mercoledì 6 maggio 2020

Un nuovo fossile dal Madagscar getta luce su un gruppo ancora oscuro di mammiferi mesozoici: i gondwanateri



Un fossile recentemente scoperto in Madagascar, praticamente completo tranne che per una parte del cranio (una bella novità per un mondo, quello dei mammiferi, la cui storia è essenzialmente una storia di denti), ci ha finalmente consentito di capire come erano fatti gli esponenti di un clade di antichi mammiferi particolare, i gondwanateri, vissuti tra il giurassico e l'eocene e diffusi in tutti i continenti che facevano parte del Gondwana tranne l'Australia (a quanto ne so) e soprattutto la loro posizione filogenetica nell'albero dei mammiferi.


Eomaia scansoria, un classico mammifero mesozoico
simile ad un toporagno (da Wikispecies)
LA DIVERSITÀ NEI MAMMIFERI MESOZOICI. Non è un fatto molto noto, ma la diversità dei mammiferi mesozoici era estremamente più ampia di quella attuale: oggi sono divisi in 3 sottoclassi, di cui i placentati rappresentano la stragrande maggioranza; ci sono poi alcuni marsupiali, la stragrande maggioranza dei quali vive in Australia, con qualche specie nelle Americhe, come gli opossum; anche i pochi monotremi residui (l’ornitorinco e le echidne) vivono in Australia e Nuova Guinea; nel Giurassico – Cretaceo di mammiferi ce n’erano invece almeno 7 lineealmeno dal punto di vista dei piani corporei. E tutto questo nonostante il fatto che, per dirla come Dawkins, la maggior parte fossero esserini simili ai toporagni (la maggior parte... sono note rimarchevoli eccezioni, persino dei mammiferi volanti – Volaticotherium antiquus – e qualche altro era più lungo, anche fino al metro e oltre). 


I MAMMIFERI: UNA STORIA (PERLOPIÙ) DI DENTI. La storia dei mammiferi mesozoici è molto difficile da ricostruire, in quanto caratterizzata oltre dalla loro grande diversità da una scarsezza di reperti (vivevano in ambienti terrestri in cui la fossilizzazione non era facile). Ne segue che la loro storia giurassica (e non solo, anche quella cretacea e quella terziaria) sia soprattutto una storia di denti (o al massimo di mascelle…), tanto è vero che la terminologia a livello di sottoclassi parla in genere di caratteristiche dentali: docodonti, triconodonti, australosfenidi, multitubercolati, boreosfenidi e quant’altro. 
A dimostrazione di questo, in ogni articolo come si deve che presenta un nuovo mammifero mesozoico troviamo frasi da iniziati che documentano molto bene gli studi sui denti. Per esempio si legge come Castorocauda si distingua "da altri docodonti per la morfologia compressa lateralmente e ricurva di m1–2 e dalle seguenti caratteristiche di m3–6: cuspidi g larghe uguali o subeguali in altezza alle cuspidi c dal sistema di chiusura dei molari adiacenti; cuspide e crescente e; creste b-g e c-g con tagli a V" etc etc (Sullivan et al., 2014).
Tutte osservazioni fondamentali per la determinazione di un mammifero fossile e ammiro la precisione di queste osservazioni, però immagino che capiate come mai anche io quando leggo articoli sull’argomento le salto a piè pari, limitandomi a esaminare le conclusioni del lavoro, cioè cosa faceva per stare al mondo il proprietario di quei denti e qual’era la sua posizione nel quadro dei mammiferi mesozoici. Di Castorocauda è stato trovato – fatto appunto estremamente raro – anche lo scheletro post-craniale, grazie al quale è stato dimostrato che viveva in un ambiente acquatico, e infatti il suo nome è dovuto alla sua coda, simile a quella dei castori (non sono ancora riuscito a capire bene se i docodonti siano considerati anch’essi triconodonti.. non sparatemi per questo ...)


I GONDWANATERI. Tra tutti i gruppi di mammiferi mesozoici ce n’è uno che mi ha particolarmente incuriosito, perché dal punto di vista del nome rappresentano una eccezione alla tradizione tassonomica: anzichè dai denti, il loro nome prende origine dall’essere forme esclusive del Gondwana, il nucleo che ha resistito più a lungo del supercontinente assemblatosi tra 600 e 500 milioni di anni. Il nome Gondwana può trarre in inganno, perché insieme al Gondwana che conosciamo comunemente, quello Permo – Triassico formato da Sud America, Afro-Arabia, Madagascar, India, Australia e Antartide e frammentatosi nel mesozoico, il supercontinente comprendeva praticamente tutte le terre emerse dell’epoca e per questo sarebbe utile una distinzione fra questo “grande Gondwana” dell’epoca e il Gondwana permo – triassico post- Pangea: di conseguenza – pertanto – mi piace molto (e l’ho adottata e diffusa) l’idea di Powell e Dalziel di aver chiamato questo grande continente “Pannotia”, riservando il termine Gondwana quindi alla parte superstite 200 milioni di anni fa di quella Pangea di 300 milioni di anni prima (Powell et al, 1995). Si tratta dei Gondwanateri, nome istituito da Alvaro Mones nel 1987. La loro collocazione all’interno dei vari gruppi di mammiferi non è sicura, anche se spesso sono stati associati ai multitubercolati. Al solito, come per la maggior parte dei mammiferi mesozoici, i gondwanateri sono conosciuti per i denti. Ne sono stati trovati in quasi tutto il Gondwana: Africa, America meridionale, Antartide, India; non mi risultano invece ritrovamenti in Laurasia (beh, altriment non si chiamerebbero Gondwanateri…) ma, caso strano, neanche  in Australia… (chissà perché… non ci sono mai arrivati o ancora non ne sono stati scoperti i resti?)
Dal punto di vista temporale, hanno vissuto tra il Cretaceo e l’Eocene, e quindi hanno attraversato senza estinguersi del tutto l’estinzione di fine cretaceo, persino in India e quindi vicino ai trappi del Deccan.
Qualche anno fa oltre ai denti è venuto alla luce pure un cranio completo di un gondwanaterio in Madagascar, battezzato Vintana sertichi (Krause et al 2014). 


Il fossile di Adalatherium e una ricostruzione.
La barra è di 5 cm – da Krause et al (2020)
UN FOSSILE ECCEZIONALE DI GONDWANATERIO. In questi giorni è uscito un lavoro, in cui compare il "solito" Krause, in cui, oltre a tutte quelle sulla dentizione che corredano classicamente i lavori sui mammiferi mesozoici, di descrizioni ce ne sono tante di più, perché si parla di uno scheletro quasi completo, talmente ben conservato da mostrare ancora diversi particolari con una estrema finezza: numerose ossa sono ancora articolate e sono pure presenti delle cartilagini. Una scoperta eccezionale, quindi. Adalatherium hui (così è stato chiamato) è vissuto nell’attuale Madagascar nel Maastrichtiano, quindi alla fine del Cretaceo. 
Il cranio ha delle somiglianze con quello di Vintana, che era sicuramente erbivoro. Lo scheletro dimostra che Adalatherium era un animale terrestre, senza abilità natatorie particolari e quindi i suoi antenati erano già lì quando il Madagascar si è separato dal Gondwana. Nulla è stato detto dal punto di vista della dieta, anche se in America meridionale i Gondwanateri più grandi (che erano comunque molti più piccoli di lui) erano erbivori con dieta prevalentemente composta da vegetali molto abrasivi. 
Ho detto molto più piccoli di lui perché una caratteristica curiosa sono le dimensioni, sia di Adalatherium che di Vintana: i mammiferi mesozoici, con poche eccezioni, erano molto piccoli e i gondwanateri non facevano eccezione fino alla scoperta di Vintana. Forse le dimensioni maggiori di queste due specie sono proprio connesse alla circostanza di fare parte di una fauna insulare. Giova inoltre far notare che il fossile appartiene ad un individuo non ancora maturo, diciamo quindi un sub-adulto e quindi le dimensioni dell’adulto dovevano essere ancora maggiori. Non solo, ma se Adalatherium poteva avere le dimensioni di un gatto, Vintana era anora pià grosso e poteva raggiungere gli 8 kg. Una bella differenza con i “normali” mammiferi dell’epoca, non solo gondwanateri!

Il Madagascar nel Maastrichtiano
IL MADAGASCAR, UN'ISOLA DI BIODIVERSITÀ GIÀ NEL CRETACEO SUPERIORE. Ma perché questi due gondwanateri sono così grandi? All’epoca di Adalatherium era in corso l'apertura dell'Oceano Indiano, nel cui quadro il Madagascar era già isolato da almeno una ventina di milioni di anni; pertanto la situazione biologica anche allora come oggi mostrava delle differenze notevoli con le faune dei continenti vicini; fra l’altro c’erano rane predatrici enormi (per gli standard delle rane, si intende, e la loro ferocia è argutamente testimoniata dal nome: Beelzebufo), coccodrilli erbivori ed altre amenità varie. Persino i teropodi erano molto particolari. Quindi è possibile che sia proprio l’insularità la chiave di queste dimensioni anomale...
La presenza di uno scheletro completo ha ovviamente consentito di andare “oltre la dentizione” con le analisi filogenetiche e quindi è stato permesso finalmente di precisare meglio il posto dei Gondwanateri. In bibliografia ci sono diverse ipotesi: da Multitubercolati veri a gruppo a se stante parallelo ad essi (sister group), a Mammiferi generici senza capire bene le loro relazioni filogenetiche, fino  a collocarli persino fra i placentati, affini agli xenartri (insomma, ai bradipi e agli armadilli).

GONDWANATHERI E MULTITUBERCOLATI. Adesso lo scheletro completo di Adalatherium ha ha permesso di confermare la parentela dei gondwanateri con i multitubercolati, l’ipotesi che godeva già – diciamo così – delle maggiori simpatie e particolarmente sostenuta proprio da David W. Krause. In pratica i Gondwanateri sarebbero dei multitubercolati arrivati molto presto nel Gondwana dove si sono successivamente espansi ed evoluti e che Krause et al (2014) avevano già indicato nel lavoro su Vintana. 
Dallo stesso lavoro si vede che il clade multitubercolati - Gondwanateri ha antenati comuni più recenti con i placentati e i marsupiali rispetto ai monotremi, che quindi sono in posizione ancora più esterna. La diversificazione sarebbe avvenuta ancora nel Triassico, quindi ben prima del Giurassico.
Gli stessi Autori pongono la separazione fra i due gruppi nel Giurassico inferiore. Su questo devo notare che l’evento si colloca in pieno recupero di biodiversità dopo un evento di estinzione minore, legato alla messa in posto dei basalti di Karoo. È possibile che il clade multitubercolati / gondwanateri abbia saputo approfittare bene del significativo avvicendamento fra le specie vegetali di prima e dopo l’evento. Da notare che come loro, anche i multitubercolati hanno resistito al K/T e si sono estinti solo alla fine dell’eocene. 
Una ultima considerazione è su come si riproducevano i Gondwanateri. I multitubercolati avevano probabilmente una riproduzione simile a quella dei marsupiali e quindi è possibile che le stesse caratteristiche fossero proprie anche dei Gondwanateri. 


Filogenesi dei mammiferi mesozoici da Krause (2014)

Krause et al. (2014) First cranial remains of a gondwanatherian mammal reveal remarkable mosaicism. Nature 515, 512–517 (2014) 

Krause et al (2020) Skeleton of a Cretaceous mammal from Madagascar reflects long-term insularity Nature, 10.1038/s41586-020-2234-8

Mones (1987) Gondwanatheria, un nuevo orden de mamiferos sudamericanos Comunicaciones paleontologicas del museo de historia natural de montevideo 1/18

Powell et al (1995) Did Pannotia, the latest Neoproterozoic southern supercontinent, really exist?: Eos (Transactions, American Geophysical Union), Fall Meeting,76,46, p.172
3.

Sullivan C. et al (2014) Vertebrates of the Jurassic Daohugou biota of Northeastern China. Journal of Vertebrate Paleontology 34/2, 243–280 

domenica 3 maggio 2020

Il terremoto di Creta del 2 maggio 2020


Non è certo un evento eccezionale quello di Creta: da quelle parti l'attività sismica è abbastanza importante. Anzi è l'area europea dove la frequenza dei terremoti è maggiore. Meno male che l'evento ha avuto l'epicento in mare aperto e non è stato sufficiente per arrecare grossi danni sulla terraferma, tantomeno uno tsunami come accadde nel 365 (quello che distrusse Alessandria d'Egitto e anche le coste siciliane). L'area di Creta presa da sola ha una tettonica molto semplice ma in realtà quello che la circonda è piuttosto complesso e, a sud dell'isola, ancora in parte sconosciuto.

A poche ore dall’evento i dati stanno tutt’ora arrivando e in particolare si perfezionano quelli su parametri come la Magnitudo (che è tra 6.6 e 6.7), la profondità (alle 17,30 ora italiana USGS la dà a 17 km – ricordiamo che il valore standard iniziale è sempre 10 … diffidate quando vedete profondità 10 km, specialmente a poche ore dall’evento!!). Il meccanismo focale oltre ad una compressione evidenzia una certa componente trascorrente. Quindi il movimento è obliquo. Si segnalano ovviamente molte repliche (quelle più forti fino ad ora un M 5.2 40 minuti dopo l’eventi principale e un M 5.4 3 ore e mezzo dopo). 

Eventi sismici con M 6 o più dal 1972
Nei giorni precedenti c’è stata una sismicità evidente tra la costa turca e alcune isole dell’Egeo, ma si tratta di eventi abbastanza normali per un'area in cui, come ho detto all'inizio, la sismicità di fondo è molto elevata.
Creta non è certo nuova a terremoti di questa entità: solo dal 1972 il catalogo IRIS segnala 23 eventi a M uguale o superiore a 6 nei dintorni dell’isola, di cui 5, compreso questo, tra 6.5 e 6.8.
Inoltre è il teatro del terribile terremoto del 365 d.C., che generò lo tsunami che distrusse Alessandria e non solo e di cui ho parlato qui.

IL QUADRO TETTONICO è apparentemente molto semplice: la placca africana si incunea sotto quella euroasiatica. 
La distribuzione dei terremoti lo dimostra: la carta qui accanto segnala i terremoti a profondità maggiore (pallino blu tra 30 e 70 km – pallino verde tra 70 e 150) a nord del limite superficiale fra le placche (la linea gialla): terremoti a quella profondità non possono che essere dovuti alla presenza di una crosta che sta scendendo nelle profondità del mantello; la stessa situazione è segnalata dalla tomografia sismica, nella quale si evidenzia una zona relativamente più fredda che corrisponde appunto alla crosta oceanica del Mediterraneo orientale in subduzione (Carafa et al, 2015). 
Velocità GPS da Show et al (2008)
La subduzione della placca africana genera ovviamente del vulcanismo, anche se un po' occasionale. È comunque importante notare la presenza di un vulcano del calibro di Santorini e di qualche altro edifico sottomarino vicino. Altri vulcani sono segnalati come attivi nell’Olocene; in età storica nel III secolo a.C. una eruzione è stata prodotta dal Methana (costa NE del Peloponneso) e una eruzione con lanci di ceneri (forse vulcano-freatica) è segnalata a Milos in epoca romana. Ci sono poi altri edifici caratterizzati da attività idrotermale in alcune isole. Mi pareva che ci fosse stata anche qualche eruzione da qualche parte nel XVI secolo ma adesso non ritrovo appunti in materia. A sud di Creta la fossa di omonima ha lo stesso significato delle fosse che bordano l’Oceano Pacifico: l’espressione geografica della subduzione di una crosta oceanica sotto una crosta continentale. Le cose si complicano quando si vede che non esiste un vero bacino di retroarco: probabilmente questa mancanza è dovuta alla forte spinta della crosta europea che impedisce fenomeni distensivi nella crosta continentale sotto il mare Egeo. Le spinte tettoniche sono molto evidenti specialmente in Turchia, dove lungo le coste del Mar Nero e un po' all’interno si trova la tristemente nota faglia dell’Anatolia, dove l’Anatolia scorre verso ovest rispetto all’area del Mar Nero. Ma tutta la Grecia, il Mar Egeo e le coste turche sono scosse continuamente da terremoti in una fascia estremamente larga.
La convergenza fra le placche è dimostrata anche dalle misurazioni GPS: Show et al (2008) hanno indicato che l’intero arco ellenico dalla costa dell’Anatolia a quella ionica della Grecia si muove di circa 35 mm/anno verso sudovest rispetto all’Europa stabile (le misure Gps devono essere sempre relative a qualcosa), mentre l’Africa si muove a pochi mm/anno verso NW (Zeman et al, 2010). Ovviamente mancano purtroppo dati del fondo marino, per ottenere i quali al momento non è ancora stata realizzata una tecnologia adatta.
Queste velocità quindi indicano una convergenza in corso che più o meno era quella ipotizzata: è “bello” vedere che le misurazioni GPS abbiano nella maggior parte dei casi confermato i movimenti supposti da quando intorno al 1960 il paleomagnetismo ha dimostrato definitivamente che i continenti sono soliti vagare sul globo terraqueo e John Tuzo Wilson teorizzò la tettonica delle placche (LINK). In ogni caso i dati GPS hanno evidenziato anche qualche movimento meno apparente con i soli dati geologici e hanno gettato un po' di luce su alcune situazioni enigmatiche. Il mio gruppo è invece stato il primo al mondo ad usare a vasto raggio i dati InSAR, ma per adesso ci siamo limitati all’area italiana (Farolfi, Piombino e Catani, 2019).
La componente trascorrente evidenziata dalla “beach ball” di USGS è interessante: infatti recentemente è stato visto come la fascia a nord Creta sia soggetta a una deformazione laterale molto importante (Tsampouraki-Kraounaki e Sakellariou, 2017).

A SUD E A EST DI CRETA: UNA ZONA COMPLESSA E DALLA STORIA ANCORA NON DEL TUTTO CHIARITA. Il Mediterraneo orientale è un luogo geologicamente molto significativo perché tra Gibilterra e l'Himalaya rappresenta l’ultimo resto della Tetide, l’oceano che si è formato tra Permiano e Giurassico tra l’Eurasia e America del nord da un lato, America del sud, Africa, Arabia e India dall’altro (probabilmente anche insieme all’Iberia e qualche altra area minore). Ho raccontato come tutta questa storia incominciò, nel Permiano quando si formarono alcuni dei graniti più significativi dell'Europa mediterranea dalle Alpi alla Sardegna all'Iberia e al Nordafrica e come da questi primi atti come si è aperto l'oceano tetideo. Il bacino del Levante ha due caratteristiche peculiari: una serie sedimentaria estremamente spessa che si è formata su una crosta oceanica  molto antica. Questa dovrebbe essere la prima crosta oceanica ad essersi formata a causa del processo di fratturazione della Pangea, iniziato giusto da queste parti quando ancora il processo di aggregazione del supercontinente non si era concluso in altre aree, come per esempio gli Urali: alcuni blocchi che ora compongono l’Asia di SE tra Anatolia, Iran e Afghanistan infatti sono i resti di piccoli microcontinenti staccatisi precocemente da quella che era destinata a diventare il blocco afro – arabico, e che si sono scontrati con parti dell’appena agglomerata Asia come il blocco del Kazhakstan nel Triassico (con qualche strascico successivo e che in seguito hanno continuato a mostrare una certa propensione alla deformazione (Mattei et al, 2014), tantochè oggi le vecchie linee lungo le quali questi microcontinenti si sono agglomerati fra loro continuano a muoversi a causa della spinta che produce più a est l’Arabia, a centinaia di km dall’attuale zona focale di convergenza, che è il prolungamento in Turchia orientale ed in Iran (gli Zagros) della collisione che ha provocato la crisi sismica di oggi (ne ho parlato qui). È curioso notare che il blocco arabico adesso esercita una spinta proprio su quelle aree che si erano staccate da esso alla fine dell’era paleozoica!

La spessa coltre sedimentaria del bacino di Levante impedisce uno studio diretto della crosta sottostante, per cui è difficile capirne l’epoca di formazione; in letteratura è in genere supposta tra la fine dell’era paleozoica e l’inizo dell’era mesozoica. Addirittura secondo Granot (2016) la sua formazione sarebbe avvenuta nel Carbonifero, 340 milioni di anni fa.


Carafa et al  (2015), Neotectonics and long-term seismicity in Europe and the Mediterranean region, J. Geophys. Res. Solid Earth, 120, 5311–5342, doi:10.1002/2014JB011751 

Farolfi, Piombino e Catani (2019) Fusion of GNSS and Satellite Radar Interferometry: Determination of 3D Fine-Scale Map of Present-Day Surface Displacements in Italy as Expressions of Geodynamic Processes Remote Sens. 2019, 11, 394; doi:10.3390/rs11040394

Granot (2016) Palaeozoic oceanic crust preserved beneath the 
eastern Mediterranean Nature Geoscience vol 9 / 2016 

Mattei et al (2014) Post-Cimmerian (Jurassic–Cenozoic) paleogeography and vertical axis tectonic rotations of Central Iran and the Alborz Mountains Journal of Asian Earth Sciences 102,  92–101 

Show et al (2009) Eastern Mediterranean tectonics and tsunami hazard inferred from the
AD 365 earthquake Nature Geoscience VOL1 APRIL2008 

Tsampouraki-Kraounaki e, Sakellariou 2017 Strike-slip deformation behind the Hellenic subduction: The Amorgos Shear Zone, South Aegean Sea 8th International INQUA Meeting on Paleoseismology, Active Tectonics and Archeoseismology (PATA), 13 – 16 November, 2017, New Zealand

Zeman et al (2010) deformation between african and eurasian plate estimated from the european and the egyptian gps geodetic networks results from preliminary processing Acta Geodyn. Geomater., 7/1, 129–137