa c'entra lo strano terremoto indonesiano del 2011 con i “terremoti di origine antropica”? Semplice: un'altra caratteristica di questi terremoti indotti dall'attività antropica è che in qualche modo l'attività sismica aumenta dopo terremoti piuttosto importanti avvenuti anche a grandissima distanza. È successo anche per i giorni successivi al terremoto cileno del 2009 e di quello giapponese del 2011. Tutti questi eventi sono caratterizzati da una Magnitudo maggiore di 8.5

TERREMOTI ANTROPICI DA REINIEZIONE DI FLUIDI

Innanzitutto ricordo che questi terremoti, come ho scritto nel post precedente, non creano nuove faglie ma interessano faglie preesistenti, in molti casi negli USA faglie completamente “fuori servizio” anche da centinaia di milioni di anni: una faglia, anche se inattiva, rimane pur sempre una superficie di debolezza, e quando a causa dei fluidi iniettati la pressione dei fluidi nei pori arriva ad un valore tale da vincere l'attrito grazie al quel rimane ferma, la faglia si riattiva.
Il fracking genera una grande quantità di liquidi esausti e questo rende conto del perchè la sismicità indotta era stata collegata al fracking stesso; invece appunto si tratta di un effetto provocato da una attività collaterale.
Il primo pozzo in cui i liquidi derivati dal fracking sono stati iniettati per lo stoccaggio profondo nell'Arkansas data all'Aprile del 2009. In quell'area tra 2007 e 2008 ci sono stati 3 sismi con M = 2,5. Ma nel 2009 sono diventati 10 e nel 2010 ben 54.

La cosa non passò inosservata. Richard Kerr racconta su Science che due geologi del Servizio Geologico dell'Arkansas (invidia... noi il servizio geologico d'Italia non lo abbiamo più....), Scott Ausbrooks e Steve Horton, misero una rete di sismometri intorno a nuovi pozzi di reiniezione ottenendo quello che si aspettavano: la dimostrazione di un evidente aumento della sismicità correlato a questa pratica. E, cosa più grave, anche la Magnitudo degli eventi aumentò fino a passare il 4, raggiungendo quindi valori tali da essere sistematicamente percepiti dalla popolazione.
In quella zona la reiniezione fu proibita con il risultato che la sismicità cessò.

Questo è solo uno dei tanti esempi in cui i terremoti 
- iniziano dopo l'inizio delle operazioni di reiniezione
- sono localizzati in prossimità dei pozzi 
- diminuiscono fortemente in numero e Magnitudo quando i pozzi non sono più operativi

Più chiaro di così.... anche se non c'è una regola fissa nel senso che in alcuni casi le scosse sono cominciate pochi giorni dopo l'inizio delle operazioni di reiniezione, in altri ci sono voluti parecchi mesi. E purtroppo almeno per ora non si possono ricavare indicazioni sui massimi valori di pressione raggiungibili prima di innescare il problema.

LE CARATTERISTICHE PARTICOLARI DEI TERREMOTI DA REINIEZIONE

I terremoti da reiniezione hanno alcune caratteristiche particolari.
- la prima è che spesso presentano un aumento della sismicità prima della scossa principale, a contrario dei forti terremoti tettonici che di regola non danno preavviso; ciò può essere considerato come una chiara connessione fra il livello di sismicità e l'aumento della pressione dei liquidi nella zona di faglia, fatto normale durante il proseguire delle operazioni di pompaggio
- la seconda è che il loro numero aumenta molto in corrispondenza dei più forti terremoti che vengono registrati in tutto il mondo; in particolare come ho accennato all'inizio è successo nei giorni successivi ai 3 eventi più forti degli ultimi 4 anni: Cile 2010 (M 8.8), Giappone 2011 (M 9.1) e Indonesia 2012 (M 8.6).

Alcuni esempi li fanno Van Der Elst ed altri Autori in un articolo appena uscito su Science, da cui è tratta questa carta: in rosso i terremoti verificatisi negli USA centrali nei giorni immediatamente successivi ai 3 grandi terremoti. Come si vede sono tutti localizzati in aree in cui si fa reiniezione di liquidi tra Texas, Colorado, Oklahoma e Arkansas.
Nel Texas vicino a Snider, a parte le repliche di una scossa di 4.3 nel settembre 2011, i 10 giorni successivi al terremoti giapponese del marzo 2011 sono stati i più “sismici” da quando nel 2009 è iniziato il monitoraggio
Per quanto riguarda la Wilzetta fault dell'Oklahoma, immediatamente dopo la scossa cilena del febbraio 2010 numerose scosse hanno interessato l'epicentro della successiva forte scossa di 5 mesi dopo di cui ho parlato nel post precedente; da notare un 4.1 ad appena 16 ore da questo terribile terremoto. Sempre in quel periodo lo stesso comportamento è stato osservato a Trinidad, tra Colorado e New Mexico.
Anche il terremoto indonesiano del 2012 ha avuto effetti sparsi in alcuni di questi campi di reiniezione.

Che cosa può essere successo?
La spiegazione più plausibile è che le “zone sismiche indotte” siano per qualche motivo sensibili alle onde di superficie generate da forti terremoti lontani.


Ancora c'è da capire perchè, però, la reazione avviene in ritardo rispetto alla perturbazione indotta da queste scosse.

lunedì 22 luglio 2013

Terremoti di origine antropica 1: fracking, immissione ed estrazione di fluidi dal sottosuolo

Ci sono svariate modalità antropiche per produrre sismicità. Ne accennava anche Charles F. Richter in “Elementary Seismology”, la cui prima edizione è del 1958 (quando ancora che i continenti si muovessero non era ancora del tutto “pacifico”). In quel libro l'illustre sismologo americano parlava di terremoti dovuti al riempimento di bacini artificiali che così sollecitavano delle faglie presenti al di sotto della massa d'acqua (classico esempio, successivo alla stesura della prima edizione del libro, un terremoto in India nel 1967). 
Oggi la letteratura in materia è molto più completa e la casistica è ben più ampia. Le attività minerarie normali e lo sfruttamento di risorse idriche e di giacimenti di idrocarburi liquidi o gassosi sono state riconosciute come cause antropiche di terremoti. Un anno fa mi ero occupato specificamente del fracking e della questione della sismicità indotta: il fracking stesso ne produce, ma in generale di lieve intensità; invece la fonte principale di sismicità indotta è un'altra pratica molto discutibile dal punto di vista ambientale e cioè lo stoccaggio profondo dei liquidi usati per il fracking. Il caso classico è l'Oklahoma, dove la sismicità, oltre ad aumentare sensibilmente come numero di eventi, da micro è diventata macro.  
Volevo scrivere un post solo su questo argomento ma data la lunghezza oggi comincio parlando della sismicità indotta, lasciando altri aspetti di cui si è parlato in questi giorni nel mondo ad un post successivo, in particolare l'aumento della sismicità indotto da forti terremoti distanti. 

IL RECENTE AUMENTO DELLA SISMICITÀ NEGLI USA: CAUSE ANTROPICHE

La principale fascia sismica degli Stati Uniti è fra le Montagne rocciose e la costa pacifica. La zona centrale tra le Rocky e gli Appalachi, gli Appalachi stessi e la costa atlantica in teoria dovrebbero essere asismica o quasi. Invece sono ogni tanto sede di terremoti anche con M superiore a 5. il caso più noto è il terremoto di Nueva Madrid del 1811 tra Missouri e Arkansas, che con una magnitudo incerta, posta fra 7 e 8, ha raggiunto una intensità del X grado. Un altro caso è l'interno dell'Australia, dove negli ultimi decenni dei terremoti hanno interessato faglie che erano attive teoricamente prima di 500 milioni di anni fa.

Nel 1811 non c'era il fracking, né esistevano attività antropiche in grado di produrre scosse anche molto inferiori a quelle chi si registrarono nel Missouri. Ma negli ultimi anni la sismicità di basso livello è aumentata fortemente in aree come Oklahoma e Arkansas in corrispondenza dell'inizio delle attività di estrazione di gas dai gas – shales utilizzando il fracking.
La maggior parte degli eventi, comunque, e specialmente i più forti, non è da addebitare direttamente al fracking, ma si tratta di un “effetto collaterale”: l'assurda pratica di stoccare in profondità i liquidi inquinati del fracking, ma non solo quelli. E come si vede questa dal grafico qui accanto i terremoti con M superiore a 3 stanno drasticamente aumentando in questa vasta area per sua natura asismica o quasi. Un dato per confronto: tra il 1967 e il 2000 c'era una media di 21 eventi l'anno; ora siamo a più di 100! Arkansas, Colorado, New Mexico, Ohio, Oklahoma, Texas e Virginia sono gli stati più colpiti.

Secondo William Ellsworth, che ha scritto un articolo in proposito su Science, da cui è preso questo grafico, negli oltre 100.000 pozzi in cui è stato usato il fracking, sebbene questa attività produca intenzionalmente dei terremoti, ma con M minore di 1 e questa attività non ha mai provocato come effetto collaterale terremoti con M superiore a 2 (tranne in un caso, in cui si è avuto un 3.6. molte di queste scosse sono state percepite ma sono comunque insufficienti per fare danni). Il fenomeno è stato riportato sia diffusamente negli USA che nel Canada (2009 – uno sciame intenso nella British Columbia, lungo faglie esistenti ma precedentemente sconosciute) che in Inghilterra.

Invece lo stoccaggio dei reflui in profondità è una pratica a rischio di indurre terremoti più forti, proprio per la capacità di mettere in movimento faglie anche piuttosto vecchie. In USA ci sono circa 30.000 pozzi del genere (vengono usati anche per stoccare liquidi diverse da quelli usati per il fracking): non tutti sempre secondo Ellsworth sono pericolosi dal punto di vista sismico perchè lo sono esclusivamente quelli molto grandi e/o quelli che sono capaci di perturbare delle faglie, in particolare nel basamento paleozoico. Ovviamente non essendo oggetto di questo studio Ellsworth non parla dei rischi ambientali connessi a fracking e stoccaggio profondo.

INIEZIONE DI FLUIDI NEL SOTTOSUOLO: CASI STUDIATI

I problemi teorici sono:
- la distinzione fra terremoti naturali ed indotti è molto difficile e oggi l'unica via possibile è quella statistica: la presenza di terremoti in aree dove non venivano registrate normalmente delle scosse sismiche (il che per esempio pone problemi non tanto in aree come Ohio o Oklahoma, ma ad esempio in stati con una lunga storia sismica come la California)
- non tutti i 30.000 pozzi mostrano questo problema
- spesso i terremoti sono avvenuti ben dopo la fine dell'attività di reiniezione

Il primo esempio è degli anni '60 quando nella zona di Denver, normalmente asismica ma piena di faglie ormai non più in attività, una serie di terremoti hanno seguito l'iniezione in profondità di acque inquinate provenienti dalle attività di una base militare (ahia... qui c'è materia per i complottisti....). L'evento più importante ci fu nel 1967, quando venne raggiunta una M di 4.8; i sismi sono continuati fino al 1981. Interessante che la sismicità è progressivamente migrata per una decina di km dalla zona del pozzo.

Tra il 1969 e il 1973 una serie di esperimenti in un pozzo di iniezione di liquidi a scopo di estrazione di petrolio nel Colorado dimostrarono che l'attività sismica cessava una volta riportato sotto un determinato valore la pressione dei fluidi nel pozzo.

Anche un altro esempio viene dal Colorado: nella Paradox Valley esiste un acquifero salino: per evitare che queste acque vengano immesse nel Colorado, il livello di questa falda viene controllato e l'acqua reiniettata in un pozzo profondo. Si è registrato un forte livello di sismicità locale da quando sono iniziate queste operazioni, che oggi vengono controllate e temporaneamente sospese per riportare ogni volta la pressione ad un livello inferiore alla soglia di scatenamento dei terremoti.


I TERREMOTI DEL 2011 NEGLI USA CENTRALI E ORIENTALI

Numerosi terremoti fra Ohio, Arkansas e Texas avvenuti nel 2011 sono stati attribuiti a ripercussioni nel sottosuolo dell'iniezione in profondità di acque inquinate. Si tratta di eventi con M compresa fra 4 e 5.
Però in quell'anno ci sono stati 4 terremoti con M superiore a 5 nella Pennsylvania, in Oklahoma e al confine fra il Colorado e il New Mexico. Tutti questi eventi sono localizzati in aree dove sono operativi stoccaggi in profondità di liquidi inquinanti. Ora:
- i monti fra Colorado e New Mexico sono sede di attività sismica naturale
- sull'evento della Pennsylvania (M 5.8 del 23 agosto) ci sono dei grossi sospetti
- ma la relazione fra attività collaterali al fracking e sismicità in Oklahoma e Arkansas è praticamente certa

In particolare nell'Oklahoma (Lincoln County) tra il 5 e il 7 novembre 2011 sono avvenuti 3 sismi: il 5 novembre un 5.0. il 6 la scossa principale (5.7, con intensità fino al VIII grado della scala Mercalli) e un altro 5.0 il giorno 8. 
Il 2011 è stato anche l'anno a maggiore attività sismica (188 eventi); ipotizzo che ciò sia massimamente dovuto alle repliche della sequenza della contea di Lincoln

MECCANISMO DI INNESCO DEI TERREMOTI DA REINIEZIONE DI LIQUIDI

Le conclusioni di un team di geologi americani pubblicato su Geology il mese scorso non lasciano dubbi: la sequenza sismica del novembre 2011 in Oklahoma è stata innescata dalla reiniezione di liquidi nei pozzi per stoccarli. Questi liquidi hanno provocato un aumento della pressione dei pori delle rocce sottostanti, fino a vincere l'attrito lungo la superficie della faglia (da notare che le precedenti estrazioni di idrocarburi avevano di fatto azzerato questa pressione).

Si registra un fattore scatenante locale: a causa della geologia dell'area queste faglie delimitano dei blocchi fra i quali non c'è passaggio di liquidi e quindi è stato più facile aumentare la pressione.
Particolare di non trascurabile importanza è che la faglia attiva nel quaternario più vicina è a 180 km (una distanza vicina a quella che intercorre tra Milano e Bologna), quindi siamo in zona sufficientemente tranquilla. Si è mossa la Wilzetta Fault, che era attiva nel Carbonifero, quindi oltre 300 milioni di anni fa, all'epoca della formazione degli Appalachi. Chiaramente una faglia rimane pur sempre una zona di debolezza e quindi se qualcosa si deve muovere si muoverà proprio lungo una vecchia faglia. Anche nell'interno dell'Australia è così.
La faglia di Wilzetta è il cuore di un sistema di faglie che forma una trappola per gli idrocarburi: quest'area è sfruttata commercialmente da decenni. Tutta la microsismicità è associata a faglie preesistenti e un particolare di non trascurabile importanza è che nelle zone degli epicentri si collocano i pozzi di reiniezione di liquidi per il loro stoccaggio profondo. Quindi il sospetto che queste reiniezioni siano all'origine di questa sequenza sismica sono parecchi.

Un terremoto per iniezione di liquidi si innesca se la pressione nei pori aumenta fino a sorpassare una soglia critica oltre la quale questa pressione riesce a vincere l'attrito che tiene bloccata la faglia. Ricordo che negli anni '70 , in pieno ottimismo sulle potenzialità umane di governare la Natura, qualcuno pensava di impedire i forti terremoti iniettando liquidi nelle faglie per farle muovere prima che accumulassero una quantità distruttiva di energia elastica. Queste ricerche avevano il loro epicentro proprio negli USA.
È da notare il fatto che non ci sono stati terremoti durante la decompressione di queste rocce durante la fase di estrazione di idrocarburi.

QUESTIONI ANALOGHE IN EUROPA

Ci sono situazioni che fanno pensare anche a sismicità indotta da estrazione di idrocarburi in altre zone del mondo (per esempio un caso possibile lo abbiamo avuto in Olanda pochi mesi fa). Quanto all'Italia Franco Ortolani, che non è assolutamente un “bischero”, considera un terremoto con M 5.5 avvenuto a Caviaga, in Lombardia, nel 1951, come effetto delle coltivazioni di metano in atto in quel periodo. E ha spesso posto attenzione alla sismicità della val D'Agri che tuttavia non mi pare aumentata da quando hanno iniziato lo sfruttamento del petrolio lucano.

Per quanto riguarda la iniezione di liquidi si ricordano anche in Europa 3 eventi a M 3 avvenuti nei pressi di Basilea tra il 2006 e il 2007. in questo caso erano liquidi “tranquilli” usati a scopo geotermico. Il progetto è stato abbandonato.

Ellsworth nota che ci sono dei dubbi sul terremoto di Lorca, in Spagna, sempre del 2011 ma recentemente ho parlato con un geologo che si è occupato della subsidenza in quell'area e non ha accennato a cause antropiche del terremoto (mentre la subsidenza sì, ha forti radici antropiche nell'eccessivo sfruttamento delle falde acquifere). 
Di fatto la subsidenza naturale delle aree di pianura è oggi in tutto il mondo accelerata da eccessivi sfruttamenti dei corpi idrici del sottosuolo ma non si registra attività sismica dovuta a questo.
Ed è la dimostrazione che i guai maggiori sono quando si pompa nel sottosuolo e si aumenta la pressione dei fluidi lungo le faglie e non quando si estrae.

LE NUOVE PERPLESSITÀ SULL'ESTRAZIONE DI IDROCARBURI 
DA GAS – SHALES E OIL - SHALES

Insomma, fino a poco tempo fa le perplessità sul fracking erano soprattutto sulle possibili conseguenze dal punto di vista dell'inquinamento di acque ed aria, in particolare sul rischio di gravi contaminazioni delle falde acquifere sfruttate a scopi irrigui ed idropotabili.
È specialmente da questo punto di vista che l'Autorità del Potomac ha imposto una moratoria alle operazioni di fracking nelle aree coperte dal bacino di questo fiume che comprendono parti di ben 4 stati: Pennsylvania, New York, New Jersey e Delaware.
Oggi è stata definitivamente accertata un'altra minaccia e il problema maggiore è che ovviamente date le aree in cui si fa o si vuole fare fracking, dagli Usa all'Europa (Gran Bretagna, Polonia e Ucraina) alla Cina e all'Argentina normalmente le aree in cui si pensa di sfruttare i gas – shales non sono sede di attività sismica naturale e quindi la stragrande maggioranza degli edifici ivi presenti non è stata concepita per sopportare forti scosse di terremoto.
La questione ha portato alla ribalta il problema e quindi questa attività viene vista oggi molto male da molti dei residenti nelle zone interessate.

Non ho certezze in merito ma mi pare che almeno in Europa non dovrebbe essere ammesso lo stoccaggio in profondità dei reflui. Molto difficilmente questa pratica verrà vietata, ad esempio, in Cina o Argentina (la Cina ha importanti zone sismiche ma ben lontane dalle aree con gas - shales).
Dappertutto già eliminare lo stoccaggio profondo sarebbe un bel vantaggio, ambientale sismico e, viste le potenziali conseguenze, anche economico.
Ma ci sarà la volontà di imporre all'industria petrolifera un aggravio di costi negli USA? Molto, molto difficile.

Per l'Europa la situazione è in evoluzione. Ne parlerò prossimamente

mercoledì 10 luglio 2013

Il carburante della Tettonica delle Placche - 3 : estensione crostale tettonica e magmatica nel triangolo dell'Afar

Proseguendo a descrivere le cause dei movimenti delle zolle, stavolta mi soffermo sull'aspetto opposto a quello delle collisioni fra placche: la loro divergenza. Per noi studenti di Geologia degli anni 80 la questione era la stessa dell'uovo e della gallina: è la risalita del mantello che produce la rottura di un continente e la conseguente risalita di un magma (fino in alcuni casi alla formazione di un oceano) o è la rottura del continente che provoca la risalita del magma?
I due modelli sono magistralmente indicati da queste due figure: nella prima tensioni provocano un allugamento e un assottigliamento della crosta che alla fine si divide in due parti in allontanamento; nella seconda una intrusione magmatica come un cuneo entra nella crosta e provoca l'allontanamento delle due masse circostanti. Diciamo che nella realtà il fenomeno è dovuto ad una complessa interazione fra questi due fenomeni ed è guidata come vedremo nel caso specifico dell'Africa in un prossimo post anche da quello che succede nel mantello inferiore. Questo post ha preso alcuni input da una interessante conferenza a Firenze da parte di Derek Keir, dell'Università di Southampton, ha svelato alcuni segreti di questo fenomeno nel Corno d'Africa.

Il Corno d'Africa ha dei grandissimi significati per le Scienze della Terra e per quelle della Vita: non solo è la zona dove poche centinaia di migliaia di anni fa è comparso Homo sapiens, ma è anche il luogo dove possiamo trovare in sequenza tutti gli stadi in cui un rift incipiente si trasforma in un oceano in apertura tra due margini continentali passivi.

La giunzione tripla dell'Afar ha iniziato a formarsi circa 30 milioni di anni fa, nell'Oligocene, quando si misero in posto imponenti serie di lave basaltiche, che formano oggi il pavimento della depressione. I Trappi dell'Etiopia sono - per adesso - l'ultimo dei tanti episodi di Large Igneous Provinces che si sono formati intorno all'Africa e che dalla fine del Triassico ad oggi hanno preceduto la formazione degli oceani che oggi la dividono dagli altri continenti che insieme a lei facevano parte del Gondwana. Da quel momento ha iniziato ad aprirsi il Mar Rosso, oggi dotato di una vera crosta oceanica, mentre a Sud le grandi fosse tettoniche dell'Africa Orientale contraddistinguono una separazione fra Africa e blocco somalo ancora ad uno stadio embrionale. 
I tre stadi si vedono molto bene in questa immagine tratta da: Ebinger et al (2010): Length and timescales of rift faulting and magma intrusion: the Afar rifting cycle from 2005 to present. Annual Reviews of Earth and Planetary Science 38, 437–464

Il Corno d'Africa è dunque la zona intermedia fra il Mar Rosso e il sistema dei rift dell'Africa Orientale. In concomitanza con la messa in posto dei basalti 30 milioni di anni fa c'è stato un forte innalzamento della crosta, embrione di quelli che diventeranno gli altopiani somalo e etiopico. 
Successivamente la zona centrale si è ribassata, e si sono individuate le grandi faglie che delimitano il confine fra la depressione dell'Afar e i due altipiani, tra Oligocene e Miocene. Da quando si sono formate queste faglie bordiere Nubia e Somalia hanno iniziato ad allontanarsi; in quella fase le forze che maggiormente dirigevano questi movimenti erano quelle tettoniche, anche se il magmatismo era diffuso in tutta l'area; l'Afar è dunque il risultato di un processo di estensione in cui la crosta si distende e diventa meno spessa.
Naturalmente, siccome la zona “calda” della deformazione è rimasta sempre quella del centro del rift, ad un certo punto l'allontanamento degli altopiani ha concluso la fase della loro deformazione.

Oggi al di sopra un mantello e una crosta molto stirati, l'attività vulcanica nell'Afar si esplica in alcuni stratovulcani e diverse fessure spesso accompagnate da piccoli coni di lava basaltica; le tracce di magmatismo recente sono evidenti ed infatti si contano parecchi episodi per decennio. È interessante notare come negli ultimi due milioni di anni c'è stato un cambio netto: la componente di estensione magmatica è diventata preponderante al posto di quella tettonica.

Sull'origine di questi magmi ci sono due ipotesi:
  • la prima è che derivino direttamente dal mantello terrestre, dalla astenosfera africana, di fatto molto calda: le varie manifestazioni magmatiche odierne sparse per il Sahara (Haggar, Tibesti etc etc) insieme ai punti caldi che circondano il continente sono una conseguenza di questa zona del mantello anomalmente calda
  • una seconda possibilità è che i magmi si originano direttamente sotto al rift a causa della caduta della pressione dovuta all'assottigliamento della litosfera
Quindi ritorniamo al dubbio amletico di cui all'inizio del post: i magmi provocano il rift o ne sono una conseguenza?

Tra il 14 settembre e il 4 ottobre 2005 nell'Afar abbiamo avuto la prova della capacità di innescare una divergenza fra i due lati del rift da parte di una intrusione magmatica, quando uno sciame sismico (163 terremoti di M 3.9 o superiori in 20 giorni, che salgono a 370 considerando una M minima di 3!) ha interessato un segmento lungo 60 km del rift, nella zona di Dabbahu, in contemporanea con una attività eruttiva nella zona settentrionale interessata dallo sciame sismico. Questa carta ottenuta al solito con l'Iris Earthquake Browser mostra chiaramente l'area interessata dallo sciame

Questo evento ha coinvolto ben 2,5 km cubi di lava. Per capire quanto enorme sia un quantitativo del genere si può fare un confronto con il Kilauea, il vulcano hawaiano con la massima produzione di lava odierna: ebbene in 30 anni di eruzione continua ne ha prodotti “appena” 3,5. Se si guarda l'Etna, la famosa eruzione del 1983 ha invece prodotto meno di 0,1 km cubi di lava e in oltre un anno di attività fra il 1950 e il 1951 il gigante siciliano ne produsse poco meno di 0,2 km cubi: per produrre quanto si è messo in posto in poche settimane nella crosta dell'Afar il Kilauea ci mette quasi 25 anni; per l'Etna questo è un valore impensabile. A questo valore bisogna aggiungere 0,5 km cubi di lave a Dabbahu e nella vicina Gabho.

Vediamo ora i fenomeni che hanno accompagnato l'eruzione con questa immagine estremamente significativa, in cui innanzitutto di vede che la zona di frattura è la zona assiale del fenomeno. Notare che la distribuzione del magma lungo la frattura è stata piuttosto irregolare. In particolare le eruzioni subaeree si collocano tra Dabahu e Gabho, alla estremità settentrionale della frattura.

I colori indicano le variazioni nella quota del terreno: in rosso le zone che si sono rialzate, in blu quelle ribassate: nella zona assiale il terreno si è abbassato anche di due metri, mentre intorno si è innalzato di un valore simile.
Quindi l'eruzione ha prodotto due rigonfiamenti simmetrici ad una zona ribassata collocata immediatamente sopra alla zona di frattura.
La maggiore quota del terreno non è da addebitarsi a lave superficiale prodotte dall'eruzione, ma al materiale che si è solidificato all'interno della crosta, sia pure in zona molto superficiale e ha spinto in alto quanto si trovava sopra di esso.

Nell'immagine ci sono anche delle frecce che misurano lo spostamento del terreno. Si osserva agevolmente l'allontanamento, più o meno simmetrico, dalla zona assiale, che ha coinvolto tutta la zona intorno all'eruzione lineare con dislocamenti che hanno raggiunto un valore di oltre 8 metri in 20 giorni.

Che questo spostamento sia dovuto in maniera preponderante dall'iniezione di magma, fattosi strada allargando la frattura, è evidente dal calcolo del dislocamento provocato dai terremoti, che secondo i lavori del gruppo di cui fa parte Derek Keir è inferiore al 10% di quanto complessivamente osservato.

L'evento di Dabbahu dimostra quindi che le intrusioni magmatiche sono un sistema molto efficace per formare nuova crosta e allargare le distanze fra due masse separare da una dorsale oceanica.

E come hanno fatto notare vari autori, fra i quali Claudio Faccenna, il “ridge push”, la spinta che questi fenomeni provocano lungo le dorsali oceaniche è una delle forze da considerare nelle aree in cui le zolle si scontrano.