sabato 23 gennaio 2021

i probabili veri motivi (non ambientali) per il no di Biden alla Keystone Pipeline


Era da un po' che volevo scrivere un post sulla Keystone Pipeline, perché è un argomento interessante per i legami fra politica, economia ed ambiente. E quanto è appena successo, nel quadro del prime mosse dell’amministrazione Biden in campo energetico, riporta alla ribalta internazionale questo oleodotto. I primi provvedimenti del nuovo presidente apparentemente sembrano mosse dalla questione ambientale. In realtà, nonostante che persino le organizzazioni economiche stiano mettendo in guardia sulle conseguenze economiche e finanziarie del cambiamento climatico (in particolare le più grandi preoccupazioni vengono dal settore delle assicurazioni oltreché, ovviamente, dai climatologi), questi provvedimenti possono essere letti – paradossalmente – più come provvedimenti volutamente ambientalistici, anzichè come un favore ai petrolieri statunitensi, con possibili ripercussioni sui contributi ai partiti americani, che nel petrolio sono sempre stati molto squilibrati a favore dei repubblicani.

il percorso della Keystone Pipeline con i punti dolenti,
in particolare l'acquifero di Ogallala
BIDEN VS. TRUMP: SVOLTA AMBIENTALE?
Scienzeedintorni si occupa di Scienza e non di politica tranne quando si tratta di decisioni in materia di scienza o politica ambientale. Quindi commento solo in questi argomenti e in merito non posso che essere d’accordo sulle decisioni in materia economico – ambientale prese dal nuovo presidente degli Stati Uniti. Di fatto il giudizio – sempre dal punto di vista strettamente scientifico – sulla amministrazione Trump non può essere positivo in special modo dal punto di vista ambientale e sanitario. D’altro canto se non ci fosse stata la pessima gestione del COVID le elezioni sarebbero probabilmente andate diversamente, ma la sottovalutazione dell’epidemia, la lotta alle mascherine (in special modo da parte dei suoi sostenitori più “arrabbiati”), i contrasti con Anthony Fauci e gli imbarazzanti tweet sulle cure più fantasiose non hanno certo giovato alla causa del presidente Trump.
D’altro canto si vide subito la direzione in cui andava 4 anni fa l’amministrazione ora uscente con la nomina di Scott Pruit alla presidenza dell’EPA, l’Agenzia di Protezione Ambientale: era un po' come mettere Totò Riina alla presidenza dell’antimafia e di fatto l’EPA in questi 4 anni si è distinta per demolire la normativa in materia. Emblematico il ricorso contro lo Stato della California il quale pretendeva di mantenere gli standard delle emissioni degli autoveicoli, insieme ad altri 13 stati i quali hanno condiviso le indicazioni del Golden State. Ma non è che i petrolieri abbiano avuto una particolare stima di quella amministrazione, distintasi soprattutto per cercare di dare una mano più a carbone, nucleare e – nel petrolchimico – alle raffinerie che al settore estrattivo dell’oil&gas, nonostante i vantaggi per il fracking e i permessi a valanga in terre federali, comprese le riserve naturali (aspetto che mette in una luce particolare l’avversione verso Trump di alcuni repubblicani importanti come George Bush jr). E questo senza contare la lotta contro le energie rinnovabili.
Adesso la situazione dal punto di vista del rapporto fra politica e petrolio oltreatlantico è un po' confusa. Innanzitutto occorre ricordare che la potente lobby del petrolio è sempre stata tradizionalmente filo-repubblicana: di fatto una buona parte dei finanziamenti al GOP derivano proprio da questa fonte, ma dopo le vicende del Campidoglio del 6 gennaio le aziende petrolifere hanno sospeso per 6 mesi le donazioni alla politica, che nel 2020 sono state di oltre 50 milioni di dollari ai repubblicani e circa 10 ai democratici.

l'area della fallimentare asta del 6 gennaio 2021 
LE DECISIONI DI BIDEN. Il ritorno agli accordi di Parigi e nell’OMS erano scontati. Ma in campo energetico i provvedimenti risultano in favore dell’industria estrattiva oil&gas e la volontà espressa recentemente da parte delle compagnie petrolifere di accettare norme più stringenti sulle emissioni di metano dei giacimenti (depotenziate nell’era-Trump ma di fatto sostenute volontariamente da diverse di esse) potrebbe essere sia un gentile ricambio per questi provvedimenti, come un segnale nei confronti del mondo finanziario, preoccupato per la situazione ambientale (in particolare per le conseguenze nel settore assicurativo dei cambiamenti climatici) e che recentemente ha stretto i cordoni della borsa nei confronti dei prestiti e dei fidi alle aziende del settore, non solo e non tanto per questioni ambientali, ma soprattutto perché con i prezzi del petrolio (e soprattutto del gas) che corrono queste aziende sono diventate pessimi pagatori e ci sono nel settore molti ricorsi alla bancarotta. 
Diciamo che due decisioni in particolare possono essere lette con favore dal mondo dell’estrazione di petrolio. La prima è la moratoria per due mesi di nuovi pozzi nelle terre federali offshore e sulla terraferma (ricordo che in USA anche il sottosuolo appartiene al proprietario del terreno). Le ultime aperture del genere dell’amministrazione Trump in Alaska decise frettolosamente dopo il 3 novembre 2020 sono state un disastro: pochi i lotti aggiudicati, nonostante un taglio del 30%  (e che non verranno sicuramente sfruttati), anche perché le principali banche hanno avvisato molto esplicitamente che non avrebbero finanziato questi progetti. Ma come mai dico che è una cosa a favore dei petrolieri? Perché dopo anni di aumento della produzione, quasi raddoppiata nel decennio, con l’eccedenza di petrolio che c’è negli USA oggi nuovi pozzi in produzone avrebbero ulteriormente saturato il mercato.

La rete degli oleodotti negli USA al 2019
IL NO ALLA KEYSTONE PIPELINE: PIÙ POLITICO CHE AMBIENTALISTAMa la decisione più interessante da questo punto di vista è quella sulla Keystone Pipeline. Per molti osservatori si tratta di una misura ambientale e in rete c’è stata subito la polarizzazione tra quelli che “Biden si è mosso per l’ambiente” contro quelli che “la lobby ambientalista ci rovinerà”.
Ebbene, non si tratta di una decisione in senso filoambientale, ma meramente politica. La rete degli oleodotti in USA è di oltre 300.000 km e quella del gas è praticamente incalcolabile. (fonte: American Petrol Institute). Sembrerà strano ma è insufficiente: il boom degli oil shales del North Dakota e del Permian shale in Texas hanno come unico ostacolo la mancanza di oleodotti e di gasdotti. Per questo il petrolio del North Dakota viene spedito in buona parte via treno e sia lì che in Texas la mancanza di gasdotti fa si che il metano estratto insieme al petrolio venga bruciato (il petrolio può anche essere trasportato in normali camion autobotti, trasportare così il metano è più complesso e oltretutto il suo prezzo di mercato è talmente basso che è più economico bruciarlo che venderlo). Per questo in Texas il quantitativo di metano bruciato è talmente enorme da essere sufficiente per gli usi domestici di 5 milioni di case.

Una delle tante manifestazoni ambientaliste contro la Keystone Pipeline
La Keystone Pipeline é stata molto osteggiata. Indiscutibile. Anzi direi che é stata ben piú osteggiata di tutte le altre decine di oleodotti e gasdotti costruiti / progettati negli USA negli ultimi anni
(sui quali di polemiche ce ne sono state pochissssssime). Invece su questa infrastruttura sono scorsi fiumi di inchiostro e di pagine web.  
Allora, che gli oleodotti in USA lascino un pò a desiderare come standard sia di sicurezza che di protezione ambientale é noto (almeno fino a qualche anno fa in certi stati non erano neanche tenuti a denunciare le perdite. Celebre il caso dell'agricoltore del North Dakota che si trovò i campi invasi da una perdita di un oleodotto che passava di lì e che durava da giorni. Ma la legge non imponeva al gestore dell'opera di denunciare incidenti del genere...). Comunque, questo accanimento proprio e soltanto su questa opera dovrebbe destare qualche sospetto.
Sono d’accordo che da un lato si tratta di un progetto il cui percorso si è completamente disinteressato di qualsiasi cosa lo circondasse. Insomma, non si può dire da questo punto di vista che la Keystone Pipeline sia particolarmente “environmental frendly”: (1) attraversa aree incontaminate, (2) passa sopra 3 fiumi importanti (3) rischia inoltre – in caso di rottura – di contaminare l'acquifero di Ogallala, necessario per il 20% delle terre agricole USA) e (4) che l'estrazione di petrolio dalle tar sands dell'Alberta non sia il massimo dell’ecologia (eufemisticamente parlando); inoltre si può affermare che trasportare quel bitume ponga dei problemi tecnici (e in caso di fuoriuscite anche ambientali) maggiori di un normale petrolio greggio, per tacere di tutto il mio pensiero sulla questione “CO2 e clima”, ben nota a chi mi segue. Insomma, tutte queste condizioni sono state un cavallo di troia molto efficace per presentare questa opera come un rischio assoluto. E su questo non posso che essere d'accordo.

l'aumento della produzione di petrolio USA negli ultimi anni:
si capisce che ora il mercato non è più pronto per quantitativi simili
Ma queste proteste sono state innescate da una "manina": la spiegazione più profonda di queste proteste e del divieto di questi giorni, nascosta ai più, è rappresentata proprio dal motivo per cui è stata progettata:  spedire alle raffinerie del Texas il petrolio prodotto nelle oil sands dell'Alberta (che quanto a problemi di trasporto del petrolio estratto sono messe ancora peggio del North Dakota). Quindi alla fine chi non la vuole sono, banalmente, i produttori di petrolio USA, anche se la cosa non deve venire fuori
 … anche in questo caso la politica trumpiana è stata più favorevole alle raffinerie che ai petrolieri: 830.000 barili al giorno sono circa il 7% della produzione USA, un qualcosa di non proprio trascurabile, che sarebbe affluito nelle raffinerie del Texas
Dopodichè succede persino che una decisione presa dal nuovo presidente ribalti una decisione che avrebbe permesso importazioni di petrolio promossa e ampiamente sostenuta da colui che aveva come slogan “America First”…. Le contraddizioni della politica… E non è un caso che il primo ministro canadese Trudeau, non abbia preso “molto sportivamente” questo provvedimento ... 
Si può dire quindi che la dubbia (ad essere buoni) compatibilità ambientale di questa infrastruttura sia stata un ottimo pretesto per dare già al Presidente Obama la possibilità di vietare la sua realizzazione (veto poi tolto da Trump e ripreso da Biden fra le cose più urgenti da fare appena eletto).

Da ultimo un appunto sugli ambientalisti: questa è una battaglia molto simile a quelle contro l'adrazina negli anni 90 e il glifosato oggi. In questi casi i prodotti chimici sono passati come assolutamente pericolosi per salute e ambiente (lo saranno anche… ma… i loro sostituti? Da mescolare alle fonti di montagna per migliorarle?): il tutto è successo in entrambi i casi dopo la scadenza dei brevetti relativi: ad esempio oggi in troppi producono glifosato, ledendo gli interessi economici delle principali multinazionali del settore; in questo ultimo caso si sfrutta l’ambientalismo, che ci casca al volo, – o, meglio, si sfruttano le ragioni dell’ambientalismo – per ottenere un altro risultato, in questo caso l'impedire massicce importazioni di petrolio dall'estero e favorire l’oil&gas nazionale.

 

giovedì 7 gennaio 2021

Il rischio - frana in Italia – problemi e prospettive: almeno monitoriamo stabilmente le aree a rischio


Stavolta il lockdown è stato provvidenziale, perché in questo periodo dell’anno probabilmente l’Hotel Eberle di Bolzano sarebbe stato pieno come, specialmente in caso di bella giornata, sarebbe stata ben più frequentata la passeggiata lungo la quale è costruito. Si tratta di un evento che merita alcune riflessioni sull’uso del territorio in Italia, riflessioni che appunto si possono fare con una certa serenità perché stavolta non c’è scappato, per fortuna, il morto.

Questi ragionamento valgono indipendentemente da “quando” la struttura è stata costruita. Pare che lì ci fosse qualcosa di tipo ricettivo già nella prima metà del secolo scorso; in seguito sono stati realizzati dei campi da tennis, che da ultimo sono stati sostituiti da una (o forse più) espansioni dell’immobile, le ultime probabilmente avvenute meno di 30 anni fa. 

le linee gialle evidenziano i due fronti di cava. Quello crollato è il sinistro
COSA SI VEDE DALLE IMMAGINI. Dopo aver evidenziato che siamo davanti a una tipica frana di crollo, osservando con Google Earth l’albergo si notano delle cose interessanti.
Innanzitutto il fabbricato è su un piccolo ripiano di un versante piuttosto pendente. Il ripiano dovrebbe essere il contatto tra la formazione di Guncina, depositi vulcanici tufacei (più precisamente per i geologi, epiclastiti) e le sovrastanti lave della formazione di Andriano.
Ma è quello che si vede dietro il fabbricato che desta parecchie curiosità: si vedono due nicchie separate fra loro da un sottile diaframma e il crollo ha interessato esclusivamente la nicchia a sinistra.
La domanda del geologo è “cosa potrebbero rappresentare queste nicchie?
Ci sono tre possibilità (l’una non esclude le altre, potrebbero anche coesistere tutte):
  • vecchie cave 
  • il residuo di vecchie frane 
  • lavori per allargare il terrazzo e fare posto al fabbricato
Qui si è scatenato un bel dibattito sui social (utilissimi in questi frangenti, quando servono a diffondere buffonate lo sono molto meno) e ringrazio quei colleghi e quei lettori che con le loro considerazioni e testimonianze lo hanno permesso (chiunque può vederlo sulla mia bacheca di Facebook).
A questo punto devo fare ammenda: lì per lì l’ipotesi delle vecchie cave mi aveva lasciato scettico perché mi parevano troppo poco sviluppate e avevo pensato di più alle tracce di vecchie frane (con successivo asporto del materiale franato, data la sua utilità). E questo – colpevolmente – nonostante avessi potuto notare lo stretto diaframma che separava i due incavi, un aspetto che era sicuramente un indizio molto favorevole per questa ipotesi. Poi la discussione in materia ha ampiamente dimostrato che di due piccole cave si trattasse.
I risultati morfologici dell’attività estrattiva sono stati fondamentali per l’attività successiva, perché hanno formato i due slarghi del terrazzo dalle dimensioni ideali per permettere la costruzione di un qualcosa (e appunto la realizzazione dei campi da tennis).
Non escludo poi che il terrazzo sia stato ampliato contestualmente a uno o più degli interventi a cui è stata soggetta l’area; anzi, non si può neanche escludere che questa operazione sia stata effettuata in più volte: notate che il diaframma fra i due incavi si trova(va) dove cambia il tetto dell’edifico... Forse la parte a sinistra è stata realizzata dopo quella più a destra.

una tipica rete paramassi. Efficace per crolli di piccole dimensioni
CONSIDERAZIONI SU QUESTO CASO. Una costruzione del genere in quel posto non ci dovrebbe stare, a meno di certe precauzioni; le domande sono: si sarebbe potuto costruire lì con le regole vigenti adesso? quali regole erano vigenti all'epoca? C’era la possibilità di un intervento di messa in sicurezza preventivo del versante? Non saprei… certe cose non si possono decidere a tavolino osservando delle fotografie e non conosco l'epoca della realizzazione, tantomeno cosa dicesse la normativa locale allora vigente.
Che sia un albergo, un capannone industriale o un condominio non fa molta differenza. E, al di là del fatto che non so quando effettivamente i campi da tennis siano stati sostituiti dall’edificato, direi che oggi (e da qualche decennio) non sarebbe possibile a meno di una valutazione della pericolosità da frana, che adesso giustamente è sancita al valore massimo dalla cartografia in materia (fonti: IFFI e Provincia di Bolzano).
Comunque una valutazione del rischio (o una sua ammissione implicita) c’è stata, perché sempre da Google Earth sono evidenti delle reti paramassi sopra le vecchie cave e una lettrice – che ringrazio – ha pubblicato sulla mia bacheca una foto che ne evidenzia la presenza fino al piano del terrazzo.
Con queste reti è stato contemplato il rischio di crolli di piccole dimensioni, ma – appunto – difese di questo genere servono se e solo se il pericolo consista in crolli di dimensioni ridotte, non certo quando l’evento interessa, come in questo caso, una parete intera, che le reti se le porta via. Pertanto si deduce che nessuno abbia pensato all’eventualità del crollo generalizzato, oppure tale probabilità è stata ritenuta troppo improbabile per i costi dell’intervento conseguente: un sistema di ancoraggio del versante con tiranti, per esempio, sarebbe forse stato risolutivo, ma oltre ad essere costoso c’è da chiedersi se sia stato risolutivo e siamo qui a parlare della sua eventuale efficacia a tavolino e non con dei dati oggettivi. 

Tiranti inseriti nella roccia per bloccare la parete:
 rimedio quando il rischio è rappresentato dal distaccodi blocchi molto grandi o della parete nella sua interezza 

Di sicuro, dinanzi ad una richiesta di tal genere, se io oggi dovessi decidere come funzionario preposto dalle Autorità di un intervento del genere chiederei: “caro signor X, Lei vuole costruire un edificio in quella posizione? Bene, stante la classificazione dell’area (per inciso in questo caso sarebbe pienamente giustificata dalla realtà oggettiva dei fatti!) Lei prima di costruire deve dimostrarmi come mettere in sicurezza il versante, e quindi deve produrmi tutta la documentazione dell’intervento che i suoi tecnici ritengono necessario, sia strutturale che di monitoraggio prima di iniziare l'edificazione. Dopodiché solo se giudicheremo adeguato quanto propone Le verrà dato il permesso (magari anche con delle ulteriori prescrizioni); il tutto – ovviamente – verrà realizzato a sue spese”. 

Frana. a Marano (Bo)
CONSIDERAZIONI GENERALI SUL RISCHIO-FRANA IN ITALIA. Il problema è che di costruzioni del genere nel nostro Paese ce ne sono fin troppe e non solo dei “tempi moderni”. come è vero che da noi le frane sono uno degli agenti principali di modifica del paesaggio e la loro frequenza è dimostrata dalla quantità incredibile di termini con cui questi fenomeni sono chiamati (ne abbiamo contati almeno 26).
È vero che se si dovesse delocalizzare tutto quanto l’edificato in aree con pericolosità da frana, alluvione o vulcani e fare come ad Aulla (MS) dove un intero quartiere improvvidamente costruito in riva al Magra è stato abbandonato, quante città, compresa buona parte di Firenze, per esempio, andrebbero evacuate e opere come il Ponte Vecchio demolite?
Anche per i terremoti, basterebbe costruire in modo e sito adeguato e, d’altro canto, frane alluvioni ed eruzioni vulcaniche non sono evitabili (tranne che frane o alluvioni provocate da un dissennato uso del territorio)
Quindi cosa fare se vogliamo salvaguardare vite e beni umani? Dobbiamo considerare soprattutto un aspetto importante: abbiamo una quantità di beni di interesse storico impressionante, mentre il quartiere Matteotti di Aulla non lo era. In questi anni assistiamo, ad esempio, alla sostituzione di ponti con altri a minore impatto idraulico (vedi questo mio vecchio excursus sui ponti “di una volta”). Ma se il ponte sul Rio Siligheddu ad Olbia non aveva valore architettonico e quindi è stato sostituito (in ritardo, purtroppo), già quello di Garessio era considerato con affetto dalla popolazione per cui dopo il 1994 ci sono volute altre due alluvioni evitabili in concomitanza delle piene del Tanaro nel 2016 e nel 2020 prima di deciderne la sostituzione. È poi decisamente impossibile sostituire il Ponte Vecchio a Firenze (anche io mi opporrei strenuamente a questo, nonostante sia stato la causa di tutte le alluvioni della città, esattamente come il ponte di Garessio…) e peraltro il mio timido suggerimento di studiare l’eventualità della sostituzione del Ponte Vespucci (costruito negli anni ‘50 del XX secolo e idraulicamente discutibile) è stato ricoperto da insulti.
Il rischio-frana non ha invece avuto la stessa grande attenzione riservata ai ponti, e oltre allo stillicidio di eventi franosi a cui assistiamo di continuo, abbiamo avuto uno spettacolare esempio del rischio che corrono beni storici nel 2018 con la frana sopra il santuario di Gallivaggio, che comunque – per fortuna – non lo ha danneggiato. Gallivaggio è stato un esempio importante perché, data l’importanza del complesso e la presenza della Strada Statale dello Spluga, l versante era monitorato a terra con strumentazione specifica da diversi anni: quando i dati mostrarono un peggioramento della situazione l’area fu evacuata diversi giorni prima e il crollo fu previsto con diverse ore di anticipo.

la frana di Gallivaggio in diretta
COSA POSSIAMO FARE. È evidente che se un bene antropico è esposto a rischio-frana occorra innanzitutto accertare le possibilità di un eventuale intervento di salvaguardia  e valutarne il rapporto costi-benefici: questo perché non sempre un intervento è possibile (come appunto a Gallivaggio, dove l’unica possibilità è stata quella di aspettare il crollo mettendo in sicurezza le persone) e perché non sempre i costi sono compatibili con il valore dei beni. 
Dunque, la messa in sicurezza, dove è possibile, andrebbe fatta eccome (e si creerebbe anche del lavoro…). E dove non è possibile (per questioni “naturali” o “economiche” o semplicemente prima di un intervento),  le aree a rischio-frana con potenzialità di influire su beni e persone dovrebbero essere sempre sottoposte a monitoraggio, almeno per limitare i danni ed evitare vittime. Oggi un monitoraggio preliminare e piuttosto economico può essere realizzato, almeno per i movimenti lenti, utilizzando i radar satellitari InSAR (ne ho parlato diverse volte, per esempio qui), eventualmente integrando con bersagli appositamente realizzati quelli che sono stati ricavati “naturalmente" (edifici, speroni rocciosi, superfici piane). Nei casi più eclatanti è possibile realizzare sistemi di monitoraggio in loco con varia strumentazione (come ha fatto il Dipartimento di Scienze della Terra dell'università di Firenze: temporanei, come per la frana del lungarno Torrigiani o permanenti come per l'abitato di Ricasoli).
In ogni caso d’ora in poi vorrei non vedere più nuove costruzioni in aree a rischio. Purtroppo succede molto più spesso di quello che si pensi e continuano ad arrivarmi immagini di nuove realizzazioni in posizione discutibile sia per le frane che per le alluvioni. 

Frana sulla ferrovia ad Andora nel gennaio 2014
IL PROBLEMA DELLE INFRASTRUTTURE LINEARI. Un capitolo a parte meritano le infrastrutture lineari, come strade, ferrovie e acquedotti. Mentre è possibile evitare aree a rischio nella costruzione di infrastrutture puntuali come gli edifici, non sempre una infrastruttura lineare può evitarle, specialmente in un territorio come quello italiano. Pertanto la messa in sicurezza delle infrastrutture è fondamentale, anche per prevenire le continue  interruzioni accidentali (tanto per restare in Provincia di Bolzano, la ferrovia della Pusteria è nuovamente interrotta per oltre un mese come un anno fa per una frana e quella del Brennero lo è stata poche settimane fa). Questo anche a costo di disagi alla circolazione, ma è sempre meglio una interruzione programmata con alle spalle uno studio e un progetto di sistemazione al posto di una interruzione improvvisa a cui si deve porre rimedio “di corsa”. In caso di nuove realizzazioni è bene affrontare rigorosamente questo problema, ponendo rimedio prima che i dissesti inizino a manifestarsi.