giovedì 29 ottobre 2009

Un bel dibattito sulla vulcanologia del Chaiten



Il primo maggio del 2008 nessuno poteva pensare che quello che stava incominciando quel giorno sarebbe diventato uno degli eventi scientifici più seguiti almeno nei due anni successivi, questo anche grazie ad internet (altrimenti di questa eruzione si sarebbe saputo ben poco). Rimando al primo post che ho scritto in materia per riportare alla mente i primi dati sull'eruzione.

Da allora la situazione è rimasta più o meno costante. Non ci sono state (ancora?) le temute nubi ardenti ma la città omonima è ormai persa, sepolta sotto una coltre di cenere prodotta dall'eruzione e trasportata lì dal vento e dalle acque, come tutta la pianura circostante. Dispiace per i cittadini di Chaiten ma non oso pensare a cosa sarebbe successo se una eruzione del genere avesse avuto luogo in un'area più popolata.

Purtroppo la zona, dove piovono 5 metri di pioggia all'anno, è spesso coperta dalle nuvole e le osservazioni dirette sono molto difficili perchè avvicinarsi al vulcano è ovviamente troppo rischioso, visto il costante pericolo di nubi ardenti, lahar e collassi dei duomi. Quindi le notizie sono spesso frammentarie e ricavate indirettamente dai dati atmosferici e geofisici. Un parziale collasso di un duomo lavico lo abbiamo avuto davvero il 29 settembre 2009, 16 mesi dopo l'inizio dell'eruzione.

Oggi questo vulcano sale alla ribalta per una clamorosa questione scientifica: sembra che il magma riolitico del Chaiten abbia avuto una risalita insospettabilmente veloce per lave del genere. Il Dr. Jonathan Castro, ricercatore formatosi negli USA, attualmente in Francia e che prossimamente si trasferirà in Australia è stato così gentile da rispondere a delle domande che abbiamo potuto rivolgergli tramite Erik Klemetti di “Eruptions”. Ne è nato veramente un bel dibattito. Per chi lo volesse leggere integralmente, commenti compresi, questo è il link.

Tanto per far capire la differenza fra una lava basaltica e una lava riolitica, costruire una casa lungo le pendici di un vulcano basaltico comporta un grave rischio per la costruzione stessa (l'Etna in questo è un esempio classico).

Costruire una casa su un vulcano riolitico non comporta questo rischio, perchè la lava non raggiungerebbe mai la casa non riuscendo a scorrere: quella che fuoriesce dalla bocca rimane più o meno nella zona e si accumula fino a formare i cosiddetti “duomi vulcanici”. Ma proprio perchè la lava è molto viscosa, i vulcani riolitici sono pericolosissimi, in quanto non hanno colate laviche ma una vasta gamma di prodotti come tufi, nubi ardenti ed esplosioni capaci di distruggere l'intero edificio etc etc. Anzi, la maggior parte delle esplosioni sono da addebitarsi ai vulcani a magma riolitico. Quindi una casa su un vulcano riolitico è ad altissimo rischio, molto maggiore di una su un vulcano basaltico, nonostante il rischio di distruzione da colata lavica sia estremamente remoto.

Riassumo quanto ha detto Castro nell'articolo su Nature: i segni premonitori dell'eruzione sono stati pochi e soprattutto più tipici di una lava basaltica: appena 24 ore tra il tremore sismico e l'inizio dell'attività, in un vulcano quiescente da 9300 anni. È la prima volta che viene osservato un simile comportamento in un vulcano riolitico e quelli prodotti dal Chaiten sono i duomi lavici più grandi negli ultimi 200 anni. Però questa situazione mette in subbuglio i vulcanologi che fino ad oggi pensavano di avere più tempo per lanciare l'allarme in vulcani del genere. La cosa si riflette anche in Italia, con vulcani come Lipari o Vulcano, in cui gli scenari attualmente prospettati sarebbero quindi molto più lenti di quella che potrebbe essere la realtà.

Le indagini sui (pochi) cristalli contenuti nel magma hanno dimostrato che il primo magma eruttato nel maggio 2008 è risalito molto velocemente da una camera magmatica posta a circa 5 km di profondità: ogni profondità è contrassegnata, a causa della minore pressione che il magma incontra via via che sale, da modifiche nei bordi dei cristalli contenuti nel magma e quindi studiandoli si può stimare la permanenza del liquido a varie profondità.

La discussione è venuta molto bene perchè tutti coloro che hanno posto le domande sono quantomeno "persone informate sui fatti", non degli sprovveduti. Si comincia con le preoccupazioni per il supervulcano di Yellowstone: attualmente i piani si basano su un certo tempo di attesa fra l'inizio dei fenomeni premonitori e l'eruzione. Queste scoperte sul Chaiten cambiano la situazione? No, dice Casto, perchè questo quadro si può applicare, solo ad eruzioni minori che possono comunque avvenire anche nei supervulcani. E purtroppo non si può evincere una regola nuova da questo caso: troppo diverse sono le condizioni tettoniche, chimiche e termiche fra un vulcano ed un altro per dedurre una regola “generale”.

Ci siamo poi spostati sull'origine dell'eruzione. Innanzitutto il quadro strutturale del Chaiten è quello giusto per un vulcano “orogenico”: la placca oceanica che subduce è a circa 170 km di profondità: il valore “ideale” per un arco magmatico. La camera magmatica dovrebbe essere a circa 5 km di profondità, ma non ci sono indagini geofisiche per stabilirne esattamente forma e dimensioni. Si sa che non è in equilibrio chimico in quanto la composizione dei feldspati non è costante.

Non si sa se il magma sia venuto da grandi profondità e sia il risultato della differenziazione di un originale magma di composizione basaltica o andesitica (più bassa in silice) o altrimenti se sia il risultato della fusione parziale della crosta dovuta alla risalita di magmi molto caldi sottostanti (ipotesi questa ben fondata a proposito dei magmi toscani). Anche se non c'è una evidenza della seconda possibilità, è sicuro che i cristalli hanno subìto degli sforzi prima del loro coinvolgimento nel magma. Quanto prima di essere coinvolti nell'eruzione e perchè, al momento non è dato sapere, né si sa da quanto tempo il magma è nella camera. Una cosa è sicura: c'è un alto contenuto di acqua e questo può essere uno dei motivi fondamentali della bassa viscosità della lava del Chaiten. Un altro è la scarsissima quantità di cristalli solidi all'interno.

Sul futuro dell'eruzione si sa poco: l'attività è molto costante e la costruzione dei duomi prosegue. Potrebbero raggiungere dimensioni ragguardevoli: parecchi kilometri cubici (a meno che non collassino). Un comportamento un po' diverso da quello dei duomi “classici”: un vulcano rioliico di solito preferisce costruire una catena di piccoli duomi anziché pochi duomi grossi. Nonostante la on ci sono evidenze di uno spostamento di composizione fra le prime lave di un anno e mezzo fa e quelle attuali. Altra caratteristica particolare è la granulometria dei tufi, molto più fini di quelli che si trovano normalmente associati ad eruzioni del genere.

questo è quanto, per adesso, sul Chaiten e siamo qui ad aspettare che prima o poi l'eruzione si concluda.

giovedì 22 ottobre 2009

Lo strano caso del terreno in sollevamento a Staufen (Germania) e la necessità di fare attenzione agli acquiferi

Staufen è una cittadina nella parte meridionale del Baden-Wuttemberg, nell'alta Selva Nera, vicino a Friburgo e quindi nell'angolo sudoccidentale della Germania. Lì sta succedendo una cosa piuttosto strana, evidenziata da una serie di fenomeni, come fessurazioni anche piuttosto importanti negli edifici. Risultano danneggiati il municipio, una chiesa due scuole e diverse decine di case private.

Siamo lungo il graben del Reno, un'area che ha avuto una importante attività tettonica negli ultimi 30 milioni di anni. Si è formato fra l'Eocene medio e il Miocene inferiore, durante una stasi dell'accorciamento crostale che ha generato l'arco alpino. La formazione della fossa ha provocato il contemporaneo innalzamento della Foresta Nera e dei Vosgi (Illies e Greiner, 1978). Questa parziale spaccatura della crosta europea è stata accompagnata dalla risalita del mantello sottostante e dai conseguenti fenomeni vulcanici, protrattisi fino al quaternario. Tutta la zona è sede di bassissima attività tettonica, ma sempre maggiore rispetto alla media dell'Europa Centrale: comunque, scosse di M maggiore di 3 sono rarissime.
Vicino a Staufen c'è un'area termale, con fluidi caldi che qualche anno fa erano stati indagati per un eventuale uso a fini energetici

I giornali del 2008 hanno parlato del fenomeno come un abbassamento del terreno: Der Spiegel scrive: “il problema è che la città sta affondando nel sottosuolo”. La cittadina è molto antica per gli standar tedeschi: attrestata già ben prima del 1000 ha un municipio del 1435 e mai si sono avuti problemi del genere. Si ipotizza proprio che la colpa di questo fenomeno sia del municipio, o, meglio, di alcuni lavori che sono stati fatti: la municipalità infatti, conoscendo la presenza di fluidi geotermici sotto la città, ha pensato di sfruttarli per il riscaldamento degli edifici, a cominciare dal palazzo municipale. Pertanto si è pensato che il sondaggio per carpire i fluidi abbia liberato una falda acquifera in pressione che, cominciando a svuotarsi, abbia perso pressione e provocato quindi l'abbassamento del terreno.


Dare la colpa a modificazioni della falda acquifera è normale, in quanto le fessurazioni degli edifici sono spesso dovute a questo. Ma i conti non tornano, come dimostra il satellite tedesco TerraSar-X: esaminando 2 foto prese a 10 mesi di distanza l'una dall'altra della zona di Staufen è stato dimostrato l'esatto contrario: secondo le misure satellitari l'area si sta sollevando (3 centimetri da gennaio a ottobre 2008). Forse chi ha ipotizzato l'abbassamento è stato tratto in inganno da un caso avvenuto a Kamen, vicino a Dortmund (e quindi non lontanissimo da lì), dove c'è stato un collasso del suolo dovuto proprio a una perforazione per una pompa di calore geotermica.

La spiegazione del fenomeno quindi deve essere ricercata in qualcos'altro. Vediamo: nel sottosuolo di Staufen è presente l'anidrite, un solfato di calcio anidro. Le anidriti sono rocce evaporitiche che si formano quando la salinità dell'acqua è troppo elevata per consentire loro di restare sciolte nell'acqua. Molto spesso troviamo rocce evaporitiche alla base dei cicli sedimentari. Le evaporiti terziarie nell'area sono ben conosciute: un bacino evaporitico molto sviluppato è leggermente più a sud, nell'Alsazia.
Le anidriti non contengono acqua al loro interno, ma ove ne vengano in contatto si gonfiano in maniera notevole (anche di più del 50%!)
Questa è la causa più probabile del sollevamento del suolo a Staufen.

Resta solo da capire se è davvero conseguenza della perforazione oppure l'acqua è finita a contatto con l'anidrite per cause naturali, per esempio lungo una delle tante faglie normali del sistema del graben del Reno.
Se fosse vera, come è probabile, la prima ipotesi, dispiace vedere come la buona volontà per la ricerca di soluzioni energetiche che diminuiscono le emisisoni di CO2 abbiano a volte esiti negativi. Questo si potrebbe evitare se solo si conoscesse meglio il sottosuolo. Non è che è impossibile usare nel caso in questione delle sonde geotermiche, ma nel loro posizionamento vanno tenuti di conto gli effetti sulla circolazione delle acque, predisponendo le necessarie precauzioni volte ad inmpedirlo: troppe volte i geologi sono chiamati a lavorare su problemi a costruzioni innescati da variazioni delle falde acquifere che per la stragrande maggioranza hanno cause antropiche.
Nella più che auspicabile implementazione anche in Italia della cosiddetta “geotermia a bassa entalpia” ad uso principalmente di riscaldamento e condizionamento domestico bisognerà tenerne molto di conto.

martedì 20 ottobre 2009

Uomini "probi" più razzisti di Darwin


Chiedo scusa a Makko che ha ragoni da vendere quando mi critica perchè insisto (sobillato...) sulla filosofia e non sulla scienza parlando di Darwin. Tanti (fra cui diversi miei amici) la pensano come lui, dicendo che non capicono cosa ancora ci sia da dibattere visto che l'evoluzione è scientificamente accertata al di lò di ogni ragionevole dubbio. Però voglio ulteriormente intervenire a questo proposito e spero che il sempre anonimo (anche per me e me ne dispiace) Simonpietro e altri come lui legga noquesto post fino in fondo.

Darwin, come ogni inglese dell'epoca, aveva sicuramente un imprinting razzista, e su questo non ci può stupire. Letteratura, scienza e politica dell'epoca ne erano infarcite (però si coprivano per pudore anche legambe dei tavoli....) comunque i creazionisti hanno esagerato, ponendo una grande attenzione ad alcune frasi esclusivamente per denigrarlo, come sono riusciti a svincolare dal contesto una frase di Steven Jay Gould per far credere che anche il paleontologo americano ad un certo punto di un suo libro sconfessase Darwin (sconfessare è proprio il termine che è stato usato): infatti quando scrisse che “bisogna andare oltre Darwin” non ha certo inteso dire che Darwin avesse sbagliato tutto, ma che al suo modello di evoluzione a ritmo lento e costante, secondo la visione gouldiana l'evoluzione procede con improvvise accelerazioni, gli “equilibri punteggiati”, nei quali ancora di più conta il meccanismo della “selezione naturale” tramite la “sopravvivenza del più adatto”.

L'affermazione che Darwin era razzista è gettonatissima in molti siti di destra e cattolici.
In particolare c'è questa frase: “Tra qualche tempo a venire, non molto lontano e misurato nei secoli, è quasi certo che le razze umane più civili stermineranno e si sostituiranno in tutto a quelle selvagge
Frasi come questa e altre anche peggiori si trovano nell’Origine dell’uomo.
Che dire? Certo, viste con gli occhi di oggi, queste frasi delineano un razzista.
E se digitate “Darwin+razzismo” su Google escono un sacco di siti che ne parlano.

Ma ovviamente questi signori non possono andare avanti e citare la frase successiva in cui Darwin dice:
"Il sentimento che ci spinge a soccorrere gli impotenti è principalmente un effetto incidentale dell’istinto di simpatia, che fu in origine acquistato come una parte degli istinti sociali, ma che divenne in seguito nel modo precedentemente indicato più tenero e più largamente diffuso. E noi non possiamo frenare la nostra simpatia con i suggerimenti della dura ragione, senza deteriorare la parte nobile della nostra natura. Il chirurgo può cercare di indurirsi mentre compie un’operazione, perchè sa che opera per il bene del suo malato; ma se noi volontariamente trascuriamo i deboli e gli impotenti, può derivarne soltanto un casuale beneficio, con un male grande e presente. Quindi dobbiamo sopportare senza lagnarci i sicuri cattivi effetti del sopravvivere dei deboli e del loro propagarsi".

Ai tempi di Darwin questi atteggiamenti erano correnti. Leggete quest'altro passo, che non è darwiniano:
"e aggiungerò che fra le razze bianca e nera vi è una differenza fisica che credo impedirà per sempre alle due razze di vivere insieme nell'uguaglianza sociale e politica. E nella misura in cui esse non possono vivere in questo modo, fin tanto che restano insieme ve ne deve essere una superiore e una inferiore, e io, come chiunque altro, sono favorevole a che si assegni il posto superiore alla razza bianca. Ne approfitto per dire che non vedo perché al negro si debba negare tutto solo perché il bianco deve avere una posizione superiore".
Probabilmente resterete di stucco: il passo è tratto da un discorso di Abraham Lincoln, del 18 settembre l858

Adesso mi rivolgo direttamente a Simonpietro. A Milano esiste una scuola cattolica intitolata ad Alexis Carrel, premio Nobel per la medicina nel 1912.
Dal Programma della scuola si legge: "fare scuola" secondo una precisa ipotesi culturale: l'ideale educativo cristiano inteso come apertura alla realtà nella totalità dei suoi fattori.

A questo punto è d'obbligo una cittazione tratta da un libro di questo scienziato “La ricostruzione dell’uomo”, un libro del 1936, lo stesso anno nel quale viene eletto socio della Pontificia Accademia delle Scienze

«Le nazioni stanno compiendo inutili sforzi per la conservazione di esseri inutili e nocivi, e così gli anormali impediscono il progresso dei normali. Dobbiamo affrontare con coraggio questo problema. Perché la società non usa i sistemi più economici per la cura dei criminali e dei pazzi?
(…) Una dolce morte con i gas risolverebbe il problema in modo umano ed economico».

Chiudo con alcuni passi tratti dal diario scritto durante la lunga sosta in Brasile, di cui il Nostro approfittò per studiare flora e fauna del Sudamerica (era il suo primo incontro con la biologia sudamericana). Assieme alle caratteristiche naturali, nel diario ci sono molti accenni alla società umana locale.

Per esempio durante una visita ad una fattoria nell'interno del paese annota: "questa collina è famosa perchè per lungo tempo fu il rifugio di alcuni schiavi fuggiaschi i quali, coltivando un po' di terreno vicino alla cima, riuscivano a trovare quanto era loro sufficiente per vivere. Ma poi furono scoperti e venne inviato uno squadrone che li prese tutti, eccetto una vecchia che preferì morire sfracellata, buttandosi dalla montagna, piuttostochè cadere di nuovo in servitù. Se fosse stata una matrona romana, sarebbe stato esaltato il suo nobile amore per la libertà, ma poiché era una povera negra, questo suo comportamento fu giudicato solo come bestiale cocciutaggine".

Commentando un mercato di schiavi scrive: "Io credo che al proprietario non passasse per la testa che fosse disumano smembrare 30 famiglie costituite da oltre 30 anni".

Osservando la variopinta popolazione di Rio de Janeiro, sottolinea l'obbligo di parlare portoghese come una pesante forma di controllo nei confronti degli schiavi. Successivamente parla degli schiavi diventati liberi cittadini e dice “se il numero di negri liberi aumentasse (come dovrebbe accadere) e che cominciassero ad essere scontenti di non essere uguali ai bianchi, allora il momento della loro generale liberazione non potrà essere molto lontano".
Le parentesi (nel testo originale) servono a sottolineare la cosa.

Poche righe più sotto scrive: “spero che venga presto il giorno in cui i negri avranno i loro diritti”

Allora, prima o poi riguarderò altri testi darwiniani. Ma mi domando se sarebbe questo il sudicio razzista precursore del nazismo da perseguitare, di cui vada scartato tutto l'impianto scientifico per la immoralità di alcune sue idee che non c'entrano nulla con la biologia?

Mi sa che ci siano ben altri scheletri negli armadi dei suoi detrattori.

domenica 18 ottobre 2009

I bacini intermontani dell'Appennino Settentrionale: fosse tettoniche o semplici pieghe?


Da un punto di vista geologico l'Appennino è molto più largo rispetto alla definizione geografica. Geologicamente tutta la Toscana (isole comprese!) fa parte dell'Appennino Settentrionale. Una delle caratteristiche principali di questo complesso orogene è una spiccata diversità fra il versante tirrenico e quello adriatico. Nel versante tirrenico troviamo un sistema di baqcini intermontani parallelei all'andamento della catena, in quello adriatico le valli sono trasversali. Altra differenza è che se nelle valli trasversali alla catena del versante adriatico c'è sempre un fiume principale che le percorre, alcuni bacini toscani (come la Valdichiana o il bacino di Firenze) non lo presentano.

Normalmente è ammesso che le fosse del versante tirrenico abbiano origine tettonica, delimitate ai margini da faglie normali: dal Tortoniano superiore l'area tirrenica è interessata da un regime tettonico estensionale, legato all'apertura del Tirreno, responsabile della formazione di una serie di bacini intermontani impostati sulla catena già strutturata, mentre la compressione si spostava via via verso l'Adriatico. In pratica a occidente della catena principale, la crosta si sarebbe sblocchettata in un sistema di horst (le dorsali) e graben (le fosse), la cosiddetta “tettonica a horst e graben” , tipica di zone in stiramento, dove gli sforzi sono di tipo estensionale.

Questo è comunemente accettato da molti ma non da tutti. I ricercatori di geologia strutturale dell'università di Firenze (principalmente Mario Boccaletti, Giovanna Moratti, Federico Sani e Marco Bonini) hanno studiato parecchi di questi bacini e la pensano in maniera diversa: ammettono che ci siano delle faglie normali ai margini delle fosse, ma le loro ricerche dimostrano che sono molto successive alla formazione dei bacini. Non solo, nei sedimenti che riempiono i bacini prevalgono soprattutto strutture compressive. Quindi questi studiosi contestano completamente la ricostruzione “classica” che considera queste vallate bacini estensionali, riconducendo il tutto a un continuum di deformazioni compressive, sia pure non costanti, ma contrassegnate da momenti di sforzo massimo seguiti da momenti di stasi. Un quadro completamente diverso che merita una grande attenzione. Anche perchè, come ripeto, secondo questa scuola, le grandi faglie normali ipotizzate (come la Pistoia – Settignano per il bacino di Firenze), non esistono.

Passiamo in rassegna alcune caratteristiche comuni dei bacini intermontani appenninici secondo questa scuola:
- dove si svilupperà in futuro un bacino si forma una piega sinforme (una piega a forma di sinclinale cioè una piega con convessità verso il basso) che comprende più unità già tettonizzate.
- la loro collocazione è sempre piuttosto particolare: si originano in mezzo fra due sovrascorrimenti fra le falde che compongono l'Appennino Settentrionale. Già questa è una coincidenza interessante da considerare: per esempio immediatamente accanto al bordo del Mugello si vede il grande sovrascorrimento delle Arenarie del Cervarola sulla Formazione Marnoso-arenacea.
- in quasi tutte le discontinuità stratigrafiche i sedimenti immediatamente sotto la discontinuità sono inclinati in direzione del bacino. Le inclinazioni sono massime ai lati del bacino e minime al centro.
- in generale le strutture distensive sono successive a quelle compressive
- le direzioni di raccorciamento sono in generale perpendicolari agli assi dei bacini
- le età delle discontinuità sono correlabili con i momenti di maggiore pulsazione compressiva lungo la catena appenninica. Questi momenti corrispondono a stasi dell'attività vulcanica della provincia magmatica toscana

Esaminiamo in particolare alcuni casi. Nella linea sismica illustrata qui sopra attraverso il bacino della Velona (noto per le sue faune di mammiferi del Miocene) vediamo come non esistano faglie normali, ma come all'incirca verso il bordo NE si annidi un classico thrust. Un secondo thrust in mezzo al bacino è sovrastato da una debole piega anticlinale. E' evidente che, almeno in questo caso, non si possa parlare di graben, visto che manca la condizione principale e cioè la presenza di faglie normali che lo delimitano

Nella sezione qui accanto vediamo come nel lato NE del bacino di Radicondoli – Volterra forti piegamenti (e faglie inverse) interessino le evaporiti del Messiniano (il livello contrassegnato dal numero 8). E' evidente che questo contrasta con la scuola tradizionale che non prevede forti piegamenti nei sedimenti deibacini, considerati "tardoorogenici" se non addirittura "postorogenici".

In quanto alla profondità dei bacini, c'è da fare una considerazione importante: prendiamo il bacino di Firenze, che curiosamente è una valle senza nome (eppure non si può dire che manchi di storia....)., la cui superficie è a circa 50metri sul livello del mare. Nella zona del casello autostradale di Firenze Nord ci sono circa 800 metri di sedimenti. Monte Morello, pochi Km distante, arriva a quasi 1000 metri di altezza. Sembrerebbe facile dire che la faglia normale che delimita il bacino abbia un rigetto verticale di quasi 2 km, ma non è così: nel bacino di Firenze, come in tutti gli altri, alla sedimentazione è corrisposta una ovvia subsidenza perchè il peso dei sedimenti ha provocato un approfondimento della base. Quindi le sezioni verticali del basamento che vengono prodotte con la situazione attuale non rappresentano, forzatamente, le condizioni all'inizio della sedimentazione al loro interno. La subsidenza può essere la causa che innesca ad un certo punto alcune faglie normali lungo i bordi del bacino, che interessano i sedimenti recenti. Vediamo qui schematizzato il caso della zona di Volterra. Queste faglie si formano nel basamento, forse lungo vecchie superfici di discontinuità riattivate (magari anche dei thrust riattivati con direzione opposta).
Lì per lì la cosa può lasciare perplessi: guardare da Artimino o dal piazzale Michelangeolo la fossa tra Firenze e Pistoia sembra proprio che i monti sullo sfondo coincidano con una bella faglia. Stesso discorso per le altre fosse. Ma se lo dicono dei geologi strutturali che quelle non sono faglie... beh..non si può dire che non abbiano competenza e autorevolezza in materia....
Un segnale in tale direzione comunque viene anche dalla letteratura geologica: non ho mai letto lavori sullo studio di queste faglie.... che forse anziché faglie normali, sono le tracce dei thrust principali della catena.
A questo proposito è interessante notare come tutto il grande sovrascorrimento delle unità della Serie Toscana, il “fronte della Falda Toscana”, dall'Appennino parmense al Lago Trasimeno sia bordato da fosse.

La presenza di deformazioni compressive in questi bacini non vuole dire che i thrust che li delimitano erano ancora attivi: un'altro caposaldo della geologia appenninica è che la deformazione procede verso il versante adriatico ed in effetti questi bacini si impostano su zone che sono già state interessate dai fenomeni plicativi e di sovrapposizione delle varie unità tettoniche. Però è scontato che fenomeni orogenici possano avere effetti in aree anche a una certa distanza: in un lavoro recentemente pubblicato sul volume II del 2009 del “Bollettino della Società Geologica Italiana” D.C.Peakock dimostra che l'orogenesi alpina ha provocato movimenti di faglie e piegamenti persino in Inghilterra.

mercoledì 14 ottobre 2009

Le certezze sulla geodinamica italiana degli ultimi milioni di anni e una nuova visione totale del problema



Fino ai primi anni' 80 i ricercatori erano riusciti a capire molte cose sulla storia geologica italiana e del Mediterraneo occidentale, ma all'interno di settori ristretti: l'Appennino Settentrionale, l'Appennino meridionale, le Alpi, la Cordigliera Betica, l'arco Siculo – Maghrebide etc etc. Al di là di alcuni tentativi da parte della scuola fiorentina con Mario Boccaletti prima e Benedetta Treves poi, mancava una visione unitaria che a poco a poco si sta facendo largo nonostante la permanenza di alcune incertezze, principalmente all'altezza dell'Appennino Settentrionale per il terziario inferiore (una o due subduzioni distinte nel tempo?), della Calabria (vedi post) e delle Alpi Lombarde, dove i ricercatori sono divisi fra chi sostiene che si sta assistendo agli inizi di una nuova fase compressiva di senso inverso rispetto a quella alpina e chi invece sostiene per le strutture attorno al lago di Como un'altra motivazione.

Nel contempo abbiamo anche una serie di certezze. In particolare nella storia recente dell'Italia ci sono due momenti cruciali, uno verso la fine del Messiniano (6 milioni di anni fa) e uno molto più recente (a metà del pleistocene, 700.000 anni fa).

La vicenda comincia alla fine del Messiniano, quando la placca adriatica forma ancora una appendice superiore dell'Africa.
L'Europa preme sia a ovest, lungo la catena alpina che a est, con il settore ellenico – anatolico. Nel Miocene superiore finisce di consumarsi l'oceano che si era aperto nel Giurassico situato fra la placca adriatica ed il settore ellenico di quella europea.
Ma questo non ferma il campo di sforzi: la Grecia preme e più a sud – ovest lo fa pure l'Africa. Quindi la zona adriatica per assorbire tutti questi sforzi si spacca: a nord il settore adriatico si separa da quello padano lungo il fascio di faglie trascorrenti Schio – Vicenza mentre a sud nella zona del Canale di Sicilia si separa dall'Africa stessa. Il movimento di per se sarebbe una trascorrente ma siccome l'Africa spinge piuttosto forte, strizza assieme alla placca adriatica l'Appennino in una morsa, costringendolo a ruotare. Quindi nel Canale di Sicilia si realizza anche una componente estensionale che forma dei piccoli bacini.

Intanto la subduzione della zolla adriatica, e per precisione della sezione di oceano giurassico rimasta fra Adria ed Europa (o fra Adria e Al.Ka.Pe.Ka.) continua e la fase tettonica rimane molto acuta. Questa situazione però non dura a lungo: all'inizio del Pleistocene, poco più di 2 milioni di anni fa, la crosta “europea” dell'Appennino collide con il nucleo più duro di Adria, della quale attualmente emergono dal mare il Gargano e le Murge. Da nord fino alla Basilicata l'orogenesi complessivamente si blocca (o quantomeno rallenta vistosamente). il blocco determina la cessazione della apertura del bacino del Vavilov.
Però c'è ancora da consumare la crosta oceanica dello Jonio e difatti l'unica zona di vera subduzione che continua a funzionare è quella attuale a E della Calabria. Dove cessa la resistenza della piattaforma adriatica, all'altezza del confine Basilicata – Calabria si crea una trascorrente sinistra che allarga il Tirreno a sud – est,: nasce il bacino del Marsili. Lo sviluppo della Linea del Pollino provoca in Basilicata la formazione di una serie di faglie trascorrenti orientate NE-SW.


Circa 700.000 anni fa le cose sono cambiate di nuovo. Il campo di sforzi si ridistribuisce perchè dopo la collisione fra il blocco apulo e l'Appennino la placca adriatica si è fermata ad ovest ma ricomincia a subdurre verso est sotto l'Europa nel settore balcanico – egeo. Rimane attiva la subduzione della zolla adriatica sotto la Calabria, con lo Jonio che continua a chiudersi.

Direi che in linea generale questa è un'ottima sceneggiatura, alla quale mancano ancora alcuni particolari. Come ho detto in apertura il pregio fondamentale è che i meccanismi invocati sono piuttosto semplici e applicabili a tutta l'area senza bisogno di complicazioni varie, quali cunei astenosferici e quant'altro.

lunedì 12 ottobre 2009

Gli insegnamenti della tragedia di Giampilieri

«la causa scatenante le forti alluvioni è stata certamente l'elevata intensità di eventi meteorici, ma non può non essere presa in considerazione la leggerezza di alcune scelte territoriali, che si sono rilevate determinanti negli effetti provocati dal dissesto idrogeologico. Scelte che hanno fatto sì che il degrado dei corsi idrici del messinese diventasse un fenomeno ormai generalizzato e diffuso capace di provocare un vero e proprio disastro». La Protezione Civile alla Magistratura di Messina, Ottobre 2008 sull'alluvione che aveva colpito Giampilieri un anno prima.

Alcuni amici mi hanno chiesto di parlare della tragedia di Messina. Non è che ne abbia tanta voglia perchè corro il rischio di dire le solite cose sulla irresponsabilità da parte dello Stato e delle persone. Ma è davvero “irresponsabilità”? A volte sì, a volte no. Mi spiego: una persona è “irresponsabile” se sa quello che sta facendo e i rischi a cui espone se e gli altri con le sue azioni. Se non sa quello che fa è da classificarsi come “ignorante” (e spesso gli ignoranti espongono se e gli altri a grossi rischi). Mi chiedo a che categoria appartengano quelli che, approfittando della situazione, si sono mescolati con i loro camion a quelli che smaltivano il fango, smaltendo in mare chissà che cosa e provocando lo stop alla operazione.

A giudicare da foto, articoli e poche esperienze personali in occasione di mie visite nelle zone diciamo che il territorio è trattato in maniera brutale, così come si faceva nel resto d'Italia in Europa e nel mondo prima che le parole “ecologia” ed “ambiente” entrassero nel vocabolario dell'umanità. Solo che apparentemente da qualche parte non sono ancora arrivate e proprio dove le condizioni sono peggiori essendo attualmente una delle aree a maggiore deformazione tettonica in Europa
Non è che vedendo telegiornali e/o leggendo giornali si capisca poi molto della situazione. In compenso ho sentito tanta gente parlare senza sapere come sono andate le cose, nutrendosi dei più normali luoghi comuni. Un esempio su tutti: una casa isolata a Scaletta Zanclea Marina accanto alla foce del fiume che ha scatenato i soliti commenti sui deficenti che costruiscono lungo i fiumi, lasciando intendere pure che era una costruzione abusiva: non era isolata fino a quando l'alluvione ha distrutto quelle adiacenti. Se tanti si fossero tappati la bocca o avessero fatto un controllo su Google Earth (o Google Maps per chi non ha g.e....) prima di parlare a vanvera si sarebbero risparmiati fiato e non avrebbero dato il là ad “ispiratissimi” commenti sui meridionali Per fortuna ho trovato in rete alcuni interventi piuttosto significativi che hanno ristabilito almeno per me la realtà dei fatti.

Innanzitutto un dato piuttosto preciso e forse ignorato: basta allontanarsi lungo la costa di qualche chilometro dai luoghi del disastro e lì non è successo niente. Invece a Giampilieri, Scaletta Zanclea, Briga Marina, Santa Margherita, Ponte Schiavo (chi conosceva questi posti fuori dai Messinesi?) è successo l'inferno.
Le circostanze mi ricorda un po' l'alluvione della Versilia di 15 anni fa. Lì successe una cosa davvero strana, una concentrazione incredibile di pioggia da una nuvola che rimase ferma nello stesso posto senza valicare il versante. Praticamente a poca distanza non venne giù neanche una goccia. Non so se a Giampilieri sia andata così. Però era da giorni che la situazione era difficile in Sicilia, fra il forte vento e le piogge che avevano già provocato altri guai da quelle parti qualche giorno prima.

La cosa più dolorosa è comunque sapere che nel 2007 c'erano già state le prime avvisaglie del problema, regolarmente ignorate (anche se, onestamente, siamo nel 2009 e non so se intervenire sarebbe stato tempisticamente possibile, tra burocrazia, redazione del piano, proteste di chi ci rimetteva qualcosa etc etc). E qui nasce un giallo, con informazioni contrastanti.
C'è chi dice che qualcosa non abbia funzionato a dovere: l'intervento non ci sarebbe mai stato in quanto non sono arrivati finanziamenti per la messa in sicurezza; questo non per ritardi burocratici ma semplicemente perchè il comune di Messina non aveva attuato la procedura per classificare l'area come zona a rischio idrogeologico. Un altro evento del genere è avvenuto un pò più a nord, nella zona di Mili San Pietro una quindicina di anni fa.
Altre fonti invece segnalano che dal comune la richiesta di revisione del PAI (piano di assetto idrogeologico) era partita un anno fa e che l'ufficio geologico del comune di Messina non sia proprio all'avanguardia: c'è un solo geologo in servizio (che ovviamente, con un territorio come quello messinese e scarsissimi mezzi tecnici fa quello che può e probabilmente è visto più come un “nemico” da parte di costruttori e cittadini). Il quale geologo comunque aveva indicato esattamente come a massimo rischio proprio le zone colpite in questi giorni e che quindi è sicuramente una persona molto competente.

E' stata dunque una tragedia annunciata? In parte sì, come dimostra la dichiarazione della Protezione civile. Non c'è stato bisogno di attendere molto per verificare la veridicità di queste parole, e una precipitazione definita eccezionale ha provocato quello che era stato previsto (oltre 300 mm di pioggia in tre ore).

Ma in ambienti scientifici si nega l'eccezionalità dell'evento: il professor Ortolani dell'Università di Napoli, in una bellissima e completa descrizione del fenomeno, afferma che un livello paragonabile fu toccato nel già citato evento dell'ottobre 2007, in occasione del quale si ebbero le prime episodiche colate di fango.
Riassumo brevemente che il danno è stato fatto non dalle acque ma da colate di fango. L'ossatura dei colli della costa messinese è formata da rocce metamorfiche paleozoiche del complesso dei Peloritani, di cui ho appena parlato a proposito della storia geologica della Calabria. La parte più superficiale è alterata e la pioggia ne ha azzerato le caratteristiche geofisiche: quando materiali sciolti vengono imbevuti di acqua la loro resistenza al taglio si abbassa drasticamente e quindi su un pendio la forza di gravità vince sulla coesione del terreno. Per fare un paragone è come quando si mette l'acqua in un secchiello riempito di sabbia: la sabbia dove c'è l'acqua si liquefa. Ovviamente nello strato superficiale sciolto sono ancora presenti dei massi, scesi a valle assieme al resto. Il fenomeno è concettualmente simile a quello che ha colpito Sarno nel 1998. Il primo distacco di fango dall'alto del versante sopra a Giampilieri ha trascinato anche il suolo sottostante, formano una valanga di materiale alta parecchi metri che ha percorso le strade del paese sommergendolo.
Più a valle (Scaletta Zanclea) il danno lo ha fatto l'acqua a cui si sono mescolati i fanghi provenienti dal monte. Ci sono state lungo i litorali delle pesanti modificazioni con una notevole avanzata delle spiagge alle foci delle fiumare

Ora vediamo cosa si può fare. Innanzitutto una brutta notizia: secondo il prof.Ortolani il rimboschimento non servirebbe a molto, perchè la superficie di scollamento è sotto al livello a cui arrivano le radici degli alberi, che quindi in caso di ripetizione del fenomeno scivolerebbero a valle con il fango. Le soluzioni sono due: terrazzare tutta la montagna, ma con fondazioni molto profonde, e soprattutto allargare gli alvei. E qui è evidente che il secondo lavoro deve essere fatto senza pietà, buttando giù tutto quello che deve essere buttato giù senza considerare costruzioni abusive ma che i proprietari sono riusciti a legalizzare in uno dei tanti condoni o edificate regolarmente in base a piani regolatori geologicamente sballati: ci troviamo davanti alla necessità di sfoltire le abitazioni e creare un alveo interno per le acque, circondato da una larga zona golenale (magari da attrezzare a verde pubblico) per consentire ai detriti di arrivare a mare. Questo perchè è stato appurato un fatto molto importante: a Scaletta Zanclea l'alveo avrebbe potuto reggere al volume di acqua. Il guaio, la portata maggiore al momento, lo hanno combinato i fanghi. E questi fenomeni possono accadere lungo tutta una fascia di territorio, come dimostra l'evento del 1996.

Terrazzare la montagna, scendendo con le palificazioni nel substrato roccioso e non fermandosi nel suolo, non è cosa semplice però mi pongo dei quesiti a cui spero qualcuno possa darmi una risposta: fino al 2007 non era mai successo niente del genere? Suppongo che la risposta giusta sia "no": le case di Giampilieri, almeno nella zona più alta, non sono proprio costruzioni moderne. Quindi, almeno per Giampilieri Superiore, dare tutta la colpa alla speculazione edilizia della seconda metà del XX secolo è quantomeno fuorviante.
E allora, se non era mai successo (almeno fino dal 1500), perchè? Forse perchè la montagna era regolarmente manutentata da chi ci lavorava? Oppure si erano verificati prima della edificazione del paese attuale e se ne era perso il ricordo o non era stato dato loro il peso necessario?

Speriamo solo che da questo disastro si impari una lezione e cioè che siamo costretti a convivere con il rischio idrogeologico, e che quindi bisogna tenere conto di questo nel costruire. Da oggi ignoranza e irresponsabilità non devono più prendere il sopravvento, né nei privati cittadini, né nelle isituzioni.

venerdì 9 ottobre 2009

Dawkins, Gould e i coccodrilli: come conciliare "il gene egoista" con gli "equilibri punteggiati"

Richard Dawkins e Steven Jay Gould sono due dei principali pensatori sull'evoluzionismo degli ultimi 50 anni. Entrambi grandissimi scienziati ed appassionati divulgatori (ho avidamente letto molti dei libri che hanno scritto), biologo l'inglese – paleontologo l'americano, hanno spesso polemizzato pubblicamente.

Tempo fa mi sono dichiarato un Darwinista di stretta osservanza (chi mi conosce personalmente da tempo non ha dubbi che lo sia da quando ero un ragazzo!), di confessione Dawkinsiana (il gene egoista, appunto), ma che nel contempo strizza l'occhio agli equilibri punteggiati gouldiani.
Su alcune cose non la penso come Darwin, ma semplicemente perchè la Scienza fa il suo corso e io ho accesso a una quantità di informazioni enormemente più grande di quella che aveva il naturalista inglese. Quindi andare “oltre Darwin” significa adeguare l'evoluzionismo con le conoscenze attuali, non che l'impianto fondamentale di “l'evoluzione delle specie” sia da buttare!
Ricordo alcuni "errori" di Darwin. In primis il grande naturalista inglese pensava alla mescolanze dei caratteri: è uno sbaglio ma all'epoca non aveva a disposizione né gli studi di Mendel né tantomeno conosceva l'esistenza del DNA: pertanto arrivare a capire che o prendi quel gene da un genitore o lo prendi dall'altro era molto improbabile. Inoltre pensava che l'evoluzione procedesse in maniera lenta e continua. Invece gli equilibri punteggiati gouldiani prevedono dei momenti in cui l'evoluzione accelera il suo corso in mezzo a periodi di poche variazioni.

Gould, pensando a questi due aspetti traeva delle conclusioni completamente differenti: non si riteneva (purtroppo è morto nel 2002) un darwinista di stretta osservanza e questo ha portato alcuni creazionisti a dire, forzando il significato di alcune sue frasi prese a caso, che Gould abbia sconfessato Darwin e – implicitamente – che sia stato un antievoluzionista. Roba da ricovero alla neurodeliri

A questo punto mi dovrei porre il problema se sono un darwinista di stretta osservanza o no. Propendo per il “si”, nella convinzione che secondo me i messaggi principali sono “l'evoluzione è avvenuta, ma non grazie all'ereditarietà dei caratteri acquisiti”, ma grazie alla “sopravvivenza del più adatto”. Quanto alla velocità lenta e costante dell'evoluzione, Darwin nella sua formulazione è decisamente un gradualista estremo, forse anche un po' troppo. Però succede spesso che le nuove teorie quando vengono alla luce siano piuttosto semplici e successivamente, durante le ricerche in merito, ilquadro, valido nell'impianto generale, si complichi un pò. E' il caso per esempio della Tettonica a zolle Crostali. Poi bisogna calarsi nella sua epoca per capirlo. A parte che non conosceva ancora l'esistenza del DNA, l'immenso naturalista inglese nel suo gradualismo “totale” era forse anche condizionato dalla polemica fra “gradualisti” e “catastrofisti”: i gradualisti, capofila Lyell sostenevano che la Storia della Terra si era sempre svolta ad una certa velocità, quando invece i catastrofisti sostenevano degli scossoni che provocavano improvvisamente sollevamenti di montagne e estinzioni di massa. Oggi i creazionisti puntano molto sul catastrofismo, come già nel XIX secolo: ho letto per esempio l'articolo di un teologo che contesta il gradualismo di Lyell (e osanna Cuvier, ovviamente). Essendo ovviamente schierato dalla parte dei gradualisti, forse proprio per reazione ai catastrofisti Darwin non poteva sicuramente pensare che ad una estrema gradualità dell'evoluzione. Oddio, ormai le idee gradualistiche stavano decisamente trionfando, ma nella concezione di uno scienziato c'è sempre un imprinting dettato dall'ambiente e dalle polemiche in cui si è svolta la sua formazione iniziale.

Dopodichè appartengo alla “confessione” Dawkinsiana. Richard Dawkins sostiene una visione un po' estrema secondo la quale, alla fine, noi esseri viventi siamo semplicemente delle macchine che consentono ai geni di perdurare. Quindi procreiamo non per perpetuare la specie, ma perchè sono i nostri geni che ci dicono di farlo in modo che loro si possano perpetuare. Una visione estremistica ma che mi trova piuttosto d'accordo. Il “gene egoista” è abbastanza chiaro e semplice: i geni sono i replicatori che sono sopravvissuti nel tempo e per sopravvivere (per propagarsi come replicatori) hanno costruito dei veicoli, cioè delle macchine di sopravvivenza (animali, vegetali, uomo): noi siamo macchine da sopravvivenza programmate per permettere ai nostri geni di replicarsi. E' ovvio che solo i geni che danno le forme più adatte (spesso in coabitazione fra più geni) si riproducono. Anzi, i geni sono unità che sopravvivono "passando attraverso un gran numero di corpi successivi". I geni quindi vivono “milioni se non miliardi di anni”.

Veniamo ora agli equilibri punteggiati: l'idea parte dalle dinamiche della genetica ed in particolare dalla rapida evoluzione tipica di piccole popolazioni alla conquista di un nuovo ambiente. Lo si vede sia in grande scala nel caso delle grandi radiazioni adattative (come quella dei primi placentati o quella delle forme nordamericane in Sudamerica alla formazione dell'istmo di Panama) o in piccola scala citando il classico esempio delle lucertole di Pod Mrcau. Si vede quindi che in effetti grandi cambiamenti possano avvenire in periodi di tempo limitati.
E' questo il senso degli equilibri punteggiati Gouldiani: grandi salti in brevi lassi di tempo, mentre in periodi “normali” l'evoluzione procede con grande lentezza. Un andamento opposto all'estremo gradualismo darwiniano ma che, ovviamente, non è uno scarico di Darwin e dell'evoluzione da parte di Gould. Anzi, direi tutt'altro. E' semplicemente una migliore precisazione di quello che succede

Scrissi pure come fra i miei sogni ci sia la voglia di conciliare queste due visioni, secondo me alla fin fine non poi così in contrasto fra di loro. Razionalmente mi chiedo: “può darsi che io scriva così perchè sono “innamorato” di entrambi gli scienziati?”. Alla fine penso proprio di no.
Eppure io sarò scemo ma penso che, alla fine, Gould e Dawkins abbiano descritto due facce dello stesso problema. Gould parte dalla visione del paleontologo, che ha pochi reperti a disposizione, studia l'anatomia comparata, e cerca di capirne perchè vede pochi “anelli di congiunzione”. Dawkins è un biologo, nella cui visione i geni sono il sistema per leggere il passato.
Fedele alla impostazione letteraria dawkinsiana, che amo svisceratamente, vorrei quindi fare un esempio pratico con un raccontino, che chiamerò “il racconto del coccodrillo”.

IL RACCONTO DEL COCCODRILLO

Vediamo come conciliare le due posizioni e vediamo sia come l'evoluzione possa procedere anche in tempi rapidissimi come vuole Gould, sia come, alla fin fine, i geni che si perpetuano siano quelli che consentono, in nome della sopravvivenza del più adatto, le caratteristiche migliori per un particolare ambiente in un particolare periodo.

I geni sono sempre in lotta per la loro sopravvivenza contro altri geni e le mutazioni genetiche si sono dimostrate fondamentali non solo nella competizione preda / predatore, ma anche in risposta alle pressioni ambientali: se i geni non si fossero modificati nel tempo, difficilmente sarebbero sopravvissutiai tanti cambiamenti della Terra dalla loro apparizione. Quindi potersi modificare è stata una tattica vincente. Ma tutto questo non impedisce certo una evoluzione gouldiana: i geni specialmente in fasi di modifica ambientale o di conquista di nuovi ambienti sono molto “in pressione”, quando sono più favoriti quelli che consentono dei cambiamenti anziché quelli che dimostrano tendenze più conservative

I coccodrilli sono apparsi nel Triassico, evolvendosi da antenati terrestri affini a quelli di uccelli e dinosauri e la transizione da forme terrestri ad esseri ben adattati alla vita acquatica è stata piuttosto veloce. Fra le forme più vicine ai coccodrilli ci sono i membri della famiglia Rauisuchidae, che tutto sommato forniscono un bel modello di come dovevano essere i loro antenati. In seguito hanno un po' cambiato forme e dimensioni, in relazione soprattutto alle prede che avevano a disposizione, ma sostanzialmente il loro “piano corporeo” (non proprio casualmente molto simile a quello dei fitosauri – arcosauri anch'essi – che occupavano più o meno la stessa nicchia ecologica) è rimasto lo stesso. Non ce ne è stato bisogno perchè non hanno sostanzialmente cambiato le loro abitudini di animali predatori “generalisti” al vertice della catena alimentare nei fiumi e nelle zone umide delle fasce calde.

Questo stile di vita probabilmente li ha salvati dall'estinzione della fine del Cretaceo, che ha selettivamente lasciato quasi intatte le faune fluviali.
Gli unici coccodrilli meno specializzati per l'acqua apparvero all'inizio del terziario, nel primo Paleocene quando, scomparsi i dinosauri, approfittarono della mancanza di predatori carnivori (i mammiferi erano ancora degli insettivori), assieme ad alcuni uccelli. Però quando poi comparvero i primi mammiferi carnivori (creodonti, mesonichidi, primitivi esponenti dell'attuale ordine “carnivora”) fu la fine dei coccodrilli terrestri e degli uccelli carnivori (che resistettero in Sudamerica dove i mammiferi carnivori erano marsupiali e non placentati). In seguito, il raffreddamento della fine dell'Eocene ha molto ridotto il loro areale, ma dove vivono dominano. Se noi adesso guardiamo i geni dei coccodrilli, nel Trias inferiore si sono affermati e riprodotti quelli che hanno consentito il cambiamento da abitudini terrestri ad abitudini acquatiche, cioè quelli che da un corpo simile ai Raiosuchidi sono riusciti a costruire una “macchina” più acquatica. Successivamente hanno potuto arrivare fino ad oggi i geni che invece hanno scelto una visione più “conservativa” delle caratteristiche somatiche. Nel Triassico i geni più conservativi durante il periodo di transizione si sono rapidamente estinti: le forme da loro prodotte nel contempo non erano vincenti nei confronti dei loro competitori terrestri, nè riuscivano a reggere la concorrenza di quelle nuove, più adattate all'acqua. Questo vale per quasi tutte le forme di transizione.

I cambiamenti “epocali” avvengono in poco tempo e le forme intermedie sono difficilissime a trovarsi perchè si estinguono molto facilmente in quanto non sono “nè carne nè pesce”. Quindi di fossili del genere ce ne sono veramente pochissimi. Ed ecco così come con “il racconto del coccodrillo” riesco a dare ragione contemporaneamente sia a Gould che a Dawkins!

martedì 6 ottobre 2009

La Calabria: il punto focale per capire la storia meso - cenozoica del Mediterraneo Occidentale


Una o due Calabrie? Uno o due oceani? C'è stata una inversione della subduzione nel settore appenninico o no? Questi sono alcuni dei dilemmi dei geologi che si occupano di evoluzione mesozoico – terziaria del Mediterraneo Occidentale.
Innanzitutto una precisazione: parlando di “Calabria” si parla, abbreviandone il nome, dell'”Arco Calabro – Peloritano” e cioè di quella fascia della catena appenninica che va dal Pollino alla linea Taormina – Golfo di Patti, per cui nella definizione è compresa la parte più a NE della Sicilia, Messina compresa. Qualche tempo fa ho scritto un post su “Al.Ka.Pe.Ca”, il “continente perduto” della geologia mediterranea, la placca che secondo alcuni Autori si è scontrata con l'Europa Stabile prima che lo facesse l'Italia peninsulare.

Riepilogo brevemente la situazione:
1) la subduzione sotto l'Europa di tipo appenninico contrasta con quella alpina che invece è sotto l'”Africa”. C'è chi ipotizza quindi una inversione della subduzione sotto l'Appennino a partire dal primo Oligocene
2) Il magmatismo nell'area mediterranea occidentale sembra iniziare nell'Eocene assieme alla formazione dei bacini di retroarco.

Vediamo a fianco un disegno con le due ipotesi. Se da una parte alcuni Autori pensano ad una inversione della subduzione, altri dicono di no: pensano che nel settore appenninico ci sia sempre stata la subduzione sotto l'Europa e che tra la zona alpina e quella appenninica, adiacenti, le placche scorressero in senso opposto grazie ad una faglia trasforme. La formazione dei bacini del Mediterraneo Occidentale sarebbe iniziata solo alla la fine dell'Oligocene perchè solo da quel momento i movimenti relativi fra Africa ed Europa hanno costretto il piano di subduzione a muoversi, ruotando in senso antiorario.
In questo ambito l'assetto della Corsica, che era la terminazione della zona a subduzione “alpina” e sotto alla quale ora c'è la subduzione di tipo appenninico, viene spiegata, per esempio da Andrea Argnani con la presenza di un promontorio della placca adriatica che in qualche modo cozza sul sistema alpino e ne interrompe la subduzione, instaurando anche in quel settore alpino quella Europa – vergente.
Ricostruire la geologia del Mediterraneo occidentale vuol dire risolvere il puzzle di dove erano attaccate fra loro tutte le zone che bordeggiano da Gibilterra all'Italia i bacini “oceanici” che si sono aperti dalla fine dell'Oligocene in poi e i rapporti originari fra queste masse: dov'erano, come erano fatte, quando e come mai si sono attaccate fra loro. Il problema è che è abbastanza nota la geologia zona per zona, ma ci sono ancora delle terribili incertezze sui rapporti fra questi settori sia prima dell'apertura dei bacini del Mediterraneo occidentale che - ovviamente ancora di più - sui rapporti prima del coinvolgimento nell'orogenesi e cioè sulla loro collocazione sulle rive della Tetide. Le incertezze sono ben delineate da questa immagine in cui si confrontano il modello a subduzione unica e quello a subduzione che si inverte.

Per fortuna alcuni punti fermi ci sono e precisamente:
1) il Tirreno Settentrionale si è aperto nel Miocene, mentre quello meridionale lo ha fatto più tardi, nel Pliocene
2) la Calabria continua a muoversi verso sudest (o, almeno, lo ha fatto fino a poche centinaia di migliaia di anni fa)
3) prima dell'apertura del Tirreno Sardegna e Calabria facevano parte della stessa massa continentale, almeno dall'Oligocene: quindi attraverso Sardegna e Corsica anche la Calabria era attaccata all'Europa tra la Provenza e la Catalogna.

Una disamina della situazione, in maniera molto neutrale, è stata condotta da Alvarez e Shimabukuro nel corso di un convegno tenuto nel 2007, i cui atti figurano nell'ultimo volume del “Bollettino della Società Geologica Italiana”. Innanzitutto tratteggiano i problemi sul tappeto, notando come la Calabria sia un punto nodale della faccenda. in particolare:
1) la Calabria è un blocco unico dalla fine dell'Orogenesi Ercinica nel Permiano oppure è il risultato dell'unione di due blocchi nel Terziario Inferiore?
2) Nella regione ci sono tracce di un solo piano di subduzione o di due piani opposti?
3) Alla fine dell'Orogenesi Ercinica dov'erano Calabria e Sardegna? Erano vicine o addirittura in connessione fra loro oppure appartenevano a settori diversi di questa vecchissima catena?

Il disegno a sinistra ci fa vedere quattro ipotesi di evoluzione della Calabria, centrate nel Terziario medio. Si vede appunto come risolvere la geologia della Calabria significhi davvero risolvere buona parte dei dubbi sulla geologia mediterranea.
Assodato che Calabria e Sardegna erano all'incirca e in qualche modo attaccate fra loro prima dell'apertura del Tirreno Meridionale a partire dal Miocene, resta da capire quando si sono attaccate. C'è continuità stratigrafica e strutturale fra alcuni terreni calabri e sardi? Se la risposta fosse sì, allora la ricostruzione con due oceani diventa un po' difficile.

L'arco calabro – peloritano è formato da 4 settori, Sila, Stilo, Aspromonte e Peloritani. Fino agli anni 80 nessuno aveva dubbi sulla sua unicità e che nell'area fosse esposta tutta una intera sequenza di una crosta continentale profonda con anche parti del sottostante mantello. Anzi, veniva citata come un esempio eccezionale di ciò. In seguito una scuola di pensiero capitanata dal prof. Glauco Bonardi ha visto la Calabria come un assemblaggio di due terranes differenti, che si sono assemblati uno contro l'altro nel Miocene. ciò perchè oggettivamente si distinguono fra loro due "stili" diversi per alcune caratteristiche stratigrafiche, strutturali e metamorfiche. Il problema è che l'unico contatto visibile fra questi due blocchi, la linea di Cardinale, nella zona tra Serre San Bruno e Soverato, non è molto chiaro; potrebbe essere sia di natura tettonica (un sovrascorrimento) che stratigrafico (un passaggio fra due settori diversi di una vecchia crosta continentale). Alcune caratteristiche portano a definirlo un sovrascorrimento, altre un contatto stratigrafico. Per venirne a capo l'unica possibilità è quella di scavare dei pozzi, arrivare alla zona incriminata e carotarla.

Passando alla questione dei piani di subduzione, il fulcro della questione sono le ofioliti, le rocce di provenienza del mantello terrestre appartenenti a vecchi oceani che sulle catene montuose sono le cicatrici della chiusura di un oceano schiacciato fra due masse continentali. Le ofioliti della Calabria erano state correlate a quelle della Corsica e questo rendeva ovvia la presenza di due oceani, l'Oceano Ligure – Piemontese a ovest (definitivamente chiuso alla fine dell'Eocene) e lo Jonio ad est, che ancora deve finire di chiudersi. Le ofioliti sarebbero i resti dell'Oceano Ligure andato in subduzione sotto la placca adriatica, in direzione “alpina” e – quindi – in direzione opposta a quella odierna in direzione dell'Europa. Il tutto era dimostrato dall'assetto tettonico dei massicci calabri.

Poi c'è stato chi ha interpretato le cose in maniera un po' diversa, sulla base di osservazioni fatte nelle zone di subduzione del Pacifico e quindi pensa che questo assetto possa essere tranquillamente il risultato di una subduzione sotto l'Europa, che continua almeno dalla fine dell'era Mesozoica. Nessuna inversione della subduzione, quindi. Per poter affermare questo, però è necessario che Calabria e Sardegna fossero attaccate fra loro almeno dalla fine del Paleozoico. L'idea potrebbe anche funzionare visto che entrambe posseggono rocce continentali deformate in età Ercinica e dei graniti tardo-orogenici. Però questo non basta e, anzi, le prove di una contiguità paleozoica fra le due regioni sono molto deboli: senza entrare in dettagli ci sono grosse differenze fra i graniti sardi e quelli calabresi (che è possibile pure siano più recenti), fra i metamorfismi delle due croste e nelle coperture sedimentarie permo – mesozoiche. Solo la zona dei Peloritani potrebbe assomigliare alla Sardegna, ma a me sembra molto più simile alle sequenze della Toscana occidentale e meridionale.

Continuo a pensare che il modello a due subduzioni sia quello più verosimile e che Al.Ka.Pe.Ca. sia veramente esistita. Anzi, portandola fino in Toscana meridionale forse sono un “estremista” fra i sostenitori di questa microzolla.
Non mi pronuncio sulla questione delle due Calabrie o meno: non ho le necessarie conoscenze. E' un'idea interessante.
Purtroppo temo che per avere delle certezze sull'evoluzione dell'area mediterranea occidentale ci vorranno ancora parecchi anni.

lunedì 5 ottobre 2009

"Simonpietro" , biologo creazionista, mi scrive

Mi ricollego al post sull'ignobile convegno di De Matteri contro l'evoluzionismo perchè ho ricevuto una risposta da un creazionista a cui dedico un nuovo post. Lo faccio perchè se partecipo ad un dibattito e qualcuno mi risponde mi sento in dovere di dare risalto alla cosa, anche e soprattutto se non è d'accordo con me, a beneficio di chi mi legge. Le considerazioni di Simonpietro sono visibili integralmente su quel post. Qui lo riporto altrettanto integralmente ma spezzettato dai miei commenti.

La questione è che il darwinismo è diventato (per alcuni) una ideologia e comunque non riesce a spiegare molti aspetti della evoluzione.

Posso anche essere d'accordo sulla prima affermazione: il darwinismo per me non è un'ideologia, ma la chiave per la lettura della storia della vita sulla Terra. Il darwinismo con la genetica ha poi trovato la benzina per il motore della selezione naturale: con la selezione naturale si spiegano bene il perchè degli “equilibri punteggiati” di gouldiana memoria (ne parlerò prossimamente) e la mancanza nel record fossile di molti dei cosiddetti “anelli di transizione”. Ma senza la genetica e il DNA non si poteva conoscere che cosa spingeva all'evoluzione.
Personalmente io amo molto il Dawkins biologo, lo amo molto meno quando trascende nella diffusione dell'ateismo, perchè questo, sia pure dal lato opposto, è sempre proselitismo religioso e a me la cosa non interessa per niente.
Quanto alla seconda affermazione, si potrebbe scriverci un libro sopra. E' chiaro che nelle parole di Simonpietro c'è la differenza fondamentale fra Religione e Scienza: la Religione spiega (secondo chi la pensa così) o pretende di spiegare (secondo chi non la pensa così) tutte le cose, comprese quelle fisiche. Invece la Scienza sa di non poter spiegare tutto, anche se progredendo nella conoscenza si migliora costantemente il quadro della realtà.
Quello che segue è un esempio perfetto di cosa può affermare chi mischia scienza e religione:

Non contesto che anche in ambito evoluzionistico vi siano ipotesi nuove e scientificamente interessanti, ancorchè incomplete e a volte molto indaginose. Tuttavia scandagliano aspetti già molto a valle rispetto alle questioni che ritengo invece fondamentali per una riflessione più a monte, nell'ambito dell'origine della vita, che poi è il punto di scontro fra evoluzionisti e creazionisti.
Una precisazione doverosa: ho 45 anni, sono biologo genetista e sono credente, cattolico.
Ma veniamo al punto.
In primo luogo i tempi : aldilà delle questioni sollevate nel post da un punto di vista probabilistico è semplicemente impossibile che per solo effetto del caso si siano formate delle proteine : sarebbero stati necessari tempi centinaia di volte superiori all'età dell'universo ( non della Terra, dell'universo).

E' ovviamente una affermazione dalla quale dissento completamente: il tutto è successo eccome, ma semplicemente non sappiamo ancora né perchè né come è avvenuto. Ci sono molte ipotesi e poche certezze. Vediamo perchè: la Scienza è costretta a muoversi secondo il “principio dell'attualismo” formulato da Lyell nella prima metà del XIX secolo a proposito della Geologia, ma valido anche nel resto delle scienze naturali; purtroppo i fenomeni di cui parliamo appartengono ad un passato talmente lontano che non ci sono testimonianze dirette rimaste. Quindi si può solo parlare di ipotesi, come per esempio quella dei “replicatori” citata da Dawkins, il quale ammette (e non può fare a meno di ammettere) che questa potrebbe essere la soluzione, ma non è detto che lo sia. Il fatto che non si sappia ancora non implica automaticamente che il tutto sia dovuto ad un Essere Supremo (di cui la Scienza non è ancora riuscita a dimostrare né l'esistenza né la non esistenza!). Negare la possibilità che sia stato un fenomeno naturale non equivale forse a uccidere la Scienza?

Secondo: l'informazione per la vita è contenuta in acidi nucleici che per la teoria dell'evoluzione si sarebbero formati per puro caso. Ora, la trasmissione di una informazione necessita di un codice e di una convenzione preesistenti. La successione degli acidi nucleici fornisce il substrato all'informazione, così come la successione delle lettere fornisce il substrato alla parola, però il significato della parola dipende da un codice, e a seconda del codice una sequenza può non avere alcun significato oppure averne anche di differenti (pere in francese significa padre, in italiano è il nome di un frutto). Inoltre, è necessaria anche l'esistenza di un sistema capace di leggere, interpretare ed eventualmente mettere in pratica le informazioni codificate nella sequenza degli acidi nucleici, cioè "una relazione fra acidi nucleici e la formazione di proteine specifiche. Purtroppo a questo punto non è facile trovare una soluzione al problema", come è costretto ad ammettere un convinto evoluzionista (GIORGIO MORPURGO, Capire l'evoluzione. Argomenti di genetica e biologia molecolare, Boringhieri, Torino 1975, pp. 18-19).

Nella storia della Scienza è pieno di cose apparentemente misteriose che sono state risolte (per esempio origine e propagazione delle malattie, l'origine delle comete, cosa rappresentano i terremoti ed i vulcani – anche se in questo caso ci sono ancora molti interrogativi) e tante altre cose in cui si invocava per spiegarle un intervento divino. Un filosofo greco notò come “i nostri posteri si meraviglieranno di come cose per loro ovvie sono a noi ancora sconosciute”. Qui il discorso è un po' più complesso, ma insomma il succo è questo.

Terzo: concordo sul fatto che non si possa aprioristicamente definire una mutazione come svantaggiosa. E' tuttavia scientificamente accettato da tutti che la maggior parte delle mutazioni è dannoso o altresì neutrale. Quindi l'evoluzione sarebbe affidata a questa esigua minoranza di eventi ; e qui si ritorna al problema delle tempistiche che gli evoluzionisti adducono come soluzione alla azione cieca del caso, ma che alla prova dei biostatistici e dei matematici danno luogo a numeri che rendono persino assurdo il concetto di improbabilità.

Il concetto – base di chi ha fatto questi studi statistici (come quelli fisici sull'entropia, totalmente inutili e sballati), partiva proprio dal presupposto di arrivare a questi risultati. Al proposito un paio di considerazioni: 1. questi lavori non sono mai stati pubblicati su riviste scientifiche che si muovono sul principio della peer – review e totalmente prive di preconcetti teorici metafisici, ma solo su riviste e pubblicazioni riconducibili al creazionismo il cui valore scientifico è pari a zero
2. qui siamo all'ABC della paleontologia, secondo la quale ogni epoca geologica ha i suoi fossili: non ci sono mammiferi nelle rocce paleozoiche come solo nel Devoniano troviamo forme nel guado fra pesci e tetrapodi etc etc etc. Le soluzioni alternative sono due: tutte le specie sono vissute insieme e il loro numero si sta via via riducendo (ma come mai allora il record fossile è così fatto) oppure un Essere supremo ogni tanto ha creato dal nulla nuove forme. Entrambe le ipotesi sono razionalmente da scartare....

Quarto : secondo la teoria evoluzionista, sulla terra si sarebbero formati per caso aminoacidi, che si sarebbero accumulati in soluzione nell'oceano, e dalla sintesi casuale di più aminoacidi si sarebbero formate le prime proteine.
Aminoacidi si possono formare spontaneamente in natura in particolari condizioni e si può senz'altro ammettere che si siano formati sulla terra prima della comparsa di esseri viventi.

Noto che ammetti la possibilità della formazione spontanea degli amminoacidi. Molto bene. Però questo punto me ne ricorda un'altro dei creazionisti e cioè la possibilità di avere microevoluzione (evoluzione all'interno di una specie) e non macroevoluzione, la formazione di una specie a partire da una già esistente: visto che si possono creare varie razze negli animali domestici avete dovuto ammettere una qualche evoluzione. E siccome amminoacidi sono stati osservati nello spazio avete dovuto affermare che, sì, si possono formare spontaneamente. Ma solo quelli semplici.

Però, qui sorge una difficoltà: gli aminoacidi hanno strutture tridimensionali, che hanno come centro un atomo di carbonio. Di ogni aminoacido esistono due forme simmetriche che, in base a particolari caratteristiche, vengono definite destro o levogire. Queste forme simmetriche hanno, in parte, le stesse caratteristiche; però, in certe reazioni o strutture, è utilizzabile solo l'una o l'altra forma. Gli aminoacidi che si formano spontaneamente sono per il 50% destrogiri e per il 50% levogiri, mentre le catene proteiche degli esseri viventi utilizzano esclusivamente forme levogire. Questo fatto costituisce una grande difficoltà per la teoria dell'evoluzione: le proteine sono costituite da decine e centinaia di aminoacidi, ed è sufficiente l'inserimento di un solo aminoacido destrogiro per rendere la catena proteica inutilizzabile per la vita! Come si può pretendere che, in una soluzione contenente in pari quantità forme destro e levogire, si formino per sintesi casuale
catene di soli aminoacidi levogiri? Gli evoluzionisti hanno finora cercato invano di dare una risposta soddisfacente a questo quesito.

Ora faccio un po' di “filosofia scientifica”, dato che di queste cose non sono particolarmente esperto: non vedo grosse difficoltà in questo, anzi: questo potrebbe addirittura dimostrare che l'evoluzione sia partita da uno o più amminoacidi levogiri, mentre i destrogiri non sono andati oltre. Perchè è successo questo? Non lo so e probabilmente non lo sa nessuno. Mi ricordo di un gene che controlla la struttura del DNA, un gene molto antico la cui sequenza è praticamente uguale in tutti i viventi.

Per quanto riguarda, poi, la sintesi delle catene proteiche, vi è un'altra difficoltà. Le reazioni chimiche non avvengono a caso, ma sono soggette a una serie di leggi: una di queste è la legge di azione di massa. Se dalla reazione A+B si originano le sostanze C e D, la reazione può andare anche in senso inverso, cioè da C+D si possono formare A e B. La direzione della reazione, o il suo equilibrio, dipende da una serie di fattori. Nel caso della sintesi di due aminoacidi si ha la produzione di una molecola di acqua: se dal sistema ove avviene la reazione si toglie acqua, la reazione di sintesi viene facilitata; se invece nel sistema è presente molta acqua, gli aminoacidi tenderanno a rimanere in soluzione. Ma dove vi è più acqua che nell'oceano? Eppure gli evoluzionisti ammettono che la sintesi delle grosse molecole proteiche sia avvenuta proprio nell'oceano, nonostante la legge di azione di massa. E Wilder Smith può affermare che "quasi l'ultimo posto su questo pianeta, dove le proteine della vita si potrebbero formare spontaneamente da aminoacidi è proprio l'oceano. Eppure quasi tutti i manuali di biologia insegnano questo errore, per giustificare la teoria dell'evoluzione e la biogenesi spontanea. Si deve conoscere molto male la chimica organica, o ignorarla di proposito, per non prendere in considerazione i fatti accennati"
Come vedi caro Aldo di argomenti non metafisici nè filosofici per riflettere ve ne sono.

Mi scappa dal ridere sentire che alla base di tutti i manuali di biologia ci sia una fesseria di base (ah, no tutti, quasi tutti, forse dall'errore si salvano quelli creazionisti?)
No, come nel caso dell'entropia, al solito prendete una parte di una legge o di una teoria e la adattate alle vostre esigenze. Ricordo che una reazione come questa è controllata da tanti fattori, a partire da temperatura, pressione, PH e chimismo generale del mezzo in cui avviene. Qual'era il chimismo del “brodo primordiale”? Quali le conseguenze sugli oceani di una atmosfera completamente diversa da quella attuale?

Una ulteriore precisazione in funzione di quanto scritto in un post da "anonimo" . E' vero, verissimo che alla scienza spetta scoprire il come delle cose, ma nell'ambito evoluzionistico, a fianco di scienziati seri, vi sono anche coloro che invece , nemmeno troppo sottilmente, vorrebbero farci credere che noi discendiamo dagli scimmioni. Questo è un ottimo argomento per poter dire da parte degli atei che l'uomo è un animale e niente più. Tuttavia nessuno ad oggi è riuscito a confutare che fra la scimmia e l'uomo, vi è un salto enorme: la ragione, l'autocoscienza di sè, la morale.
Come diceva Chesterton : "anche le scimmie costruiscono utensili, ma l'uomo ha pensato di venderli." Oppure : "portatemi una scimmia che seppellisce i propri morti con un sacchetto di noci e qualche banana e io crederò alla evoluzione" ....
Queste sono battute, ma il significato è fondamentale. L'uomo è l'unico essere vivente dotato di ragione e di morale.

Innazitutto dici che ci sono scienziati “seri” e “non seri”. Su questo posso essere d'accordo: ci sono alcuni scienziati non seri che rubano delle ricerche ad ad altri o si impuntano per partito preso contro qualcun'altro o pubblicano solo dati parziali di una sua ricerca, quelli che gli danno ragione. Succede.spesso, purtroppo. Proprio per evitare questo esiste la peer-review.
Ma veniamo al dunque: gli “scienziati seri” sarebbero quelli che non ammettono che l'uomo e le scimmie antropomorfe abbiano antenati comuni? Chi sono? Harun Yahya e il suo atlante della creazione? Ma scherziamo..... Gli scienziati seri sono quelli che si attengono ai dati o quelli che si attingono ai Testi Religiosi?
Alla luce delle scoperte della paleontologia e della genetica, questo è un discorso totalmente privo di senso: chi sono e cosa rappresentano secondo te gli austalopitechi, Homo Abilis, Homo Erectus, Homo Neanderthalensis e andando un po' indietro nel tempo Proconsul e altri esseri come Oreopithecus? Come mai il nostro DNA è così simile a quello degli scimpanzè o del gorilla? Su quali riviste sono comparsi gli articoli di questi scienziati? Attendiamo una pubblicazione su Nature Science, New Scientist oppure su riviste specializzate in antropologia e/o paleontologia con un IF decente.

A proposito di ornitorinco, vedo che hai le idee un pò confuse....

mah, visto che ho anche rilasciato una intervista sull'ornitorinco alla radio di una nota università direi che c'è chi la pensa in maniera totalmente contraria alla tua.

"Gli esseri di cui gli evoluzionisti hanno bisogno, per confermare la loro teoria dell’evoluzione, sono delle vere forme di transizione, non dei mosaici. E queste forme dovrebbero avere organi carenti o mancanti del tutto, oppure non completamente formati, o per niente funzionali. Al contrario, tutti gli organi delle creature mosaico (l'ornitorinco per es. - ndr) sono completamente formati e senza difetti." (Harun Yahya-il dilemma della forma di transizione).

Un discorso completamente fuori dal seminato: l'ornitorinco ha pelo, temperatura costante, un solo arco aortico e i denti (presenti solo nei neonati e in qualche fossile) diversi fra loro. In più la femmina allatta. Cose da mammiferi. Ma possiede altre cose da rettile: femori orizzontali anziché verticali, visione a colori, apparato escretore – riproduttivo unico, produzione di uova (con uno solo dei geni per la vitellogenina ancora attivi), cromosomi sessuali più simili a quelli dei rettili.
Guarda caso terapsidi e cinodonti mostrano nelle parti ossee delle forti somiglianze con i monotremi.
Quindi l'ornitorinco è l'unico animale che troviamo, diciamo così, nel guado fra una classe di vertebrati ed un'altra. Perchè Dio, dopo aver usato degli schemi così rigidi, avrebbe fatto un animale come l'ornitorinco che è un po' rettile e un po' mammifero?

Potrei citarti decine di articoli che smontano come radioline le ipotesi che tu citi a proposito di ornitorinco, therapsida etc. etc.

citami questi articoli. Avverto che prendo in considerazione solo riviste puramente scientifche e non a base religiosa.

E da ultimo ti cito il punto 63 del documento “Comunione e Servizio” del 2004, di cui l'allora Cardinale Ratzinger dovrebbe esserne il supervisore, se non l'ispiratore, reperito direttamente dal sito www.vatican.va, che non penso essere gestito da un covo di atei antireligiosi.

«Secondo la tesi scientifica più accreditata, 15 miliardi di anni fa l’universo ha conosciuto un’esplosione che va sotto il nome di Big Bang, e da allora continua a espandersi e a raffreddarsi. Successivamente sono andate verificandosi le condizioni necessarie per la formazione degli atomi e, in epoca ancora successiva, si è avuta la condensazione delle galassie e delle stelle, seguita circa 10 miliardi di anni più tardi dalla formazione dei pianeti. Nel nostro sistema solare e sulla Terra (formatasi circa 4,5 miliardi di anni fa) si sono create le condizioni favorevoli all’apparizione della vita. Se, da un lato, gli scienziati sono divisi sulla spiegazione da dare all’origine di questa prima vita microscopica, la maggior parte di essi è invece concorde nell’asserire che il primo organismo ha abitato questo pianeta circa 3,5-4 miliardi di anni fa. Poiché è stato dimostrato che tutti gli organismi viventi della Terra sono geneticamente connessi tra loro, è praticamente certo che essi discendono tutti da questo primo organismo. I risultati convergenti di numerosi studi nelle scienze fisiche e biologiche inducono sempre più a ricorrere a una qualche teoria dell’evoluzione per spiegare lo sviluppo e la diversificazione della vita sulla Terra, mentre ci sono ancora divergenze di opinione in merito ai tempi e ai meccanismi dell’evoluzione. Certo, la storia delle origini umane è complessa e passibile di revisioni, ma l’antropologia fisica e la biologia molecolare fanno entrambe ritenere che l’origine della specie umana vada ricercata in Africa circa 150.000 anni fa in una popolazione umanoide di comune ascendenza genetica. Qualunque ne sia la spiegazione, il fattore decisivo nelle origini dell’uomo è stato il continuo aumento delle dimensioni del cervello, che ha condotto infine all’homo sapiens. Con lo sviluppo del cervello umano, la natura e la velocità dell’evoluzione sono state alterate per sempre: con l’introduzione di fattori unicamente umani quali la coscienza, l’intenzionalità, la libertà e la creatività, l’evoluzione biologica ha assunto la nuova veste di un’evoluzione di tipo sociale e culturale

Noto poi come Papa Giovanni Paolo II ha affermato alcuni anni fa che «nuove conoscenze conducono a non considerare più la teoria dell’evoluzione una mera ipotesi. È degno di nota il fatto che questa teoria si sia progressivamente imposta all’attenzione dei ricercatori, a seguito di una serie di scoperte fatte nelle diverse discipline del sapere» (Messaggio alla Pontificia Accademia delle Scienze sull’evoluzione, 1996).

Parole del Vaticano. Amen

giovedì 1 ottobre 2009

I terremoti di Sumatra del 30 settembre e del 1° ottobre



Non è certo la più radiosa settimana della storia del sudest asiatico. Un ciclone, uno tsunami ed un forte terremoto praticamente contemporanei. Il terremoto che ieri ha violentemente squassato la costa meridionale di Sumatra merita un po' di attenzione soprattutto per il quadro strutturale dell'area. Quando ieri ho “visto” il sisma ho pensato “meno male che è profondo” ed in effetti la mappa dello scuotimento preliminare era tutto sommato non gravissima, ma purtroppo si è rivelata ottimistica. Ovviamente data la profondità il risentimento è stato molto esteso e il terremoto è stato chiaramente percepito da Singapore a Giakarta.


IL TERREMOTO DEL 30 SETTEMBRE: Circa 45 gioni prima una scossa di M 6.6 aveva colpito la zona a 100 km a sudovest, presso l'isola di Siberut e aveva provocato a Padang qualche danno e qualche ferito. Per una quindicina di giorni ci sono state nel canale che separa le isole Kepualan da Sumatra, proprio all'altezza di Padang, una forte serie di scosse. Poi lo sciame sembrerebbe essersi esaurito.
Esaurito lo sciame arriva la scossa del 30 settembre, di Magnitudo 7.6, con epicentro in mare a meno di 50 kilometri da Padang. E' stato un terremoto di thrust, cioè è avvenuto lungo uno dei tanti piani suborizzontali nei quali si frammenta la crosta terrestre quando si trova in un ambiente di scontro fra due zolle. Sembra anche ci sia stato uno tsunami di una ventina di centimetri. Per quanto riguarda invece la questione del ritiro delle spiagge, è possibile che ci sia stata una componente verticale del moto della crosta da modificare, sia pure leggermente, la linea di costa. Nonostante la grande profondità (80 kilometri) si è rivelata devastante per gli edifici della città, che conta almeno 750.000 abitanti.
Una caratteristica importante di questo terremoto è proprio la profondità: è avvenuto nella placca australiana che sta scendendo sotto quella della Sonda, al di sotto (anche se nelle vicinanze) del limite fra le due zolle. Il che è abbastanza strano: difficilmente i terremoti di thrust si scatenano a a profondità maggiori di 50 km.
In questa zona l'ultimo terremoto di thrust era avvenuto oltre 200 anni fa, nel 1797. Si deve notare che negli ultimi anni Sumatra è stata funestata da diversi grandi terremoti, tutti avvenuti in mare, a largo della costa sudorientale: nell'immagine, ottenuta con l'Iris Earthquake Browser, si vedono tutti i terremoti con M superiore a 7.5 tra il 2001 e oggi intorno a Sumatra. Tra il 2001 e la fine del 2004 non ce ne sono stati. Dal dicembre 2004, quando il terremoto di Santo Stefano ha come scatenato questa nuova serie, sono invece già 6 (di cui 2 lo stesso giorno) ed esattamente:

26 / 12 /2004: M 9.0 a largo nel settore settentrionale il drammatico evento accomagnato dallo tsunami
28 / 03/ 2005: M 8,7 poco più a sudovest
12 / 09/ 2007: M 8.5 nel settore meridionale dell'isola
12 / 09/ 2007: a 12 ore di distanza, ci fu anche un 7.9 un poco più a sudovest di quello di Padang
Come si vede quello di ieri (in verde) colma parzialmente una lacuna ma, siccome gli altri terremoti sono avvenuti a profondità inferiori, non è chiaro se ci possano essere dei rapporti o no e quindi non si sa se il gap sia stato colmanto o meno. Come non ci sono rapporti sicuri fra questo evento e la sequenza di agosto – settembre a Siberut. Annoto che il 28 luglio 2008 si è registrata una scossa di 5.3 a oltre 50 km di profondità nella stessa zona.

IL SECONDO TERREMOTO, 1° OTTOBRE: questo secondo forte terremoto, di Magnitudo 6.6, avvenuto a 270 kilometri a sudest del primo, è completamente diverso. Resta il sospetto che sia stato innescato dal precedente, ma non è in questo momento altro che un sospetto. Stavolta non abbiamo un teremoto di thrust o prodotto da una faglia compressiva: si è scatenato infatti in una zona molto superficiale, lungo una faglia trascorrente, come la californiana San Andreas, la cosiddetta Faglia di Sumatra. E' una struttura che corre poco all'interno dell'isola lungo la costa meridionale, ed è necessaria per assorbire una parte della deformazione indotta dalla subduzione della zolla australiana che simmuove obliquamente rispetto al margine. Il movimento della faglia è orizzontale destro: la parte verso l'interno dell'isola si è mossa in direzione SE rispetto alla zona costiera. Vediamo questa faglia in verde nell'immagine dell'USGS, mentre il viola contraddistingue la linea lungo la quale la zolla australiana si immerge sotto quella della Sonda.
Questa zona della faglia aveva dato già due terremoti piuttosto forti, un M 7.0 nel 1995 e un Ms 7.7 nel 1909. Ma tutto il segmento è sismicamente attivo: ci sono stati almeno 14 terremoti paragonabili o superiori a questo tra la fine del XIX secolo ad oggi.


E LA STAMPA SPARLA COME AL SOLITO: Alla fine segnalo le solite idiozie della stampa. Ne cito una, che segnalando stamattina anche un sisma di M=5 a Ksmchatka e un 5.9 sotto le Ande come parla di “una catena di eventi impressionante”: evidentemente chi ha scritto l'articolo non ha mai letto il bollettino dello USGS.... glielo consiglio caldamente cosiì evita di parlare a vanvera. Ezio Boschi ha fatto capire allo stesso giornalista che non era così (dal testo si capisce benissimo), ma questo ovviamente o non ha capito o ha continuato per la sua strada ignorando l'opinione (quantomeno autorevole nella fattispece della materia!) del nostro scienziato.