domenica 24 novembre 2019

Italia e alluvioni: la necessità di “costruire un nuovo mondo intorno ai fiumi”


In un momento in cui la Liguria e il Piemonte sono di nuovo alle prese con una situazione molto complessa (come anche alcune zone del sud: giungono or ora mentre sistemo il post brutte immagini da Reggio Calabria), voglio riproporre le mie considerazioni sul modo con cui sono stati trattati nel nostro Paese i fiumi. In Piemonte dopo il 1994 di cose ne sono state fatte e questo ha permesso di passare praticamente indenni la difficile situazione del 2016, mentre in Toscana giusto una settimana fa è la prevenzione con azioni strutturali che ha impedito un disastro specialmente nel pisano. Annoto che fra le misure di prevenzione NON C'È l'escavazione degli alvei per diminuirne la quota. Quella non è una azione di prevenzione, ma di danneggiamento...


La piena dell'Arno di domenica 17 novembre 2019, con Pisa che ha passato insonne la notte successiva, è un ottimo spunto per parlare di assetto del territorio, in particolare di alluvioni, bonifiche e delle loro conseguenze. E dell’importanza dei rimedi, che non sono semplici (anzi, con il proliferare di idiozie clamorose come quella del dragaggio dei fiumi, promossa dagli espertoni di turno). D'altro canto è proprio grazie ai lavori effettuati negli ultimi anni in Toscana che la piena ha fatto pochi danni, come in Piemonte nel 2016, dove grazie alle sistemazioni di alvei e quant'altro dopo la drammatica alluvione del 1994 le piogge ancora maggiori del 2016 non hanno fatto danni, tranne che a Garessio, dove non si è voluto rimediare ad un problema preesistente (ne ho parlato qui).

Iniziamo dal principio. È una cosa completamente sconosciuta ai più, eppure sarebbe l'ABC dell'assetto del territorio, che ho già scritto diverse volte: noi siamo abituati a vedere i fiumi nascere, ricevere gli affluenti e sboccare in mare. Ma questa configurazione è quasi totalmente artificiale: in un territorio naturale un fiume, dopo una ripida discesa dal monte, arrivando nella pianura si impaluderebbe, si dividerebbe in più rami, e sarebbe libero di divagare pigramente cambiando il suo corso in lungo ed in largo per tutta la valle. Ne ho parlato ad esempio qui. Ne consegue che prima degli interventi antropici le pianure italiane fossero un insieme di laghi, paludi e isolotti dove zone asciutte si alternavano ad acquitrini e laghi (tra gli ultimi esempi di laghi di questo tipo c'è il Trasimeno). Quando ad esempio ricordo che il centro di Firenze era circondato da paludi fino al XVII secolo in molti rimangono stupiti...


:
ad eccezione di Campi Bisenzio tutti i centri storici 

sono ai lati del bacino di Firenze - Prato - Pistoia

Giovanni Boccaccio nel Ninfale Fiesolano (ca 1344), all’ottava V scrive:


Prima che Fiesol fosse edificata 
di mura o di steccati o di fortezza,
da molta poca gente era abitata: 
e quella poca avea presa 
l’altezza de’ circustanti monti, 
e abandonata istava la pianura 
per l’asprezzadella molt’acqua e ampioso lagume
ch’ai pie de’ monti faceva un gran lagume


Cioè: fino all'età romana nessuno o quasi abitava nella piana fra Firenze, Prato e Pistoia (che si chiama così perché curiosamente è l’unico bacino intermontano appenninico tra Toscana e Calabria privo di un nome specifico che lo contraddistingua). Lo dimostra il fatto che i centri storici principali sono tutti ai suoi limiti come si vede nella carta.

Questo è successo anche fino a tempi recenti: ad esempio il borgo medievale di Sparvara era posto sulla sponda sinistra del Tanaro; ma a seguito di una alluvione che distrusse quasi tutto il paese il fiume cambiò corso e il paese finì sulla sponda destra. Da quel giorno divenne “Alluvioni Cambiò”.  Annoto che recentemente questo comune si è unito ad uno vicino, Piovèra, come testimonia il cartello stradale. Non si può dire che l’unione dei due nomi – Alluvioni Piovèra – non si presti a una certa punta di ilarità. Segnalo anche che Alluvioni Cambiò, all'epoca comune singolo, fu completamente inondato dalla piena del Tanaro del 1994...

Quindi l'umanità ha operato sul territorio e sui fiumi, rendendo entrambi completamente artificiale e diminuendo la sua stessa resilienza a causa di alcune azioni che si sono rivelate grossi problemi:

PRIMO PROBLEMA: L'ELIMINAZIONE DELLE PALUDI. Dal punto di vista biologico le paludi e le lagune sono fra le aree più produttive che ci possano essere, ma per l’umanità sono un ambiente ostile, difficilmente sfruttabile e soprattutto pericoloso per la malaria. A dimostrazione di quanto le paludi erano detestate, Dante colloca il loro puzzo nell’Inferno e in posizione piuttosto profonda:

Qual dolor fora, se de li spedali
di Valdichiana tra ’l luglio e ’l settembre 
e di Maremma e di Sardigna i mali
fossero in una fossa tutti ’nsembre, 
tal era quivi, e tal puzzo n’usciva 
qual suol venir de le marcite membre

Inferno XXIX, 46 - 51

Il Padule di Bientina: com'è
e come la Natura se lo riprende quando piove parecchio
È  quindi chiarissima la logica che ha guidato fino dall’epoca etrusca la bonifica di paludi e lagune, nonostante il forte impegno di uomini e risorse finanziarie, come testimonia anche il Giusti, il quale dedicò ai costi delle bonifiche lorenesi e al loro principale artefice, il “real ingegnere” Vittorio Fossombroni, nella Legge penale degli impiegati (1835) così si espresse:


Se un real Ingegnere o un Architetto

ci munge fino all’ultimo sacchetto, 
per rimediare a questa bagattella
si cresca una gabella

Gli scopi delle bonifiche erano diversi e, all'epoca, perfettamente logici:

  • mettere a disposizione (in particolare per agricoltura e allevamento) aree che, appunto, servivano a poco
  • estirpare la malaria
  • migliorare le comunicazioni (un carro è più veloce di una barca)

Un risultato all’epoca impredibile di queste opere, che si paga al giorno d’oggi, è che le bonifiche hanno tolto lo spazio che serviva ai fiumi come polmone per stoccare le acque delle piene, che quindi oggi hanno solo la scelta di esondare in zone dove danneggiano beni umani anche per precipitazioni relativamente scarse. Nell'immagine vediamo il padule del Bientina (ancora presente all'inizio del XVII secolo): dove prima c'era un lago oggi c'è una piana agricola. Ma ogni tanto a Natura decide di riprendersi l'area e per un pò di tempo ritorna il lago. Da notare che è solo il complesso delle acque piovane portate dal reticolo minore che fa questo scherzo! Infatti non c'è un corso d'acqua principale che si riversa lì oggi, mentre fino al VI secolo vi sfociava il ramo principale del Serchio: il fiume uscendo dai monti e entrando nella piana di Lucca si divideva in due rami, quello verso il Bientina che finiva poi in Arno e quello attuale che è rimasto l'unico dopo un intervento di regimazione nel VI secolo d.C..

Uomini trainano un natante verso il porto principale di Firenze
L'Alzaia - Telemaco Signorini - 1864
SECONDO PROBLEMA: RETTIFICA E CONFINAMENTO DEI FIUMI. Quanto ai fiumi, una volta servivano a tanti usi: erano fonte di cibo con la pesca e anche di divertimento, fornivano materiali utili come rena per l'edilizia ed energia ai mulini per macinare il grano e per il funzionamento di altre macchine (ad esempio i telai); ed erano pure importanti vie di comunicazione: lungo gli argini di fiumi e canali corrono tuttora le “alzaie”, stradelli in cui passavano animali e uomini che trainavano le chiatte (in inglese le alzaie sono significativamente chiamate towpath, la strada dove si tira). 
Insomma, per questo oltre alle bonifiche sono stati costruiti dei canali: costruire un canale significava fornire l’energia per le macchine e una via efficace di trasporto. Al proposito mi domando quanti sappiano ad esempio che anche Firenze era dotata di diversi porti fluviali fino all’inizio del XX secolo e che Telemaco Signorini dipinse nel 1864 l’Alzaia, mostrando lo sforzo degli uomini intenti a trascinare verso una barca verso il porto principale di Firenze, a Santa Rosa.


 Bernardo Buontalenti: progetto per il taglio di un meandro
dell'Arno presso Empoli - Archivio di Stato di Firenze
Insieme alle bonifiche sono state operate molte rettifiche, grazie alle quali sono stati ottenuti: 


  • una diminuzione della lunghezza delle aste fluviali, utile per i trasporti
  • una serie di terre fertilissime per l’agricoltura perché le piene all'epoca depositavano limo fertile e ovviamente più vicino era il fiume più limo c'era 

Le rettifiche hanno però provocato un accorciamento delle aste fluviali, per cui:

  • la velocità della corrente aumenta per l’aumento della pendenza e della eliminazione delle curve
  • le confluenze degli affluenti sono più vicine 
  • l’alveo contiene meno acqua di prima 

Di conseguenza è stata abbattuta la capacità da parte del sistema di smaltire le ondate di piena, perché i fiumi si sono ritrovati senza le paludi che facevano da casse di espansione e con il tracciato più dritto che offre meno volume.

Una tombatura con sezione insufficiente:
il Seveso che per questo allaga spesso Milano
TERZO PROBLEMA: RESTRINGIMENTO E TOMBATURA DEI FIUMI. Da ultimo gli ennesimi guai: i pesci di fiume non si mangiano più, la comparsa delle ferrovie prima e degli automezzi poi ha reso obsoleto il trasporto fluviale, l’energia si ottiene in altro modo come anche gli inerti. Insomma, i fiumi non servono più a niente e quindi per aumentare lo spazio per le attività umane (in particolare le costruzioni)  sono stati ristretti all’inverosimile, quando non tombati, e sempre con portata insufficiente. Il che ha peggiorato ulteriormente la situazione.

QUARTO PROBLEMA: URBANIZZAZIONI MASSICCE. Dalla fine del XIX secolo si è costruito tanto e male, e soprattutto nelle zone di pertinenza fluviale o facilmente inondabili (Genova è un esempio estremamente significativo). Non solo, ma  l’urbanizzazione nelle aree bonificate ha avuto come conseguenza la distruzione del reticolo dei canali realizzato durante le operazioni di bonifica che assicurava lo scolo delle acque nei fiumi e dubito fortemente che questo reticolo sia stato sostituito da provvidenziali condutture sotterranee. Quindi a causa del sigillamento del suolo e della scomparsa di questi canali l’acqua piovana raggiunge prima che in passato i fiumi, già in crisi per le precedenti operazioni.


E LA NATURA DEL TERRITORIO ITALIANO? Il tutto si inserisce su una realtà difficile dal punto di vista idrogeologico: in Italia i bacini idrografici hanno in genere ridotte dimensioni e sono interessati da forti piogge perché il Paese è circondato da mari caldi, per cui i corsi d’acqua si riempiono in poco tempo. A questo si aggiunge una densità di popolazione elevata. Per questo oggi basta una pioggia poco superiore “al lecito” e buonanotte… tracimazioni e allagamenti diventano un fatto quasi “normale”, in quanto, come dicono ad Arezzo l’acqua affitta, ma non vende”, e quindi quando ne ha bisogno, si riprende il territorio che le era stato strappato.


Lo scolmatore che da Pontedera scarica le piene dell'Arno.
Senza di questo Pisa il 17 novembre sarebbe stata alluvionata
IL 17 NOVEMBRE A PISA. L’Arno è un classico esempio di quanto contavano le paludi: il suo corso infatti a valle di Firenze ha una portata massima di 2800 mc/sec, che scende a 2300 a Pisa, nonostante tutti gli affluenti che il fiume riceve tra le due città. Questo semplicemente perché quando la città fu costruita da Empoli in poi le piene esondavano nelle paludi e quindi la portata necessaria nel centro cittadino era minore di oggi, quando tutte le piene sono forzata a dirigersi a valle integre.
Ecco perché domenica 17 c’era una grossa preoccupazione per Pisa quando invece a Firenze città, nonostante gli allagamenti a monte e a valle e i soliti esagitati catastrofisti la situazione fosse estremamente tranquilla.
Negli anni del Regno d'Italia, quando la città della torre fu ripetutamente allagata, fu deciso che non si poteva più andare avanti così: ma nel 1926 il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici bocciò un primo programma che riguardava tutto il bacino dell’Arno e ricordava molto quello che fu proposto dopo il 1966 in quanto non ne era stata ravvisata la funzionalità, in cui si prevedeva la creazione di una serie di invasi nelle aree montane e collinari in modo da regimare le piene fu bocciata.

L'ingegner Edmondo Natoni, fra l'altro autore dell'importante lavoro "Le piene dell'Arno e i provvedimenti di difesa", edito a Firenze da Le Monnier nel 1944, mise nero su bianco l'influenza di bonifiche e rettifiche sul regime dell'Arno e che il problema di Pisa poteva essere risolto con la costruzione di un canale che deviasse parte delle acque dell'Arno durante le piene. Progettò quindi ancora prima della seconda guerra mondiale lo Scolmatore dell'Arno. L'opera, lunga una trentina di km, parte con una chiusa a Pontedera e arriva a Calambrone, immettendosi nel Canale dei Navicelli, immediatamente a nord dell'estremità settentrionale del porto di Livorno.
 Lo scolmatore è stato completato solo nel 1976, con il classico ritardo che contraddistingue i lavori pubblici dell'Italia del dopoguerra. Chissà se nel 1966 sarebbe stata utile, quando per salvare Pisa fu aperta una breccia sull’argine destro dell’Arno più a monte, invadendo quelle che allora erano campagne, oggi zone industriali.…


L’utilità dello scolmatore la vediamo con questi idrogrammi del Servizio Idrologico Regionale di domenica 18 novembre: l’Arno a Empoli mostra la dinamica normale della piena. A Pisa invece ad un certo punto  diminuisce la pendenza della sua curva di crescita. Si vede benissimo dal terzo idrogramma, quello dello scolmatore, che la diminuzione dell’aumento di portata a Pisa corrisponde all’apertura delle cateratte dello scolmatore a Pontedera. Nella successiva fase calante di lunedì la portata a Pisa è diminuita lentamente in quanto l’Arno non riusciva ad uscire in mare, ostacolato da venti e correnti

 Le "casse di espansione" vengono riempite dall'acqua
delle piene e consentono di laminarle
L’IMPORTANZA DELLA PREVENZIONE. Purtroppo gli espertoni dell'università della vita pensano di saperne più di quelli che lavorano nel ramo. Però quando aprono la bocca o pigiano i tasti non hanno idea nè  del delirio di competenze in conflitto che ci sono, né che il problema sono gli interventi dei secoli passati.  La prevenzione a questo punto può essere solo la ricostruzione di polmoni come dighe, casse di espansione e scolatori, come è stato fatto in Piemonte dopo il 1994 e si sta facendo in Toscana e a Genova con lo scolmatore del Biagno e del Fereggiano. 

Quanto a scavare gli alvei, stendiamo un velo pietoso su questa soluzione, viste le conseguenze… 
Punto e basta. il resto sono balle pericolose
Visto che ogni tanto questa assurda proposta torna fuori, spero di scrivere presto un pezzo al proposito.

Questo dimostra invece l’importanza di realizzare opere che mitighino le conseguenze delle forti piogge, provando a “costruire un nuovo mondo intorno ai fiumi”. Anche in Toscana domenica una parte della pericolosità è stata abbattuta grazie a provvedimenti recenti come le casse di espansione che hanno ridotto la portata di alcuni affluenti importanti dell’Arno.

Purtroppo per questo ci vogliono statisti, cioè politici che lavorano responsabilmente per il futuro venturo, non politicanti con orizzonte le prossime elezioni e quindi in vena di favori elettorali. E questo è un problema: se dai dei contributi per cambiare l’automobile qualcuno ti sarà grato, ma in Italia chi potrà capire che quel tal giorno non c’è stata una alluvione perché 20 anni prima un bischero spese soldi per fare una cassa di espansione anziché finanziare una sagra paesana o la costruzione di una strada?

lunedì 18 novembre 2019

Venezia, acqua alta, livello del mare e subsidenza della laguna


Non faccio certo l'originale quando dico che amo Venezia. Ma posso dirlo più di altri perché mia mamma era veneziana, ho diversi parenti da quelle parti e fin dai tempi del liceo spesso andavo in laguna durante i ponti. E c’ero giusto anche nell’ultimo ponte di Ognissanti, in tempo per vedere una marea che con i suoi 80 cm aveva iniziato ad esondare in piazza San Marco. Vorrei quindi parlare della città lagunare per fare un pò il punto della situazione. Soprattutto una cosa non ben nota e sorprendente è che in effetti a Venezia subsidenza naturale ce n'è davvero poca e quindi il livello delle acque in laguna è influenzato maggiormente dalle variazioni a scala globale del livello marino e dalla subsidenza di origine antropica dovuta ai 40 anni di massicci prelievi di acque dal sottosuolo. i cui effetti ormai sono esauriti. 
Tengo a precisare una cosa: siccome cerco di parlare con cognizione di causa eviterò deliberatamente di giudicare il MOSE nonostante qualcuno mi abbia tirato per la giacca per farlo; semplicemente non me ne sono mai occupato e non conosco sufficientemente tutti i dati su cui si fonde il progetto. Annoto solo che del MOSE, a parte qualche rilevante eccezione (favorevole o contraria che sia) di qualche tecnico (la cui voce nei media è peraltro molto attutita), in genere parlano giornalisti, intellettuali, politici e tifosi dei politici e – curiosamente –  l’opera viene sostienuta a destra, mentre si contesta a sinistra. Il che – ovviamente – mi fa pensare che né i primi, né i secondi usino un metro scientifico (anche perché la maggior parte degli italiani – compresi gli appartenenti a queste categorie – manco sanno cosa sia una laguna dal punto di vista geologico, geomorfologico e idrodinamico...). 
Ricordo inoltre che l'attenzione mediatica su Venezia è sacrosanta, ma anche che non solo Venezia ma tutta la costa dalla Romagna in su ha molto sofferto per la eccezionale marea della notte fra 11 e 12 novembre.

VENEZIA E LE MAREE. Lo scandire periodico delle maree ha sempre (e ovviamente) condizionato la vita quotidiana a Venezia e negli altri centri lagunari. Da ormai più di un secolo, Venezia e la sua laguna sono sottoposte ad un monitoraggio continuo sia dal punto di vista idraulico che ambientale. È infatti dal 1872 che si registrano e archiviano misurazioni mareografiche relative ai livelli di marea rilevati nel centro storico veneziano (Dorigo, 1961). Dal 1870 circa la stazione mareografica veneziana di riferimento convenzionale per la misura dei livelli di marea in tutta la Laguna di Venezia è quella di Punta della Salute, sia per la sua lunga e completa serie storica che per essere vicina a Piazza San Marco. Si trova sulla riva del canale della Giudecca pochi metri dopo il capo che lo separa dal Canal Grande, lungo le fondamenta Zattere ai Saloni. Lo Zero Mareografico di Punta della Salute fu calcolato mediando le osservazioni tra il 1885 e il 1909. Purtroppo a causa dell’innalzamento del livello marino e della subsidenza del territorio quello che era lo zero del 1887 oggi è ormai ampiamente al di sotto del livello del mare (Baldin e Crosato, 2017)
Il tasso di crescita del livello marino è di circa 2.5 mm/anno, per cui dal 1872 l’abbassamento è stato di quasi 40 cm. 
Per dare un riferimento pratico, prendendo per base il livello del mare alla Punta della Salute:

  • a +80 cm inizia ad allagarsi Piazza San Marco, dolorosamente il punto più basso della città
  • a +110 si allaga circa il 12% dell’intera superficie cittadina
  • a +130 si allaga il 70% del territorio della città. 
La maggior parte del territorio appartenente alla laguna veneta si trova sotto il livello marino e le poche aree emerse sono caratterizzate da una scarsa elevazione del suolo; pertanto già all’epoca dei primi insediamenti è stato necessario approntare delle difese artificiali (argini, dighe, murazzi).
Un altro problema tipico della subsidenza è l’arrivo nel sottosuolo di acque marine (il cosiddetto cuneo salino), che sostituiscono le acque sotterranee dolci, sono inutili a scopi irrigui, idropotabili e industriali.

Dopodichè se il fatto che la marea influisca sulla vita di una città come Venezia è ovvio e noto ai più, ciò che è meno visibile e sconosciuto a tutti tranne che agli esperti sono alti impatti ambientali rilevanti: la corrente di marea erode i sedimenti dei litorali e nei casi peggiori trascina via tutto quello che trova, a partire, come è successo nella notte fra 11 e 12 novembre per le installazioni per la pesca nel delta del Po. Quando poi la marea è eccezionale, tocca aree che ne sono interessate molto di rado, dove i sedimenti sono più fini perché a parte casi eccezionali come questo non c’è scorrimento di acque. Per cui i danni maggiori li possiamo proprio avere dove la marra arriva difficilmente…

Previsione del 14 novembre del Centro previsioni del Comune di Venezia
In questa immagine vediamo una previsione della marea da parte del centro previsioni e segnalazioni maree, l’ufficio del Comune preposto alla sorveglianza del fenomeno: notiamo che nel diagramma sono mostrate due componenti, quella astronomica e quella meteorologica. 
La componente astronomica mareale è quella da tutti conosciuta, determinata dall’attrazione gravitazionale della Luna e del Sole. Dobbiamo notare che per le particolari condizioni geografiche l’Alto Adriatico è l’unico fra i mari prospicenti l’Italia dove le maree rivestino una certa importanza. 
La componente meteorologica dipende dalle condizioni meteo a cui il livello dell’Adriatico Settentrionale è particolarmente sensibile essendo un bacino chiuso:
- in primo luogo i venti da sud lo gonfiano, e più sono forti più il livello del mare sale (sciroccate eccezionali come quella del 1966 sono alla base degli episodi maggiori di acqua alta)

Ma ci sono anche altre variabili importanti:

  • la pressione atmosferica, che quando è bassa contribuisce ad aumentare il livello del mare
  • le differenze di pressione atmosferica anche fra zone limitrofe, che possono innescare delle correnti di gradiente che spostano grandi quantità di acqua (di fatto la notte fra l’11 e il 12 novembre c’era un minimo di pressione su Venezia) 
  • un’altra origine delle correnti di gradiente è la differente salinità (e quindi la differente densità) fra le acque che vengono dai fiumi, più leggere, e quelle “normali” del Mediterraneo, che essendo un bacino chiuso sottoposto a forte evaporazione è più salato del normale. 
Le correnti di gradiente possono facilmente passare i 10 nodi e quindi avere un forte potere erosivo quando la marea particolarmente alta le fa arrivare in zone raramente raggiunte dalle acque e dove in genere i sedimenti sono più fini e che quindi vengono mobilizzati con maggiore facilità, come appunto il 12 novembre è successo nel delta del Po.
Inoltre c’è un’altra variabile che si potrebbe definire come “effetto bacinella”: l’Adriatico può essere assimilato ad una bacinella stretta e lunga; ebbene, se un oggetto del genere viene riempito di acqua la superficie dell’acqua bascula tra un capo e l’altro.
Insomma, l’Alto Adriatico a causa delle correnti, delle maree e della peculiare situazione di bacino chiuso e allungato con coste molto basse è un mare davvero difficile.

COSTE BASSE E LAGUNE IERI E OGGI. È importante notare è che se le coste alte, quelle caratterizzate da scogli o scogliere o anche solo un terrazzo a meno di 3 metri di quota, determinano un limite netto naturale fra mare e terraferma noi siamo abituati a vedere un limite netto mare / terraferma anche nelle coste basse e consideriamo la laguna veneta una eccezione; in realtà quello che si vede in Veneto è proprio ciò che ci si dovrebbe aspettare in natura dove il mare incontra una pianura costiera: al posto di un linea di costa precisa e definita troveremmo una fascia costituita da una successione di stagni, dune, cordoni litorali, insomma una fascia lagunare. Per chi volesse approfondire la cosa ne ho parlato diverse volte, per esempio qui.
Questa differenza si deve ad opportunità politiche ed economiche: in genere le lagune, come quelle che bordavano le coste di Toscana e Lazio, e le paludi interne, sono state bonificate per recuperare spazio da un ambiente sfavorevole alle attività umane e per giunta malsano. Invece la laguna a Venezia è rimasta proprio per volontà della Serenissima, che così si sentiva protetta dai nemici terrestri, giudicati evidentemente molto più pericolosi della malaria e della mancanza di un’area agricola vicina alla città. Proprio per proteggere l’esistenza della laguna furono a più riprese deviati tutti i corsi d’acqua (soprattutto – ma non solo – il Brenta) che vi sfociavano, perché il loro apporto di sedimentari rischiava di interrarla. 
Ovviamente il magistrato delle acque, istituito il 7 agosto 1501 dalla Repubblica di Venezia per il controllo della laguna, era un organo di importanza fondamentale. Talmente fondamentale che era indipendente da tutte le altre magistrature della Serenissima in quanto le sue funzioni necessitavano di autonomia dalla politica; si riuniva tutte le settimane, convocato dal Doge in persona. Ma non perché il doge comandava il magistero, ma perché con la sua autorità era il garante delle deliberazioni magisteriali (che dolore pensare come nell’Italia odierna i governi di ogni colore vogliono aumentare il controllo della politica su qualsiasi cosa…). Questa magistratura, abolita da Napoleone e ripresa dagli austriaci, oggi è compresa dentro l’ISPRA, ma la sua influenza odierna non è minimamente paragonabile a quella che aveva ai tempi della Serenissima....

LIVELLO MARINO E SUBSIDENZA IN LAGUNA. Il problema classico che affligge una laguna è la subsidenza, che si può definire come un progressivo abbassamento del piano di campagna. Il contributo naturale maggiore alla subsidenza è la compattazione dei sedimenti fini recenti a causa del peso di quanto vi si è sedimentato sopra in tempi successivi. Ne ho parlato qui. I RADAR satellitari offrono oggi un sistema per valutare la subsidenza straordinariamente efficiente, perché forniscono i dati delle quote di un numero enorme di punti.
Movimenti (quasi) verticali del terreno tra 2007 e 2011 da Tosi et al (2016)
Però su Venezia bisogna sfatare un mito: nella laguna questa componente naturale è molto inferiore a quella di altre aree in condizioni simili in Italia (Solari et al 2018). Già agli albori delle analisi satellitari InSAR, 20 anni fa, i dati indicavano una buona stabilità della parte centrale della laguna, quella del centro cittadino, mentre ai confini settentrionali e meridionali venivano registrati valori di abbassamento di  3–5 mm/anno, che scendevano a  1–3 mm/anno nelle parti più prossime al mare, sui cordoni litorali (Carbognin et al 2004). Questi valori sono stati più o meno confermati, quantificando la subsidenza naturale per il secolo attuale in 0,4 mm/anno tra il 2007 e 2011, quando i satelliti mostrarono un forte abbassamento nel delta del Po e nella costa a nord della laguna di Venezia propriamente detta, mentre la città era sostanzialmente stabile se non in sollevamento (Tosi et al, 2016). 
Per spiegare questo basso tasso di subsidenza naturale è stato proposto un generale sollevamento tettonico dell’area (Tosi et al, 2002).

L'aumento del livello marinio
elaborazioni ISPRA su dati CNR- ISMAR e PSMS
I dati di ISPRA sul livello del mare di Genova e Trieste sono abbastanza coerenti fra loro e se li confrontiamo con quelli della Punta della Salute vediamo che fino alla metà degli anni ’20 le curva di innalzamento del livello marino a Trieste e Venezia più o meno coincidono, poi fino alla fine degli anni ’60 e quindi per 40 anni il livello cresce di più a Venezia.
Ricordo a questo proposito che il livello marino come lo consideriamo convenzionalmente è una superficie semplificata di uguale quota, ma in realtà in natura le cose sono un po' diverse: nei bacini chiusi è influenzato da tanti fattori locali e a grande scala sarebbe una superficie di eguale potenziale gravitazionale, per cui in realtà non è un piano ad altezza costante.

E allora come si spiega l’innalzamento del livello marino a Venezia senza la subsidenza naturale?
Soprattutto con altre 3 cause:

  • i tassi di innalzamento maggiori corrispondono a periodi in cui è stata pesante l’impronta antropica dovuta al prelievo di acque dal sottosuolo, ad esempio tra gli anni ’30 e ’60 del XX secolo per gli usi industriali di Porto Marghera, già indicata da alcuni autori come superiore ai 5 mm/a. 
  • le aree a quota zero o poco più o poco meno sono molto sensibili alle variazioni globali del livello del mare, che nel Quaternario e anche nell’Olocene sono particolarmente sensibili a causa delle variazioni del volume dei ghiacci. Attualmente lo scioglimento dei ghiacci nei 3 poli principali (Nord, Sud e Himalaya) influenza pesantemente il livello del mare, come anche il riscaldamento delle acque che ne aumenta il volume 
  • la sensibilità del livello marino alla dinamica atmosferica è alla base di 3 fasi nella storia del livello del mare alla Punta della Salute in cui si è notata una sua relativa stabilità (1915 – 1925, 1935 – 1945 e 1965 – 1995): ciò è avvenuto in occasione di valori particolari dei cicli di alcune forzanti meteorologiche connesse alla dinamica generale dell’atmosfera dell’emisfero settentionale come l’oscillazione dell’Atlantico Settentrionale (NAO – North Atlantic Oscillation)  (NAO) e la Oscillazione Mediterranea (MO)
Per chi volesse approfondire l’argomento "forzanti atmosferiche" consiglio Gomis et al. (2012); della NAO e dei suoi effetti in Italia, comunque, mi sono occupato anche io.

LIVELLO MARINO E ACQUA ALTA. Sempre da Baldin e Crosato (2017) vediamo due grafici estremamente interessanti sull’evoluzione del fenomeno Acqua Alta, dove vengono mostrati i casi di picchi di marea per due classi di altezza per singolo anno, rilevati ovviamente presso Punta della Salute, rispettivamente per classi di altezza 80-109 cm (acque medio-alte) e maggiore/uguale a +110 cm (acque alte). L’aumento della frequenza di tutte e due le classi di altezza è tragicamente evidente
Naturalmente questo aumento si ripercuote anche su tutto il resto del sistema lagunare, evidenziando i fenomeni erosivi di cui avevo parlato prima.

Le prospettive future non sono purtroppo incoraggianti: la subsidenza antropica può essere neutralizzata (o, meglio, è stata praticamente azzerata), ma il “tornare su” non è possibile: quando un sedimento perde l'acqua e si compatta i pori non si riaprono se non in maniera risibile. Il problema peggiore è quindi l’aumento del livello marino: il trend di lungo periodo confrontando Trieste, Genova e la Punta della Salute è mediamente di già 1.4 mm/a nel periodo 1890 – 2016, ma tra il 1994 e il 2016, complice il riscaldamento globale, si registra un valore di crescita del più che doppio, pari a 3.68 mm/a. 
Rimedi? Ho già detto in apertura che del MOSE non parlo perché non ho dati sufficienti ad esprimere un giudizio. Francamente io spero (e dovrebbero sperare tutti) che possa essere la soluzione. Altrimenti l’altro sistema potrebbe essere quello di …. rialzare completamente la città… La domanda, visto che questi sistemi di sollevamento teoricamente esistono è se sono validi e quanto costerebbero (ricordandosi che Venezia è sì ovviamente dei veneziani, ma che è anche un patrimonio dell’umanità intera). 
Se però l’aumento del livello marino proseguirà a questo modo temo che per Venezia ci sarà davvero poco da fare...


Baldin e Crosato (2017). L’innalzamento del livello medio del mare a Venezia: eustatismo e subsidenza. ISPRA, Quaderni - Ricerca Marina 10/2017, Roma. 

Carbognin et al (2004) Eustacy and land subsidence in the Venice Lagoon at the beginning of the new millennium Journal of Marine Systems 51(1-4):345-353

Dorigo (1961) Le osservazioni mareografiche in Laguna di Venezia. Commissione di studio dei provvedimenti per la conservazione e difesa della laguna e della città di Venezia, Rapporti preliminari, vol. I, 11-38. 

Gomis et al (2012) Mediterranean Sea-Level Variability and Trends in:  The Climate of the Mediterranean Region. From the Past to the Future - Chapter Elsevier editore

Solari et al (2018) From ERS 1/2 to Sentinel-1: Subsidence Monitoring in Italy in the Last Two  Decades  Frontiers in Earth Sciences · 6:149. doi: 10.3389/feart.2018.00149 

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