mercoledì 29 maggio 2013

Geologia per una nuova politica (nel senso della poli-etica e non dei partiti) - intervento di Mauro Chessa, presidente della Fondazione Geologi Toscana e risposta di Enrico Rossi, Presidente della Regione Toscana

Mauro Chessa è presidente della Fondazione Geologi Toscana, una fondazione che organizza formazione per i geologi e non solo. In questa lettera fa presente alcuni problemi dell'assetto del territorio in Toscana, una regione che sostanzialmente è abbastanza "avanti" nella difesa del territorio ma che presenta lo stesso delle forti criticità, dovute soprattutto a scelte pregresse non proprio ottimali, come per esempio quelle in campo urbanistico: Mauro Chessa fa esplicito riferimento alla situazione di Marina di Campo all'Isola d'Elba, una situazione che purtroppo è comune a molte aree italiane. Un altro fatto estremamente curioso è che zone ricche di risorse minerarie (il distretto dei marmi apuani e l'area geotermica dell'Amiata) sono anche quelle in cui ci sono maggiori problemi economici. Per "par conditio" pubblico anche la risposta a questa lettera scritta dal Presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi. Volontariamente non inserisco alcun commento da parte mia.

«Le recenti alluvioni che hanno colpito, ancora una volta, la Toscana, sono un ulteriore campanello d'allarme che chiama in causa le responsabilità di tutti e impone svolte radicali nell'uso del territorio, nelle politiche di investimento e nel modello di sviluppo», queste le parole del presidente della Regione Toscana (Massa, 12 novembre 2012), parole coerenti con precedenti affermazioni: «La tutela del nostro territorio come elemento di identità assoluto, è tanto più forte quanto più svincolata dalla responsabilità di produrre reddito.» (Convegno nazionale sul caso toscano – dalla parte del territorio, Firenze 24 marzo 2012).
Queste encomiabili dichiarazioni risultano però stridenti rispetto ad alcune realtà toscane. Partirò da aspetti che non hanno immediata connessione con il dissesto idrogeologico, ma che sono fortemente indicativi di quel rapporto con il territorio che Rossi, giustamente, mette in discussione. 

Per esempio nel comprensorio marmifero si raggiunge la densità di 7 cave per Kmq, con la totale devastazione di un territorio che ha identità da vendere. A fronte di questo enorme peso ambientale e sociale il comparto marmifero restituisce pochissimo: il Comune di Carrara è il secondo più indebitato d'Italia, il poco che ottiene dalle attività estrattive viene impiegato per l’attività stessa e non ad incremento della ricchezza diffusa. 
Negli ultimi decenni, con le nuove tecnologie, si è avuta una drammatica riduzione degli occupati: quelli direttamente impiegati in cava sono passati da 14.000 a 1.000. Ancora più pesante la contrazione dell’indotto: si è sviluppata la produzione del carbonato di calcio che ha una filiera assai più corta della lavorazione del marmo, oltre ad essere sempre più diffusa l’esportazione del marmo grezzo in luogo della lavorazione in loco. 
È evidente quindi come si concretizzi la separazione tra territorio e la popolazione: nonostante la natura pubblica di una risorsa non rinnovabile come il marmo, nonostante il pesantissimo prezzo ambientale che l’estrazione provoca, nonostante la natura giuridica delle cave (dal tempo degli editti estensi di proprietà pubblica) il privato attua una produzione scollegata dal territorio, nelle sue componenti ambientali e sociali, che risulta sempre più irreversibilmente impoverito.

Un altro esempio toscano di spoliazione del territorio dalla sua valenza identitaria è la geotermia, propagandata come una fonte economica, inesauribile, che non produce inquinamento. I valori misurati da ARPAT dicono invece che produce circa 2.000.000 di tonnellate di CO2 all’anno (dato 2007): la centrale ad olio di Livorno, a parità di energia prodotta, emette meno CO2 delle centrali geotermiche dell’Amiata. Ma la CO2 non preoccupa gli abitanti delle aree geotermiche quanto le altre sostanze che non vengono trattenute: la sola centrale Bagnore 3 ogni giorno emette 1 ton di acido solfidrico, 4 ton di ammoniaca, 7 ton di metano, 1,2 Kg di acido borico, 96 g di mercurio, 9 g di arsenico, 214 ton di CO2. 
C'è poi la questione delle interferenze con la falda che alimenta l’acquedotto del Fiora, che serve un'utenza di 700.000 abitanti equivalenti: in 30 anni la portata delle sorgenti si è ridotta dai 300 milioni di mc degli anni '70 ai 90 di oggi. La diminuzione dell'acqua ha corrisposto all'incremento del contenuto in Arsenico. A ciò si aggiunga che la falda geotermica più superficiale, che nei prossimi decenni, con l'esaurimento dei combustibili fossili, avrebbe avuto un significato strategico fortissimo, è stata depressurizzata e abbandonata. A questo imponente impatto della geotermia tradizionale (altrove si utilizzano tecnologie innovative, assai meno impattanti) corrisponde, secondo l’IRPET, lo sconcertante fatto che i comuni amiatini sono i più poveri della Toscana.

Questi sono due casi dove si registra lo sfruttamento di beni comuni con gravi danni e depauperamento del territorio, senza che vi sia distribuzione di ricchezza; lo sfruttamento è palesato nell’arricchimento di alcuni soggetti a discapito della collettività. Quale sentimento di identità, quale condivisione possono favorire queste situazioni?

È tuttavia necessario osservare che in generale, riferendoci al territorio in se e non alle sue componenti storicamente individuate come ‘risorse’ (acqua, minerali ect), è riduttivo ricondurre la lettura alla relazione tra sfruttatore e sfruttato; per comprendere è necessario riflettere sulla percezione diffusa del territorio.
Il passaggio, negli ultimi decenni, da una gestione di tipo familiare delle aree a destinazione agro-silvo-pastorale, ed in genere del territorio, a quella attuale di carattere industriale, ha determinato la diminuzione della sensibilità nei riguardi della 'terra', dalla quale il nucleo familiare otteneva sostentamento ed alla quale era legato per tradizione culturale e per successione genealogica. 
Era quindi dominante il criterio della conservazione del bene. Con la società industriale il legame tra le comunità e territorio è divenuto essenzialmente economico: il valore della terra è commisurato alla sua commerciabilità e spesso al pregio edilizio. Si tratta di una variante del post-fordismo, dove la rottura del patto sociale non è la portante di un processo speculativo, nel quale sono individuabili sfruttatore e sfruttato, ma diviene il paradigma accettato della cultura del profitto che regola la nostra società.

Significativo il caso di Marina di Campo (Isola d'Elba), alluvionata nel novembre 2011. L’abitato è sorto in una piana, chiamata fino a pochi anni fa Maremma dell'Elba. Si è urbanizzata la duna costiera, lasciando al retro la zona umida che conserva il toponimo Stagno, poi si è urbanizzato lo stagno strizzando il fosso che scendeva a fianco dell’area paludosa e riducendo il canale di bonifica ad un budello. Le conseguenze sono state disastrose. Non c’è l’intervento di interessi imprenditoriali prevaricanti la volontà delle popolazioni locali, gli abitanti stessi (cittadini e amministrazioni) hanno totalmente rimosso le consapevolezza della natura del territorio dove vivono, in nome di una 'valorizzazione' a breve termine e di corto respiro.

Analoghe le valutazioni per Aulla, espansa nell’alveo del Magra nel rispetto degli strumenti urbanistici che non hanno tenuto conto di una conclamata situazione di pericolo, o per Albinia, dove si è verificato un evento ampiamente prevedibile. 
Ma il nostro territorio è costellato da molte altre situazioni più particolari e minute, che proprio per questo, essendo legate ad una specifica volontà realizzativa, ancora meglio evidenziano lo strappo del rapporto tra i residenti e la coscienza del territorio. 

L'esempio è Mulazzo, duramente colpito dai dissesti del 2011: le ricognizioni hanno condotto alla individuazione di molte riduzioni delle sezioni fluviali, palesemente sottodimensionate rispetto alle necessità idrauliche
Altra faccia della rottura del rapporto con il territorio è l’abbandono delle aree la cui produttività non raggiunge gli standard industriali; la dismissione dell’agricoltura montana ha espanso le superfici boscate non soggette a cure colturali, colonizzate da specie che crescendo diventano instabili.
Durante gli eventi meteorici intensi si hanno imponenti decoticamenti, con alberi e detriti che vanno ad ostruire le luci dei ponti e restringere le sezioni di deflusso. 
I costi sociali ed economici, se rientrassero in qualche contabilità decisionale, da soli giustificherebbero la manutenzione di tali aree

Invece il 'grande cantiere' per la messa in sicurezza idrogeologica del territorio - che a noi geologi risulta il minimo sindacale in termini di governance - sconta sia la diffidenza dei cittadini, perché percepito come una tassa e non come una diversa modalità della produzione, sia l'avversione dei decisori politici, che concepiscono i grandi cantieri come regolatori economici: non interessa una moltitudine di piccoli interventi ma appalti faraonici, generatori di PIL, per i quali l'incremento dei costi in corso d'opera è blandamente contrastato e forse persino gradito, vedi le grandi infrastrutture, regolate da un project financing cucito per lasciare briglia sciolta al ricarico attraverso i sub-appalti e gli 'imprevisti'. 
Così accade che il DPEF 2013 della Toscana, redatto mentre il grossetano andava sott'acqua, prevede 56 milioni alla voce “prevenzione dal rischio idrogeologico”, che non sono pochi, ma molto meno dei 200 milioni alla voce “interventi per le infrastrutture”.
La messa in sicurezza idrogeologica è un'utopia in una società dove l'obbiettivo è il PIL e non la ricerca della qualità della vita, di questa e di quelle a venire. Le ripetute incursioni legislative post-calamità sono pannicelli caldi, non modificano strutturalmente il problema, inoltre, oltre ad essere tardive, sono apprezzabili nelle finalità ma oscillano tra emotività e compromesso, così da risultare ottuse nell'articolato e negli esiti.
La nostrana L.R. 21/12, sulle aree a maggior rischio idraulico, non fa eccezione. 

Il comune denominatore tra i casi che ho portato ad esempio è la rottura del rapporto tra l’uomo ed il territorio, i primi due (Apuane e Amiata) sono solo apparentemente diversi da quelli legati al dissesto idrogeologico perché la contrapposizione di interessi è evidente nella separazione delle figure che li incarnano. 
«Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose» (Einstein); l'alternativa non può prescindere da un diverso paradigma socio-economico, l'attuale ha stabilito un legame surrettizio tra l’economia di mercato e la percezione del benessere, non misurato sulla concreta qualità della vita ma sulla capacità d'acquisto di prodotti artatamente effimeri, che disconosce la sostenibilità lasciando ampi margini al sovra-sfruttamento delle risorse naturali, all’aumento dei rifiuti e dell'inquinamento, alla mercificazione dei beni, dei servizi e del lavoro. 

Il disinnamoramento per i partiti ha motivi contingenti ma cresce anche sull'incapacità di delineare vie d'uscita all'insostenibilità del sistema nelle sue componenti produttive, economiche, sociali, ecologiche. La 'politica' non offre sbocchi, non ha la forza per guidare la trasformazione che la società attende, ma la società stessa non ha risolto la tensione divaricante tra il consumismo e lo schiacciante peso che questo esercita sulla sostenibilità. 
«Nel mondo c'è quanto basta per le necessità dell’uomo, ma non per la sua avidità» (Gandhi – prima che il calcolo dell'impronta ecologica traducesse drammaticamente in numeri quest'affermazione), l'alternativa non può prescindere dal sancire il dovere di ogni generazione di consegnare a quella successiva un mondo non depredato, dalla centralità del lavoro quale espressione dell'equilibrio qualitativo e quantitativo tra produzione e bisogni, ma anche dalla rivitalizzazione della democrazia: è determinante il coinvolgimento delle popolazioni nelle politiche della sostenibilità, territoriale, economica e sociale; nessuna di queste può aver successo se non è condivisa, come mostra settorialmente l'analisi delle cause dei 'disastri naturali'. In questa luce la trasformazione delle Province in enti di secondo livello (cosa diversa dall'accorpamento), senza elezione degli amministratori, è motivo di forte preoccupazione, per l'ulteriore allontanamento dei cittadini dai centri decisionali.

È arduo ricucire la cesura tra territorio e popolazione che la cultura del profitto ha determinato, come riconoscono esplicitamente le affermazioni del presidente Rossi, in assenza di una riflessione collettiva sul nostro modello sociale; come ben documentato nel lavoro di Fitoussi e Laurent (economisti di fama internazionale, tutt'altro che rivoluzionari, che analizzano l’attuale crisi e delineano una exit strategy) i tre corni del problema - la questione economica, quella ecologica e quella sociale - si aprono gli uni agli altri e si determinano reciprocamente. 
Quindi a fianco della riflessione sociale e politica deve esserci una riflessione ambientale (non necessariamente ambientalista, nell'accezione comune), sul rapporto tra la società e il territorio, le sue risorse, le sue dinamiche, per la quale il contributo delle Scienze della Terra è imprescindibile.

De Gasperi disse che la differenza tra un politico e uno statista sta nella prospettiva temporale: il primo guarda alle prossime elezioni il secondo alle prossime generazioni. Le affermazioni del presidente Rossi che ho riportato sono da statista, traduca questo respiro, traduca la tensione verso «svolte radicali nell'uso del territorio, nelle politiche di investimento e nel modello di sviluppo» nella prassi amministrativa della Regione e conti sulla competenza dei geologi.
Oltre che nella quotidianità lo attendiamo anche nei grandi appuntamenti, sui tavoli della Regione giacciono le bozze di provvedimenti nodali: la revisione della 1/2005, della 78/98, il Piano paesaggistico, la legge sulla difesa del suolo, il Piano energetico, ed anche una legge sulla partecipazione che valorizzi l'apporto positivo e propositivo delle componenti sociali, e non serva a burocratizzare le vertenze che i cittadini mettono in essere per difendersi dall'aggressione al territorio con il quale hanno un legame identitario.

Mauro Chessa – Presidente Fondazione dei Geologi della Toscana

E questa è la risposta di Enrico Rossi, Presidente della Regione Toscana

Egregio Presidente Mauro Chessa,

                                                           La ringrazio per le sue riflessioni. Riguardo al suo invito non posso che dirle che siamo a metà della legislatura e già penso che la Toscana abbia compiuto importanti passi avanti nel cambiamento delle politiche del territorio. 
In piena coerenza con il programma di legislatura con cui ci eravamo presentati abbiamo puntato il più possibile sulla salvaguardia del territorio agricolo e la tutela del paesaggio. Siamo dell’idea che questa direzione - combinata con il rilancio del manifatturiero - sia l’unica in grado di far ripartire uno sviluppo di qualità nella nostra regione. 

Abbiamo ripreso una discussione positiva e utile con i comuni per quanto riguarda i piani strutturali, e abbiamo compiuto un altro passaggio straordinario con la “vestizione” dei vincoli. Non temo smentita nel dire che nel governo del territorio abbiamo messo a punto nuove politiche di contrasto al consumo di suolo, i cui risultati però saranno pienamente apprezzabili soltanto in futuro. E’ stata rafforzata l’attività di verifica della coerenza tra il Piano di indirizzo territoriale regionale e la pianificazione urbanistica locale, una attività di verifica resa possibile attraverso le osservazioni e, quando necessario, il ricorso alla conferenza paritetica interistituzionale. 
Le diverse integrazioni alla legge regionale sul governo del territorio, necessarie per recepire provvedimenti nazionali, sono state usate al fine di iniziare a diversificare le procedure per il riuso delle aree già urbanizzate rispetto al nuovo consumo di suolo agricolo. Ciò sia nel 2011 con la legge 40, che ha introdotto una nuova norma per la rigenerazione urbana, che con la legge 52/2012 che disciplina le procedure per le grandi superfici di vendita, differenziandole a seconda che interessino edifici già esistenti o nuove aree agricole, e prescrivendo in questo ultimo caso la pianificazione sovracomunale e la distribuzione degli oneri di urbanizzazione tra tutti i comuni.

Sugli aspetti quantitativi del consumo di suolo sono stati affinati i sistemi di monitoraggio e introdotti nuovi indicatori, ad esempio la valutazione degli effetti indotti dalle nuove urbanizzazioni (ad esempio la frammentazione) sul territorio e sul paesaggio.
Con la revisione della Legge 1 inoltre porteremo avanti, con dispositivi operativi ad hoc, il principio secondo cui nuovi impegni di suolo vengono consentiti solo qualora non sussistano alternative di riutilizzazione e riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture esistenti. 

A tutto questo aggiungo altre due svolte non meno radicali: il divieto a costruire nelle zone ad alto rischio idraulico, che purtroppo costituiscono il 7% del territorio pianeggiante della Toscana, e la riforma dei Consorzi di bonifica, che vogliamo finalizzare alle attività di manutenzione. 
Per quanto riguarda invece la qualità del territorio e del paesaggio, nella redazione del Piano paesaggistico regionale stiamo lavorando a una interpretazione che tenga conto dei tanti e vari aspetti che compongono l’assetto complessivo, come l’ idrogeomorfologia, il territorio rurale, la salvaguardia degli ecosistemi, il possibile sviluppo degli insediamenti come policentrici. Per ora abbiamo ottenuto, primi in Italia, la validazione da parte del Ministero per i beni e le attività culturali, del lavoro di vestizione dei vincoli da noi previsto. 

Come vede la nostra idea di governo del territorio non manca di attenzione agli aspetti di salvaguardia sia degli ambienti strettamente naturali che dei paesaggi “artificiali” che pure rendono celebre la nostra regione nel mondo; nonché della salvaguardia anche delle vite dei cittadini di fronte a possibili rischi idrogeologici. 
Così come per l’aspetto storico-artistico, non è semplice governare un territorio garantendone sia la vitalità e lo sviluppo economico che la tutela dell’esistente: la Toscana è un capolavoro, ma non è un museo. Il nostro impegno è tuttavia di cercare di portare avanti entrambi gli aspetti nel miglior modo possibile e di costruire un futuro vivibile anche per le nuove generazioni.

Con i miei più cordiali saluti,
Enrico Rossi

martedì 21 maggio 2013

Crollo della casa dello studente all'Aquila: ancora una volta la Scienza non è trattata correttamente

Finalmente cominciano ad uscire all'Aquila sentenze di condanna nei confronti di chi ha costruito, restaurato o ristrutturato in maniera non adeguata, con il relativo seguito di danni materiali ma soprattutto di vite umane. Non ho letto le motivazioni della sentenza, ma solo quanto riferisce al proposito l'edizione on-line di Repubblica. Purtroppo se il giornale riporta esattamente quanto dice la sentenza, per questa condanna sono stati usati termini impropri a proposito della “previsione di un terremoto”. La cosa non è questione di lana caprina: la parola “previsione” infatti è in questo caso (e purtroppo non solo in questo caso) usata non solo impropriamente, ma soprattutto in maniera da fuorviare l'opinione pubblica. Già parecchio tempo fa scrissi della “previsione dei terremoti” facendo un paragone fra chi si occupa a proposito dell'atmosfera del “tempo che verrà” e chi si occupa del clima. Mi sa che sia l'ora di ribadire nuovamente tutto ciò. 

Dovrei essere contento per la condanna di quattro persone per il crollo della Casa dello Studente nel terremoto abruzzese del 2009. In effetti è innegabile - e non solo in questo caso - che si sarebbe potuto evitare buona parte delle vittime se le costruzioni crollate fossero state costruite o ristrutturate in maniera corretta, a norma di legge.
Benissimo. 
Devo dire però che la sentenza, sia pure giustificata, non mi pare usi i termini scientifici esatti e noto anche leggendo in quà ed in là in Rete molta confusione in merito. 

Ribadisco che la sentenza contro la “Commissione Grandi Rischi” riporta l'orologio indietro di decenni, visto che è ormai tanto tempo che il mondo scientifico sta parlando (più o meno inutilmente, a giudicare dalla pubblica opinione e non solo) della cosa più normale da farsi per premunirsi contro tutte le catastrofi naturali, non solo per i terremoti: la prevenzione; invece secondo il giudice di questo processo l'attività di prevenzione diventa “inutile in quanto le caratteristiche edilizie del patrimonio locale non potevano essere in grado di passare indenni un evento sismico di quella portata"; 
Quindi secondo i giudici diventa necessario fare le previsioni, il tutto in barba alla letteratura scientifica e allo stato dell'arte della ricerca (per favore lasciamo perdere apprendisti stregoni locali ed emissioni di Radon associate). 
Ma qui, siamo alla solita questione dell'incompetenza scientifica della classe dirigente italiana: in quale altro Paese evoluto sarebbe potuto succedere tutto questo? 
E anche nella sentenza di cui parlo oggi ci risiamo con la questione della "previsione".

Per spiegare meglio il concetto faccio un paragone con lo studio dell'atmosfera fra chi studia il clima e chi fa le previsioni del tempo. 
I meteorologi cercano di indicare come sarà il tempo nei prossimi giorni. Quindi se dicono che nella vostra città “domani pioverà” voi vi preparate a svegliarvi domattina con la pioggia e la necessità di prendere ombrello e/o impermeabile. Questa è - indiscutibilmente - una previsione. 
I climatologi invece dicono altre cose: non prevedono se domani pioverà, ma diranno per esempio che in genere a Giugno piove meno che a Novembre e che in estate fa caldo ed in inverno fa freddo. In particolare sulla scorta di questo in primavera ed in autunno facciamo “il cambio dell'armadio”. 

Torniamo alla sentenza sul crollo della Casa dello Studente (preciso che debba sempre essere implicito che sto scrivendo in base a quanto letto sull'articolo in questione): cosa c'è scritto di sbagliato? Semplicemente quello di affermare che il terremoto dell'Aquila "non era affatto imprevedibile". 
Perchè secondo i giudici il terremoto era “prevedibile”? Secondo l'articolo il giudice Grieco sostiene che il sisma poteva essere previsto ''essendosi verificato in quello che viene definito periodo di ritorno, vale a dire nel lasso temporale di ripetizione di eventi previsto per l'area aquilana'', valutato da un consulente in circa 325 anni.

Sulla base di questo il giudice rileva che essendo passati 306 anni dal terremoto del 1703 l'evento del 2009 era prevedibile e nella progettazione e nel collaudo dell'intervento di questo si doveva tenere conto.

Eh, no.... non ci siamo...
Nulla da eccepire sul fatto che il "tempo di ritorno" era prossimo. 
Ma non è che si costruisce in maniera adeguata perchè siamo vicini al tempo di ritorno; la Legge dice che si deve costruire in maniera adeguata a quello che potrebbe succedere, a prescindere dal tempo di ritorno. Punto e basta.
Quindi quella del tempo di ritorno è una cosa assolutamente fuori dal seminato.
Semmai c'è da capire perchè la questione del tempo di ritorno ormai prossimo è stata tirata fuori nei tribunali e mai dalla classe dirigente locale (la Scienza lo aveva già detto, come vedremo in seguito).

Inoltre ripeto per l'ennesima volta che prevedere un terremoto significa precisare lo scatenarsi di un evento sismico entro limiti di tempo, spazio e magnitudo il più stretti possibile, per cui ci dovrebbe essere un comunicato che recita più o meno così: "dai dati in nostro possesso abbiamo previsto che il giorno X di questo mese si verificherà presso la località "nome della località", lungo la struttura sismica denominata "faglia di vattelappesca” un evento sismico di Magnitudo M e con questo meccanismo focale. Nella mappa allegata a questo comunicato viene indicato il conseguente scuotimento del terreno (cioè la famosa PGA - Peak Ground Acceleation, l'accelerazione massima impressa al terreno dalle onde sismiche). Ovviamente tale comunicato dovrebbe pure indicare quali disposizioni urgenti siano state adottate dalla protezione civile: in questo caso sapendo che da lì a pochi giorni la scossa dovrebbe arrivare vengono già sistemate le attrezzature per l'emergenza e ne viene indicata l'ubicazione.

In pratica sarebbe come se i climatologi ad Agosto lanciassero l'allarme perchè a novembre presumibilmente pioverà.... Non è così: o, meglio, i dati dei climatologi possono lanciare un allarme se dicono che gli alvei dei fiumi devono essere adeguati perchè non in grado di smaltire le precipitazioni autunnali (che di solito, ma non sicuramente, verranno, anche se appunto c'è un'altissima probabilità che verranno), ma non possono indicare una data esatta in cui avverrà questa situazione. 

I sismologi non sono dei “meteorologi della Terra”, ma dei “climatologi della Terra
Con la zonazione sismica si ipotizza quale sia la massima accelerazione del suolo possibile durante il terremoto più violento che può scatenarsi in una certa zona e con il criterio del tempo di ritorno si può avere un'idea di ogni quanto questo terremoto si scatena. 
Però nessuno è in grado di fare il meteorologo della Terra, cioè dire “domani ci sarà il terremoto”. 
È un po', appunto, come capire quale potrebbe essere la portata massima a cui potrà arrivare un fiume e in che stagione è più probabile che avvenga. Come il climatologo che non può precisare il giorno in cui il fiume avrà la portata massima (saranno i meteorologi a poter dire che “domani c'è l'allarme per piogge estremamente abbondanti”) così geologi e geofisici sono in grado di dire per ogni area che tipo di terremoto potrà scatenarsi e quale potrebbe essere la sua intensità massima. Possono anche dire che "in media" questo evento arriva ogni tot anni. Ma potranno solo parlare di probabilità più o meno elevata di avere una scossa di quel tipo entro le prossime decine di anni, non se e quando tutto questo avverrà.

Poi io non sono un legale, ma questa sentenza secondo me potrebbe avere una conseguenza devastante: chiunque non ha costruito "bene" e chiunque abbia legiferato male o non abbia legiferato dovrebbe essere considerato colpevole? Magari fosse così....

Ritornando al “tempo di ritorno”, questo quindi non può essere usato per questioni "emergenziali" perchè comporta una finestra temporale e spaziale un po' troppo elevata: in Abruzzo si sarebbe dovuti arrivare all'assurdo che chi non abitava in case “sicure” in un'area imprecisata avrebbe dovuto dormire altrove da qualche anno e continuare a farlo per un altro lasso di tempo, altrettanto imprecisato (ovviamente se l'edilizia fosse stata adeguata alla bisogna non sarebbe successo niente....). 

Il “tempo di ritorno” è inoltre una questione di statistica (sia pure con solide basi teoriche) e al proposito annoto che se la Natura usasse esclusivamente questo criterio i terremoti irpini del 1962 e del 1980 non sarebbero dovuti avvenire in quanto troppo vicini all'evento del 1930.... 

Dire che su queste basi il terremoto era prevedibile è quindi sbagliato. 
In buona sostanza, l'edificio della Casa dello Studente avrebbe dovuto essere adeguato a quello che era il possibile scenario sismico ipotizzabile grazie ai dati storici. E che si fosse vicini al tempo di ritorno o no non vuole dire assolutamente niente.

Il tempo di ritorno è comunque un criterio di cui si dovrebbe tenere conto se si decidesse di adeguare progressivamente almeno gli edifici "sensibili" in caso di terremoto, cioè:
- gli ospedali, verso i quali dovrebbero affluire medici e feriti
- i centri della Protezione Civile, a partire dalle prefetture, che in quei frangenti devono funzionare "per forza"
- le scuole, perchè se il terremoto avviene in orario scolastico la popolazione giovane sarebbe "a rischio" e perchè sono luoghi ideali per collocare gli sfollati, molto più delle tendopoli

Cioè sarebbe importante cominciare dalle zone più a rischio, quelle in cui è più vicino il tempo di ritorno di un evento importante. Annoto con amarezza che proprio scuole ed ospedali sono fra gli edifici che negli ultimi gravi eventi sismici (Molise, Abruzzo ed Emilia, ma anche nella zona del Pollino) non si sono distinti per resistenza alle scosse. Un segnale MOLTO grave!

Da ultimo nell'articolo Repubblica riporta una dichiarazione attribuita a Massimo Cialente, sindaco dell'Aquila, sulla quale mi trovo piuttosto d'accordo: “la mia analisi del terremoto e della nostra vicenda è che in Italia tutte le persone che sono chiamate a compiere attività di controllo e di ispezione la fanno con un lassismo assoluto. Tutte le tragedie che avvengono nel nostro Paese sono per incuria nei controlli". 

Il problema è che forse pure Cialente stesso si deve accusare di far parte di questa categoria (che comunque non solo da quelle parti è molto vasta).

Ci sono due motivi per affermare questo. 

Il primo è che l'Abruzzo Centrale già fino dagli anni '80 era inserito fra le zone sede di “gap sismico”  cioè le zone in cui il tempo di ritorno medio di un evento particolarmente forte è già passato o è prossimo all'arrivo. 
Ora non riesco a trovare il volume dove c'è questa carta. Ricordo che altre zone con gap sismici riconosciuti erano il faentino, due zone in Calabria, la Sicilia Orientale e sempre in Sicilia la zona di Capo d'Orlando. Quindi non era da ieri che doveva essere presente la consapevolezza del rischio in Abruzzo.

Il secondo si basa su un evento importante del 2006: in quell'anno ci fu da parte di INGV una importante revisione della carta della sismicità italiana e in quella occasione il massimo valore della PGA (peak ground acceleration) ipotizzabile per l'area aquilana era stato innalzato sopra a 0,25 g. Vediamo la carta relativa qui sotto.


Un fatto molto importante perchè avrebbe dovuto sancirne il passaggio dalla classe “2” alla classe “1”. 
Non mi risulta che Cialente abbia pregato la Regione Abruzzo di modificare la deliberazione della Giunta Regionale n.438 del 2005 nella quale, conformemente alla cartografia del 2003, L'Aquila era inserita nella zona “2”. 
Tutto questo lo affermo ovviamente salvo smentite documentate (nel qual caso provvederò immediatamente e con tante scuse a rettificare). 
Pregherei inoltre qualche aquilano di segnalarmi se nel 2006 al momento della presentazione della nuova cartografia, che dava per il capoluogo abruzzese la brutta notizia dell'aumento dell'accelerazione di picco, la notizia fosse divenuta di dominio pubblico e se qualcuno abbia chiesto la conseguente e doverosa riclassificazione del territorio.

giovedì 16 maggio 2013

NEMO - ROV, il robottino subacqueo realizzato dall'Università di Firenze



"Bisogna trasformare un problema in una opportunità". Questo slogan è forse abusato ma identifica esattamente la storia oggetto di questo post.
Tutti conoscono la vicenda della “Costa Concordia” e dell'incidente dopo il quale la nave si è incagliata sulla costa vicino al porto dell'Isola del Giglio. Ho detto “conoscono la vicenda” ma forse sarebbe meglio dire “sanno della vicenda” perchè ho l'impressione che quello che sia successo non sia ancora del tutto chiaro neanche alla magistratura (mentre i tuttologi....). Mi sono occupato del naufragio del Giglio in due post, uno sul monitoraggio dei movimenti del relitto da parte del Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Firenze e uno sullo stato della cartografia nautica, ospitando una lettera aperta di uno dei principali protagonisti del mondo italiano della cartografia. il Prof. Luciano Surace. Oggi presento una “buona conseguenza” di questo disastro, un robottino capace di muoversi in ambiente sottomarino sostituendo i subacquei in zone dove è oggettivamente pericoloso andare per un uomo e anche in grado, grazie alle ridotte dimensioni, di attraversare passaggi particolarmente angusti.


Il naufragio della Costa Concordia è stato uno degli episodi di cronaca più seguiti degli ultimi anni e, al di là della tragedia che ha sconvolto le famiglie delle vittime, ha provocato quei diversi problemi che un relitto del genere può generare: dall'inquinamento delle acque marine alla scomoda presenza di un mostro lungo oltre 250 metri e pesante 45.000 tonnellate (che è il peso reale, le 114.000 tonnellate di "stazza" sono una misura del volume utile coefficente, non del peso) che dovrà essere rimesso in galleggiamento per essere portato in un luogo idoneo alla sua demolizione.

Fra le tante operazioni da fare, le attività subacquee all'interno di un relitto sono quelle che comportano i rischi più gravi per gli operatori: infatti una nave affondata o arenata non è del tutto stabile (specialmente subito dopo il naufragio!); inoltre la struttura si deforma in relazione alla morfologia del fondale. La scarsissima visibilità e la possibilità che in alcune aree le acque si presentino contaminate, sia chimicamente che biologicamente è un altro, non trascurabile, fattore di rischio.

Prendendo spunto da alcuni dei problemi effettivamente riscontrati dagli operatori che sono stati impegnati nelle operazioni di soccorso a seguito del naufragio della Costa Concordia, i ricercatori dell'Università di Firenze su indicazioni ricevute dal Dipartimento della Protezione Civile nazionale, hanno sviluppato e costruito un robot versatile e maneggevole di nuova concezione.

Si tratta di un ROV (Remotely Operated underwater Vehicle) in grado di operare in operare in condizioni ambientali estreme, in spazi angusti e con scarsa visibilità.
Il prototipo, denominato NEMO-ROV, è una macchina leggera, pesa appena 18 kg, dalla formacilindrica lunga 50 centimetri e larga 35. Dal corpo principale “escono” diverse appendici che servono per muoversi in sicurezza e precisione e ospitare vari apparecchi di osservazione, misurazione e campionamento.

NEMO - ROV è collegato alla postazione di controllo con un cavo lungo 80 metri in Dyneema, una fibra sintetica particolare usata per i cavi che devono sopportare sforzi di trazione e compressione intensi: all'interno di questo cordone ombelicale nel cavo ci sono un cavo Ethernet e l'alimentazione elettrica a 48 Volts. La propulsione è ottenuta usando 4 motori.

Ma perchè creare un oggetto nuovo senza rivolgersi al mercato? Perchè NEMO-ROV contiene rispetto ai ROV disponibili in commercio diverse innovazioni in termini costruttivi e di versatilità di impiego. In particolare:

1. innanzitutto è un oggetto leggero (alluminio e plexiglas sono i materiale principali con cui è costruito) e di dimensioni compatte
2. è dotato di un innovativo sistema di controllo della navigazione che può essere attuato con un semplice joystick, oppure un gamepad, un tablet o uno smarthphone (l'importante è avere nell'apparecchio un sensore giroscopico)
3. è concepito per installare facilmente e rimuovere altrettanto facilmente vari tipi di sensori
4. funziona a bassa tensione di alimentazione, il che ne rende possibile l’utilizzo con operatore sottomarino
5. è dotato di dispositivi di illuminazione molto potenti;
6. ha un basso costo di produzione

Risolto il problema, passiamo all'opportunità: oggi NEMO-ROV è un prototipo operativo e funzionante per il quale sono stati anche acquisiti diversi brevetti di proprietà dell'Università di Firenze, e grazie all'ambiente particolare per cui è stato ideato è adattabile a una vasta gamma di applicazioni ordinarie nell'esplorazione di ambienti sottomarini difficili per condizioni di accesso e visibilità, nonostante sia al contempo un oggetto economico nell'acquisto e nella manutenzione e semplice da usare.

Al momento il prototipo viene messo a disposizione di tutte le componenti del Servizio Nazionale della Protezione Civile, a supporto di attività emergenziali

È auspicabile che il ROV possa essere costruito per essere venduto a chiunque ne abbia la necessità.
E di campi potenziali di impiego ce ne sono tanti, scientifici, tecnici e di protezione civile; proviamo a fare un piccolo elenco:

1. esplorazione e monitoraggio di mari, laghi, fiumi e ambienti costieri nei loro più molteplici aspetti: geologici, biologici, ecologici e archeologici, per esempio
2. monitoraggio delle attrezzature subacquee, dagli scafi di natanti alle parti sommerse di piattaforme petrolifere o altri impianti off-shore
3. ricerche di risorse minerarie in ambiente sommerso
4. esplorazione di relitti e assistenza alle operazioni di ricerca, bonifica e recupero a seguito di naufragi
5. monitoraggio di acque inquinate, aggressive o comunque pericolose per gli operatori

Mi piace far notare che un dispositivo così rivoluzionario è stato costruito integralmente a Firenze da un gruppo di persone della locale università. Ne cito alcune, fra le tante che hanno contribuito
al progetto: il professor Nicola Casagli e il Dottor Francesco Mugnai del Dipartimento di Scienze della Terra, il Professor Benedetto Allotta e il dottor Luca Pugi del Dipartimento di Ingegneria Industriale. A questi aggiungo un “esterno”, l'Ing. Silvano Meroi del Dipartimento della Protezione Civile Nazionale. Al progetto hanno dato un contributo fondamentale oltre 15 giovani ricercatori universitari: assegnisti di ricerca, dottorandi e tesisti.

E da ultimo una postilla: solo a Firenze in questi ultimi anni fra Università e CNR oltre a NEMO-ROV sono stati realizzati una ottica adattativa per telescopi all'infrarosso capace di correggere le immagini scattate a terra e renderle addirittura migliori di quelle scattate dai telescopi spaziali e che è stata venduta pure a istituzioni astronomiche degli USA, sistemi di monitoraggio delle frane che con la collaborazione di satelliti e software geografici riescono a determinare con precisione millimetrica dinamica e storia dei movimenti franosi ed è in corso di industrializzazione una telecamera che “vede” al di là degli incendi. Inoltre l'Italia è all'avanguardia nella previsione di eventi meteorologici, con il razzo VEGA ha realizzato un vettore che per lanciare satelliti leggeri in orbita bassa è assolutamente superiore per costo e prestazioni alla concorrenza, nelle nanotecnologie e in altri settori.

Mi chiedo dove saremmo arrivati con una politica diversa che avesse finanziato la ricerca come negli anni del dopoguerra anziché dare fondi per cambiare automobili e videoregistratori e avesse impedito la fuga dei cervelli.

A quando una politica che anziché cercare facile consenso finanziando sagre paesane e vari consumi, con l'illusione che così si crea lavoro, cerchi di creare davvero posti di lavoro? 
E per una Nazione dal costo del lavoro caro rispetto ai cosiddetti Paesi Emergenti non solo per le tasse, ma anche perchè la vita è oggettivamente più cara che in molte altre zone del mondo, l'unica via percorribile per uscire dalla crisi sarebbe costruire attrezzature, macchine e prodotti di design e/o di alta tecnologia. 
Ma siamo sicuri che la nostra classe dirigente ne sia consapevole?

giovedì 2 maggio 2013

La conferenza di Giuliani del 19 aprile, il significato della parola Scienza e le ricerche in Italia sulla questione - radon


Un ringraziamento innanzitutto al giornale locale dei Colli Albani on-line “Il Mamilio” che dopo aver pubblicato la notizia della conferenza di Giuliani ha accettato senza riserve le critiche di alcuni di noi di "Dibattito Scienza" nei commenti in calce agli articoli, poi ha immediatamente parlato della nostra contestazione e, da ultimo, ha fatto un articolo sull'avvenimento molto obbiettivo.
Anche Italia Nostra si è dissociata formalmente, sia pure in un trafiletto sulla sua pagina Facebook. Spero che prima o poi oltre a poeti, architetti e storici dell'arte in quella associazione entrino uomini di scienza e tecnici di energia e trasporti. Così smetteranno di dire tante fesserie, a partire dal no alle pale eoliche e al tram a Firenze.
Incassiamo le contestazioni, in particolare quella di un personaggio che non nomino e non linko per non fargli pubblicità, noto antievoluzionista e negazionista dei cambiamenti climatici. Ma essere contestati da un personaggio del genere tutto sommato lo considero ininfluente.

All'inizio voglio ricordare una cosa: che per i terremoti la prevenzione sarebbe una cosa molto intelligente, più intelligente di una previsione, ancora impossibile. Ed in ogni caso, la prevenzione salva le vite e le strutture, una previsione azzeccata potrebb
e salvare molte vite ma non certo le strutture e i beni mobili.
Quindi prevenzione, prevenzione, prevenzione, grazie.

E ora veniamo alla conferenza, nel report del Mamilio che potete trovare a questo indirizzo

Una inesattezza: Giuliani, oggi in pensione, non è mai stato un ricercatore, ma un tecnico di laboratorio e non mi risulta sia laureato in Fisica o in Scienze Geologiche (salvo rettifica ovviamente!). Questo, altrettanto ovviamente, non impedisce a nessuno di occuparsi della materia ma chiaramente è molto difficile che possa avere una preparazione tale da poter ottenere risultati da ricercatore.
Pertanto non può essere definito tale.
Anche io faccio attività scientifica nel tempo libero collaborando con alcuni professori universitari, ma non essendo inquadrato come ricercatore, non mi sogno minimamente di fregiarmi di quel titolo. Al limite posso essere un “cultore della materia” (nonostante abbia letto in rete interviste “al prof.Piombino” fatte prendendo brani di Scienzeedintorni....)

il Mamilio riferisce che c'erano una cinquantina di ascoltatori fra i quali alcuni (pochi) contestatori e una decina di studenti che hanno così “sfidato quella parte di mondo scientifico - accademico che nei giorni scorsi aveva fatto girare in rete una petizione contro l'iniziativa”. Annoto che nessuna parte del mondo scientifico si è mossa in sostegno del tecnico abruzzese. Sono soddisfatto che per la mia conferenza sull'estinzione dei dinosauri del giorno prima c'era un centinaio di persone e quindi ho avuto una audience doppia

L'ineffabile organizzatore della giornata, Enrico Del Vescovo, se quello che riporta il Mamilio è vero (e non ho il benchè minimo dubbio in proposito) dice nella presentazione e nella conferenza due cose diverse.
Nella presentazione dell'iniziativa, dopo aver sottolineato che i terremoti non sono prevedibili per la Scienza ufficiale (e sottolineo "scienza ufficiale", come se ci fosse una scienza ufficiale cattiva e contro gli interessi del popolo e degli eroi che la combattono in nome dei diritti della ggggente) afferma che “il ricercatore Giampaolo Giuliani sembra invece che abbia previsto il terremoto dell'Aquila e, successivamente, ha subito numerose critiche ed una denuncia per procurato allarme da cui però è stato scagionato".
Invece durante la conferenza parla del Nostro come di "Uno al quale è stata contestata una previsione che lui ha negato di aver fatto. E quando, nella notte di quel tremendo 6 aprile 2009, aveva gli elementi per prevedere il devastante terremoto non potè lanciare l'allarme come avrebbe potuto perché in quello stesso giorno aveva ricevuto l'avviso di garanzia per il procurato allarme di Sulmona: accusa dalla quale è stato poi prosciolto".

Allora, lo ha previsto o no il terremoto del 6 Aprile?
Inoltre che Giuliani sbraitasse qualche giorno prima del 6 aprile perchè temeva che Sulmona venisse distrutta da un sisma è una notizia certa. Se non ricordo male il sindaco della cittadina era a Roma e lì venne informato della cosa.
Poi non so cosa lo potesse fermare dal proclamare che c'era in arrivo un terremoto in Abruzzo. E ancora non trovo documenti che asseriscano che Giuliani abbia realmente previsto il terremoto (e per documenti intendo ovviamente notizie precedenti al 6 Aprile in cui indicava L'Aquila come sede dell'evento e il giorno dell'evento). Anche da quanto dice Del Vescovo emerge che tali documenti non ci sono, in barba a chi continua a credere in tale personaggio.

Torno a ricordare che alla base di tutto l'equivoco abruzzese c'è un fatto molto particolare: questo terremoto è avvenuto durante una crisi sismica. Ed è un caso unico nella storia della sismologia strumentale a livello mondiale: magari i terremoti forti avvenissero all'interno di una sequenza e non segnassero l'inizio di una serie di scosse!!! Talvolta eventi importanti sono stati preceduti da una scossa più debole, ma questa potrebbe rientrare nella attività normale della zona in cui si scatena; e se si dovesse lanciare allarmi per ogni scossetta si finirebbe per renderli una routine e depotenziarne all'ennesima potenza l'efficacia.
Il tutto ha consentito di deformare delle dichiarazioni di autorevoli membri della Protezione Civile (anche grazie al fatto che sono state pronunciate in geologhese e non in italiano). Infatti nessuno aveva sostenuto che non c'era pericolo di una scossa forte, ma che lo stesso pericolo c'era nel 2009 come negli anni precedenti, in conformità con l'ultima carta della zonazione sismica prodotta nel 2006 (a livello legale la classificazione era stata deliberata dalla Regione nel 2005 in conformità alla cartografia del 2003 dove la zona era davvero in seconda classe).
Aggiungo che forse nel passato forti terremoti all'Aquila ed in Abruzzo siano avvenuti all'interno di crisi sismiche ma – al solito – nessuno era nel 2009 (e neanche oggi) in grado di prevedere quando e dove si sarebbe prodotta una scossa forte, sia pure se qualche sentore che potesse succedere c'era.

Dopodichè la perla di Del Vescovo: Quella di Giuliani è una vicenda umana toccante e complessa che investe la trasparenza del mondo scientifico e delle istituzioni. A chi contesta questa iniziativa, rispondo semplicemente con l'articolo 21 della Costituzione: "Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione". Detto questo, è inammissibile ogni forma di denigrazione che è anche fuorviante".

Eh, no.. questa no.. Se si parlasse di filosofia questo è vero. Ma la Scienza è un'altra cosa. Certo che c'è il “libero pensiero”, perchè altrimenti non ci sarebbe un avanzamento della ricerca. Ad esempio fino al 1960 di gente convinta che i continenti si muovessero ce n'era poca (e per di più, a parte Arthur Holmes, erano scienziati sudafricani o australiani, considerati con una certa sufficienza dal mondo anglosassone inglese e statunitense). Poi però quei quattro gatti che erano convinti del contrario hanno prodotto delle prove inconfutabili del fatto che i continenti si muovevano. E tutti, grazie a quelle prove, hanno cambiato idea. E molto rapidamente. 

Però parlare senza prove e pretendere di avere ragione non è Scienza. Democrazia e Scienza non sono due cose paragonabili. E i metodi della filosofia non sono quelli della scienza... è dai tempi di Galileo che succede così. Di Bella, Giuliani, Stamina.... tre recenti esempi su come non si deve fare scienza...
Faccio un esempio personale: io sono impegnato in una polemica sulla storia dell'Appennino Settentrionale sulla quale ho una visione diversa su alcuni aspetti rispetto alle posizioni dominanti odierne (piccoli particolari ma parecchio “essenziali”) ma non ce l'ho con la cosiddetta Scienza Ufficiale, perchè finchè non presento un modello supportato organicamente dai dati la mia è una intuizione e non posso prendermela con chi non mi dà ragione.
E siccome i dati che ha presentato Giuliani non sono convincenti (anzi, tutt'altro) e siccome in letteratura le previsioni con il radon, oltretutto in contesti limitati a singole faglie e non a scala regionale come pretenderebbe il Ragazzo, si sono dimostrate non valide,  è ovvio che non ci siamo.

Forse non tutti sanno che anche in Italia c'è stata una decina di anni fa una fioritura di lavori sul tema Radon. I risultati parevano incoraggianti: in particolare sembrava esserci una relazione fra emissioni di questo gas e stato di sforzo delle rocce (non sarebbe proprio “prevedere i terremoti”, ma insomma un passo avanti incoraggiante). Purtroppo questi lavori si sono diradati fino a scomparire,
Perchè? Soprattutto per due fattori:
- questa relazione non esiste sempre, ma solo in alcune situazioni (e quindi non è applicabile in generale)
- ci sono influenze di fattori microclimatici e mareali

Insomma, alla fine non si è approdato a nulla... e le ricerche sono state sospese perchè non approdando a nulla è meglio intervenire su aspetti in prospettiva più produttivi.

Fra parentesi sto monitorando il sito dell'appendista stregone (farcito di pubblicità!):
- notizie su terremoti avvenuti tante
- previsioni punte

Come dovevasi dimostrare.

Da ultimo, su segnalazione di Stefano Dalla Casa di "Oggi Scienza" ecco un link ad un filmato in cui vengono mostrate tutte le incongruenze di Giuliani: http://www.youtube.com/watch?v=c7-9lNkA-y4