tag:blogger.com,1999:blog-1916859889187809932024-03-17T09:40:28.329+01:00scienzeedintornile sabbie del tempo sono erose dal fiume del cambiamento costanteAldo Piombinohttp://www.blogger.com/profile/14315928146460343487noreply@blogger.comBlogger783125tag:blogger.com,1999:blog-191685988918780993.post-11363100416551369892024-03-17T09:39:00.002+01:002024-03-17T09:39:55.648+01:00l’attività vulcanica sulla penisola di Reykjanes dal 2019 ad oggi: panoramica e pericoli associati<div style="text-align: justify;"><i><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br /></span></i></div><div style="text-align: justify;"><i><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">E siamo a 4 eruzioni da dicembre scorso più una mancata di poco. La penisola di Reykjanes ci sta abituando in questi ultimi mesi a fasi di deformazione del terreno che precedono brevi episodi eruttivi se non eruzioni annunciate come prossime ma alla fine non avvenute, come nel pomeriggio del 2 marzo, quando il nuovo evento sembrava prossimo, ma poi tutto è rientrato. Comunque il magma ha continuato ad accumularsi sotto Svartsengi e la sera del 16 marzo un annuncio laconico del <a href="https://en.vedur.is" target="_blank">Servizio meteorologico islandese</a>, competente anche per le questioni geologiche, ha segnalato alle 23.00 italiane circa che una eruzione è iniziata tra Skogfell e Hagafell dopo che alle 14.30 del giorno precedente l’evento era annunciata come prossimo. Faccio quindi un riepilofo della situazione, ricordando che il termine “dicco” e il termine “frattura” dicono più o meno la stessa cosa: il dicco è una lava basaltica che riempie una frattura. La frattura preesistente si può allargare grazie alla pressione del liquido magmatico.</span></i></div><div><div style="text-align: justify;"><i><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">Le prime notizie parlano di una eruzione lineare lungo un segmento lungo quasi 3 km.</span></i></div><div style="text-align: justify;"><i><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">Anche se le prime indicazoni parlano di volumi significativi non è detto comunque che il fenomeno continui a lungo.</span></i></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhjGMVaoD8VSsaPNzm2KYU9YPYP7QqFmZQc9DhSa0ZHM7epu45ePen_9uU9_bF8TVyG-REG182qigMPyxZrBFC4iIwDufhnafJz8VP0haEaGwW6NwshEpLACuPX8MusSqjhMkm6Lv7oXYGg7g-PqmPSuy6_BK2ZvupwhKCC1zIW1djeP3ac66kBu07jMcs/s2454/Screenshot%202024-03-16%20alle%2023.53.06.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1484" data-original-width="2454" height="388" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhjGMVaoD8VSsaPNzm2KYU9YPYP7QqFmZQc9DhSa0ZHM7epu45ePen_9uU9_bF8TVyG-REG182qigMPyxZrBFC4iIwDufhnafJz8VP0haEaGwW6NwshEpLACuPX8MusSqjhMkm6Lv7oXYGg7g-PqmPSuy6_BK2ZvupwhKCC1zIW1djeP3ac66kBu07jMcs/w640-h388/Screenshot%202024-03-16%20alle%2023.53.06.png" width="640" /></a></div><br /><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh5SomqBD9D9K5tw_ZxFThBKIZ2uj1oJyBFGaKkT3qL9RngxbsAIOJztiUggxRivWtBCZRQdODBf_MejFCs-MlvG7MV7tOEPMPd6DitqZHj0Rufp7r2scUZY8Eelp6i51poVkcSBvAY1Wi2J7fjB_Y1dH5tGnvBXNcV7lE2E21_PHQh8O1sEVx8fVkgoKg/s1017/iceland%20volcanoes%20smithsonian.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="657" data-original-width="1017" height="259" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh5SomqBD9D9K5tw_ZxFThBKIZ2uj1oJyBFGaKkT3qL9RngxbsAIOJztiUggxRivWtBCZRQdODBf_MejFCs-MlvG7MV7tOEPMPd6DitqZHj0Rufp7r2scUZY8Eelp6i51poVkcSBvAY1Wi2J7fjB_Y1dH5tGnvBXNcV7lE2E21_PHQh8O1sEVx8fVkgoKg/w400-h259/iceland%20volcanoes%20smithsonian.jpg" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="background-color: #f6f6f6; font-family: "Trebuchet MS", Trebuchet, Verdana, sans-serif;">Vulcani e limiti di placca in Islanda dallo Smithsonian Volcanism Program</span></td></tr></tbody></table><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><b>PANORAMICA E CONTESTO.</b> L’Islanda è un’area dove la dorsale medio – atlantica affiora in superficie a causa di un eccezionale afflusso di materiale dal mantello sottostante. </div><div style="text-align: justify;">Le dorsali medio - oceaniche costituiscono i limiti di placca divergenti dove si crea nuova crosta oceanica e non sono strutture continue ma vengono suddivise in vari segmenti da faglie perpendicolari ad esse, le cosiddette faglie trasformi. <b>Il tratto in verde</b> <b>che passa per la parte orientale dell’isola rappresenta il limite divergente fra la placca euroasiatica e quella nordamericana,</b> per cui è a tutti gli effetti un tratto emerso dell’asse della dorsale medio – atlantica, ed <b>è contrassegnato da alcuni dei vulcani più importanti dell’isola</b> (Bardarbunga, Katla, Grimsvotn etc etc). Inoltre nella sua parte più meridionale si colloca l’area del Laki, dove sono avvenute le due più grandi eruzioni effusive a livello mondiale dei tempi storici: celebre quella del 1783 (Thordarson et al 2003), di cui mi sono occupato svariate volte, <a href="https://aldopiombino.blogspot.com/2015/01/limpossibile-raffronto-fra-leruzione.html" target="_blank">ad esempio qui</a>, ma quella del 934 EV fu anche peggiore (Thordarson et al 2001).</div><div style="text-align: justify;"><b>La penisola di Reykjanes rappresenta invece parte di un segmento trasforme trasversale all’andamento della dorsale (in rosso)</b>, che congiunge il tratto in terraferma della dorsale con il suo proseguimento a sud dell’Islanda, la dorsale di Reykjanes. Quindi anche nella parte meridionale dell’isola passa il limite fra le due placche: la capitale Reykjavik è nella placca americana, la costa meridionale dell’isola in quella europea.</div><div style="text-align: justify;"><b>Anche il tratto trasforme è contraddistinto da una fascia vulcanica</b> a cui appartengono nella sua parte orientale diversi complessi come l’Eyjafjallayokull, l’Hekla; ad ovest nella penisola di Reykjanes non ci sono grandi apparati vulcanici: in genere si tratta di eruzioni lineari che avvengono lungo delle faglie dirette SW – NE molto ben visibili dal satellite a causa della scarsa copertura del suolo. Lungo queste faglie troviamo i principali centri vulcanici e l’attività vulcanica si accompagna alla presenza di numerose aree geotermiche.</div></span><br /><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgg6RNWcKAkCiJI05J2i46SNUpqjt134p0YiuAXxksKS7LThpQtRgWWf7LLuuI0RDTVoaibVTc2G41Aj_hkrQxts_ITyBDEG0bs21rynMAG7t5QRQg5W26rHExevUbdrtPI_hrAyjBIJF25AFfzVaYwNolzefcuCsdS_V96nZF4wjjKxc_gWxcR8j0xd30/s1321/Mynd-af-korti-.png" imageanchor="1" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1321" data-original-width="1276" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgg6RNWcKAkCiJI05J2i46SNUpqjt134p0YiuAXxksKS7LThpQtRgWWf7LLuuI0RDTVoaibVTc2G41Aj_hkrQxts_ITyBDEG0bs21rynMAG7t5QRQg5W26rHExevUbdrtPI_hrAyjBIJF25AFfzVaYwNolzefcuCsdS_V96nZF4wjjKxc_gWxcR8j0xd30/w386-h400/Mynd-af-korti-.png" width="386" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">l'attività vulcanica dal 2021 (Parks et al, 2024)</td></tr></tbody></table><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><b>LA NUOVA FASE DI ATTIVITÀ VULCANICA NELLA PENISOLA DI REYKJANES</b>. L’area presenta fasi di attività vulcanica molto frequente per alcuni decenni, seguita da un intervallo medio tra le attività eruttive di circa 800-1000 anni. <b>Siccome il precedente periodo di attività eruttiva è durato dal 950 al 1240, una riattivazione dell'attività vulcanica dell’area non è giunta inaspettata,</b> essendo passati giusto poco meno di 800 anni.</div><div style="text-align: justify;"><b>I primi sintomi di quello che ormai appare chiaro potrebbe diventare un nuovo ciclo di attività sono iniziati nel dicembre 2019</b> e finora si sono verificati diverse intrusioni di filoni basaltici, che a parte un paio hanno tutte raggiunto la superficie provocando una eruzione. All’inizio a Fagradalsfjall sono stati rilevati terremoti a una profondità compresa tra 3 e 7 km, mentre il primo chiaro segno dell’arrivo di magma è stato rilevato il 21 gennaio 2020, associato a un forte aumento della sismicità e un primo periodo di sollevamento nell’area di Svartsengi. <b>Questa prima intruzione magmatica però non è riuscito ad arrivare in superficie. Ci ha pensato a Fagradalsfjall un anno dopo una seconda intrusione che ha provocato una eruzione a partire dal 19 marzo 2021</b>, con un chimismo piuttosto interessante (ne ho parlato qui). La deformazione del suolo e la sismicità si annidano generalmente in prossimità delle intrusioni (Sigmundsson et al, 2022). I dati geodetici e la modellizzazione indicano che i cinque episodi di inflazione in quest’area verificatisi tra il 21 gennaio 2020 e il 10 novembre 2023 sono centrate sotto al sistema vulcanico di Svartsengi, ma si estendono anhe su una regione molto ampia, fino all’allineameno dei crateri di Sundhúkur a est e si trova sotto la Laguna Blu e la centrale elettrica di Svartsengi). </div><div style="text-align: justify;">L'attività negli ultimi 3 anni si è spostata tra Svartsengi e Fagradalsfjall. Durante la precedente fase di attività vulcanica sulla penisola, terminata circa 800 anni fa, l'attività ha interessato anche altri sistemi vulcanici vicini. Sebbene le eruzioni vulcaniche degli ultimi anni siano state finora relativamente piccole, l’attività storica suggerisce un potenziale di maggiori volumi di lava negli anni a venire. Ma come disse Niels Bohr <i>è difficile fare previsioni, specialmente per il futuro</i>. Diciamo che in passato è successo così. </div></span><br /><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiaihAoIySAedHKYBEPRWiwegNT-nrGCsCA6wX-bAnQlbmlksANynIvmqsAE9bl8-hCp8ULcthmyrcpV4gKL_QLrs7NXcsOupTukT0lnU55rNXqF4HNdBTp4e0Q8wIPp4uTorTQ2n2xWGofDwRyWg6om62nncBMcyUe0vYS1OWUmUadNZXm6jFsMkXmwuE/s1949/utskyringarmynd.png" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1263" data-original-width="1949" height="259" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiaihAoIySAedHKYBEPRWiwegNT-nrGCsCA6wX-bAnQlbmlksANynIvmqsAE9bl8-hCp8ULcthmyrcpV4gKL_QLrs7NXcsOupTukT0lnU55rNXqF4HNdBTp4e0Q8wIPp4uTorTQ2n2xWGofDwRyWg6om62nncBMcyUe0vYS1OWUmUadNZXm6jFsMkXmwuE/w400-h259/utskyringarmynd.png" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">schema della dinamica delle eruzioni nella penisola di Reykjanes<br />(Parks et al, 2024)</td></tr></tbody></table><br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><b>INTERPRETAZIONE DEI DATI E VALUTAZIONE DEL PERICOLO</b>. A Svartsengi durante l’iniezione magmatica del 10 novembre (quella che ha inaugurato la serie di eruzioni attuale), la velocità di picco di afflusso di magma è stata di oltre 7000 m3/s (Sigmundsson et al., 2024), due ordini di grandezza maggiore rispetto ai tassi di afflusso massimi dedotti nei dicchi di Fagradalsfjall. <b>Queste informazioni, combinate con la conferma delle misurazioni geodetiche e dei dati sismici che il magma si era stata effettivamente intruso sotto Grindavík, hanno reso necessaria il 10 novembre 2023 la rapida evacuazione degli abitanti della città.</b> <b>Il 18 dicembre</b>, il dominio magmatico di Svartsengi ha nuovamente raggiunto la pressione critica e questa volta è avvenuta l'eruzione, preceduta appena 90 minuti prima da uno sciame sismico precursore. Il picco di afflusso di magma era di circa 800 m3/s. <b>Eventi simili si sono verificati a gennaio e febbraio 2024: in particolare il dicco superficiale responsabile dell’eruzione del gennaio 2024 si è propagato anche sotto Grindavík</b>; da notare che a proposito dell'eruzione iniziata l’8 febbraio l'allarme alla Protezione Civile é stato lanciato appena 35 minuti prima dell’evento, perché solo in quel momento è iniziato lo sciame sismico precursore. Il preavviso dell’eruzione così breve è dovuto soprattutto alle dimensioni del percorso di deflusso del magma di Svartsengi, molto ampie che consentono quindi una portata molto ampia da una profondità molto ridotta. <b>Anche per l’eruzione del 16 marzo i primi sintomi sismici si sono verificati solo a partire da 40 minuti prima dell'evento.</b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">Uno schema che delinea le fonti che alimentano l'attività più recente e i processi coinvolti è visualizzato qui accanto.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">Oltre al livello molto più elevato di afflusso di magma e di velocità di estrusione della lava, l’attività attuale a Svartsengi presenta maggiori rischi di quella di Fagradaslfjall, a causa della presenza di beni antropici importanti come la città di Grindavík, la Laguna Blu, la centrale elettrica di Svartsengi e altre infrastrutture critiche. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">È stato possibile fornire la tempistica degli eventi di gennaio e febbraio 2024 modellando il segnale di nuovo sollevamento e assumendo che il volume perso dal dominio magmatico di Svartsengi durante l'evento precedente debba essere reintegrato prima della nuova intrusione/eruzione. </span></div><br /><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhi_8RpWmh0p-_60bi4M1Wt0JvrJ4FrdxTVmyNGj-7ZUOyF9JbokMtJARr3CvGvf3ehAwmXDVgfC8SiYO6MiPWumCzR18Pj193RO74UaOYLVu97XvbZxwIZif5qAnlfqceA5hVNGhf10zmz5GD_n7zzm8iVScAfHutLHoWUtr-efyRcBMTv2WcNto89q0Q/s540/Gossprunga16032024_Varnargardar.png" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="405" data-original-width="540" height="300" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhi_8RpWmh0p-_60bi4M1Wt0JvrJ4FrdxTVmyNGj-7ZUOyF9JbokMtJARr3CvGvf3ehAwmXDVgfC8SiYO6MiPWumCzR18Pj193RO74UaOYLVu97XvbZxwIZif5qAnlfqceA5hVNGhf10zmz5GD_n7zzm8iVScAfHutLHoWUtr-efyRcBMTv2WcNto89q0Q/w400-h300/Gossprunga16032024_Varnargardar.png" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="font-size: x-small;">la linea rossa indica la frattura da cui sta fuoriuscendo il magma</span></td></tr></tbody></table><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><b>I PERICOLI ASSOCIATI ALL’ATTIVITÀ VULCANICA</b>. Ce ne sono diversi. Quelli più logici sono <b>colate laviche e fontane di lava che pososno raggiungere altezze di qualche decina di metri.</b> Si possono inoltre registrare <b>cadute di lapilli</b>, ma con lave di questo tipo, molto liquide, non si raggiungono spessori importanti come in vulcani dai magmi più acidi.</div><div style="text-align: justify;"><b style="font-weight: bold;">Un altro aspetto importante sono le emissioni di gas. </b>Magmi così primitivi, cioè arrivati dal mantello senza un periodo prolungato di residenza nella crosta sono carichi di gas come CO2, SO2, HF e quant’altro. La carestia seguita alla grande eruzione del Laki del 1783 è stata scatenata proprio dai composti derivati dalla ossidazione di questi gas. È assolutamente improbabile che si arrivi a livelli del genere, ma le concentrazioni di gas nell’aria potrebbero essere lo stesso piuttosto elevate, implicando pericoli per la popolazione.</div><div style="text-align: justify;">Particolarmente importante è il r<b>ischio associato alla aperture di fessure eruttive</b>, che come si vede possono verivficarsi con un preavviso minimo. È quindi importante modellizzare con la massima precisione possibile. A difesa di Grindavik sono stati erette delle dighe di materiale ma in gennaio la lava è sgorgata tra queste e la città. <b>Le fratture comportano anche il rischio di crolli e di sviluppo di doline</b> ed essendo l’area vicina al mare e non elevata c’è un forte rischio che<b> il mare possa inondare</b> qualche zona che si abbassa un po' troppo.</div><div style="text-align: justify;">Da ultimo i <b>terremoti,</b> che possono raggiungere M 5: essendo estremamente superficiali comportano <b>un rischio importante per gli edifici e la caduta di massi nei pendii.</b></div><div style="text-align: justify;">C'è poi la possibilità, se l'eruzione continuasse per parecchi giorni (cosa tutt'altro che certa), che la lava arrivi in mare. In questo caso l'interazione tra il magma e l'acqua può provocare la formazione di nebbie contenenti acido solforico ed acido fluoridrico in percentuali basse ma pur sempre potenzialmente dannose per la salute (Kullmann et al (1994)</div></span></div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: center;"><b><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">BIBLIOGRAFIA</span></b></div><div><br /></div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">Kullmann et al (1994) Characterization of air contaminants formed by the interaction of lava and sea water. Environmental Health Perspectives 102/5, 478-482</span></div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br /></span></div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">Parks et al (2024) Parks et al, 2024 Volcano-tectonic activity on the Reykjanes Peninsula since 2019: Overview and associated hazards. <a href="https://earthice.hi.is/volcano-tectonic-activity-reykjanes-peninsula-2019-overview-and-associated-hazards#:~:text=Volcano%2Dtectonic%20reactivation%20of%20the,and%20near%20the%20Sundhnúkur%20crater" target="_blank">Disponibile a questo link</a></span></div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br /></span></div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">Sigmundsson et al (2022) Deformation and seismicity decline before the 2021 Fagradalsfjall eruption Nature 609, 523-528</span></div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br /></span></div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">Sigmundsson et al (2024) Fracturing and tectonic stress drive ultrarapid magma flow into dikes. Science 383, 1228-1235</span></div><div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br /></span></div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">Thordarson et al (2001) New estimates of sulfur degassing and atmospheric mass-loading by the 934 AD Eldgja eruption, Iceland Journal of Volcanology and Geothermal Research 108, 33-54</span></div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br /></span></div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">Thordarson et al (2003) The Laki and Grimsvotn eruptions in 1783 - 1785: a review and a re-assessment J. Geophys. Res. - Atmos. 108 (33 - 54)</span></div></div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br /></span></div><div><br /><br /></div>Aldo Piombinohttp://www.blogger.com/profile/14315928146460343487noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-191685988918780993.post-24048697129245753002024-03-13T11:17:00.000+01:002024-03-13T11:17:19.045+01:00Del ciclo del carbonio come driver principale dell’evoluzione di atmosfera, ambiente e temperature nei pianeti interni del sistema solare e delle condizioni "non astronomiche" necessarie per avere la vita in un pianeta extrasolare <p style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><i>Quest’anno l’Associazione Caffè-Scienza Firenze e Prato APS ha deciso di presentare come strenna natalizia un libro</i> “Aspetti poco noti di Astronomia, Astrofisica e Astronautica - Tutto quello che avreste voluto sapere sul cielo ( ma non avete mai osato chiedervelo)". <i>In questo libro abbiamo parlato di tante cose, come da indice che vedete qui accanto. Personalmente io ho parlate dell’influenza del ciclo del Carbonio sulle differenti traiettorie termiche di Venere, Terra e Marte e quindi del fatto che un pianeta extrasolare per ospitare la vita oltre ad essere nella zona "giusta" di un sistema stellare, deve anche avere il giusto termostato del carbonio. In questo post riassumo quanto ho scritto al proposito.</i></span></p><p><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">Il libro è disponibile in PDF <a href="https://zenodo.org/records/10589057" target="_blank">a questo link</a>.</span></p><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjEO16l3QO1TogpyIgwAQ2pS7OuOuQRw9En1LGJrS5eM0HrTb0f4RxEKeaPtVzOtRAr3qDWz1hr5HqLxtGQb49-H1vu9ZGoDm2VD8FTmmzagEAQe4lbTA_1k7rOJq9L0D1cBzKAbNch-6vxfTN59-kG83T7IgPtWJN4uF4akZSfZIerEHfzUXqF0BeIAbA/s1024/Senza%20titolo.001.jpeg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-family: helvetica;"><img border="0" data-original-height="768" data-original-width="1024" height="480" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjEO16l3QO1TogpyIgwAQ2pS7OuOuQRw9En1LGJrS5eM0HrTb0f4RxEKeaPtVzOtRAr3qDWz1hr5HqLxtGQb49-H1vu9ZGoDm2VD8FTmmzagEAQe4lbTA_1k7rOJq9L0D1cBzKAbNch-6vxfTN59-kG83T7IgPtWJN4uF4akZSfZIerEHfzUXqF0BeIAbA/w640-h480/Senza%20titolo.001.jpeg" width="640" /></span></a></div><span style="font-family: helvetica;"><br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><b>4 miliardi di anni fa Venere, Terra e Marte condividevano la presenza di acqua liquida in superficie e una atmosfera formata da almeno il 95% di CO2</b>. <b>Venere e Marte presentano ancora atmosfere dalla composizione simile</b>: quella di Venere è ancora estremamente densa, mentre l’atmosfera marziana è diventata molto tenue e non è ancora chiaro quanto sia stata pesante all’inizio della storia del pianeta. <b>L’atmosfera terrestre attuale è molto diversa, ma chiare prove stratigrafiche e geochimiche indicano che anche questa fosse composta, fino a 2 miliardi e 400 milioni di anni fa, al 95% di CO2</b>, priva di ossigeno, e con una pressione inferiore a quella odierna (Som et al, 2015). </span></div></span><div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><b style="font-family: helvetica;">Il motivo fondamentale di queste storie differenti è la dinamica di un solo elemento, il carbonio. Solo il giusto mix fra carbonio atmosferico e insolazione è in grado di mantenere queste condizioni ideali: troppo carbonio nell'atmosfera può rendere il pianeta troppo caldo per poter avere acqua liquida sulla sua superficie, come troppo poco carbonio può rendere il pianeta una palla di ghiaccio</b><span style="font-family: helvetica;">. Per mantenere la temperatura in un range adatto occorre quindi che il termostato del carbonio funzioni nella maniera giusta, togliendone l’eccesso e integrandolo se è in difetto. Nel caso del sistema solare questi due fattori si sono appunto combinati per disegnare traiettorie climatiche molto diverse nel tempo fra i tre pianeti.</span></span></div><p></p><span style="font-family: helvetica;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><b>VENERE E IL SUO GIGANTESCO EFFETTO SERRA</b>. Venere oggi è un pianeta estremamente caldo e secco e non è chiaro per quanto tempo abbia ospitato acqua liquida sulla superficie, a causa del suo ambiente ostile, un ostacolo quasi insuperabile per le osservazioni dirette: temperature maggiori di 460 °C, e una pressione di 92 bar, come nei mari terrestri ad oltre 900 metri di profondità; le poche missioni, tutte dell'era sovietica, che hanno raggiunto la superficie di Venere sono sopravvissute solo pochi minuti al caldo e all’atmosfera acida ma prima di andare fuori uso sono riuscite comunque a scattare ed inviare a Terra alcune foto che rivelarono una superficie rocciosa arida e senza vita. Ci sono varie evidenze indicanti una perdita di acqua superficiale relativamente precoce, prima di 3 miliardi di anni fa. Poi, <b>a causa dell’aumento dell’irraggimento solare, la temperatura e il vento solare hanno avuto effetti devastanti, perché sono mancati i processi in grado di asportare il CO2 dall’atmosfera, come invece è successo sulla Terra</b>. Inoltre è diminuita l’attività tettonica e di conseguenza è crollato il campo magnetico. Tutto questo ha letteralmente spazzato via dall’atmosfera l’acqua: man mano che il vapore acqueo veniva perso verso lo spazio, più acqua evaporava dagli oceani venusiani per sostituirlo, solo per essere nuovamente portata via dai venti solari (Ingersoll, 1969). Alla fine, continuando questo processo, il pianeta ha perso gli oceani e la loro capacità di sequestrare CO2 atmosferico. Quando è stato raggiunto il punto di non ritorno Venere è diventato il pianeta caldo, secco e senza vita che vediamo oggi.</span></div><br /></span><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj-a4r4PbpmtGyjNJ-AG0K8y9SD-2MGsKRDG6OzgB3JZWb6qwWZHAfSSxPumt3jPsb28I63VjCHm53s0-Qdc_t3gPBLRm6wJzFsahN31j6Vk_QiTHXTHTurAgfCxJYMNrkiJFNLKx3Uz6LjJXxPWEMHQZrpmz7nGTT3r_ex2QR5co2ndqB1WugtEj3EMnM/s1018/Schermata%202024-03-12%20alle%2010.35.25.png" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><span style="font-family: helvetica;"><img border="0" data-original-height="370" data-original-width="1018" height="232" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj-a4r4PbpmtGyjNJ-AG0K8y9SD-2MGsKRDG6OzgB3JZWb6qwWZHAfSSxPumt3jPsb28I63VjCHm53s0-Qdc_t3gPBLRm6wJzFsahN31j6Vk_QiTHXTHTurAgfCxJYMNrkiJFNLKx3Uz6LjJXxPWEMHQZrpmz7nGTT3r_ex2QR5co2ndqB1WugtEj3EMnM/w640-h232/Schermata%202024-03-12%20alle%2010.35.25.png" width="640" /></span></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="font-family: helvetica;">una delle poche immagini che ha scattato una delle sonde sovietiche <i>Venera</i> nel 1975 prima di smettere di funzionare <br />e una foto panoramica di Marte riprersa dal rover americano <i>Perseverance</i></span></td></tr></tbody></table><span style="font-family: helvetica;"><br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><b>PER QUANTO MARTE È STATO UN PIANETA UMIDO? </b>I satelliti hanno osservato ghiaccio nelle zone polari e aree le cui caratteristiche lasciano presagire la presenza nei primi strati del terreno di acqua, che occasionalmente risale in superficie. Purtroppo se il ghiaccio si scoglie l’acqua non può restare a lungo liquida a causa dell'atmosfera secca e sottile e quindi passa direttamente dallo stato solido a quello gassoso. Alcune tracce di flussi liquidi stagionali come quelle osservate nel 2019 potrebbero essere invece dovute a delle brine salate (Chevrier e Rivera-Valentin, 2012). La presenza nel sottosuolo di falde acquifere salmastre è stata certificata dai dati presentati da Orosei et al (2019), ma sulla superficie marziana di acqua oggi ce n’è davvero poca</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Le prove sulla sua presenza nel passato sono invece ampie e circostanziate, suggerendo che un tempo l’atmosfera marziana fosse molto più densa di quanto lo sia oggi, anche se per qualcuno gli episodi umidi potrebbero essere avvenuti solo durante eventi di forte degassamento vulcanico (Scherf et al 2021), sul tipo delle <i>Grandi Province Magmatiche </i>terrestri (immensi volumi di magmi, dell’ordine delle centinaia di migliaia – se non milioni – di km cubi, eruttati in poche migliaia di anni e che nell’immediato hanno sempre innalzato, e non di poco, il tenore di CO2 dell’atmosfera terrestre). In queste condizioni il CO2 emesso dal vulcanismo sarebbe stato sufficiente per fornire la pressione – e con l’effetto-serra la temperatura – per consentire una temporanea presenza di acqua liquida, ma poi la fuga del CO2 nello spazio e il suo sequestro nel terreno avrebbero ripristinato rapidamente le condizioni preesistenti. </span></div><b><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><b>Se ne stima comunque per il Noachiano (4.1 ÷ 3.5 miliardi di anni fa) quando le acque potevano coprire circa il 20% della superficie ma con profondtà non particolarmente elevate, un quantitativo almeno 6,5 volte superiore a quello odierno</b> (Jakosky et al 2015). </span></div></b></span><span style="font-family: helvetica;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Durante <b>l’Esperiano</b> (il periodo della storia marziana compreso fra 3.5 e 3.0 miliardi di anni fa) sono esistiti gli ultimi grandi corpi liquidi superficiali in alcuni dei grandi crateri da impatto nella regione equatoriale, ma la quantità di acqua era rapidamente scesa a 2 volte quella presente oggi. </span></div></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><span style="font-size: medium;"><b>3 miliardi di anni fa inizia l’Amazzoniano</b>, che arriva fino ai nostri tempi e nel quale l’acqua ha continuato a diminuire, probabilmente in modo continuo.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: helvetica;">I</span><b style="font-family: helvetica;">l rover <i>Curiosity</i> ha trovato e campionato nel cratere Gale strati di sedimenti, confermando la presenza di minerali argillosi che si formano solo in presenza di acqua liquida. Si deve anche notare come le immagini scattate dal rover siano praticamente indistinguibili da quelle scattate in qualche ambiente terrestre ora arido e privo di vegetali</b><span style="font-family: helvetica;">, </span><b style="font-family: helvetica;">ma un tempo molto umido</b><span style="font-family: helvetica;">. </span><i style="font-family: helvetica;">Curiosity</i><span style="font-family: helvetica;"> ha anche portato alla luce prove di massicci eventi di inondazioni, forse il risultato di impatti meteoritici o cometari su una superficie all’epoca per lo più ghiacciata che hanno rilasciato calore e innescato un rapido scioglimento del ghiaccio superficiale (Rickman et al., 2019)</span></span><span style="font-family: helvetica; font-size: large;">.</span></div><div><span style="font-family: helvetica;"><br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><b>MA PERCHÈ MARTE HA PERSO QUASI TUTTA LA SUA ACQUA, ALMENO QUELLA SUPERFICIALE?</b> È probabile che all’inizio della sua storia <b>Marte avesse una attività tettonica</b> <b>sufficiente per rifornire di CO2 </b>l’atmosfera attraverso il vulcanismo e assicurare con il suo campo magnetico protezione dal vento solare e dalla radiazione ultravioletta. Però, a causa delle ridotte dimensioni del pianeta, <b>questa attività tettonica si è attenuata molto presto</b>, indebolendo il campo magnetico, in un contesto nel quale la diminuzione dell’attività vulcanica non riusciva a fornirne un quantitativo pari a quello sfuggito nello spazio a causa della bassa gravità e del vento solare. <b>La diminuzione del CO2 atmosferico indebolì a sua volta l’effetto – serra, raffreddando ulteriormente la superficie del pianeta</b>. </span></div><br /></span><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjHR01LUeGQJuxuSfkIF58mBRes8pFVYGcs1lVGenIkwhy4_QUIYaYWGKEVwfl0j_JpfCqr9uY78URX7Ygi8co1JKXkk-70bXzplmUPLAWaVhyjWIUcmrBYXtJbPJNmZIq-8H5G2y7WfUuU8ETDk4HF-YagRcpownD16tsKXC8J_K-TCsk02k5fLKdP5wM/s784/faint%20sun.jpg" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><img border="0" data-original-height="557" data-original-width="784" height="284" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjHR01LUeGQJuxuSfkIF58mBRes8pFVYGcs1lVGenIkwhy4_QUIYaYWGKEVwfl0j_JpfCqr9uY78URX7Ygi8co1JKXkk-70bXzplmUPLAWaVhyjWIUcmrBYXtJbPJNmZIq-8H5G2y7WfUuU8ETDk4HF-YagRcpownD16tsKXC8J_K-TCsk02k5fLKdP5wM/w400-h284/faint%20sun.jpg" width="400" /></span></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="font-family: helvetica;">l'evoluzione delle temperature in una Terra con la nostra atmosfera <br />e senza atmosfera: si nota come l'effetto serra sia stato determinante <br />per conservare acqua liquida nel passato più profondo<br />(Sagan e Mullen, 1972)</span></td></tr></tbody></table><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><b>LA TERRA: IL PIANETA AZZURRO E IL SUO CICLO DEL CARBONIO</b>. Nella storia del nostro pianeta le temperature hanno consentito la presenza di acqua liquida sulla sua superficie tranne che durante i cosiddetti episodi di “<i>Terra Palla di neve</i>” (Snownball Earth), quando tutta la superficie del pianeta, mari compresi, era quasi totalmente ghiacciata. I parametri orbitali, la copertura nuvolosa, la posizione dei continenti e la rete delle correnti marine hanno una influenza nel determinare le temperature globali, ma il carbonio è il più importante sistema di regolazione delle temperature insieme all’irraggiamento solare. </div></span><div><div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><b style="font-family: helvetica;">Nel 1972 Sagan e Mullen evidenziarono come con l'atmosfera attuale a causa della radiazione stellare più debole, la Terra sarebbe rimasta irrimediabilmente ricoperta dai ghiacci fino a circa 1,5 miliardi di anni fa. È il cosiddetto “<i>paradosso del Sole debole</i>” (Sagan e Mullen, 1972). Solo un’atmosfera caratterizzata da un alto contenuto di gas serra (oltre il 95% di CO2) avrebbe consentito la presenza di acqua liquida sulla Terra in questo primo periodo.</b><span style="font-family: helvetica;"> </span></span></div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><b><i>Ma dove è finito tutto quel CO2? </i></b>È forse volato via nello spazio? No, perché gravità e campo magnetico terrestre ne hanno impedito la fuga a causa del vento solare. In realtà il basso tenore atmosferico attuale (< 0,05%) dimostra che il “Sistema-Terra” richiede più CO2 di quello che viene continuamente emesso in atmosfera dalla attività vulcanica. </div></span></div><div><span style="font-family: helvetica;"><br /></span></div><div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><b style="font-family: helvetica;">MECCANISMI TERRESTRI DI SEQUESTRO DEL CO2 EMESSO DAI VULCANI.</b><span style="font-family: helvetica;"> Il primo meccanismo di sequestro del CO2 da parte del Sistema – Terra è stato </span><b style="font-family: helvetica;">l’assorbimento da parte degli oceani, sia nelle acque che nei sedimenti</b><span style="font-family: helvetica;">. </span></span></div><span style="font-family: helvetica;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">L’avvento della <b>tettonica a placche</b> ne fece nascere di nuovi: lungo le dorsali oceaniche si crea nuova crosta sulla quale si depositano sempre nuovi sedimenti nei quali viene sequestrato ulteriore CO2, mentre dove le placche convergono la vecchia crosta oceanica si immerge nel mantello con i sedimenti e il loro carico di CO2, di cui in seguito risale in superficie solo soltanto quella parte che viene coinvolta nella formazione e nella risalita di magmi mantellici (Chen et al, 2023). Inoltre la tettonica a placche ha prodotto <b>magmi con tenore di silicio maggiore di quelli precedentemente diffusi e che richiedono molta più CO2</b> per la loro alterazione e ha formato le <b>piattaforme continentali, in cui si depositano sedimenti carbonatic</b>i che contengono abbondante CO2.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Anche l’evoluzione della vita ha dato il suo contributo fondamentale, perché <b>la materia organica sequestra CO2</b>. La vita sulla Terra è iniziata almeno 3.8 miliardi di anni fa in condizioni anossiche, quando gli organismi metabolizzavano zolfo ed emettevano metano, stabile nell’atmosfera riducente dell’epoca e in qualche modo provvidenziale, perché contribuva all’effetto-serra che mantenne acqua liquida sulla Terra durante quel periodo in cui il Sole era debole, ma la <b>comparsa della fotosintesi clorofilliana</b>, collocabile fra 2.8 e 2.7 miliardi di anni fa ha introdotto un nuovo, formidabile, processo di sequestro del CO2 atmosferico.</span></div><br /></span></div><div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><b style="font-family: helvetica;">2,4 MILIARDI DI ANNI FA: L'ATMOSFERA TERRESTRE DIVENTA OSSIDANTE</b><span style="font-family: helvetica;">. Con tutti questi processi </span><b style="font-family: helvetica;">la richiesta di CO2 da parte del sistema – Terra ha superato il quantitativo del composto immesso ogni anno dai vulcani</b><span style="font-family: helvetica;">. All’inizio l’ossigeno prodotto dalla fotosintesi non rimaneva nell’atmosfera, che era ancora riducente e lo richiedeva per l’ossidazione della superficie, ma in un tempo inferiore ai 400 milioni di anni la superficie ormai ossidata non ne richiedeva più. Di conseguenza l</span><b style="font-family: helvetica;">a fotosintesi ha prodotto più ossigeno di quello richiesto, in un regime di consumo di CO2 maggiore rispetto agli apporti e l’atmosfera è così diventata ossidante, come parte delle acque oceaniche: è il <i>Grande Evento Ossidativo</i> di 2.4 miliardi di anni fa</b><span style="font-family: helvetica;"> (</span><a href="https://aldopiombino.blogspot.com/2016/12/il-grande-evento-ossidativo-di-2.html" style="font-family: helvetica;" target="_blank">ne ho parlato qui</a><span style="font-family: helvetica;">).</span></span></div><span style="font-family: helvetica;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Dal punto di vista climatico l<b>a diminuzione del tenore di CO2 e la scomparsa del metano (che nelle nuove condizioni ossidanti non poteva certo rimanere stabile), hanno portato ad una drastica diminuzione dell’effetto serra</b>, e <b>la Terra fu interessata per diverse centinaia di milioni di anni da una glaciazione globale, la <i>glaciazione huroniana</i>,</b> che si interruppe solo quando il Sole un po' più energetico e un aumento del CO2 atmosferico riportarono un po' di calore.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Anche la <b>seconda diminuzione del CO2 atmosferico</b>, avvenuta circa 700 milioni di anni fa, è stata accompagnata da due glaciazioni globali lunghe poche decine di milioni di anni ciascuna (gli episodi di <i>Terra palla di neve</i> dello <i>Sturtiano</i> e del <i>Marinoano</i>), durante un periodo significativamente noto come<b> Criogeniano</b>. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">In seguito l’influenza della biosfera era aumentata: in genere alla morte un corpo viene distrutto, ossidandosi, oppure viene mangiato, ma in alcuni casi i corpi vengono seppelliti: succede sulla terraferma originando torbe, carboni e idrocarburi oppure sul fondo di bacini marini chiusi dove non c’è ossigeno, formando i depositi all’origine di importanti giacimenti di petrolio e gas.</span></div><b><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><b>Ed è questo il carbonio che noi ora stiamo tragicamente reimmettendo in atmosfera</b>.</span></div></b><br /></span><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi6kwitasy8XkOBqlYLVDmVOUK3xPRc8mTkLLWqQYXNh3_zvQDTF3TRB2ZvvZ3Zva2I0H4nn02rjszDrxZvK81rvOEOVDvHU4UhbOzhusOfJFxi4Ft709eI9V3XiyOIcEvAu7M0qy38eh6IIWRVFN14i7sBNkofk2WH03pKnW3KUz_3XRkBbVy42xqWn2s/s930/Schermata%202024-03-12%20alle%2010.29.49.png" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><img border="0" data-original-height="830" data-original-width="930" height="358" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi6kwitasy8XkOBqlYLVDmVOUK3xPRc8mTkLLWqQYXNh3_zvQDTF3TRB2ZvvZ3Zva2I0H4nn02rjszDrxZvK81rvOEOVDvHU4UhbOzhusOfJFxi4Ft709eI9V3XiyOIcEvAu7M0qy38eh6IIWRVFN14i7sBNkofk2WH03pKnW3KUz_3XRkBbVy42xqWn2s/w400-h358/Schermata%202024-03-12%20alle%2010.29.49.png" width="400" /></span></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="font-family: helvetica;">Una storia sommaria del tenore atmosferico di CO2 <br />dal Devonianio ad oggi</span></td></tr></tbody></table><span style="font-family: helvetica;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><b>UNA ATMOSFERA IN CUI IL TENORE DI CO2 TENDE A DIMINUIRE.</b> <b>La tendenza generale di diminuzione del tenore atmosferico di CO2 viene bruscamente interrotta solo quando si mettono in posto le <i>Large Igneous Provinces</i> </b>(Grandi Province Magmatiche, da qui in poi indicato con l’acronimo LIP): immense eruzioni basaltiche che in poche migliaia di anni eruttano centinaia di migliaia di chilometri cubi di lave ed emettono incredibili quantità di CO2, il cui tenore atmosferico si innalza bruscamente generando un aumento delle temperature e delle estinzioni di massa.</span></div><b><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><b><span style="color: red;">La conclusione fondamentale è che il termostato del carbonio della Terra ha funzionato efficacemente per miliardi di anni e che i fattori di compensazione continuano ancora oggi ad apportare al sistema-Terra il giusto mix fra radiazione solare e capacità – serra dell’atmosfera</span></b>, anche se fra qualche centinaio di milioni di anni l’aumento della radiazione solare provocherà anche sulla Terra l’evaporazione degli oceani e un ambiente simile a quello attuale di Venere</span>.</div></b><br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><b>CONSEGUENZE PER LA VITA NEI PIANETI EXTRASOLARI</b>. Con il termine “<i>Zona Goldilocks</i>” gli astrobiologi individuano la fascia intorno ad una stella nella quale è possibile sulla superficie di un eventuale pianeta la presenza di acqua liquida, considerata generalmente la conditio sine qua non per la vita. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><b>La <i>Zona Goldilock</i> varia in base all’energia emessa dalla stella, ma l’appartenenza alla <i>Zona Goldilocks</i> è una condizione necessaria ma non sufficiente perché</b>:</span></div></span><ol style="text-align: left;"><li style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">noi vediamo quel determinato sistema stellare in questo momento, ma come succede per il Sole e per le altre stelle della sequenza principale la <i>zona Goldlock</i> può variare durante la storia del sistema stellare: agli albori della storia del sistema solare la nostra stella era più fioca ed emetteva circa il 25% in meno di energia termica di oggi e in futuro ne emetterà molta di più </span></li><li style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">in base alla composizione l’atmosfera di un pianeta può essere più o meno in grado di intrappolare il calore</span></li></ol><span style="font-family: helvetica;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Da tutto questo discende un appunto fondamentale per la ricerca della vita su altri mondi: <b>non bastano la posizione all’interno della <i>Zona Goldilocks</i>, una atmosfera “interessante” e la presenza di una serie di elementi chimici. Ma per lo sviluppo della vita occorre un termostato a carbonio capace di mantenere temperature adatte alla presenza di acqua liquida per un tempo sufficientemente lungo. </b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></div><br /><div style="text-align: center;"><b><span style="font-size: medium;">BIBLIOGRAFIA</span></b></div><br /><br /><span style="font-size: medium;">Chen et al. (2023). Carbonate-rich crust subduction drives the deep carbon and chlorine cycles. Nature 620, 576–581 (2023)<br /><br />Chevrier e Rivera-Valentin (2012). Formation of recurring slope lineae by liquid brines on present-day Mars. Geophysical Research Letters, Vol. 39, L21202<br /><br />Ingersoll (1969) the runaway greenhouse: a history of water on Venus. Journal of Atmospheric Sciences, vol. 26, Issue 6, pp.1191-1198 <br /><br />Jakosky et al (2015). The Mars Atmosphere and Volatile Evolution (MAVEN) Mission. Space Sci Rev195, 3–48 <br /><br />Orosei et al (2018). Radar evidence of subglacial liquid water on Mars. Science </span></span><span style="font-family: helvetica; font-size: large;">361, 490-493</span></div><div><span style="font-family: helvetica;"><span style="font-size: medium;"><br />Rickman et al (2019). Water in the history of Mars: An assessment. Planetary and Space Science 166, 70-89<br /><br />Sagan e Mullen (1972). Earth and Mars: Evolution of Atmospheres and Surface Temperatures. Science 177, 52-56<br /><br />Scherf et al (2021). Did Mars Possess a Dense Atmosphere During the First ∼400Million Years? Space Sci Rev 217, 2 <br /><br />Som et al (2015). Earth’s air pressure 2.7 billion years ago constrained to less than half of modern levels. Nature Geoscience 9 (6) <br /><br /></span></span><br /></div></div></div>Aldo Piombinohttp://www.blogger.com/profile/14315928146460343487noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-191685988918780993.post-69276872969708381162024-02-27T11:59:00.003+01:002024-02-27T11:59:36.497+01:00La Large Igneous Province di Alborz e l'estinzione di massa della fine dell'Ordoviciano: l'ultimo collegamento che mancava fra una estinzione di massa e la messa in posto di una LIP<br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjz6u0iebqbi2T4EfuxPEpfm47e7j66-a_EplIyGOvuqW84miqbCtr9F9fYyYAHoH6zMRC6RzTdb1BJ3zpv14EM-oV_KnwqyqFtbL1CYxF6_3RS2hJ6_5_LZ2w8dBWFfV6NDCD5Nw9OIOkS6OfckjyBzf9K55l4SczofCoyCsJwbueytI_WU1ZZWzlg8Yk/s1920/koziketal2022.jpeg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1080" data-original-width="1920" height="360" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjz6u0iebqbi2T4EfuxPEpfm47e7j66-a_EplIyGOvuqW84miqbCtr9F9fYyYAHoH6zMRC6RzTdb1BJ3zpv14EM-oV_KnwqyqFtbL1CYxF6_3RS2hJ6_5_LZ2w8dBWFfV6NDCD5Nw9OIOkS6OfckjyBzf9K55l4SczofCoyCsJwbueytI_WU1ZZWzlg8Yk/w640-h360/koziketal2022.jpeg" width="640" /></a></div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><i>Il collegamento fra quattro delle 5 maggiori estinzioni di massa e la messa in posto di </i>Large Igneous Provinces (LIP)<i> è ormai acclarato da tempo. Per quanto riguarda invece la fine dell’Ordoviciano, fino ad oggi non c’era una LIP corrispondente e quindi si sono scatenate le ipotesi extraterrestri più varie (asteroide, supernova etc etc), che però non spiegano i parametri geochimici dei sedimenti dell’epoca. Un lavoro ha finalmente identificato nell’Iran settentrionale la </i><b>large igneous province di Alborz</b>,<i> databile appunto all’Ordoviciano superiore, evidenziando quindi l’ultimo collegamento mancante fra una LIP e una importante estinzione di massa, nella quale è scomparso l’85% delle specie viventi, risolvendo un problema che si è trascinato per decenni.</i></div></span><br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><b><span style="font-size: medium;">LARGE IGNEOUS PROVINCES ED ESTINZIONI DI MASSA</span></b><span style="font-size: medium;">. Le </span><i><span style="font-size: medium;">Large Igneous Provinces</span></i><span style="font-size: medium;"> sono delle enormi serie magmatiche, dell’ordine delle centinaia di migliaia se non di milioni di km cubi di magmi, che si mettono in posto in tempi geologicamente brevi. C’è una ampia letteratura che dimostra il legame fra queste enormi eruzioni e gli eventi di estinzione di massa, ad esempio i <i>Trappi della Jacuzia</i> per l’estinzione del Devoniano superiore, i <i>trappi siberiani</i> per la fine del Permiano, i <i>basalti dell’Atlantico centrale</i> per la fine del Triassico e i <i>trappi del Deccan</i> per la fine del Cretaceo (quest’ultimo caso piaccia o non piaccia ai sostenitori dell’asteroide – killer). Anche le estinzioni “minori” sono avvenute in corrispondenza di eventi vulcanici di quel tipo </span></span><span style="font-family: helvetica;"><span style="font-size: medium;">(Kasbohm et al., 2021)</span></span><span style="font-family: helvetica;"><span style="font-size: medium;">, per esempio l'estinzione del Cambriano inferiore </span></span><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: helvetica;"><span>(<i>basalti di </i></span></span><span style="text-align: left;"><span style="font-family: helvetica;"><span><i>Kalkarindji</i>),</span> </span></span><span style="font-family: helvetica;">del Permiano medio (<i>trappi di Emeishan</i>), gli eventi anossici del Cretaceo (diversi plateau oceanici), il passaggio Paleocene - Eocene (<i>basalti dell'Atlantico settentrionale</i>). </span></span><span style="font-family: helvetica;"><span style="font-size: medium;">Sono stati proposti diversi meccanismi per spiegare l’associazione fra LIP ed estinzioni di massa, fra i quali i più importanti sono un raffreddamento globale nelle fasi iniziali dell’attività dovuto a importanti emissioni di polveri che loccno la radiazione solare, il riscaldamento globale in corrispondenza del parossismo di attività dovuto alle emissioni di CO2 e SO2, l’anossia nei mari, il rilascio di gas tossici o metalli, l’acidificazione degli oceani e delle piogge. Una sintesi la potete leggere in Ernst et al. (2021). </span></span><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: helvetica;">Ho parlato s</span></span><span style="font-family: helvetica;"><span style="font-size: medium;">pesso di questo rapporto causa - effetto sia su Scienzeedintorni che sul mio libro "<a href="https://www.edizionialtravista.com/il-meteorite-e-il-vulcano-aldo-piombino.html" target="_blank">il meteorite e il vulcano, come si estinsero i dinosauri</a>". </span></span></div><br /><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg2A2g1JuX_eEF59ZMuBYXPexPnr1Ri38akv-VrLqUfGBO62TzOPjaocQra1Y3yoh_wNnlrLn2GE1GWhvA0ITgSOjmoO5vvjo-98vNPfQ1-3chAu59JC02d_lEoprZMWl-T1uqk-ENMFLIrQZhLMkWEnxfBwxSYPfVn_bnc47eVMW3LewDBw9QWqrejucc/s553/Schermata%202023-12-29%20alle%2007.29.19.png" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="553" data-original-width="408" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg2A2g1JuX_eEF59ZMuBYXPexPnr1Ri38akv-VrLqUfGBO62TzOPjaocQra1Y3yoh_wNnlrLn2GE1GWhvA0ITgSOjmoO5vvjo-98vNPfQ1-3chAu59JC02d_lEoprZMWl-T1uqk-ENMFLIrQZhLMkWEnxfBwxSYPfVn_bnc47eVMW3LewDBw9QWqrejucc/w295-h400/Schermata%202023-12-29%20alle%2007.29.19.png" width="295" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">la breve durata dei piani dell'Ordoviciano<br />superiore e del Siluriano inferiore <br />dimostra il prolungato turn-over faunistico</td></tr></tbody></table><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><b>UNA GRANDE ESTINZIONE DALLE CAUSE FINORA NON CHIARE</b>. L'estinzione di massa del tardo Ordoviciano, a causa della sua drammatica perdita di specie, è ampiamente considerata come la seconda più grande delle "<i>Big Five</i>", i 5 maggiori eventi di estinzione di massa del Fanerozoico, a partire dal lavoro di Raup e Sepkoski (1982). </div><div style="text-align: justify;">Come ho scritto, <b>questa estinzione ha avuto finora la particolarità di essere l'unica non associata ad una <i>Large Igneous Province, circostanza </i>che ha ovviamente scatenato la corsa alla ricerca di cause extraterrestri (asteroide e supernova in particolare). Ma il perdurare nel tempo dell'elevato turnover faunistico suggerisce un prolungarsi delle cause non proprio compatibile con eventi puntuali come quelli astronomici.</b></div><div style="text-align: justify;"><b><br /></b></div><div style="text-align: justify;">Finalmente qualcosa si è mosso negli ultimi anni, perchè<b> un numero crescente di osservazioni ha suggerito la presenza di una intensa attività magmatica nell’Ordoviciano superiore e nel Siluriano inferiore,</b> contemporaneo quindi al frequente turnover faunistico che caratterizza questa fase della storia della Terra. <b>Per questo molti ricercatori hanno postulato una LIP come fattore scatenante anche dell’evento di fine Ordoviciano</b>. Ad esempio Li et al. (2021) hanno evidenziato in una serie stratigrafica di quella fase nel sud della Cina un nesso causale tra eventi vulcanici, perturbazioni nel rapporto isotopico di carbonio e zolfo e cambiamenti ambientali durante il tardo Ordoviciano e il primo Siluriano. Di conseguenza, <b>hanno proposto due periodi di intensificato vulcanismo, il primo tra il Katiano e l’Hirnantiano inferiore e il secondo dal tardo Hirnantiano all’inizio del Siluriano</b>. Nel tempo sono state indicate alcune aree di attività vulcanica potenzialmente in grado di provocare queste variazioni (Siberia orientale, Corea del Sud, Argentina, Canada orientale) ma non paiono essere al livello di una large igneous province (Ernst e Youbi, 2017). </div></span><br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><b>GONDWANA, TERRENI CIMMERICI E PALEOTETIDE.</b> In pratica la tettonica degli ultimi 500 milioni di anni si potrebbe riassumere così: <b><i>una perdita di pezzi da parte di un supercontinente meridionale aggregatosi circa 500 milioni di anni fa, che a parte l’Antartide a poco a poco si stanno riagglomerando in un continente settentrionale</i>.</b></span></div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">Questo continente di 500 milioni di anni fa comprendeva tutti i continenti a parte le masse ora corrispondenti a America settentrionale (Laurentia), Europa Settentrionale (Baltica) e quasi tutta la Siberia ed è noto in genere come Gondwana ma io, seguendo Powell et al (1999), preferisco usare il termine <i>Pannotia</i>, riservando il termine Gondwana solo a quella parte che si è separata nel Mesozoico per dare vita ai singoli continenti meridionali attuali (<a href="https://aldopiombino.blogspot.com/2018/02/il-nucleo-fondativo-delleurasia-dagli.html" target="_blank">ne ho accennato qui</a>)</div><div style="text-align: justify;"><b>Nell’Ordoviciano inizia uno dei principali eventi di fratturazione del supercontinente, con il distacco dei “<i>terreni cimmerici</i>”,</b> e cioè una gran parte dei blocchi che ora formano Turchia, Azerbaijan, Iran, Afghanistan e Tibet. Fra questi e il Gondwana si formerà la Paleotetide. Questi terreni poi si sono scontrati nel Triassico con il Kazhakstan e altri blocchi per formare l’Asia. La collisione fra i terreni cimmerici e il Kazakhstan ha provocato la formazione nel Triassico dell’orogene dei Monti Alborz, che si estende in modo sinuoso per circa 2000 km dal Piccolo Caucaso dell'Armenia e dell'Azerbaigian a ovest fino al Kopet-Dagh che segna il confine fra Iran e Turkmenistan, ai Monti Paropamisus dell'Afghanistan settentrionale. In seguito la Paleotetide è stata chiusa nl Terziario quando altre parti del vecchio supercontinente, Afro-Arabia e India, si sono nuovamente uniti ai terreni cimmerici ormai amalgamati nell’Asia (<a href="https://aldopiombino.blogspot.com/2018/02/il-nucleo-fondativo-delleurasia-dagli.html" target="_blank">ne ho parlato sempre nel post linkato prima</a>).</div></span><br /><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjf5nhkjYzyoF3Urpurnae5lOiKmlmpLJjwQK2jPaUok-eH_O_bOsetfXK0maCI3HYF_cnvAs045vv6HEMV-AuFHDmuH8KsIQNEQ3xg8fxjbhsefNWjHkqGhIortwod7a6Oropn2HRCvO8sj5dZx2QgmvejHEthOHBtQd9N4S9CvWFCYQ19M8bI1tFwtig/s876/Schermata%202023-12-31%20alle%2000.07.38.png" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="435" data-original-width="876" height="315" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjf5nhkjYzyoF3Urpurnae5lOiKmlmpLJjwQK2jPaUok-eH_O_bOsetfXK0maCI3HYF_cnvAs045vv6HEMV-AuFHDmuH8KsIQNEQ3xg8fxjbhsefNWjHkqGhIortwod7a6Oropn2HRCvO8sj5dZx2QgmvejHEthOHBtQd9N4S9CvWFCYQ19M8bI1tFwtig/w640-h315/Schermata%202023-12-31%20alle%2000.07.38.png" width="640" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">l'orogene triassico di Alborz con in rosso le aree studiate da <span style="text-align: left;">Derakhshi et al (2022</span></td></tr></tbody></table><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><b>LA (NUOVA) <i>LARGE IGNEOUS PROVINCE</i> DI ALBORZ</b>. Nell'Iran settentrionale la letteratura scientifica ha documentato <b>una vasta serie di magmi, in genere alcalini, messi in posto in un ambiente intraplacca tra l’Ordoviciano medio e il Siluriano</b>, con degli impulsi coevi con le tracce di magmatismo trovate in Cina e non solo. Sono distribuiti su una lunghezza di 1700 km e in alcuni casi il loro spessore è superiore ai 1000 metri. </div><div style="text-align: justify;"><ul><li><b>Questa attività era già stata messa in relazione con il rift continentale che alla fine ha portato all'apertura della Paleotetide. </b></li><li><b>Derakhshi et al (2022) hanno unito tutti questi magmi in una <i>Large Igneous Province</i> che chiamano <i>LIP di Alborz. </i></b></li></ul></div><div style="text-align: justify;"><b><br /></b></div><div style="text-align: justify;">Dobbiamo inoltre notare che <b> il periodo che precede l'apertura di un nuovo bacino oceanico rappresenta le condizioni geodinamiche ideali per la formazione di Large Igneous Provinces (e in genere di un magmatismo abbondante, </b>come è successo ad esempio dal passaggio Permiano - Triassico e fino al passaggio Paleocene - Eocene prima delle separazioni fra continenti chge hanno guidato la formazione dell’Oceano Atlantico e dell’oceano Indiano e quindi la fratturazione del Gondwana.</div><div style="text-align: justify;">Per quanto riguarda la tempistica degli eventi più che delle datazioni assolute sono importanti quelle relative, in particolare ai limiti dei piani in cui è diviso l’Ordoviciano. <b>Nei sedimenti dell’area gli Autori evidenziano una correlazione temporale fra le anomalie del mercurio</b>, legate alla attività magmatica e l'evento di estinzione di massa del tardo Ordoviciano. Inoltre n<b>el Darriwilliano inizia un significativo declino globale del rapporto 87Sr/86Sr:</b> si tratta di una tipica sintomatologia derivante da un alto tasso di alterazione chimica dei silicati dovuti alla maggior acidità dell’atmosfera e delle acque, evidentemente innescata dalle emissioni di CO2 e SO2 associate alle eruzioni.</div><div style="text-align: justify;"><b>Sulla base del lavoro sul campo, delle età relative e anche delle datazioni radiometriche l'inizio degli eventi vulcanici coincide con l’inizio del Darriwiliano; c’è poi un altro picco di attività vulcanica al passaggio Sandbiano-Katiano, mentre il culmine del vulcanismo avviene durante il tardo Katiano-Hirnantiano</b>. È da notare che la scala geologica dei tempi funziona su base bio-stratigrafica e quindi la durata molto limitata dei piani dell’Ordoviciano superiore (l’Hirnantiano è lungo meno di due milioni di anni!) dimostra l’estrema velocità del turn-over faunistico, che continuerà anche nel Siluriano, fino a quando si concluderà l’attività del rift che ha poi portato - appunto - all’apertura della Paleotetide.</div></span><span style="font-size: medium;"><br /></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">I<b>N CONCLUSIONE: LA LIP DI ALBORZ COME CAUSA DELL’ESTINZIONE DELLA FINE DELL’ORDOVICIANO</b>. Derakhshi et al (2022) forniscono un insieme di prove per le quali i magmi dell’Iran settentrionale costituiscono una Large Igneous Province, la cui attività diventa un valido candidato per l’innesco dei cambiamenti ambientali alla base dell’estinzione di massa della fine dell’Ordoviciano, colmando una importante lacuna nelle connessioni fra eventi biotici ed eventi geologici nella storia della Terra.</span></div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br /><br />BIBLIOGRAFIA<br /><br />Derakhshi et al (2022), Ordovician-Silurian volcanism in northern Iran: Implications for a new Large Igneous Province (LIP) and a robust candidate for the Late Ordovician mass extinction Gondwana Research Gondwana Research 107 (2022) 256–280 <br /><br />Ernst et al (2021). Large Igneous Province Record Through Time and Implications for Secular Environmental Changes and Geological Time-Scale Boundaries. Chapter 1 In: Ernst, et al (eds.) Large Igneous Provinces: A Driver of Global Environmental and Biotic Changes. AGU Geophysical Monograph 255, pp. 3-26. <br /><br />Ernst e Youbi (2017). How Large Igneous Provinces affect global climate, sometimes cause mass extinctions, and represent natural markers in the geological record. Palaeogeogr. Palaeoclimatol. Palaeoecol. 478, 30–52. <br /><br />Kasbohm, et al (2021). Radiometric Constraints on the Timing, Tempo, and Effects of Large Igneous Province Emplacement. In: Ernst et al (eds.) Large Igneous Provinces: A Driver of Global Environmental and Biotic Changes. pp. 27-82. <br /><br />Kozik et al (2022) Rapid marine oxygen variability: Driver of the Late Ordovician mass extinction , Sci. Adv. 8, eabn8345 (2022) <br /><br />Li et al, (2021). Carbon and sulfur isotope variations through the Upper Ordovician and Lower Silurian of South China linked to volcanism. Palaeogeogr. Palaeoclimatol. Palaeoecol. 567 <br /><br />Powell et al (1995). Did Pannotia, the latest Neoproterozoic southern supercontinent, really exist?: Eos (Transactions, American Geophysical Union), Fall Meeting,76,46, p.172
3.<br /><br />Raup e Sepkoski Jr (1982). Mass extinctions in the marine fossil record. Science 215, 1501–1503</span><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br /></span></div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"> </span><br /></div>Aldo Piombinohttp://www.blogger.com/profile/14315928146460343487noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-191685988918780993.post-34554675975380542282024-02-23T23:40:00.002+01:002024-02-23T23:41:51.174+01:00in base ai modelli fra qualche giorno potrebbe esserci la quarta eruzione in 3 mesi vicino a Grindavik<br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">Dopo una fase introduttiva durata parecchie stettimane tra ottobre, novembre e metà dicembre in cui il poco viscoso magma basaltico ha iniziato a salire dalle profondità della crosta islandese, nella penisola di Reykjanes (e più precisamente nella zona di Grindavik) il leit-motiv di questi ultimi mesi è rappresentato da cicili di accumulo di magma a bassa profondità con sollevamento del terreno (accompagnato anche da qualche collasso), seguiti da una breve eruzione., dopo la quale inizia il nuovo ciclo di “ricarica”. Il ciclo è già avvenuto 3 volte ma ora siamo in vista della quarta eruzione da quella iniziata a metà dicembre. </span></div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">Il grafico mostra un confronto del volume di magma accumulato sotto Svartsengi prima che il magma fuoriuscisse vicino a Grindavik durante gli eventi recenti. Il volume è calcolato da un modello basato su dati GPS ed è ovviame soggetto a incertezza. Si possono osservare variazioni significative anche tra i giorni. L'attuale stato di accumulo del magma al 22 febbraio è contrassegnato dalla linea marroncina. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div></span><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEgFoqC1D1qztUwIUqA9LXtzXFBM-1ztaIlQXzqSMal1UcFycfj3R7Os_I_1PuyKlWjPq1gHxhLJGjpSiGD1wnGL-1V7j7z6ozGzTn5sbi5fMePxVHtAi9XmcZpYe4SK3eunyklU_3y7cUrJaDOsibRYTmKVzC2iFsjGh81nRNLCMndcX7V73HJwdtscAmU" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img data-original-height="504" data-original-width="551" height="586" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEgFoqC1D1qztUwIUqA9LXtzXFBM-1ztaIlQXzqSMal1UcFycfj3R7Os_I_1PuyKlWjPq1gHxhLJGjpSiGD1wnGL-1V7j7z6ozGzTn5sbi5fMePxVHtAi9XmcZpYe4SK3eunyklU_3y7cUrJaDOsibRYTmKVzC2iFsjGh81nRNLCMndcX7V73HJwdtscAmU=w640-h586" width="640" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">il grafico dell'andamento del'accumulo di magma dal primo giorno di sollevamento in poi.</td></tr></tbody></table><br /><br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">L’individuazione del possibile scenario si basa sull'interpretazione dei dati più recenti e sullo sviluppo osservato degli eventi precedenti che sono avvenuti in questi mesi nell'area e ovviamente hanno un certo margine di’incertezza, poiché si basano appunto solo su pochi eventi.</span></div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">I calcoli basati su questo modello indicano che dalla fine dell’eruzione precedente sotto Svartsengi si sono accumulati circa 5 milioni di metri cubi di magma. <b>Considerando l’andamento degli episodi eruttivi precedenti, la probabilità di un'eruzione è molto alta se e quando il volume raggiungerà gli 8-13 milioni di metri cubi. Sulla base dei calcoli del modello, se il magma continuasse ad accumularsi al ritmo attuale ciò potrebbe verificarsi già all’inizio della prossima settimana.</b></div><div style="text-align: justify;">Va comunque notato che non si può affermare con sicurezza che questo sarà lo scenario reale e che il comportamento sarà identico a quello degli eventi precedenti, anche se evidentemente la probabilità che avvenga così sono alte. Inoltre, esiste la possibilità che il magma possa migrare sotto Sundhnúkur con l’apertura di un nuvo dicco, trovando spazio senza provocare per adesso l’eruzione.</div></span><br /><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEjNiFUJmvQumDLnxRNdhHWI3kTsmoWr_gLjA8arIsfL20JvdCib3bpOhrXMWslra8pc1WXbk6dYpFBpaK58fVoIUhc2PpRtS2pORrmeXwQ_cDHxqr_xGTcI0cadctCVS1wJsq23Gr0zQxdaD8vhPOFyIe0rZ73PdBYt5vl7mmjf51ACeQnDnby70XspvrA" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img data-original-height="1080" data-original-width="1920" height="360" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEjNiFUJmvQumDLnxRNdhHWI3kTsmoWr_gLjA8arIsfL20JvdCib3bpOhrXMWslra8pc1WXbk6dYpFBpaK58fVoIUhc2PpRtS2pORrmeXwQ_cDHxqr_xGTcI0cadctCVS1wJsq23Gr0zQxdaD8vhPOFyIe0rZ73PdBYt5vl7mmjf51ACeQnDnby70XspvrA=w640-h360" width="640" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">carta del rischio valida dal 23 al 26 gennaio, al netto di possibili sviluppi</td></tr></tbody></table><br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><span style="font-size: medium;"><b>Gli scienziati stimano che in caso di eruzione, questa si propagherà da Svartsengi verso il cratere Sundhnúkur, tra Stóra-Skógfell e Hagafell, la fascia che ho indicato con la linea rossa dove la crosta è più debole.</b> I settori più a rischio sono infatti quelli più scuri. Come si vede Grindavik è ancora nella fascia di maggiore pericolosità, anche se dal 19 febbraio è stato tolto l'ordine di evacuazione, consentendo il ritorno degli abitanti e la ripresa delle attività economiche</span></span></div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">Il segnale precursore principale dell’eruzione sarà un improvviso aumento dell’intensa attività sismica con molti terremoti localizzati e di piccola magnitudo e l’evento potrebbe iniziare con poco o nessun preavviso: n uno scenario in cui il magma risale verso la superficie direttamente da Svartsengi, si stima che i primi segnali verrebbero identificati 4-7 ore prima che il magma raggiunga la superficie e l'ultima volta sono state poche ore e per di più nella notte.</div></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">La pagina con gli aggiornamenti è questa: <a href="https://en.vedur.is/about-imo/news/a-seismic-swarm-started-north-of-grindavik-last-night ">https://en.vedur.is/about-imo/news/a-seismic-swarm-started-north-of-grindavik-last-night </a></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div>Aldo Piombinohttp://www.blogger.com/profile/14315928146460343487noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-191685988918780993.post-54946698253501702922024-02-07T10:25:00.000+01:002024-02-07T10:25:06.490+01:00la interessante proposta di un aggiornamento nella scala del tempo geologica della Luna<span style="font-family: helvetica;"><br /><div style="text-align: justify;"><i><span style="font-size: medium;">Una scala del tempo geologico di un pianeta è un sistema cronologico con il quale, definendo una sequenza temporale ricavata da osservazioni geologiche, si correlano nel tempo gli avvenimenti avvenuti in un pianeta e ne mostra l'evoluzione progressiva. Un team sino-americano ha proposto un aggiornamento della scala del tempo geologico della Luna, ideata grazie ai progressi della ricerca post-Apollo. Questa nuova scala fornisce un quadro integrato per rappresentare l’evoluzione della Luna e ha importanti implicazioni per lo studio geologico di altri pianeti di tipo terrestre.</span></i></div><span style="font-size: medium;"><br /></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">La scala temporale della Luna fu stabilita mezzo secolo fa ai tempi delle missioni Apollo, ma negli ultimi decenni una vasta gamma di studi ha significativamente ampliato la nostra comprensione dell’evoluzione geologica lunare globale utilizzando dati con copertura spaziale e risoluzione molto migliori rispetto a quelle osservazioni pionieristiche. Inoltre le missioni Apollo hanno riguardato la faccia visibile della Luna, per cui viene considerata poco la sua faccia nascosta, che invece è quella in dove si trovano le zone più antiche e primordiali (Jolliff et al., 2000).</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Grazie quindi a questi notevoli miglioramenti sono stati proposti due importanti aggiornamenti della scala temporale degli eventi lunari, anticipata in Ji et al (2022) e spiegata più dettagliatamente in Guo et al (2024): </span></div><div style="text-align: justify;"><ul><li><span style="font-size: medium;">il primo consiste in un “rinnovo” della cronologia iniziale della storia lunare</span></li><li><span style="font-size: medium;">il secondo il raggruppamento delle varie unità temporali, anche quelle più recenti, in tre eoni</span></li></ul></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj3FqJji-ceFzSYd7Yr7aYJW-R_5Afhvj7WpK-hfFG8btoB5AUcbjqyUDd_F1I7d-BO0pkyAER4Wlb59ynq4Vlsj8Yz6d7KSxE2kR7ygN8WGo7jCDpYOxcH5eH4A19FQcfRn37ZWKf332Q5TboQbJ08zwLKRCICZT9Xygr2eyJhki5tCHWfll2OVzj1eu0/s2530/Screenshot%202024-02-03%20alle%2011.20.57.png" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="584" data-original-width="2530" height="148" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj3FqJji-ceFzSYd7Yr7aYJW-R_5Afhvj7WpK-hfFG8btoB5AUcbjqyUDd_F1I7d-BO0pkyAER4Wlb59ynq4Vlsj8Yz6d7KSxE2kR7ygN8WGo7jCDpYOxcH5eH4A19FQcfRn37ZWKf332Q5TboQbJ08zwLKRCICZT9Xygr2eyJhki5tCHWfll2OVzj1eu0/w640-h148/Screenshot%202024-02-03%20alle%2011.20.57.png" width="640" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">la cronostratigrafia lunare attuale con il tipo di avvenimenti principali</td></tr></tbody></table><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left;"><tbody><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><br /><br /></td></tr></tbody></table></b><div><b><br /></b></div><div><b><br /></b></div><div><b><br /></b></div><div><span style="font-size: medium;"><b>LA CRONOLOGIA DEGLI INIZI DELLA STORIA LUNARE (IL PRE-NECTARIANO)</b>. Fino ad oggi quanto avvenuto prima del Nectariano è stato definito <b>pre-Nectariano e vede due fasi distinte ma che non erano state ancora divise formalmente</b>, ben indicate dalla tabella qui sopra: </span></div><div><ul><li><span style="font-size: medium;">una fase iniziale in cui la superficie del nostro satellite è completamente coperta da un oceano di magma (che è avvenuta anche sulla Terra</span></li><li><span style="font-size: medium;">una seconda in cui, cristallizzatasi la superficie, si formano una trentina di crateri da impatto particolarmente evidenti (fino a quando c’era l’oceano di magma le tracce degli impatti venivano perse presto). </span></li></ul></div><div><span style="font-size: medium;"><b>Il limite fra le due fasi corrisponde all’impatto del corpo che ha provocato la formazione del del grande </b>(anzi, direi enorme perché ha un diametro di 2.500 km!) <b>cratere di Aitken – Polo sud, posto al polo sud lunare.</b> È praticamente invisibile dalla Terra essendo quasi integralmente nella faccia nascosta (se ne vede solo delle alture corrispondenti a parte del suo bordo) ed è probabilmente la più antica struttura da impatto lunare riconosciuta (Hiesinger et al., 2012). </span></div><div><span style="font-size: medium;">La formazione del cratere Aiken – Polo Sud per diversi Autori, come ad esempio Orgel et al (2018) è avvenuta tra i 4,2 e i 4,3 miliardi di anni. Essendo il più grande cratere lunare da impatto, i<b> suoi ejecta, diffusi in buona parte della superficie lunare, sono indicati come <i>formazione di Das</i></b>. Ma questo limite non aveva ancora un ruolo preciso e definito chiaramente nella cronostratigrafia lunare.</span></div><div><span style="font-size: medium;">Secondo Guo et al (2024) invece la <b><i>formazione di Das </i>evidenzia un fatto epocale e cioè dopo la solidificazione della superficie dell’oceano di magma iniziale si tratta, al momento, dello strato più antico prodotto da processi non dovuti all’attività tettonica e magmatica della Luna stessa</b>. Pertanto lo usano come marker stratigrafico per dividere il <i>Pre-Nectriano</i> in due periodi differenti, il <i>Magma-oceaniano</i> e il successivo <i>Aitkeniano</i> (dal nome, appunto del cratere Aitken – Polo Sud) <i>(NB: chiaramente la deposizione della Formazione di Das costituisce un <b>limite massimo dell'età in cui ha cessato di esistere l'oceano di magma</b>)</i>.</span></div><div><br /></div></div><div style="text-align: justify;"><b><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjaRdUH2CZjkSshzdvXNeRcJPXOofSuaPvRXt_AQFYLBk8Gh8Gd_Fy7gAMxSbPWPBn0mvtD5fFhkP-HPz3hfAggqBP78RQixpxd_lUm6EvVXdxlAAn0-Id5-PDBHsG6HD8MaHNHPhIfbBMmONtjq7OtkBf_Pz7FFzdYu_ap1M5uBmJQP9TvT-KHRi6BTU4/s1024/Senza%20titolo.001.jpeg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="768" data-original-width="1024" height="480" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjaRdUH2CZjkSshzdvXNeRcJPXOofSuaPvRXt_AQFYLBk8Gh8Gd_Fy7gAMxSbPWPBn0mvtD5fFhkP-HPz3hfAggqBP78RQixpxd_lUm6EvVXdxlAAn0-Id5-PDBHsG6HD8MaHNHPhIfbBMmONtjq7OtkBf_Pz7FFzdYu_ap1M5uBmJQP9TvT-KHRi6BTU4/w640-h480/Senza%20titolo.001.jpeg" width="640" /></a></div></b></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><b>IL NUOVO RAGGRUPPAMENTO DI TUTTE LE ETÀ DELLA CRONOSTRATIGRAFIA LUNARE</b>. Dopo questa essenziale ridefinizione cronologica delle fasi iniziali della storia lunare, Guo et al (2024) hanno diviso la storia della Luna in tre eoni (sulla Luna Ere ed Eoni possono essere considerati sinonimi), ciascuno dei quali rappresenta fasi distinte dell’evoluzione lunare in base al livello di interazione fra processi endogeni ed esogeni. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Questo nuovo schema mira a fornire una comprensione più integrata dell’evoluzione geologica della Luna, soprattutto alla luce dei progressi successivi al periodo delle missioni Apollo.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></div></span><div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><b>L'Eone Eolunare, datato da 4,52 a 4,31 miliardi di anni fa</b>, segna il periodo della formazione dell'oceano di magma della Luna, della sua differenziazione e della solidificazione della crosta primaria. Questo eone, prevalentemente modellato da forze endogene, comprende il solo Magma-oceaniano e finisce con la deposizione della formazione di Das.</span></div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><br /></div></span></div><div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><b>Il successivo Eone Paleolunare, che si estende da 4,31 a 3,16 miliardi di anni fa</b>, ha visto un equilibrio tra processi endogeni, come le attività vulcaniche, e quelli esogeni, come eventi di impatto significativo. Rappresenta una fase in cui le forze interne ed esterne modellano in modo significativo la superficie lunare e comprende il nuovo periodo Aikteniano, il Nectariano e l’Imbriano.</span></div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">Da notare che il Pre-Nectariano oltre che essere stato diviso in due periodi diversi, ricade in questa classificazione addirittura in due eoni diversi, l’Eolunare e il Paleolunare.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b>Il più recente, l'Eone Neolunare, che iniza 3,16 miliardi di anni fa e si estende fino ad oggi</b>, è caratterizzato dalla predominanza di processi esogeni, con una sempre più marcata riduzione delle attività vulcaniche, mentre gli eventi di impatto hanno giocato il ruolo più significativo nell’alterare il paesaggio lunare.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">L’introduzione di questo nuovo schema di scala temporale lunare, comprendente tre Eoni e sei Periodi, fornisce un quadro sistematico per descrivere la storia evolutiva della Luna e sottolinea l’importanza di comprendere sia i processi interni che quelli esterni nel modellare la geologia lunare. Questo approccio non solo migliora la nostra comprensione del passato della Luna, ma offre anche un modello per studiare l'evoluzione geologica di altri pianeti terrestri.</div><div style="text-align: justify;">Ji et al (2022) hanno utilizzato questo schema nella mappa geologica globale lunare in scala 1:2,5.000.000, dimostrando la sua applicazione pratica negli studi lunari. </div><br /><div style="text-align: center;"><b>BIBILIOGRAFIA</b></div><br />Guo et al (2024). A lunar time scale from the perspective of the Moon’s dynamic evolution Sci China Earth Vol.67 No.1 249 </span></div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br /></span></div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">Hiesinger et al (2012). New crater size-frequency distribution mea- surements of the South Pole-Aitken basin. In: 43rd Lunar and Planetary Science Conference. 43: 2863<br /><br /></span></div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">Ji et al (2022) The 1:2,500,000-scale geologic map of the global Moon. Science Bulletin 67 (2022) 1544–1548</span></div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br /></span></div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">Jolliff et al (2000). Major lunar crustal terranes: Surface expressions and crust-mantle origins. J Geophys Res, 105: 4197–4216<br /><br />Orgel et al (2018). Ancient bombardment of the inner solar system: Reinvestigation of the “fingerprints” of different impactor populations on the lunar surface. J Geophys Res-Planets, 123: 748–762 <br /><br />Wilhelms et al (1987). The Geologic History of the Moon. Washington DC: U.S. Government Printing Office<br /></span></div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br /></span></div><div><br /></div>Aldo Piombinohttp://www.blogger.com/profile/14315928146460343487noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-191685988918780993.post-44064116057775435842024-01-24T12:16:00.002+01:002024-01-24T14:08:19.378+01:00i corsi d'acqua di Firenze, a cielo aperto e tombati, da una cartografia della Regione Toscana<br /><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj0sCRLKR3AbDCSfKG7AnXlbnyw8SjBsr2bhtrrISXaRzl5tzuybPWYAcURYoOk4fsaVqBw5Opxux6vECtUW4QMSLUUCbAlKUNg9Aadm3hUJHR4z9G6AufWax-pAvbnehbMNwDOnbJsavSLxrvkMA_uQi8j-umVXBegDgMdC1bdWw_JeeaoEUq2enb5fNY/s2404/fiumidifirenze.jpg" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1592" data-original-width="2404" height="470" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj0sCRLKR3AbDCSfKG7AnXlbnyw8SjBsr2bhtrrISXaRzl5tzuybPWYAcURYoOk4fsaVqBw5Opxux6vECtUW4QMSLUUCbAlKUNg9Aadm3hUJHR4z9G6AufWax-pAvbnehbMNwDOnbJsavSLxrvkMA_uQi8j-umVXBegDgMdC1bdWw_JeeaoEUq2enb5fNY/w710-h470/fiumidifirenze.jpg" width="710" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="font-family: helvetica;">1. la carta che utilizza la cartografia regionale. Con la stella è indicato il punto della foto 3</span></td></tr></tbody></table><span style="font-family: helvetica;"><br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Questa carta, che viene dalla cartografia tematica della Regione Toscana, fotografa la situazione dei corsi d’acqua nel comune di Firenze e nelle aree limitrofe. Come è noto, a Firenze non c’è solo l’Arno: ci sono anche diversi suoi affluenti, di cui almeno uno, il Mugnone, ha svolto un ruolo attivo nella fondazione della città quando, passando per l’attuale via Tornabuoni, era il fossato di cinta del <i>castrum </i>romano. Il Mugnone poi ha subìto anche diverse modifiche durante l’espansione verso ovest della città dal periodo medievale a quello rinascimentale, come si vede dall’immagine in fondo al post (la 4). </span></div></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">Nella prima immagine vediamo in celeste i corsi d’acqua che scorrono a cielo aperto, mentre in rosso tratteggiato (e non, misteri di <i>Qgis</i>...) i corsi d’acqua tombati nel comune di Firenze. Ho detto appunto che "scorrono a cielo aperto", ma il loro percorso è stato modificato dall'attività antropica e questo vale per tutti, compreso l'Arno.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><b>DESTRA IDROGRAFICA DELL'ARNO.</b> L’operazione di questo tipo più nota (anzi, l’unica veramente conosciuta), è, in riva destra dell’Arno, il<b> tombamento dell’Affrico</b>, eseguito addirittura dopo l’alluvione del 1966 (<i>boccaccia mia statte zitta</i>….). </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">La parola <i>boccaccia</i> mi fa venire in mente il Boccaccio, che cantò l’Affrico e il suo vicino<b> Mensola</b> nel “<i>Ninfale Fiesolano</i>”. L’Affrico ormai è in piena città mentre il Mensola, che sfocia un po' più a monte, ne è più lontano e quindi ha evitato il trattamento riservato al suo amante nel poemetto di Boccaccio, tranne nella parte finale prima della confluenza con l’Arno, urbanizzata. Questo tombamento, molto corto, è peraltro caratterizzato da una scarsissima portata (e l’impossibilità di migliorarla): <b>tutto ciò ha portato alla realizzazione di una cassa di espansione</b> con relativo parco pubblico. </span></div><div><br /></div><div><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiIJzltpL-_zOuBHidap-WP1XPd166_ACh4Mw5q2m6MK_hv_lFrPQ2nQ2DCqI3iXUr96Y5Y4LbWi7-yO4es_RWehlQJrNMVBMZgdmJ4o_zy3RLbXnavQ6sSzU0oJc3j5wrqafW2H9KfaoTsXdfhrQSx6YPI-M546Oq1tqwYTaWIy1U13V8JvYM6huutI-I/s1200/Foto-Cambi-11-01-11-DSC_0062.JPG" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><span style="font-size: medium;"><img border="0" data-original-height="805" data-original-width="1200" height="269" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiIJzltpL-_zOuBHidap-WP1XPd166_ACh4Mw5q2m6MK_hv_lFrPQ2nQ2DCqI3iXUr96Y5Y4LbWi7-yO4es_RWehlQJrNMVBMZgdmJ4o_zy3RLbXnavQ6sSzU0oJc3j5wrqafW2H9KfaoTsXdfhrQSx6YPI-M546Oq1tqwYTaWIy1U13V8JvYM6huutI-I/w400-h269/Foto-Cambi-11-01-11-DSC_0062.JPG" width="400" /></span></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="font-family: helvetica;">2. le "rapide" con le quali il Mugnone si getta in Arno<br />credit: Autorità di Bacino dell'app. Settentrionale</span></td></tr></tbody></table><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">Tra l’Affrico e il Mugnone c’era il <b>fosso di San Gervasio</b> (e che forse proseguiva nel <i>fosso di Scherraggio</i>, quello che scorrendo per le attuali vie del Proconsolo, dei Leoni e dei Castellani fungeva da fossato orientale di Florentia). C’era, perché non ve ne è traccia nella cartografia. Per qualcuno oggi finisce - deviato - nel Mugnone alle Cure, ma ammetto di non saperne niente.</div></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><b>Quanto al Mugnone, ha rischiato il tombamento negli anni ‘80 quando qualcuno voleva costruirci sopra una strada</b>. Il torrente, assieme al <b>Terzolle</b>, ha provocato una alluvione abbastanza devastante nel 1992: non oso pensare cosa sarebbe successo se il suo alveo fosse stato coperto dalla strada. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">Una caratteristica importante di questo torrente è che scorre nella piana ad un livello particolarmente alto e infatti sfocia nell'Arno con una cascata (foto 2). Addirittura il quartiere di San Iacopino in riva sinistra è posto mediamente 5 metri circa sotto al quartiere di via Circondaria, in riva destra. Eppure nel 1992 si allagò la parte più alta in riva destra, perchè il torrente uscì dagli argini in riva destra a monte del ponte della ferrovia e l'alveo nel tratto di San Jacopino riuscì a riprendere tutta l'acqua, insieme a quella del Terzolle, salvando non solo quel quartiere, ma anche Novoli.</span></div><div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: helvetica;">Manca all’appello (o meglio, alla visibilità) il percorso urbano del</span><b style="font-family: helvetica;"> fosso dell’Arcovata,</b><span style="font-family: helvetica;"> che una volta si immetteva nel Mugnone immediatamente a monte della confluenza con il Terzolle, scorrendo quasi perpendicolarmente ad esso. Invece questa carta evidenzia come l’Arcovata sfoci nel Terzolle a monte di Ponte all’Asse, dopo una deviazione non proprio naturale (con una simpatica annotazione di toponomastica urbana notiamo che non passa più dalla zona di … via dell’Arcovata!!). Sono inoltre tombati nel tratto che passa per l’area urbanizzata anche gli affluenti in riva sinistra del Terzolle provenienti dalle alture tra il Poggetto e Careggi.</span></span></div><span style="font-family: helvetica;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Il Terzolle non è tombato. Ma ha diversi ostacoli di cui parlerò in un prossimo post</span><span style="font-size: x-large;">.</span></div></span><br /></div><div><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjf73RLydcujmDI2tL5qsSMF6hWfQTgbfQ60nrq1CTWhdCxEI9aMbf7-4PHUFgd8fQWr2DV_YNRU0p_UVXkxnxC8EVpWc339FWF5HAwPwDB9h9qUFxDoBoqdwSGbWD5zJTmkzvL88vtCt9i89oVSY5xM7U42MRFrzBzxSvq-gXQLvwnfb-loHgeCxVcCGM/s2802/gamberaia.jpg" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1806" data-original-width="2802" height="258" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjf73RLydcujmDI2tL5qsSMF6hWfQTgbfQ60nrq1CTWhdCxEI9aMbf7-4PHUFgd8fQWr2DV_YNRU0p_UVXkxnxC8EVpWc339FWF5HAwPwDB9h9qUFxDoBoqdwSGbWD5zJTmkzvL88vtCt9i89oVSY5xM7U42MRFrzBzxSvq-gXQLvwnfb-loHgeCxVcCGM/w400-h258/gamberaia.jpg" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="font-family: helvetica;">3. i resti dell'alveo del fosso di Gamberaia e il ponticino di via dei Bastioni<br />all'incrocio con il viale Michelangiolo</span></td></tr></tbody></table><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><b>SINISTRA IDROGRAFICA DELL'ARNO</b>. In riva sinistra con i colli vicinissimi al fiume, di fossi ce ne sono pochi. Nella parte che scende dalle alture sono liberi, ma giungono tutti al fiume tombati. Interessante il <b>fosso di Gamberaia</b>, che scende nella valle da cui partono i viali dei colli, di cui è rimasto ancora all’aperto il tracciato da piazza Ferrucci lungo la prima parte del viale Michelangiolo. Addirittura all’incrocio fra il viale e via dei Bastioni c’è ancora ben visibile il ponticello che lo attraversava. </div></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">Poco più a valle è coperto nel tratto urbanizzato dell’antico quartiere di San Niccolò<b> il fosso di Carraia </b>che scende dall’<i>Erta Canina</i> (strada spettacolare che consiglio di fare, ma in discesa, sia per godere di un panorama unico sia perché salendo è davvero una erta ... “canina”).</span></div><div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: helvetica;">Come per il fosso di San Gervasio in riva destra, </span><b style="font-family: helvetica;">stupisce l’assenza di un rio che scende dal Poggio Imperiale</b><span style="font-family: helvetica;"> e di un’altro che doveva unirsi ad esso </span><b style="font-family: helvetica;">provenendo dal colle di Bellosguardo</b><span style="font-family: helvetica;"> e che entrava nel piano nella zona di piazza Tasso. Ho idea che siccome piazza Tasso si chiamava in precedenza piazza </span><b style="font-family: helvetica;">Gusciana</b><span style="font-family: helvetica;">, nome ora di una piccola via adibita a parcheggio lungo le mura, quel nome fosse appunto appannaggio del rio che scendeva da Bellosguardo.</span></span></div><span style="font-family: helvetica;"><br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Un altro torrente che scorre all'aria aperta interessa la parte meridionale del comune di Firenze, contrassegnando per un lungo tratto il confine con il comune di Bagno a Ripoli. È l’<b>Ema</b>, che si getta nella <b>Greve</b> al Galluzzo (vicino alla Certosa). A parte un breve tratto nel comune di Scandicci, il percorso finale della Greve, tutto all'aria aperta, prima della confluenza in Arno passa per il territorio comunale di Firenze (in particolare a Ponte a Greve), lambendo subito prima della foce la frazione di Mantignano. Il torrente scorre incassato in una valle a monte del tratto scandiccese, mentre quando sbuca nella piana è circondato da importanti argini anche se a differenza del Mugnone il suo corso è ad un livello più basso rispetto alla piana e sfocia in Arno allo stesso livello.</span></div><br /></span><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhSG0vQwdf0fzRv7LDAtNRCo7uYv4HE3GEgGvaUAuRqoeZ0y5F-n4qwHjz1os5iL4xh6NghfhP65ZSnbYBxyIInL_cI9NZMg_1rI0HL8L1evDaZX7r2WDofWfvsVUE1LBf995xZzxiQxUm8-r8aeDjlRgpp2oOrTY_emKuyjQBs7ukvcTBBJRyV8rY8HRU/s1085/mugnone%20deviazioni%20commento.jpeg" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><img border="0" data-original-height="661" data-original-width="1085" height="244" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhSG0vQwdf0fzRv7LDAtNRCo7uYv4HE3GEgGvaUAuRqoeZ0y5F-n4qwHjz1os5iL4xh6NghfhP65ZSnbYBxyIInL_cI9NZMg_1rI0HL8L1evDaZX7r2WDofWfvsVUE1LBf995xZzxiQxUm8-r8aeDjlRgpp2oOrTY_emKuyjQBs7ukvcTBBJRyV8rY8HRU/w400-h244/mugnone%20deviazioni%20commento.jpeg" width="400" /></span></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="font-family: helvetica;">4. le deviazioni del Mugnone dal 1000 ad oggi</span></td></tr></tbody></table><span style="font-family: helvetica;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><b>SPARITO IL RETICOLO DELLE BONIFICHE</b>. Subito oltre il confine comunale, nei territori di Sesto Fiorentino, Campi Bisenzio e Signa, si nota nella piana la presenza, fuori dal comune di Firenze, del reticolo delle bonifiche, che invece dall’aeroporto verso la città scompare, mangiato dall’espansione dell’abitato nel dopoguerra. Questo succede non solo in riva destra, ma anche in riva sinistra. In riva destra infatti sopravvivono solo i corsi d’acqua maggiori, mentre in riva sinistra il reticolo regionale non evidenzia nessuna asta fluviale tra il fosso di Gamberaia, quindi a monte del centro storico, fino alla Greve, praticamente ai limiti comunali.</span></div><br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><b>IL PERICOLO DI ALLUVIONI A FIRENZE</b>. È quindi evidente che se tutto il vecchio reticolo delle bonifiche è scomparso, tutte le piogge vengono smaltite dal sistema fognario. Un evento particolarmente impressionante di una estate di una decina di anni fa, con una pioggia molto intensa durata diverse ore non ha sortito grossi effetti, segno quindi che tutto sommato il sistema di scolmatura delle piogge funziona (se viene manutentato...). </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Ho parlato in passato delle <a href="https://aldopiombino.blogspot.com/2021/11/a-55-anni-dallevento-alluvionale-della.html" target="_blank">casse di espansione in realizzazione</a> (o purtroppo ancora in progetto) a monte di Firenze. Diciamo che con il nuovo regime climatico però più che le grandi alluvioni a seguito di piogge intense e prolungate che coprono quasi interamente i maggiori bacini idrografici come quello dell’Arno, <b>oggi la preoccupazione riguarda le violente piogge in bacini di ridotte dimensioni. Il problema quindi diventa del reticolo minore</b>. Oltre al Mensola anche per l’Ema è stata realizzata una cassa di espansione, ma anche lì, specialmente nel comune di Bagno a Ripoli, piccoli rii tombati hanno provocato grossi guai pochi anni fa; quanto al <b>Mugnone è stato oggetto di un intervento per la mitigazione del rischio idraulico</b> come lavori propedeutici per la nuova stazione AV. </span></div></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><b>Rimane da sistemare il Terzolle</b>, anche per colpa di qualche improvvida costruzione che lo interessa. Ma questa è un’altra storia.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br /></span></div>Aldo Piombinohttp://www.blogger.com/profile/14315928146460343487noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-191685988918780993.post-14517316059471954542024-01-22T23:38:00.005+01:002024-01-25T23:34:22.802+01:00il terremoto M 7.0 del 22 gennaio 2024: il Tian Shan, un orogene paleozoico riattivato nel Terziario per la collisione fra India ed Eurasia<br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">Il terremoto M 7.0 del 22 gennaio 2024 nel Tian Shan al confine fra Cina e Kirghizistan i è verificato a causa di una faglia inversa con componente trascorrente e non è un evento casuale: entro 250 km di distanza si è verificato un evento M 7.1 nel marzo del 1978, mentre nel gennaio 1911 il terremoto di Kemin di magnitudo 8.0, vicino al confine tra Kirghizistan e Kazakistan ha ha causato ingenti danni e provocato qualche centinaio di vittime. La regione epicentrale è caratterizzata da numerose faglie inverse con andamento est-nordest, faglie trascorrenti sinistre e bacini intermontani.</span></div><div><br /></div><div><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh5Ih9iXlX_XKgv7ioD_HCdtJBZ9EfC2J9e3sNbZNgnVNPH63t3AG7mAOI8sNwjTlZuKa28rJf-yLgf9U7R6rFAs17jzx79s4cYn5xnDiZW-9OUvDoX4AoVLNxlv0cmaCEIPDdo15jkp34qacgTKsDW81TcL8jk5CXRRemjebTbbee58bT0cDRe5ToZ4Ao/s946/Schermata%202024-01-22%20alle%2023.09.14.png" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="655" data-original-width="946" height="444" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh5Ih9iXlX_XKgv7ioD_HCdtJBZ9EfC2J9e3sNbZNgnVNPH63t3AG7mAOI8sNwjTlZuKa28rJf-yLgf9U7R6rFAs17jzx79s4cYn5xnDiZW-9OUvDoX4AoVLNxlv0cmaCEIPDdo15jkp34qacgTKsDW81TcL8jk5CXRRemjebTbbee58bT0cDRe5ToZ4Ao/w640-h444/Schermata%202024-01-22%20alle%2023.09.14.png" width="640" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">i terremoti intorno alla Cina da Wang e Shen 2020. La stella indica il terremoto del 22 gennaio 2024</td></tr></tbody></table><br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: helvetica;">Ma perché questi terremoti in un’area ad oltre 2.000 km dal limite di placca più vicino (l’Himalaya)? Perché l’Asia Centrale, pur apparendo enorme e solida, è invece il risultato di una aggregazione paleozoica (e quindi tettonicamente recente) di un gran numero di frammenti continentali e archi magmatici (il CAOB, il grande orogene dell’Asia centrale,</span><span><a href="https://aldopiombino.blogspot.com/2018/02/il-nucleo-fondativo-delleurasia-dagli.html" style="font-family: helvetica;" target="_blank"> ne ho parlato qui</a><span style="font-family: helvetica;">).</span></span><span style="font-family: helvetica;"> Di conseguenza la collisione dell’India con l’Eurasia ha destabilizzato la situazione, rimettendo in movimento fra loro i vari frammenti. </span></span></div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">L’orogenesi che ha prodotto il Tian Shan è appunto avvenuta nel quadro della formazione del CAOB nel Paleozoico superiore, a causa della collisione fra il continente del Kazakhstan (Khazania) e il blocco del Tarim. Quest’ultimo è in genere noto come un blocco continentale, ma gli studi recenti ne suggeriscono un’origine diversa, un <a href="https://aldopiombino.blogspot.com/2022/05/la-transmogrificazione-un-nuovo-tipo-di.html" target="_blank">blocco oceanico rimasto integro nello scontro fra due continenti</a> (Morgan e Vannucchi, 2022)</div><div style="text-align: justify;"><b>Dal Terziario inferiore, e cioè da quando l’India ha iniziato ad incunearsi dentro l’Asia, il Tian Shan fornisce un esempio classico di orogene intracontinentale, situato a circa 2000 km a nord della zona di collisione indo-eurasiatica. L’importante sforzo tettonico che l’India esercita su blocchi dalle caratteristiche reologiche differenti provoca deformazioni differenziate, da cui seguono terremoti che si generano lungo le faglie preesistenti ereditate dalla collisione fra Kazhakia e Tarim. </b></div><div style="text-align: justify;">Le misure GPS di Zubovich et al (2011) evidenziano come l’orogene paleozoico assorba ancora una deformazione piuttosto importante, perché a sud di esso la spinta dell’India produce uno spostamento verso nord rispetto all’Eurasia, mentre a nord dell’orogene i movimenti sono praticamente nulli.<b> Pare incredibile ma alla longitudine del Kirghizistan, il bacino del Tarim converge con l'Eurasia a 20 ± 2 mm/anno, quasi due terzi del tasso di convergenza totale tra India ed Eurasia a questa longitudine!!</b></div></span><br /></div><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjOtABv14db9jXQJHhQZ_8EvfHiXIl5NWtYAAtyZE52UBD-L2DhBrz4qBIPmc7jRsidhRGHRUWI80kiIj0P6CNPJgunSdlYnWHfrBgYfL6AQvfalmIlVHKFVKEpeOUvqhT9TqjJaKJr9pfjY9po2v6o7if8YuE4HlSfdQaBxBH_D454xE0R6W-PCBVWqwE/s645/Schermata%202024-01-22%20alle%2022.05.01.png" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="625" data-original-width="645" height="620" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjOtABv14db9jXQJHhQZ_8EvfHiXIl5NWtYAAtyZE52UBD-L2DhBrz4qBIPmc7jRsidhRGHRUWI80kiIj0P6CNPJgunSdlYnWHfrBgYfL6AQvfalmIlVHKFVKEpeOUvqhT9TqjJaKJr9pfjY9po2v6o7if8YuE4HlSfdQaBxBH_D454xE0R6W-PCBVWqwE/w640-h620/Schermata%202024-01-22%20alle%2022.05.01.png" width="640" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">velocità GPS nel Tian Shan e nelle aree adiacenti da Zubovich et al (2010)</td></tr></tbody></table><div><br /></div><div><br /></div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: center;"><b>BIBLIOGRAFIA</b></div><b><br />Morgan e Vannucchi (2022)</b>. Transmogrification of ocean into continent: implications for continental evolution. PNAS 119/15 e2122694119<br /><br /><b>Wang & Shen (2020)</b>. Present‐day crustal deformation of continental China derived from GPS and its tectonic implications. Journal of Geophysical Research: Solid Earth, 125, e2019JB018774.<br /><br /><b>Zubovich et al (2010)</b>. GPS velocity field for the Tien Shan and surrounding regions. Tectonics 29, TC6014</span><div><br /></div>Aldo Piombinohttp://www.blogger.com/profile/14315928146460343487noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-191685988918780993.post-60008891410944003032024-01-18T10:24:00.001+01:002024-01-18T10:27:14.402+01:00come le fratture nel livello impermeabile sovrastante il sistema idrotermale e i terremoti governano i movimenti verticali del terreno ai Campi Flegrei<span style="font-family: helvetica;"><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEifuLCJqm1ve8fZGqf-YtrXMa1jjYiX8KVY9GN1FqIj8sjEqX1XzHqfwYVbpEHo9OSck5HaTlC91I38IFl_79gxYR8ZtnDL1X3ycUUdIdOAkhcIxdCfc9irr3OYLYnvk1lTwp8yHQC4ffTuFzmkxy9S6dNm58DCBh_td6nAQp768UrNtj1Zpj6yKQcRdJM/s696/Schermata%202023-08-21%20alle%2018.29.53.png" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="558" data-original-width="696" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEifuLCJqm1ve8fZGqf-YtrXMa1jjYiX8KVY9GN1FqIj8sjEqX1XzHqfwYVbpEHo9OSck5HaTlC91I38IFl_79gxYR8ZtnDL1X3ycUUdIdOAkhcIxdCfc9irr3OYLYnvk1lTwp8yHQC4ffTuFzmkxy9S6dNm58DCBh_td6nAQp768UrNtj1Zpj6yKQcRdJM/w400-h320/Schermata%202023-08-21%20alle%2018.29.53.png" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span face=""Trebuchet MS", Trebuchet, Verdana, sans-serif" style="background-color: #f6f6f6; font-size: 12px; white-space: pre-wrap;">l'ultima interpretazione della struttura dei Campi Flegrei </span><br style="font-family: "Trebuchet MS", Trebuchet, Verdana, sans-serif; font-size: 12px; white-space: pre-wrap;" /><span face=""Trebuchet MS", Trebuchet, Verdana, sans-serif" style="background-color: #f6f6f6; font-size: 12px; white-space: pre-wrap;">da Akande et al (2019)</span></td></tr></tbody></table><br /><div style="text-align: justify;"><i><span style="font-size: medium;">La storia della caldera dei Campi Flegrei non sarebbe la stessa senza quei due livelli impermeabili che impediscono (o, meglio, limitano molto) lo sfogo dei gas provenienti dalla camera magmatica posta a 7 – 9 km di profondità: in particolare il livello impermeabile più basso, blocca i fluidi nel sistema idrotermale posto da 3 km di profondità in giù. Mi aveva sempre incuriosito il rapporto fra i terremoti più forti del 1984 e la fine del sollevamento: adesso un interessantissimo lavoro appena uscito fornisce un elegante modello che evidenzia il ruolo-chiave ricoperto dalle fratture presenti in questo livello nel determinare la pressurizzazione e la depressurizzazione del sistema idrotermale e, a cascata, nel guidare i movimenti del suolo e l’attività sismica, mettendoli in relazione fra loro.</span></i></div><b><br /></b><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><b>DAL 1950, DIVERSI EPISODI DI SOLLEVAMENTO</b>. Dall'epoca pre-romana la caldera dei Campi Flegrei è stata tendenzialmente interessata da una lenta subsidenza di circa 1–2 cm/anno, che viene saltuariamente interrotta da episodi di sollevamento del suolo, accompagnati da diffusi fenomeni sismici di origine vulcano-tettonica (Petrosino et al, 2008), come è successo prima dell’eruzione del Monte Nuovo nel XVI secolo e a partire dal 1950, da quando quattro episodi di sollevamento hanno interrotto la subsidenza secolare. I primi tre paragonabili in durata, hanno causato un sollevamento di 74 cm nel 1950–52, 159 cm nel 1970–72 e 178 cm nel 1982–84. Nel 1970–1972 è stata osservata una scarsa attività sismica, mentre sono stati rilevati circa 16.000 terremoti nel 1982-84. Il rapido sollevamento iniziato nel giugno-luglio 1982 cominciò a diminuire dopo lo sciame sismico del 1° aprile 1984. <b>Dopo il 1984 ci sono stati vent'anni di sismicità occasionale e un abbassamento di 93 cm, ad un tasso medio 2,6 volte più veloce della subsidenza secolare. </b></span></div><span style="font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">Il sollevamento, accompagnato da una debole sismicità, è ricominciato nel 2005, ad una velocità molto più bassa che nelle fasi precedenti, ma il perdurare del fenomeno ha consentito nell'aprile 2022 l’annullamento totale della subsidenza post-1985. La sismicità persistente è tornata nel 2012-2014, in corrispondenza di un deciso aumento del tasso medio di sollevamento. Dall’inizio del 2024 se ne nota una interruzione, ma è ancora troppo presto per dire se questa sia la fine della salita o no, speriamo lo sia).</div></span></span><div><span style="font-family: helvetica;"><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhdwfuuD-vIwkghyuiDW_YL0oOiGFUz7-TaAj44KamMRCeyaFLDcZpBbFSbey-ULY6mg2EK08QJY8D9-p3lEBl7tyOA4mlLgYiCperFiuqVWhUYX3luMV7_7iqPc-0-UTJtoMTcdWdy76LfZFsLyYRcEzb7HtAHwmAHvfX8tUh_zub8Ev2ul0Eu6ueVFnE/s1920/campiflegrei-eq_22-05-1.001.jpeg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1080" data-original-width="1920" height="360" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhdwfuuD-vIwkghyuiDW_YL0oOiGFUz7-TaAj44KamMRCeyaFLDcZpBbFSbey-ULY6mg2EK08QJY8D9-p3lEBl7tyOA4mlLgYiCperFiuqVWhUYX3luMV7_7iqPc-0-UTJtoMTcdWdy76LfZFsLyYRcEzb7HtAHwmAHvfX8tUh_zub8Ev2ul0Eu6ueVFnE/w640-h360/campiflegrei-eq_22-05-1.001.jpeg" width="640" /></a></div><br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><b>IL RAPPORTO FRA DEFORMAZIONI DEL SUOLO E PRESSIONE NEL SISTEMA IDROTERMALE</b>. Sismicità e movimenti del suolo nella caldera flegrea sono guidati da cambiamenti nel sistema vulcanico-magmatico, piuttosto che dallo stress regionale esterno (Rivalta et al., 2019) e le variazioni nella deformazione e nella sua velocità, nella sismicità e nei parametri geochimici sono coerente con un’unica sequenza a lungo termine di estensione della crosta al di sopra della falda geotermica (Kilburn et al. 2023). I fluidi che tendono a risalire dalla crosta terrestre costituiscono un sistema idrotermale che è bloccato da due orizzonti a bassa permeabilità:</span></div><ul style="text-align: left;"><li style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">il più profondo si trova a 3-4 km di profondità e coincide con una zona in cui cambia la reazione allo stress da parte delle rocce, che al di sotto è asismica, mentre al di sopra un eccessivo aumento dello stress provoca delle rotture (i terremoti).</span></li><li style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">l'orizzonte più superficiale a bassa permeabilità, a circa 1,5 km di profondità separa la circolazione dei fluidi vicini alla superficie da quelli provenienti dal basso che sono riusciti a superare il “blocco” dell’orizzonte più profondo, passando per le sue fratture.</span></li></ul><span style="font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">I fluidi possono essere in parte magma (come nel 1984) o - soprattutto – gas magmatici (essenzialmente da CO2), entrambi provenienti da una camera magmatica posta a circa 7-9 km di profondità. </div><div style="text-align: justify;">Gli episodi di sismicità e sollevamento sono stati causati dall’aumento di pressione nei fluidi del sistema idrotermale, per due motivi: </div></span></span></div><div><ol style="text-align: left;"><li style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><span style="font-size: medium;">le fratture sopra il sistema idrotermale si chiudono, oppure </span></span></li><li style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><span style="font-size: medium;">aumenta la quantità di fluido proveniente dal basso</span></span></li></ol></div><div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><span style="font-size: medium;"><b>Un aumento della pressione provoca un inarcamento delle rocce soprastanti, che sua volta provoca terremoti che (ri)aprono delle fratture, lungo le quali i gas del sistema idrotermale riescono a risalire</b>: in questo modo la pressione nel sistema diminuisce e il suolo tende di nuovo a scendere dopo una fase di risalita. Insomma, la subsidenza normale della caldera viene interrotta e il suolo si solleva quando l’afflusso di fluidi dal basso non è compensato dalla loro fuoriuscita nelle fratture nel livello impermeabile sovrastante. Quindi le aperture e le chiusure delle fratture in questo orizzonte modulano il movimento del suolo e la sismicità controllando il flusso di fluidi magmatici dal basso del sistema geotermico (Fig. 10). <b>È probabile che ci siano cicli di apertura e chiusura di queste fratture, perché sono superfici di debolezza e quindi più facili a rompersi; ma una volta aperte i fluidi in transito depositano sulle loro pareti delle concrezioni e quindi le fratture tendono a richiudersi.</b></span></span></div><span style="font-family: helvetica;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">I risultati di uno studio appena uscito (Danesi et al, 2024) dimostrano che<b> il comportamento della caldera dal 1982 è coerente con un’unica risposta a lungo termine alla pressurizzazione del sistema idrotermale nel 1982-84: prima la sismicità ha fratturato l’orizzonte impermeabile sotto il sistema geotermico; in seguito le fessure si sono richiuse, diminuendo il flusso di gas magmatico e provocando la nuova fase di sollevamento a partire dal 2005. </b></span></div><br /><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiJ4r1PAtGPQ6dFYLSPvE8qy036QHuB1zqFvmSIYwPWGCDKElGWMuBAclX2bpimIW-Va0FG5LzIpiG4XswJc-liCxPr2Zb8nfnlgrpjqReK1xPo3Qufzb7fB9A48qYEPW2l4-3BNEb4j-zRga-7_jYgZQAsbvf2_o7zsQ2RHa2k7aX2XH0w2TWB85mE64c/s1920/campiflegrei-eq_22-05-1.002.jpeg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1080" data-original-width="1920" height="360" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiJ4r1PAtGPQ6dFYLSPvE8qy036QHuB1zqFvmSIYwPWGCDKElGWMuBAclX2bpimIW-Va0FG5LzIpiG4XswJc-liCxPr2Zb8nfnlgrpjqReK1xPo3Qufzb7fB9A48qYEPW2l4-3BNEb4j-zRga-7_jYgZQAsbvf2_o7zsQ2RHa2k7aX2XH0w2TWB85mE64c/w640-h360/campiflegrei-eq_22-05-1.002.jpeg" width="640" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">il rapporto fra terremoti, (ri)apertura e (ri)chiusura di fratture e movimento del terreno<br />da Danese et al (2024)</td></tr></tbody></table><br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><b>I TERREMOTI DELLA FASE ATTUALE.</b> Fra i tanti processi che possono innescare la sismicità vulcano – tettonica il più realistico è dunque rappresentato dalle variazioni di pressione nei fluidi a una profondità di ca. 3-4 km, e ai riflessi di queste variazioni sulla loro circolazione. Gli eventi sismici si verificano a una profondità inferiore a 3 km, sopra il sistema idrotermale. Danesi et al (2024) riconoscono tre cluster di sismicità spazialmente distinti:</span></div><ol style="text-align: left;"><li style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">un primo allineamento obliquo che si approfondisce da 2 km sotto Solfatara a 3 km 1,5 km a NE</span></li><li style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">un secondo gruppo sub-orizzontale a una profondità di 1,0–1,5 km tra Solfatara e Pozzuoli. </span></li><li style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">un terzo gruppo di eventi che ha iniziato a verificarsi dal 2018 nella stezza zona del primo, ma a profondità inferiori a 1 km </span></li></ol><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Gli ipocentri quindi si trovano al di sopra del sistema idrotermale, in una zona a deformazione “fragile” (cioè dove la deformazione, quando diventa eccessiva avviene per rottura).</span></div><br /></span><div><span style="font-family: helvetica;"><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiind6YLWst4nXnNwiUFJ_HEZJGM3u45bZyXbfLY8AIZ-LfIziM_G17TbTXH8fs2vdZY0JdyQq7meWGj6iXSNaGKWoE2QzB5uLPtNF04MnlUfrgqGELv-IyAr1s6wbAkZQ20-zJemS_LHJLyhA7D1GsfUeAlJl_kNFh2kPbgqrZCYRJkJ89nEaEIIHdjBg/s616/Schermata%202024-01-17%20alle%2020.05.54.png" imageanchor="1" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="422" data-original-width="616" height="274" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiind6YLWst4nXnNwiUFJ_HEZJGM3u45bZyXbfLY8AIZ-LfIziM_G17TbTXH8fs2vdZY0JdyQq7meWGj6iXSNaGKWoE2QzB5uLPtNF04MnlUfrgqGELv-IyAr1s6wbAkZQ20-zJemS_LHJLyhA7D1GsfUeAlJl_kNFh2kPbgqrZCYRJkJ89nEaEIIHdjBg/w400-h274/Schermata%202024-01-17%20alle%2020.05.54.png" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">la modifica del tasso di sollevamento e il movimento del terreno<br />tra il 1982 e il 1987 (Berrino, 1994).</td></tr></tbody></table><span style="font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><b>I CAMBIAMENTI STRUTTURALI NELLA CROSTA DAL 1982-84 E I TERREMOTI FLEGREI.</b> Il grafico qui accanto evidenzia gli spostamenti del terreno tra 1982 e 1987. Si nota il brisco cambiamento del movimento avvenuto dopo i tereemoti più forti dellas equenza, nell'aprile 1984, La base della zona sismogenica corrisponde al livello impermeabile che in mancanza di fratture non può essere attraversato dai fluidi. Insomma, questo livello sigilla il sistema idrotermale, del quale i gas, accumulandosi, aumentano la pressione.</div><div style="text-align: justify;">Abbiamo visto che quando la pressione nel sistema idrotermale raggiunge un certo valore, è quindi in grado di deformare e inarcare le rocce soprastanti, fino a quando non ce la fanno più a deformarsi e si rompono. Secondo Danese et al (2024) prima dello sciame sismico del 1 aprile 1984 il tasso di sollevamento era aumentato, accompagnato dalla sismicità nella massa sovrastante il sistema idrotermale; dopo i terremoti la velocità di sollevamento ha cominciato a diminuire e il numero di terremoti di magnitudo Md ≥ 3 è aumentato verso la Solfatara, dove è nel frattempo aumentata la percentuale di CO2 delle emissioni gassose (Chiodini et al., 2012). Per gli autori, quindi, il sollevamento si è interrotto dopo i terremoti perché la fratturazione ad essi associata ha consentito ai fluidi del sistema idrotermale a fuoriuscire nella crosta sovrastante (Fig. 3S), diminuendone di conseguenza la pressione e provocando l’inversione del movimento del suolo, con la forte subsidenza negli anni tra 1984 e 2004.</div></span><br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><b>2005: RIPRENDE IL SOLLEVAMENTO.</b> Nel primo periodo della nuova fase di sollevamento che dal 2005 si protrae fino ad oggi la sismicità è stata bassa. Danesi et al (2024) suggeriscono che la sua ripresa sia dovuta alla chiusura delle fratture apertesi nel 1984 mentre l’afflusso di gas dal profondo continua, provocando un nuovo aumento della pressione nel sistema idrotermale. Oggi l'accumulo di gas magmatico incapace di fuoriuscire è concentrato sotto la Solfatara, dove anche la tomografia sismica (una specie di TAC della crosta terrestre fatta con le onde sismiche) suggerisce una pressione molto alta.</span><span style="font-size: large;"> </span></div><span style="font-size: medium;"><br /></span></span></div><div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><span style="font-size: medium;"><b>SCENARI FUTURI.</b> Anche senza la sfera di cristallo, possiamo provare a capire cosa potrà succedere in futuro. Oltre ai tassi crescenti di sismicità di bassa magnitudo, solo dal 2019 e quindi a 14 anni dall’inizio della nuova fase di sollevamento si sono verificati dei terremoti con Magnitudo Md pari o superiore a 3, tutti a profondità comprese tra 2 e 3,5 km e con epicentri a circa 2,0–2,5 km di distanza dal centro di sollevamento. Questi terremoti hanno dimostrato come da quel momento sia stato nuovamente superato il livello critico di stress all’interno della copertura impermeabile del sistema idrotermale.</span></span><span style="font-family: helvetica; font-size: large;"> </span></div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">Il futuro dipende da dove si verificheranno le rotture e quanto queste rotture cambieranno il valore del flusso di gas dal sistema idrotermale e quindi come si comporterà la pressione al suo interno. Ipotizzando un modello di rottura simile a quello del 1984, dal <b><i><u>MIO</u></i></b> punto di vista <b>gli scenari dopo i forti terremoti dell’autunno 2023 inducono un <i>cauto ottimismo</i> e vanno da un rallentamento del sollevamento, fino ad un riposo o ad una nuova subsidenza. Questo a meno che le fratture si richiudano, nel qual caso il sollevamento ricomincerebbe, almeno fino a quando i fluidi continueranno ad entrare nel sistema idrotermale.</b> (SIA CHIARO: SI TRATTA DI UN MIO PUNTO DI VISTA E NON DI UNA PREDIZIONE! <i>ma mai come ora spero di aver avuto ragione..</i>)</div><div style="text-align: justify;"><b>Su questo si innesca poi il problema della possibilità del verificarsi di eruzioni freatiche </b>nelle vicinanze della Solfatara e di Pisciarelli (<a href="https://aldopiombino.blogspot.com/2023/10/il-punto-sulle-eruzioni-freatiche-anche.html" target="_blank">ne ho parlato qu</a>i). Tuttavia, l’emergere di sismicità nella copertura del sistema idrotermale lontano dalla Solfatara aumenta la possibilità di un maggiore rilascio di gas da parti della caldera, auspicabilmente diminuendo la possibilità di eruzioni freatiche.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Da ultimo si deve notare che un presupposto implicito negli scenari di Danese et al (2023) è che non sia cambiato in modo significativo il valore del rilascio di gas dal sistema magmatico posto a 7-9 km sotto la superficie. Uno scenario alternativo sarebbe la pressurizzazione del sistema idrotermale a causa di afflusso di nuovo magma proveniente da profondità superiori a 9 km,</div><div style="text-align: justify;">In questo caso, il cambiamento nel flusso di gas può riflettere l’avvicinamento a condizioni adatte per una rinnovata risalita del magma e un’intrusione superficiale ed un episodio di rapido sollevamento, come nel 1982-84 o, se il magma raggiunge la nuova rottura, un’eruzione vera e propria.</div><div style="text-align: justify;">Su questa possibilità sono però piuttosto scettico, perché non è stata osservata una sismicità profonda riferibile ad una risalita di magma da livelli crustali inferiori.</div></span></div><div><span style="font-family: helvetica;"><br /></span></div><div><span style="font-family: helvetica;"><br /></span></div><div style="text-align: center;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><b>BIBLIOGRAFIA</b></span></div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br /></span></div><div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><b>questo post è sostanzialmente basato su:</b></span></div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><b>Danesi et al (2024) Evolution in unrest processes at Campi Flegrei caldera as inferred from local seismicity Earth Planet. Sci. Lett. 626 (2024) 118530</b></span></div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: center;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><b>ALTRI ARTICOLI CITATI</b></span></div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br /></span></div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div>Berrino, 1994 Gravity changes induced by height-mass variations at the Campi</div><div>Flegrei caldera. J. Volcanol. Geoth. Res. 61, 293–309</div></span></div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br /></span></div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">Chiodini et al (2012) Early signals of new volcanic unrest at Campi Flegrei caldera? Insights from geochemical data and physical simulations. Geology 40, 943–946</span></div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br /></span></div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">De Martino et al (2021) The ground deformation history of the Neapolitan Volcanic Area (Campi Flegrei Caldera, Somma–Vesuvius Volcano, and Ischia Island) from 20 years of continuous GPS observations (2000–2019). Remote Sens.-Basel 13, 2725.</span></div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br /></span></div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">Kilburn et al. (2023) Potential for rupture before eruption at Campi Flegrei caldera, Southern Italy. Commun. Earth Environ. 4, 190.</span></div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br /></span></div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">Petrosino et al (2008). Recalibration of the Magnitude Scales at Campi Flegrei, Italy, on the basis of measured path and site and transfer functions recalibration of the magnitude scales at Campi Flegrei, Italy. B Seismol. Soc. Am. 98, 1964–1974</span></div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br /></span></div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">Rivalta et al (2019) Stress inversions to forecast magma pathways and eruptive vent location. Sci. Adv. 5, eaau9784</span></div></div></div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br /></span></div>Aldo Piombinohttp://www.blogger.com/profile/14315928146460343487noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-191685988918780993.post-41115769297463457732024-01-13T11:58:00.002+01:002024-01-13T13:10:05.001+01:00situazione vulcani in Islanda: possibile nuova eruzione nella penisola di Reykijanes e una allerta "minore" al Grímsvötn<div><span style="font-family: helvetica;"><br /></span></div><span style="font-family: helvetica;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Nella penisola di Reykjianes, dove dopo 7 secoli di calma è ricominciata da qualche anno una attività vulcanica che, se succede come in altri episodi analoghi, durerà parecchi anni, come <a href="https://aldopiombino.blogspot.com/2022/05/un-nuovo-dicco-basaltico-si-sta.html" target="_blank">osservai già due anni fa</a> (e per adesso siamo a 4 iniezioni dal 2020), da quel momento ci sono state già In molti nella prima metà del dicembre 2023 seguivano la situazione, quando il giorno 18, dopo una serie di terremoti e di deformazioni del terreno che hanno danneggiato anche la cittadina di Grindavik, evacuata dai suoi abitanti, è iniziata una eruzione lineare, durata fino al 21 e accompagnata da una momentanea stasi nella sismicità. L’eruzione è durata pochi giorni e l’impressione era che la montagna avesse partorito il topolino. Ma in realtà nel silenzio dei media, almeno a casa nostra, deformazioni e accumulo di magma stanno continuando. Inoltre ci sono possibilità che si risvegli anche il Grímsvötn, e questo sarebbe più preoccupante: non perché è uno dei vulcani più attivi dell’isola, ma perché è uno di quei vulcani ricoperti da ghiacciai e una eruzione potrebbe provocare una interruzione del traffico aereo intercontinentale come è successo nel 2011 con l’eruzione dell’Eyjafjallajökull.</span></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi9EqAeLabmYOCKkJWJCMAtyxNuebRd0YV1omQR6e5ZTvFvDJkEmqrMHEatGs7m1e4v_TMCoYDcko3qxm6hQJloLXk_8sZUEKxgo-iJvxyVk_MFlFBzVdqQ_fxMc9OiqGsxRsvs_-aN_yly-X0ELaEY1qQQqTc7DJnxeuydz5ciUXXKqReEoTD6oj5kqN4/s2002/Screenshot%202024-01-13%20alle%2010.24.22.png" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1246" data-original-width="2002" height="264" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi9EqAeLabmYOCKkJWJCMAtyxNuebRd0YV1omQR6e5ZTvFvDJkEmqrMHEatGs7m1e4v_TMCoYDcko3qxm6hQJloLXk_8sZUEKxgo-iJvxyVk_MFlFBzVdqQ_fxMc9OiqGsxRsvs_-aN_yly-X0ELaEY1qQQqTc7DJnxeuydz5ciUXXKqReEoTD6oj5kqN4/w424-h264/Screenshot%202024-01-13%20alle%2010.24.22.png" width="424" /></a></div><span style="font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><b>ATTIVITÀ SISMICA E ACCUMULO DI MAGMA CONTINUANO VICINO A GRINDAVIK.</b> Dalla fine di dicembre l’attività sismica rimane relativamente bassa, concentrata principalmente tra Hagafell e Stóra Skógfell, dove si trova il centro dell’intrusione.</div><div style="text-align: justify;"><b>Il trend di sollevamento del terreno nell'area di Svartsengi è relativamente stabile dall'eruzione del 18 dicembre</b>. Calcoli basati su modelli basati su misurazioni della deformazione (dati GPS a terra e InSAR satellitari) indicano che la quantità di magma accumulata nel serbatoio sotto Svartsengi ha raggiunto un livello paragonabile al volume che ha portato alla formazione del condotto magmatico e alla successiva eruzione del 18 dicembre scorso. Ciò suggerisce una probabilità di un’eruzione abbastanza elevata.</div><div style="text-align: justify;">L'immagine mostra i dati della componente verticale della stazione GPS SENG a Svartsengi: il tasso di sollevamento continua ad essere di circa 5 mm al giorno, che rispetto al 9 dicembre si trova circa 5 cm più alto rispetto a prima del 18 dicembre dell'anno scorso.</div><div style="text-align: justify;">Quindi <b>il 12 gennaio l'Ufficio meteorologico islandese ha aggiornato la mappa di valutazione del pericolo per la regione di Grindavík – Svartsengi</b>, valida fino a martedì 16 gennaio 2024, soggetta comunque a possibili variazioni, dove si evidenzia la pericolosità di una eruzione che si potrebbe verificare con poco preavviso; non è comunque escluso che ci possa essere pericolo anche oltre i confini delle aree valutate.</div><div style="text-align: justify;">In termini di codifica a colori, la valutazione complessiva delle sei zone rimane invariata rispetto alla mappa precedente. <b>Tuttavia, si registra un aumento della pericolosità associata alle fessure all'interno di Grindavík</b> (zona 4).</div></span></span><div><span style="font-family: helvetica;"><br /><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi79Zwhv4TbxnMRtvBURjQbWfp5Jo01mz2ZCBbOvPB165gzNOXs4LYT_6n2-QiNaJYzCxWjhw4Ng0NlF-kRtV7eJ0f-RMWVNbgGDDiZkXDMp_ssOm6HN1nrGiP1RnEd6BfF3EgeoeFuyCslgjSJjAeZ8U6pDX2utyIStg42zEtAWRzbY_dFp6b3JPReezM/s540/Hazard_map_IMO_12jan_2024.png" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="360" data-original-width="540" height="426" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi79Zwhv4TbxnMRtvBURjQbWfp5Jo01mz2ZCBbOvPB165gzNOXs4LYT_6n2-QiNaJYzCxWjhw4Ng0NlF-kRtV7eJ0f-RMWVNbgGDDiZkXDMp_ssOm6HN1nrGiP1RnEd6BfF3EgeoeFuyCslgjSJjAeZ8U6pDX2utyIStg42zEtAWRzbY_dFp6b3JPReezM/w640-h426/Hazard_map_IMO_12jan_2024.png" width="640" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">mappa aggiornata a venerdì 12 dicembre della pericolosità da eruzione nei dintorni di Grindavik</td></tr></tbody></table><br /><br /><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhx5BAYNcz01UhRKk2FPCKGwXdGVeDkG59yJO2AlYeTYTEKG7sLJggoL1SaNzZAxFj0xetevdl3Gohj8bk9nRw9YZhyw9WnqmbJ_EYjBGNIHo2pRHqo4BRpnuhYakELnQx-SBGBr0AbUGzyLZEUL0dphiNAvww59SPQrN4Vo8jY93vVm1Ygg1GdO-d9brE/s1479/volcano_status.png" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1023" data-original-width="1479" height="276" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhx5BAYNcz01UhRKk2FPCKGwXdGVeDkG59yJO2AlYeTYTEKG7sLJggoL1SaNzZAxFj0xetevdl3Gohj8bk9nRw9YZhyw9WnqmbJ_EYjBGNIHo2pRHqo4BRpnuhYakELnQx-SBGBr0AbUGzyLZEUL0dphiNAvww59SPQrN4Vo8jY93vVm1Ygg1GdO-d9brE/w400-h276/volcano_status.png" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">i colori dei vulcani secondo il codice dell'aviazione<br />aggiornamento 13 gennaio ore 09.00 GMT</td></tr></tbody></table><span style="font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><b>GRÍMSVÖTN</b>. Il Grímsvötn si trova nella parte meridionale della fascia vulcanica che contraddistingue nell’Islanda occidentale il limite divergente fra Nordamerica ed Eurasia, dove troviamo alcuni dei vulcani più importanti dell’isola, come Katla, Askjia, Katla e due protagonisti di eruzioni recenti come Bardarbunga ed Eyjafjallajökull. <b>Questi vulcani, diversamente da quelli della penisola di Reykjianes si trovano sotto dei ghiacciai. Ce ne accorgemmo tutti del problema durante l’eruzione dell’Eyjafjallajökull che bloccò il traffico areo per le polveri mischiate al ghiaccio evaporato.</b> Nel 2014 andò bene perché anziché dal cono sotto al ghiacciaio, il magma del Bardarbunga si incuneò in una frattura e sgorgò in superficie al di fuori dell’area ghiacciata (ho scritto diversi post su quella eruzione, <a href="https://aldopiombino.blogspot.com/2015/07/le-emissioni-gassose-delleruzione-del.html" target="_blank">per esempio qui</a>).</div><div style="text-align: justify;">Il <b>Bardarbunga</b> ha in questi anni una certa attività sismica e un leggero sollevamento, ma proprio in questi giorni è tornato alla ribalta il suo vicino Grímsvötn. Si tratta di uno dei vulcani più attivi dell’Islanda (referenza già “<i>di lusso</i>” di suo), ma soprattutto è l’apparato che ha generato la <b>grande eruzione del Laki del 1783</b>, e questa seconda è una altra <a href="https://aldopiombino.blogspot.com/2015/01/limpossibile-raffronto-fra-leruzione.html" target="_blank">referenza non da poco</a>.</div><div style="text-align: justify;"><b>Giovedì 11 gennaio il servizio meteorologico islandese ha dichiarato che lo sta monitorando da vicino perché si sono verificati quasi contemporaneamente un terremoto di magnitudo 4.3 e uno <i>jokulhlaup</i> proveniente dal Vatnajökull</b>, il ghiaccaio sotto il quale si trovano il Bardarbunga e anche, appunto, appunto il Grímsvötn. Uno <i>jokulhlaup</i> è una inondazione dovuta ad un improvviso scioglimento di una parte di un ghiacciaio dovuta ad una eruzione o ad un afflusso anomalo di fluidi caldi dal vulcano sottostante. </div><div style="text-align: justify;"><b>Il Grímsvötn si trova ora in un periodo di maggiore attività</b>, che in genere dura tra i 60 e gli 80 anni. L'ultima eruzione è avvenuta nel 2011, ha avuto effetti minori di quella dell’ Eyjafjallajökull dell’anno precedente ma le emissioni di polveri miste al ghiaccio del Vatnajökull hanno costretto a cancellare circa 900 voli.</div><div style="text-align: justify;"><b>A questo punto le autorità hanno alzato il livello di allerta per il Grímsvötn a "<i>giallo</i>",</b> che in questo caso significa “<i>il vulcano sta riscontrando segni di attività maggiori del suo livello di fondo conosciuto</i>”, avvisando quindi l’aviazione mondiale della possibilità di una eruzione e, nel caso specifico, della possibile presenza di ceneri in quota. </div><div style="text-align: justify;">Ora, come una rondine non fa primavera, uno jokulhlaup non fa una eruzione (e non è stato poi un evento di grandissime dimensioni), ma la coincidenza fra il periodo di attività sismica maggiore del normale sotto il vulcano, il forte terremoto e lo <i>jokulhlaup</i> è un sintomo del fatto che una eruzione possa accadere davvero.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div></span></span></div>Aldo Piombinohttp://www.blogger.com/profile/14315928146460343487noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-191685988918780993.post-69704031674265139362024-01-10T11:29:00.001+01:002024-01-10T11:29:30.940+01:00le scie di condensazione degli aerei: cosa provocano e come ridurle<br /><div style="text-align: justify;"><i style="font-family: helvetica;">I</i><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><i>n molti casi l’impatto climatico si estende oltre le emissioni di CO2 e comprende anche quelli che, appunto, sono noti come </i><b>effetti non legati al CO2</b><i>. Il trasporto aereo non sfugge a questa regola; anzi, ne è particolarmente coinvolto: da un lato gli aerei emettono sostanze inquinanti ad altitudini dove il loro impatto è diverso dalle emissioni a terra e per questo possono influenzare in modo significativo il clima; dall'altro le scie di condensazione e i cirri di condensazione (che non sono direttamente emissioni di gas-serra) svolgono un ruolo fondamentale in quanto possono debolmente riscaldare o raffreddare l'atmosfera. L’entità del loro impatto climatico dipende da vari fattori, tra cui posizione geografica, altitudine, tempi di emissione, posizionamento solare e condizioni meteorologiche (per non parlare dell’aspetto estetico, che alle volte è decisamente impattante). Uno studio sperimentale ha dimostrato come si possa diminuire almeno il problema delle scie di condensazione semplicemente cambiando le quote di volo.</i></span></div><span style="font-family: helvetica;"><br /><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjFISGoVXL6BR7hbL7S38u0p28DPxEnC4xrGDF8zA3yQgWxGGehKCBpld8dPiwJYK_bnJx9jk_9jYybJ3Ls-_1d4vpW0ym7DseUscSpIhcXRD1gZss3jktGF4evWOOKjJXWWP75y9Zpp6CY3Bb2bWqteLjojpjuFlQ3BNb4BXnnT8fOH2c8caB2PZSMAYw/s1226/Schermata%202024-01-10%20alle%2010.06.33.png" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="742" data-original-width="1226" height="388" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjFISGoVXL6BR7hbL7S38u0p28DPxEnC4xrGDF8zA3yQgWxGGehKCBpld8dPiwJYK_bnJx9jk_9jYybJ3Ls-_1d4vpW0ym7DseUscSpIhcXRD1gZss3jktGF4evWOOKjJXWWP75y9Zpp6CY3Bb2bWqteLjojpjuFlQ3BNb4BXnnT8fOH2c8caB2PZSMAYw/w640-h388/Schermata%202024-01-10%20alle%2010.06.33.png" width="640" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">gli effetti sul clima della navigazione aerea da Lee et al, 2020)</td></tr></tbody></table><br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><b>LE SCIE CHIMICHE, UNO DEI PIÙ FAMOSI COMPLOTTI</b>. Le scie di condensazione degli aerei sono da anni al centro di una delle più celebri bufale che circolano sul WEB e non sono pochi quelli secondo i quali gli aerei avrebbero speciali serbatoi per spargere dei veleni. In passato sono stato ripetutamente minacciato dai più esagitati fra coloro che credono a questa fesseria. Una volta quelle che chiamano <i><b>scie chimiche</b></i> (e io e qualcun altro “<b><i>scie comiche</i></b>”) sarebbero state un mezzo per diminuire la popolazione mondiale. Ora anche buona parte dei complottardi (compresi quelli con pochi neuroni) si sono accorti che dati i risultati (la popolazione non è diminuita…) questo sarebbe il complotto più costoso e peggio riuscito della storia. Quindi da anni c’è stata una modifica importante: le scie comiche servirebbero (sempre a non meglio specificate <i>elites</i>), a creare deliberatamente disastri come alluvioni o – alternativamente – siccità (insomma piove per colpa delle scie chimiche o non piove per colpa delle scie chimiche); per qualcuno persino provocano terremoti, in genere in collaborazione con il terribilissimo HAARP (che non sarebbe spento come asseriscono le fonti ufficiali). Attualmente registriamo un nuovo obbiettivo: siccome la stragrande maggioranza degli aderenti al complotto sono anche negazionisti del ruolo del CO2 nei cambiamenti climatici, adesso sostengono che lo scopo delle scie chimiche sia proprio quello di provocare il riscaldamento globale (anche se non sono riusciti a farmi capire quale sia l’interesse delle <i>elites</i> a provocarlo).</span></div><br /><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjn35fRJPZrEmySHJz28Y3q5wIosJY7abz4gje-mdYBBu0q_4TPeJVhqwO8qi6T06tU1hUGLwlnCFLTtlOhWhIa3lHh1aKZpwFRyfQVFeoeZAJqna4dsZKOpWQ4xzv731N9VeM_T4aTXBgDeIZ9A-iQHh6Qk_iEjajrEVeCN3dKrCdQS7qEfpS0Nr_FPBk/s162/images.jpeg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="122" data-original-width="162" height="482" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjn35fRJPZrEmySHJz28Y3q5wIosJY7abz4gje-mdYBBu0q_4TPeJVhqwO8qi6T06tU1hUGLwlnCFLTtlOhWhIa3lHh1aKZpwFRyfQVFeoeZAJqna4dsZKOpWQ4xzv731N9VeM_T4aTXBgDeIZ9A-iQHh6Qk_iEjajrEVeCN3dKrCdQS7qEfpS0Nr_FPBk/w640-h482/images.jpeg" width="640" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"></td></tr></tbody></table><span style="font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><b>EFFETTI DELLE SCIE DI CONDENSAZIONE</b>. Al di là dell’inquinamento atmosferico provocato dalle emissioni degli aerei, le scie di condensazione, oltre ad essere esteticamente discutibili, presentano alcuni problemi dal punto di vista climatico e di inquinamento (specialmente visivo), per le conseguenze sulle temperature della loro formazione. Potrà sembrare strano ma il totale di tutti gli effetti aeronautici è circa il 3,5% del totale antropogenico e l’impatto della somma degli effetti non legati alla CO2 è circa 2 volte più grande del riscaldamento indotto dalla CO2. In termini sia di forzatura radiativa (RF) che di forzatura radiativa effettiva (ERF), il contributo maggiore deriva proprio dalle scie di condensazione persistenti e dai cirri che si formano quando queste si allargano e questo anche se per alcuni Autori il problema riguarda solo circa l’1–2% del totale delle percorrenze (Gierens 2018).</div></span><br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><b>DIMINUIRE LA QUANTITÀ DI SCIE DI CONDENSAZIONE</b>. Il Centro aerospaziale tedesco (DLR) e il Centro di controllo dell’area superiore di Maastricht (MUAC) EUROCONTROL hanno collaborato a una ricerca innovativa che potrebbe portare a una significativa riduzione delle scie di condensazione e quindi dell’impatto climatico dell’aviazione. Un gruppo di ricerca guidato da Robert Sausen del DLR e Rudiger Ehrmanntraut del MUAC, ha approfittato della contrazione significativa del traffico aereo durante la pandemia che ha permesso un interessante esperimento nell’area dello spazio aereo sopra la Germania nordoccidentale e i paesi del Benelux. I risultati del lavoro sono riassunti in un articolo uscito di recente (Sausen et al, 2023). </span></div><span style="font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">Le premesse dello studio erano che: </div></span></span><div><ul style="text-align: left;"><li style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><span style="font-size: medium;">la contrazione del traffico consentiva agli aerei una maggiore libertà di cambiare quota </span></span></li><li style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><span style="font-size: medium;">i modelli meteorologici sono in grado di indicare le quote alle quali le condizioni meteo forniscono la possibilità di formare scie di lunga durata.</span></span></li></ul></div><div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><span style="font-size: medium;">Quindi i ricercatori hanno seguito due protocolli diversi, a giorni alterni:</span></span></div><div><ul style="text-align: left;"><li style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><span style="font-size: medium;">nel primo i voli venivano reindirizzati più in alto o più in basso di 2000 piedi (circa 660 metri) cercando di evitare quindi la quota di formazione delle scie di condensazione.</span></span></li><li style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><span style="font-size: medium;">nel secondo i voli restavano alle quote normalmente prefissate</span></span></li></ul><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><b>I ricercatori hanno poi utilizzato le immagini satellitari per valutare la presenza di scie di lunga durata. Come sperato, nei giorni in cui alle rotte venivano imposti dei cambi di quota per evitare il fenomeno, le scie di lunga durata si verificavano meno frequentemente, dimostrandio come basti una lieve modifica dell'altitudine di volo per prevenire efficacemente la formazione di scie di condensazione di lunga durata.</b></div><div style="text-align: justify;">Si è quindi trovata la possibilità per mitigare una significativa perte dell’impatto climatico dell’aviazione tramite una ottimizzazione delle quote delle rotte. </div><br /><div style="text-align: justify;"><b>LA NON FACILE APPLICAZIONE DELLO STUDIO.</b> Per implementare con successo traiettorie di volo ottimizzate per il clima è necessario soddisfare diversi prerequisiti:</div><ul style="text-align: left;"><li style="text-align: justify;">dal punto di vista scientifico i servizi meteorologici devono prevedere accuratamente l’impatto climatico dei singoli voli per garantire che il reindirizzamento del traffico aereo porti a una reale riduzione dell’impatto climatico.</li><li style="text-align: justify;">dal punto di vista della navigazione aerea, l’applicazione del metodo non deve portare a limiti e ritardi nella capacità dello spazio aereo più di quelli cronici di adesso (era troppo facile modificare le rotte in quel periodo di traffico aereo molto scarso)</li></ul><i><div style="text-align: justify;"><i>in definitiva, i complottardi saranno soddisfatti di sapere che le scie di condensazione sono fra le forzanti del riscaldamento antropico, ma difficilmente ammetteranno che rappresentino una parte poco significativa del problema e chissà come ci rimarranno male sapendo che gli scienziati vogliono cercare di evitare la formazione delle scie di condensazione….</i></div></i></span><div><span style="font-family: helvetica;"><br /></span></div><div><div style="text-align: center;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><b>BIBLIOGRAFIA</b></span></div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br /></span></div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">Gierens 2018. Statistics of potential radiative forcing of per- sistent contrails – Presentation at the “Contrail Avoidance Group” of the Greener by Design Initiative of the Royal Aeronautical Society. https://elib.dlr.de/148570/</span></div><div><span style="font-family: helvetica;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></span></div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">Lee et al 2021. The contribution of global aviation to anthropogenic climate forcing for 2000 to 2018. Atmospheric Environment 244 (2021) 117834</span></div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br /></span></div><div><span style="font-family: helvetica;"><span style="font-size: medium;">Sausen et al 2023. Can we successfully avoid persistent contrails by small altitude adjustments of flights in the real world? BMeteorol. Z. (Contrib. Atm. Sci.) DOI 10.1127/metz/2023/1157</span></span></div></div></div></div>Aldo Piombinohttp://www.blogger.com/profile/14315928146460343487noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-191685988918780993.post-29923776281891173032024-01-01T18:37:00.001+01:002024-01-02T08:11:38.086+01:00Il terremoto della penisola di Noto in Giappone del 1° gennaio 2024<br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiuWVOtCEpM9dYpFbGGd2l_QfMvaS-MiACKgx-vWEgCdCKyaHfqKZVDPAvT4uKGvMuhpT9-6TGjHUDjLK4z_hbMTCz02yzQmVdCJccG58qX2WnXEyG9LUPMs71t1v4vXJiOVWpEj8xWJCo9Lv_rFRrPE4ux71sH1jZAb84qLLSnnvqv3OsB1IzgV4ZCrcU/s620/repliche.png" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="620" data-original-width="608" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiuWVOtCEpM9dYpFbGGd2l_QfMvaS-MiACKgx-vWEgCdCKyaHfqKZVDPAvT4uKGvMuhpT9-6TGjHUDjLK4z_hbMTCz02yzQmVdCJccG58qX2WnXEyG9LUPMs71t1v4vXJiOVWpEj8xWJCo9Lv_rFRrPE4ux71sH1jZAb84qLLSnnvqv3OsB1IzgV4ZCrcU/w393-h400/repliche.png" width="393" /></a></div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">Questa mattina 1 gennaio (in Italia, in Giappone era pomeriggio) nella penisola di Noto, lungo la costa occidentale di Honshu, un evento per USGS di M 5.8 ha preceduto di 4 minuti più o meno nella stessa posizione una fortissima scossa di M 7.5, a cui è seguita 8 minuti dopo una replica di M 6.2 una ventina di km a SW dell’epicentro della scossa principale. </div><div style="text-align: justify;"><b>ALLERTA TSUNAMI</b>. Il terremoto ha provocato una allerta tsunami in Giappone, Corea e costa russa orientale. Senza il contributo di una frana sottomarina difficilmente con una Magnitudo del genere si può avere uno tsunami importante ed in effetti dove sono arrivate queste onde l’altezza non ha ecceduto il metro. Il fatto che alle 17.00 italiane (e quindi a 10 ore di distanza dall’evento principale) l’allerta tsunami non sia stato ancora tolta è significativo del fatto che ci sia la possibilità dell’innesco di frane sottomarine da parte di una replica piuttosto forte, lil che non è certo impossibile.</div><div style="text-align: justify;"><b>I DANNI</b>. Si registrano danni diffusi per crolli ed incendi e anche qualche decina di vittime. Sono documentati anche effetti cosismici come fratture nel terreno diffuse in varie parti della penisola. </div><div style="text-align: justify;">Diciamo che tutto sommato data la bassa profondità e la magnitudo le cose sono andate bene visto che è stato raggiunto il IX grado MCS e che l'area è soggetta potenzialmente a liquefazioni cosismiche, ma questo perché è successo in Giappone, dove la prevenzione in fatto di terremoti è elevata: nel resto del mondo il rischio di una strage sarebbe stato elevato.</div></span><div><br /><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg4xcv7uUP3oHslQQhjf2I45SNgsfBUlIuaI_kYSRPBHqU2V1KbwwJFF80m-ECI9_fbGXSH0XBM_19ASVycBEaUTJRTsfzquBuYeumaxPa6yCmudlhJ1bh18UxemsWJn31p76EB0kj7veBuSfCSfMTCQ_mCKd8CLQdFo1NFWk5bhg-8Sru7p6pMHfynUxc/s960/Schermata%202024-01-01%20alle%2018.16.34.png" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="437" data-original-width="960" height="290" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg4xcv7uUP3oHslQQhjf2I45SNgsfBUlIuaI_kYSRPBHqU2V1KbwwJFF80m-ECI9_fbGXSH0XBM_19ASVycBEaUTJRTsfzquBuYeumaxPa6yCmudlhJ1bh18UxemsWJn31p76EB0kj7veBuSfCSfMTCQ_mCKd8CLQdFo1NFWk5bhg-8Sru7p6pMHfynUxc/w640-h290/Schermata%202024-01-01%20alle%2018.16.34.png" width="640" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">il quadro aggiornato alle 17.00 UTC. Aggiornamenti a <a href="https://earthquake.usgs.gov/earthquakes/eventpage/us6000m0xl/executive" target="_blank">questo link</a></td></tr></tbody></table><br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><b>QUADRO TETTONICO</b>. Il Giappone è una regione notoriamente attiva dal punto di vista sismico. La maggior parte dei terremoti (come quelli del 2011) si verifica a largo della costa orientale, dove la placca del Pacifico subduce sotto l’arcipelago e dove il quadro tettonico è intuitivo. Ed in effetti la localizzazione “<i>a Est della costa orientale dell’isola di Honshu</i>” è fra le più “gettonate” nei database sismici mondiali.</span></div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><b>Il terremoto di oggi si è verificato invece sulla costa occidentale dell’isola di Honshu, lungo la penisola di Noto</b>. È una regione dove la sismicità ha una frequenza minore rispetto alla zona di subduzione lungo la costa orientale, ma tuttavia è tutt’altro che tranquilla: non solo si verificano decine di terremoti a oltre 100 km di profondità in corrispondenza del piano di subduzione che dalla costa pacifica scende sotto l’Asia, ma entro 250 km dall’evento abbiamo anche una discreta attività superficiale: si sono verificati dal 1 gennaio del 1900 ben 30 terremoti di magnitudo 6 o superiore, e a circa 200 km dall’epicentro di oggi il 16 aprile 1964, si è verificato il terremoto M 7.6 di Niigata, noto per le liquefazioni del terreno che inclinarono alcuni edifici. </div></span><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhS1nZ-YP8YMYUvvpleG61wyOVs3s64DC_3ZP7cjleABtkKvDxDjb73FWuTV5Kjd0jojAD4g_oqs-f7qUn6RQO0VlKtDW165s5rlwJW-91ZwXyZasZWLeEbNppCgiacZdhwBT1GHiO4Q3J30WnEvBhQuLCjAXVedcUPs3LD2q3d4oojxJqF5W4iElWnAEo/s1920/notoquake.jpeg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1080" data-original-width="1920" height="358" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhS1nZ-YP8YMYUvvpleG61wyOVs3s64DC_3ZP7cjleABtkKvDxDjb73FWuTV5Kjd0jojAD4g_oqs-f7qUn6RQO0VlKtDW165s5rlwJW-91ZwXyZasZWLeEbNppCgiacZdhwBT1GHiO4Q3J30WnEvBhQuLCjAXVedcUPs3LD2q3d4oojxJqF5W4iElWnAEo/w640-h358/notoquake.jpeg" width="640" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">nella elaborazione da SUBMAP si vedono il piano di subduzione e il cluster di sismicità superficiale sotto la penisola di Noto<br />I triangoli rossi sono i vulcani, compreso il Paektu, al confine fra Cina e Corea del Nord</td></tr></tbody></table><br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><b>LA SISMICITÀ RECENTE DELLA PENISOLA DI NOTO</b>. Venendo specificamente alla penisola di Noto, solo pochi mesi fa, il 5 maggio 2023, un sisma di magnitudo 6.2 con epicentro in mare a meno di 10 km a NE dell’epicentro di oggi ha provocato una vittima e danneggiato centinaia di edifici. Invece il terremoto M 6.9 del 25 marzo 2007, si è verificato sempre in mare ma dalla parte opposta della penisola, provocando ampie deformazioni cosismiche.</span></div></div><div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">La sismicità della costa occidentale di Honshu deriva comunque dallo stesso quadro tettonico: in quest’area i movimenti delle placche provocano una compressione che induce movimenti su faglie inverse poco profonde. </span></div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">Da notare qui sotto la distribuzione della deformazione cosismica che presenta un “buco” all’interno. Io ipotizzo (ho detto potizzo, non che sia davvero così) che la parte con meno slip interna al segmento potrebbe essere quella interessata dal recente terremoto M 6.2 del 5 maggio 2023.</div></span></div><div><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhVN-tGl_u7c60_uPqJrcRzr9FBRs2L4z40LcaZlDgHqJPwtb72qTceAOAt7YufZ-0W9C9nOhd2dcEYZIdopZZAv-XaNsUAKebJ2v-Fd10qTrg9gCFWd2UXp52iwfeKdESvwni04HSc3u9Qeza_6kj999ThyX59C-Y8maIYfZd2rR1DDkXL73W8NUIQOXc/s1920/japan.001.jpeg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1080" data-original-width="1920" height="360" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhVN-tGl_u7c60_uPqJrcRzr9FBRs2L4z40LcaZlDgHqJPwtb72qTceAOAt7YufZ-0W9C9nOhd2dcEYZIdopZZAv-XaNsUAKebJ2v-Fd10qTrg9gCFWd2UXp52iwfeKdESvwni04HSc3u9Qeza_6kj999ThyX59C-Y8maIYfZd2rR1DDkXL73W8NUIQOXc/w640-h360/japan.001.jpeg" width="640" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">La deformazone associata al terremoto secondo USGS</td></tr></tbody></table> </div><div><br /></div><div><br /></div>Aldo Piombinohttp://www.blogger.com/profile/14315928146460343487noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-191685988918780993.post-4261357330311609072023-12-19T09:52:00.000+01:002023-12-19T09:52:14.452+01:00la nuova eruzione iniziata nella penisola di Reykjanes la sera del 18 dicembre 2023<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgWrnERgW3pFSMFCb8LqxVSOAvHSNK5Svzw0iMV0Be_2pmMtlgoNRk-K2B9iCxVXG_aIhbH0VCBcYDjE4LL9EWSEYg9augufeCQvoEgiYLMc6EkLNTxBvNv43wuzCFNogf6mgwb5PDvC_Vo3_Z6B8N79kxxpd-aq7zzoHn757R0eFspImhAth6ToIrd_y0/s540/Valin-mynd--3-.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="304" data-original-width="540" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgWrnERgW3pFSMFCb8LqxVSOAvHSNK5Svzw0iMV0Be_2pmMtlgoNRk-K2B9iCxVXG_aIhbH0VCBcYDjE4LL9EWSEYg9augufeCQvoEgiYLMc6EkLNTxBvNv43wuzCFNogf6mgwb5PDvC_Vo3_Z6B8N79kxxpd-aq7zzoHn757R0eFspImhAth6ToIrd_y0/w400-h225/Valin-mynd--3-.jpg" width="400" /></a></div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">Niels Bohr diceva che "<i>è difficile fare delle previsioni, specialmente per il futuro</i>". Quanto sta succedendo nei dintorni di Grindavik, nella penisola di Reykjanes è una applicazione pratica in senso vulcanologico di questo detto: dopo che nella seconda metà di novembre l’eruzione sembrava sempre più prossima, nella prima metà di dicembre le possibilità di un evento erano fortemente diminuite. Poi, all’improvviso, il 18 dicembre alle 22.17 il magma ha iniziato a fuoriuscire da una frattura lunga circa 4 km. L'eruzione si trova vicino a Sundhnúkagígar, circa quattro chilometri a nord-est di Grindavík. L'eruzione è stata preceduta da uno sciame sismico iniziato alle ore 21:00.</div></span><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Secondo <a href="https://en.vedur.is/about-imo/news/a-seismic-swarm-started-north-of-grindavik-last-night" target="_blank">il comunicato delle ore 2.00 italiane di stanotte</a> 19 dicembre del servizio meteorologico islandese (che svolge anche la funzione di sorveglianza sismica e vulcanica, dato che il servizio geologico nazionale si occupa soprattutto di geotermia e impatti ambientali) questa notte la sismicità e le misure GPS indicano che l'intensità dell'eruzione vulcanica, iniziata circa alle 22.00 in Italia della sera del 18 dicembre, sta diminuendo. Ma questo non indica una conclusione dell'eruzione, ma piuttosto che la fuoriuscita di magma sta raggiungendo uno stato di equilibrio. Questo sviluppo è stato osservato all'inizio di tutte le eruzioni nella penisola di Reykjanes negli ultimi anni. La fessura eruttiva è lunga circa 4 km, con l'estremità settentrionale appena ad est di Stóra-Skógfell e l'estremità meridionale appena ad est di Sundhnúk. La distanza dall'estremità meridionale fino all’estremità NE di Grindavík è di quasi 3 km. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Avevo già descritto la situazione un mese fa <a href="https://aldopiombino.blogspot.com/2023/11/la-corrente-situazione-in-islanda-alla.html">(il 15 novembre</a>) quando la deformazione era estremamente intensa ed il magma era a poche centinaia di metri dalla superficie: il servizio meteo islandese forniva tutti i giorni nuovi aggiornamenti indicando nella homepage che l’eruzione fosse estremamente probabile. Poi le cose si sono relativamente calmate e l’avvertimento è scomparso dalla sua homepage.</div></span><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjbq74-hWtMlIkjDM54e0yDOzUgHpSMhRXvYinTv20ysX9Frsztz7K4dOULcOvfG-z7YHL0evff_oCZsXyNXACTrvYZn3vJqMv6LxcIFTmcWkXzEBWVO4ov1vyc2ULmmNO2u_NdSRIVEjjDrNrnolCVwQYKW4UnvvSkz2wFTvwgw-PzogF3_uCWN9DZB6s/s2882/Screenshot%202023-12-19%20alle%2009.39.34.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1494" data-original-width="2882" height="332" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjbq74-hWtMlIkjDM54e0yDOzUgHpSMhRXvYinTv20ysX9Frsztz7K4dOULcOvfG-z7YHL0evff_oCZsXyNXACTrvYZn3vJqMv6LxcIFTmcWkXzEBWVO4ov1vyc2ULmmNO2u_NdSRIVEjjDrNrnolCVwQYKW4UnvvSkz2wFTvwgw-PzogF3_uCWN9DZB6s/w640-h332/Screenshot%202023-12-19%20alle%2009.39.34.png" width="640" /></a></div><br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><span style="font-size: medium;"><b>Il 6 dicembre</b> venne comunicato che in base alla modellazione geodetica l’afflusso di magma era probabilmente cessato. Quindi la possibilità di un'eruzione era notevolmente diminuita ma tuttavia il futuro avrebbe potuto riservare evoluzioni improvvise. E difatti nella immagine a sinistra si vede la carta pubblicata contestualmente al comunicato, valida fino al 20 dicembre della probabilità di una eruzione, dove ho indicato in rosso l’area interessata da ieri sera dall’eruzione. In ogni caso l’avvertenza era che “<i>le condizioni all'interno e all'esterno delle zone di pericolo delimitate possono cambiare con poco preavviso</i>” (come dovevasi dimostrare...). Da quel momento comunque era scomparsa dallla homepage del servizio meteorologico l’avviso sulla probabilità di una eruzione. Nell’immagine a destra invece si vede la zona interessata effettivamente dall’eruzione.</span></span></div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">E arriviamo dopo una settimana di silenzio al <b>comunicato del 13 dicembre</b>, in cui si riportava che che il sollevamento nell'area intorno a Svartsengi stava continuando, ritenendo che il luogo più probabile per una potenziale eruzione in queste condizioni fosse più o meno quello dove poi effettivamente è avvenuta. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b>Il 15 dicembre</b> nella zona interessata dall’intrusione magmatica continuava una sismicità generalmente debole, concentrata soprattutto nei pressi di Hagafell (contraddistinta da una stella rossa). Tra il 12 e il 15 sono stati registrati 460 terremoti, di cui 30 superiori a M 1.0. Il terremoto più forte in questo periodo è stato di magnitudo 2.8 vicino a Hagafell martedì mattina. Invece i dati provenienti dalle stazioni GPS e dalle immagini radar satellitari mostravano che il sollevamento intorno a Svartsengi stava comunque continuando (stella verde). Si segnalava inoltre che il magma continuava ad accumularsi e che continuava la possibilità di una eruzione o della formazione di nuove fratture che il magma avrebbe riempito.</div><div style="text-align: justify;"><b>Il 16 dicembre</b> viene comunicato che negli ultimi giorni il tasso di deformazione era leggermente diminuito, ma anche che era troppo presto per dire che l’accumulo di magma si fosse fermato e che Il 20 (domani…) sarebbe stata emessa una nuova carta in sostituzione di quella del 6. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Ovviamente gli eventi hanno superato questa notizia.</div></span><p></p><p><br /></p><p><br /></p>Aldo Piombinohttp://www.blogger.com/profile/14315928146460343487noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-191685988918780993.post-23605701256127551462023-12-12T10:50:00.000+01:002023-12-12T10:50:08.484+01:00i probabili rapporti fra gli episodi di "Terra a Palla di neve" del Criogeniano e l'evoluzione della vita sulla Terra<div><br /></div><div><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgr2x_2tnW7ebr3NZ_C7xsguvrtvmIDhLVmJM21Vw07NUZB4HnKStKWo_iAGhRAVQ1Hsg8SMRyhDXJvfEEoQLLdRB3U90exSsX72tqQAvhRMKHT_JPTDm38ItGdIccfJdkDmqwbkJ4yx7THZ1hAdi5nx82xXDpC8ZN4Zk1TqrYrby2ZiyOpovSmUIlCyTM/s648/700%20snowball%20li%20et%20al%202010%20marinoan%20and%20sturtian%20.png" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="576" data-original-width="648" height="409" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgr2x_2tnW7ebr3NZ_C7xsguvrtvmIDhLVmJM21Vw07NUZB4HnKStKWo_iAGhRAVQ1Hsg8SMRyhDXJvfEEoQLLdRB3U90exSsX72tqQAvhRMKHT_JPTDm38ItGdIccfJdkDmqwbkJ4yx7THZ1hAdi5nx82xXDpC8ZN4Zk1TqrYrby2ZiyOpovSmUIlCyTM/w461-h409/700%20snowball%20li%20et%20al%202010%20marinoan%20and%20sturtian%20.png" width="461" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="font-family: helvetica;">La Terra nel Criogeniano: le glaciazioni <br />erano presenti anche a latitudini tropicali (Li et al, 2008)</span></td></tr></tbody></table><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><i>Il Criogeniano è un periodo fondamentale della storia della Terra, in quanto vi si trovano due episodi di Snowball-Earth (la Terra a palla di neve) che sono stati probabilmente innescati da un ulteriore calo del tenore di CO2 atmosferico. Se durante queste glaciazioni globali si è verificata una drammatica erosione dei continenti, che avrebbe provocato la "grande discordanza" (<a href="https://aldopiombino.blogspot.com/2019/01/la-grande-discordanza-della-fine-del.html" target="_blank">ne ho parlato qui</a>), il post-glaciazione è stato teatro di una accelerazione dei processi biologici che ha portato alla ribalta Animalia. Tutto questo non si vede da tracce fossili convenzionali, ma da fossili molecolari, in particolare steroli e sterani e suggerisce pure un cambiamento fondamentale nel modo di nutrirsi alla base - appunto - della emersione di Animalia.</i></div></span></div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br /></span></div><div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><span style="font-size: medium;"><b>Gli episodi di <i>Snowball Earth</i> (Terra – Palla di neve) del criogeniano, il secondo periodo dell’era neoproterozoica, tra 720 e 635 milioni di anni fa sono più o meno contemporanei alla espansione delle prime forme di vita riferibili ad <i>Animalia</i>. </b>Purtroppo non è che quel periodo abbondi di testimonianze fossili, ma per fortuna con le nuove tecnologie è possibile recuperare dai pochi sedimenti dell’epoca tracce chimiche di vita, i cosiddetti <b>fossili molecolari</b>.</span></span></div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">Al giorno d'oggi, la maggior parte degli animali utilizza i colesterolo - steroli con 27 atomi di carbonio (C27) nelle loro membrane cellulari. Funghi e piante invece utilizzano fitosteroli (i funghi tipicamente steroli C28, mentre le piante e le alghe verdi steroli C29)</div><div style="text-align: justify;">Il tutto ha portato ad ipotizzare che gli antichi sterani C27 abbiano avuto origine dal colesterolo, il principale sterolo prodotto dalle alghe rosse e dagli animali viventi, mentre gli sterani C28 e C29 deriverebbero dagli steroli di funghi preistorici, alghe verdi e altri eucarioti microbici.</div><br /><div style="text-align: justify;"><b>I FOSSILI MOLECOLARI</b>. <b>I lipidi possono sopravvivere nelle rocce per centinaia di milioni di anni e quindi si possono definire <i>fossili molecolari</i></b>, ed è proprio grazie allo studi dei lipidi che i paleontologi riescono a ricavare degli indizi sulla vita di quei tempi lontanissimi, anche se – ovviamente – senza fossili reali è difficile dire molto sugli animali o sulle piante da cui provengono questi steroli. Le prime tracce di lipidi sterolici, che provengono dalle membrane cellulari, sono state trovate in rocce di 1,6 miliardi di anni fa, nella Barney Creek Formation, in Australia Settentrionale (Brooks et al, 2008). </div><div style="text-align: justify;">Sempre Brooks et al (2010) hanno evidenziato steroli C27, quindi quelli legati ad<i> Animalia</i>, in rocce di 850 milioni di anni (quindi nel Toniano, il primo periodo del Neoproterozoico), mentre tracce di C28 e C29 compaiono circa 200 milioni di anni dopo (il che per vari versi mi pare controintuitivo, in futuro cercherò di capire il perché). Si ritiene che ciò rifletta la crescente diversità della vita in tutto il Neoproterozoico. In seguito lo stesso gruppo (Brooks et al, 2017) attraverso lo studio di una documentazione fossile molecolare di steroidi eucariotici ha dimostrato che i batteri erano gli unici produttori primari degni di nota negli oceani prima del Criogeniano (720-635 milioni di anni fa). </div></span></div><div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><span style="font-size: medium;"><b>L’aumento della diversità e dell’abbondanza di steroidi segna il rapido aumento delle alghe planctoniche marine nello stretto intervallo di tempo tra le glaciazioni Sturtiana e Marinoana della “Terra palla di neve”, 659-645 milioni di anni fa. È interessante notare come questo evento sia contemporaneo ad un un picco nei rapporti fosforo-ferro nei sedimenti marini, indicante concentrazioni insolitamente elevate di fosfato </b>(Planavsky et al 2010).</span></span></div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">Quindi Brooks et al (2023) ipotizzano che una ondata di nutrienti forniti dalla deglaciazione dopo il primo degli episodi di snowball Earth (lo Sturtiano) abbia diminuito l'influenza dei cianobatteri e innescato un ’“aumento delle alghe”: in questo modo si sono formate delle reti alimentari con trasferimenti di nutrienti ed energia più efficienti, spingendo gli ecosistemi verso organismi più grandi e sempre più complessi. Di fatto è proprio dopo lo Sturtiano che compaiono biomarcatori per le spugne (Love et al 2007).</div><br /><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjaLPBEUtJdWNfNOG3VzuCgz0M30HH3qjdtLviLjsFlczURK3mXlM8Oq7JbfwIGzazIZgBrjZIbpHYcThqSJg9_6ufho60yP5IgxVN-9e67XmwQOxHDoteuoAKrgM7k7QRswAQJ3VBLQSWJrXIK8tnUmOBioHZyyO7uaF_ym3ZuIsAL_B7sFFhVfkgTDaI/s1748/Screenshot%202023-12-12%20alle%2009.13.06.png" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1402" data-original-width="1748" height="321" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjaLPBEUtJdWNfNOG3VzuCgz0M30HH3qjdtLviLjsFlczURK3mXlM8Oq7JbfwIGzazIZgBrjZIbpHYcThqSJg9_6ufho60yP5IgxVN-9e67XmwQOxHDoteuoAKrgM7k7QRswAQJ3VBLQSWJrXIK8tnUmOBioHZyyO7uaF_ym3ZuIsAL_B7sFFhVfkgTDaI/w400-h321/Screenshot%202023-12-12%20alle%2009.13.06.png" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">la storia dei fitosteroli nel Criogeniano (Brunoir et al 2023)</td></tr></tbody></table><div style="text-align: justify;"><b>LA PRODUZIONE DI FITOSTEROLI</b>. Brunoir et al (2023) combinando geologia e genetica, mostrando come <b>i cambiamenti avvenuti nella Terra primordiale abbiano provocato un cambiamento nel modo in cui gli animali mangiano.</b> La maggior parte degli animali non è in grado di produrre da sola i fitosteroli, ma può ottenerli mangiando piante o funghi. Pare logico visto quanto ho scritto qui sopra, ma recentemente <b>è stato scoperto che negli anellidi come il comune lombrico, c'è un gene, il gene smt, che produce steroli a catena più lunga</b>. Osservando i geni smt di diversi animali Brunoir et l (2023) hanno creato un albero genealogico per il gene smt, prima all’interno degli anellidi, poi in <i>Animalia</i>: questo gene ha avuto origine molto indietro nel tempo, e poi ha subito rapidi cambiamenti nello stesso periodo in cui i fitosteroli sono apparsi nelle rocce. Successivamente, la maggior parte delle linee animali ha perso il gene smt. Da notare che questo albero della vita è riferibile a quello di Schultz et al (2023) di cui ho parlato proprio a <a href="https://aldopiombino.blogspot.com/2023/07/nuove-scoperte-genetiche-sulle.html" target="_blank">proposito dell’origine di Animalia</a>.</div><br /><div style="text-align: justify;"><b>GLI ANIMALI HANNO PERSO LA CAPACITÀ DI PRODURRE FITOSTEROLI PERCHÈ È PIÙ FACILE MANGIARLI CHE PRODURLI?</b> I fossili molecolari di fitosterolo registrano l'aumento delle alghe negli antichi oceani e a cascata la scomparsa del gene smt. <b>L’ipotesi di Brunoir et al (2023) è che gli antenati di Animalia fossero in grado di produrre steroli C28+; però, in seguito, molte linee animali avrebbero abbandonato indipendentemente fra loro la produzione di fitosterolo intorno alla fine del Neoproterozoico, in coincidenza con l'aumento di abbondanti prede eucariotiche. </b></div><div style="text-align: justify;">Quindi la storia del gene smt potrebbe raccontare un cambiamento nelle strategie di alimentazione degli animali all'inizio della loro evoluzione. </div><br /><div style="text-align: center;"><b>BIBLIOGRAFIA</b></div><br /><b>Brocks et al (2008)</b> A biomarker for purple sulfur bacteria (Chromatiaceae), and other new carotenoid derivatives from the 1640 Ma Barney Creek Formation. Geochim et. Cosmo- chim Acta 72, 1396–1414 (2008). <br /><br /></span><span style="font-family: helvetica; font-size: large;"><b>Brocks et al. (2017) </b>The rise of algae in Cryogenian oceans and the emergence of animals. </span><span style="font-family: helvetica;"><span style="font-size: medium;">Nature 548, 578 (2017)</span></span><span style="font-family: helvetica; font-size: large;">. </span></div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br /><b>Brunoir et al (2023)</b> Common origin of sterol biosynthesis points to a feeding strategy shift in Neoproterozoic animals. Nat Commun 14, 7941<br /><br /><b>Li et al (2008)</b> Assembly, configuration, and break-up history of Rodinia: A synthesis Precambrian Res. 160, 179–210</span></div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br /></span></div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><b>Love et al. (2009) </b> Fossil steroids record the appearance of Demospongiae during the Cryogenian period. Nature 457, 718–721 <br /><br /><b>Planavsky et al. (2010) </b>The evolution of the marine phosphate reservoir. Nature 467, 1088–1090 <br /><br /><b>Schultz et al (2023) </b>Ancient gene linkages support ctenophores as sister to other animals Nature618, 110–117<br /> <br /><br /><br /></span><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br /></span></div><p><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br /></span></p><p><br /></p></div>Aldo Piombinohttp://www.blogger.com/profile/14315928146460343487noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-191685988918780993.post-43453012796623448622023-12-06T07:32:00.000+01:002023-12-06T07:32:08.105+01:00L'erosione dell'alveo dell'Arno negli ultimi decenni nel Valdarno inferiore: l'esempio dell'isola presso il ponte tra San Donato e Santa Croce sull'Arno<br /><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiK-7tkESey17JStOAHKnUeL1VqPtC8vmQUg2zmHNdABpYUuUit7_a2MZTkr5ubteCeQW9KoseHSocW2N-ZnKz342mX-V0xy3Rh6uBWn__YVJB18OuCZ64EiXV2EW0NKek6mjReIyP10bSZc9Z_hqMlKiTzcW_vQmTuxk46H1iKrg35pdOiZpWsymGgvdk/s1045/isolaok.jpeg" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="784" data-original-width="1045" height="300" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiK-7tkESey17JStOAHKnUeL1VqPtC8vmQUg2zmHNdABpYUuUit7_a2MZTkr5ubteCeQW9KoseHSocW2N-ZnKz342mX-V0xy3Rh6uBWn__YVJB18OuCZ64EiXV2EW0NKek6mjReIyP10bSZc9Z_hqMlKiTzcW_vQmTuxk46H1iKrg35pdOiZpWsymGgvdk/w400-h300/isolaok.jpeg" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Foto 1: l'Arno a valle del ponte. Si noti come l'isola si trovi<br />nella parte interna di un'ansa dove l'erosione è più difficile</td></tr></tbody></table><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><i>Il ponte sull'Arno fra San Donato (frazione del comune di San Miniato) e Santa Croce sull'Arno, pur essendo attualmente monitorato e sicuro (lo preciso perché non voglio che qualcuno usi questo post come pretesto per lanciare allarmismi che non avrebbero il minimo senso: è attualmente un ponte sicuro!) rappresenta un caso classico di interferenza fra piloni ed alveo di un fiume e il corso dell'Arno è pieno di casi del genere, che sono molto comuni. È ovvio che la soluzione migliore oggi disponibile dal punto di vista idraulico sia il ponte a campata unica, ammesso che le sponde siano in grado di reggere la struttura ed infatti le ultime realizzazioni cercano di andare in quella direzione, ma questo di cui parliamo è un ponte concepito bene, senza piloni nell'area di massima corrente.</i></div></span><br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: helvetica;">Dopo gli ultimi eventi alluvionali continuano ad imperversare quelli che “<i>bisogna dragare i fiumi</i>”, per non parlare di quelli che "<i>basterebbe pulirre gli alvei che certe cose non succederebbero</i>". Già anni fa avevo scritto un post per far notare come <a href="https://aldopiombino.blogspot.com/2020/10/no-cavare-le-ghiaie-dai-fiumi-non-e-un.html" target="_blank">questa sia una fesseria solenne</a>, al pari di quella di rialzare gli argini. <b>No, per diminuire la pericolosità da alluvione l’unica strada è la realizzazione di invasi</b> (utili sia per laminare le piene che laminare le magre) <b>e di casse di espansione: </b></span><span style="font-family: helvetica;"><b>non solo una escavazione artificiale degli alvei non ridurrebbe la pericolosità idraulica, ma oltre a non avere effetto in caso di piena, al contrario porterebbe una serie enorme di problemi alle pile dei ponti e agli argini.</b></span></span></div><div><br /></div><div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">In questo post mostro poi un classico esempio della serie “<i>spesso non occorre scavare i fiumi per abbassarne il livello, perché ci pensano da soli</i>”, osservando quello che sta succedendo in Arno in corrispondenza <i>del ponte che collega San Miniato a Santa Croce sull’Arno</i>, dove Siamo in provincia di Pisa nel Valdarno inferiore, fra Empoli e Pisa, dove il fiume, ovviamente canalizzato anche se per fortuna non proprio rettilineo, scorre su una pianura bonificata in epoca medicea, grossolanamente diretta verso WSW e caratterizzata da una scarsissima inclinazione: a Empoli, a oltre 60 km dalla foce, lo zero idrometrico è posto a 20,32 metri sul livello del mare (dati del Centro funzionale Regionale della Regione Toscana), ma in periodi normali il livello delle acque è a una quota inferiore a 16 metri e quindi la pendenza sarebbe di meno di 30 cm al km.</span></div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">Il ponte è stato inaugurato nel 1970 quindi suppongo che sia crollato o sia stato pesantemente danneggiato durante l'alluvione del 1966.</div></span><br /><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgg5eND6OfyEMzk9aYSM4kCQRVUj6r0dKi3Jq1awadHouAJsKD8zN-t74lQReTOj3idVCP2ucJUPJ8Vj1kZWpg8yZejJ5BTJRYn10MUae8OLCMHb0pIgXP04ABbjmd-nqJ7z4JnPdAxKBFoM5htNAHKwBG_V4H6j4E_uKG0S-hOhHn4Ol_1aGxNNPm64yQ/s1045/pilone%20sx20230407_140752.jpeg" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="784" data-original-width="1045" height="300" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgg5eND6OfyEMzk9aYSM4kCQRVUj6r0dKi3Jq1awadHouAJsKD8zN-t74lQReTOj3idVCP2ucJUPJ8Vj1kZWpg8yZejJ5BTJRYn10MUae8OLCMHb0pIgXP04ABbjmd-nqJ7z4JnPdAxKBFoM5htNAHKwBG_V4H6j4E_uKG0S-hOhHn4Ol_1aGxNNPm64yQ/w400-h300/pilone%20sx20230407_140752.jpeg" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Foto 2: il pilone di sisistra evidenzia l'erosione in atto dell'alveo</td></tr></tbody></table><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">A valle del ponte si nota un’isola, come dimostra la foto 1. Il commento che verrebbe spontaneo (e a parecchie persone è venuto) è: "<i>quell’isola si è formata per colpa dei detriti e va tolta!</i>".</div><div style="text-align: justify;"><b>Ma non è così!</b> Lo dimostra una sommaria ispezione visiva del ponte stesso fatta semplicemente con la foto 2, che mostra il pilone in sinistra idrografica: si nota che dall’epoca della costruzione del ponte l’alveo si è approfondito, dato che si sta mettendo gradatamente a nudo la sua base. </div><div style="text-align: justify;">Nella foto 3 si vede nell'isola una densa stratificazione ed è evidente che non si tratti di sedimenti portati da piene recenti: anche solo dal semplice paragone con quanto si osserva sull'argine è evidente che i sedimenti che la compongono non si siano deposti per formarla, ma sono visibili a causa dell’erosione. <b>Insomma, l’alveo si è abbassato di livello e la minore erosione ha consentito la formazione dell'isola perchè la corrente in quel punto della sezione del fiume è insufficiente per eroderla per due motivi:</b></div><div style="text-align: justify;"><ul><li>il pilone di sinistra “fa ombra” e la rallenta a valle di esso</li><li>a valle del ponte il corso descrive una leggera ansa a sinistra e quindi la velocità è maggiore nel lato destro. </li></ul></div><div style="text-align: justify;">Quindi la storia è molto diversa da quanto in molti pensano: l’isola non rappresenta un deposito recente che deve quindi essere eliminato perché ostacola la corrente, ma rappresenta più o meno la quota a cui era arrivato l’alveo del fiume pochi anni fa, decisamente superiore a quella attuale</div><div style="text-align: justify;">Queste immagini non sono altro che la conferma di quanto evidenziato dalla letteratura scientifica già da parecchio tempo (Billi e Rinaldi, 1997). Fra l’altro ci sono altri ponti nei quali si evidenzia una erosione importante recente dell’alveo dell’Arno, per esempio a Signa.</div></span><br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">Insomma: da quelle parti sarebbe inutile due volte pensare da quelle parti di dragare l’Arno per evitare il rischio alluvione, la prima perché se artificiale è sempre una operazione dannosa e la seconda perché il fiume si sta dragando da solo!</span></div></div><div><br /><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEivkt6d1IxeNvyipjNp-RiC9Q696GcS3LYHHxbEw6V500ftsNPJIc6Z5Sv6K-n2dnbuuYxS5mfMawbo8lCTm2kpvG6pmBT458ykB61sisvobncIdQ-cO4kasu8WG5mspKyMQg3xy6XUG2iChgC3mEN7Of8VanipPij8YDcKpNiKsxzkjKCUr0Khogkxi_w/s1045/isola-sedokenti%2020230407.jpeg" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="784" data-original-width="1045" height="300" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEivkt6d1IxeNvyipjNp-RiC9Q696GcS3LYHHxbEw6V500ftsNPJIc6Z5Sv6K-n2dnbuuYxS5mfMawbo8lCTm2kpvG6pmBT458ykB61sisvobncIdQ-cO4kasu8WG5mspKyMQg3xy6XUG2iChgC3mEN7Of8VanipPij8YDcKpNiKsxzkjKCUr0Khogkxi_w/w400-h300/isola-sedokenti%2020230407.jpeg" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Foto 3: i sedimenti sotto l'isola dimostrano la loro "anzianità"<br />e l'isola non è una barra appena deposta</td></tr></tbody></table><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><b>PROBLEMA "CULTURALE" SU ISOLE E BARRE FLUVIALI.</b> Il problema è che molto spesso la gente comune confonde la presenza di barre o isole con sovralluvionamento, in quanto <b>il loro modello di fiume “<i>normale</i>” è quello di un fiume dove scorre solo acqua, mentre il sedimento è visto come una sorta di "<i>disfunzione</i>". </b></div><div style="text-align: justify;">In realtà la presenza di barre o isole compare in determinate morfologie non solo in situazioni di accumulo, ma anche in condizioni di equilibrio dinamico o addirittura, come in questo caso, in fase di incisione. Se prendiamo ad esempio un caso dove nell’alveo ci sono tanti canali, un alveo ghiaioso a canali intrecciati, cambiando le condizioni durante la fase di incisione successiva a quella che aveva accumulato i materiali, la presenza di isole o barre è vista erroneamente come sovralluvionamento.</div></span><br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><b>Un appunto finale: ribadisco di nuovo che questo post non rappresenta assolutamente un allarme sulla stabilità del ponte</b>, che è continuamente osservato dai tecnici dell’ente competente (i quali conoscono benissimo la situazione), però se continua questo trend di erosione (e pare che continui, ma non ci sono dati certi o, almeno, non ne conosco), prima o poi dovranno essere prese delle misure per evitare conseguenze.</span><span style="font-family: helvetica; font-size: large;"> </span></div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">Inoltre è stato ricostruito dopo il 1966 in modo intelligente: premettendo che il ponte più sicuro di tutti è quello realizzato senza pile in alveo, le due pile in alveo di questo ponte sono vicine alle sponde e dunque non ci sono piloni nell’area di massima corrente che potrebbero subire danni durante le piene.</div><div style="text-align: justify;">A dimostrazione di tutto questo uno studio del 2017 ne ha verificato la struttura e quindi non esistono limiti di portata in relazione ai carichi previsti dal Codice Stradale per i ponti di prima categoria. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Billi e Rinaldi 1997 Human impact on sediment yield and channel dynamics in the Arno River basin (central Italy) Human Impact on Erosion and Sedimentation (Proceedings of Rabat Symposium S6, April 1997). 1AHS Publ. no. 245, 1997</div></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br /></span></div><div><br /></div>Aldo Piombinohttp://www.blogger.com/profile/14315928146460343487noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-191685988918780993.post-49735594284731331932023-12-03T10:34:00.000+01:002023-12-03T10:34:51.961+01:00il terremoto M 7.6 del 2 dicembre 2023 e la complessa geodinamica delle Filippine<br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhNBZNQkKW5phmciL6m7c8-WiMSg_l4eCD8-NFudJA3mCdy62zDiLZE-mjyQBSIfPqjzyLkTSioU8pBqLbwwvkbJJJGCmGURtgh2gkOz_mMQ1LnEJkC-XONUhr5FI_OGSkDlNRWKZcqIlM5X7p2JJvK3xUMYNRAclsDcNczxELT4CMKtyr7G6OHj6zgIKQ/s1572/Screenshot%202023-12-03%20alle%2008.53.01.png" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1572" data-original-width="1236" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhNBZNQkKW5phmciL6m7c8-WiMSg_l4eCD8-NFudJA3mCdy62zDiLZE-mjyQBSIfPqjzyLkTSioU8pBqLbwwvkbJJJGCmGURtgh2gkOz_mMQ1LnEJkC-XONUhr5FI_OGSkDlNRWKZcqIlM5X7p2JJvK3xUMYNRAclsDcNczxELT4CMKtyr7G6OHj6zgIKQ/w253-h320/Screenshot%202023-12-03%20alle%2008.53.01.png" width="253" /></a></div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">A causa del particolare contesto geodinamico, l'arcipelago delle Filippine è costantemente oggetto di terremoti e di eruzioni vulcaniche, con vulcani a carattere spiccatamente esplosivo. </div><div style="text-align: justify;">Il terremoto di magnitudo 7.6 del 2 dicembre 2023 al largo della costa sud-orientale dell'isola di Mindanao è una classica conseguenza di questa situazione e la sua energia non può certo sorprendere. Si è verificato lungo una faglia obliqua inversa a una profondità di circa 75 km. A causa dell'epicentro in mare e della profondità ipocentrale la mappa del risentimento evidenzia per fortuna una intensità massima non superiore alla parte centrale dell'VIII grado MCS. </div><div style="text-align: justify;">Ci sono notizie di uno tsunami di una quarantina di centimetri nel Mare delle Filippine, ma non sembrano esserci stati dei danni.</div><div style="text-align: justify;">Siamo ad ovest della fossa delle Filippine, nella zona che più risente dello scontro fra la placca della Sonda e quella del mare delle Filippine che le scende sotto. E infatti il meccanismo focale indica che la rottura si è verificata come risultato di una faglia inversa coerente con la superficie dell'interfaccia di subduzione. </div><div style="text-align: justify;">Un terremoto come questo ha probabilmente coinvolto un’area all’incirca rettangolare lunga un centinaio di km e larga 35.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Nel luogo del terremoto, la placca del Mar delle Filippine si muove verso ovest-nord-ovest ad una velocità di circa 103 mm/anno rispetto alla placca della Sonda. </div><div style="text-align: justify;">Quella ad oriente delle Filippine è una delle subduzioni più “produttive” dal punto di vista dei terremoti, nel quadro di un’area in cui fra Indonesia, Nuova Guinea e Filippine l’attività sismica è incredibilmente frequente e importante: basta pensare che solo meno di 10 giorni fa, dalla parte opposta del Mar delle Filippine, un terremoto di M 6.9 ha colpito le isole Marianne settentrionali. Non solo, ma limitandosi all'area colpita da questo terremoto secondo l’USGS in un’area entro i 250 km dal terremoto del 2 dicembre 2023 negli ultimi 100 anni si sono verificati altri 127 terremoti di magnitudo 6 o superiore e 15 di questi erano M 7 o più. </div><div style="text-align: justify;">In più la sequenza delle repliche è impressionante. Il <i>Geofon</i> del <i>Deutsches Geoforschungszentrum</i> di Potsdam a 20 ore dall'evento (aggiornamento alle ore 10.00 italiane del 3 dicembre) segnala 6 repliche con M uguale o superiore a 6 e 38 (se ho contato bene) repliche con M compresa tra 5 e 6. </div><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;">Vediamo appunto qui sotto in questa carta elaborata con l’</span><i style="text-align: left;">IRIS Earthquake Browser</i><span style="text-align: left;"> i terremoti intorno a Mare delle Filippine, Indonesia e Nuova Guinea con le varie subduzioni dell’area: 1300 eventi con M uguale o superiore a 6 in 20 anni!</span></div></span><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiqmzZKWfFDsI9OHrcHSXpLAKINaKIj-hVIINDrcMWJ_4CJ83D-Z1a3zwZBxkOb_m9gIlttTwOfVGvHOvjPdvyzJxP0WO6FIX0ufViompZqX5IrK-gfP6WoKQ6s5Qtly8wr0q6MroB1ZdOgC8FKD3QgPAtc9iZi1VoYUg6HrScFz6Otv0X_z307ymrb7fE/s2686/ieb.png" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1938" data-original-width="2686" height="524" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiqmzZKWfFDsI9OHrcHSXpLAKINaKIj-hVIINDrcMWJ_4CJ83D-Z1a3zwZBxkOb_m9gIlttTwOfVGvHOvjPdvyzJxP0WO6FIX0ufViompZqX5IrK-gfP6WoKQ6s5Qtly8wr0q6MroB1ZdOgC8FKD3QgPAtc9iZi1VoYUg6HrScFz6Otv0X_z307ymrb7fE/w727-h524/ieb.png" width="727" /></a></div><br /><br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: helvetica;">La situazione nelle Filippine è molto complessa perché oltre a quella del Mar delle Filippine, l’arcipelago è interessato nel suo lato NW da una subduzione a polarità opposta, cioè verso est, </span><span style="font-family: helvetica;"> </span><span style="font-family: helvetica;">la cui traccia superficiale è data dalla fossa di Manila </span><span style="font-family: helvetica;">che prosegue a nord fino a Taiwan (</span><a href="https://aldopiombino.blogspot.com/2016/02/il-terremoto-di-taiwan-del-5-febbraio.html" style="font-family: helvetica;" target="_blank">ne ho parlato qui</a><span style="font-family: helvetica;">). In questo caso</span><span style="font-family: helvetica;"> al contrario di quanto succede nel lato orientale, è la placca della Sonda a scendere sotto quella del Mare delle Filippine</span><span style="font-family: helvetica;">. Nonostante questa sia una collisione “matura”, cioè ormai una collisione continente – continente, anche qui le velocità non sono per niente basse, tra 65 e 85 mm/anno.</span></span></div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><br /></div></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">Per questo la sismicità della regione delle Filippine riflette movimenti tettonici molto complessi, e avviene sia all’interno delle isole, che come in questo caso ai suoi margini e a varie profondità. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">Nell'immagine sotto si vedono una carta e una sezione della parte settentrionale dell'arcipelago, che evidenzia le due subduzioni.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">Una conseguenza importante di questa situazione tettonica è anche l'intenso vulcanismo di arco magmatico, che genera eruzioni significative. Considerando la posizione dell'arcipelago, poco sopra l'equatore, è facile che a causa della vicinanza della ITCZ, la <i>Zona di Convergenza IntertTopicale</i>, le maggiori esplosioni possano immettere i loro prodotti nell'alta atmosfera, e questo specialmente d'estate quando la ITCZ è alle basse latitudini settentrionali, provocando come per l'eruzione del Pinatubo, avvenuta nel 1991 e appunto in giugno, un leggero raffreddamento a livello globale.</span></div><div><br /></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgBrr4bOH5VJKwskHcbDFQuW2dN9q5dJcuj1ws7BSZiWBB96lUjXV5T4IfQKvYrNTCXcq6AE6LvOv9i8jsaB6bC6FP5_WrEOgNPbPkC8Dco0uNCzccwHCFcepRx9QJTN2OLiUa7PdZHOylflxFy8MLXaS3CkZmtoj_J0c90F_8BxbqADq59bSIFdvufNEk/s2216/Screenshot%202023-12-03%20alle%2009.23.11.png" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1626" data-original-width="2216" height="470" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgBrr4bOH5VJKwskHcbDFQuW2dN9q5dJcuj1ws7BSZiWBB96lUjXV5T4IfQKvYrNTCXcq6AE6LvOv9i8jsaB6bC6FP5_WrEOgNPbPkC8Dco0uNCzccwHCFcepRx9QJTN2OLiUa7PdZHOylflxFy8MLXaS3CkZmtoj_J0c90F_8BxbqADq59bSIFdvufNEk/w640-h470/Screenshot%202023-12-03%20alle%2009.23.11.png" width="640" /></a></div> <br /><br /><br /><br /><br /><br /><br /></div><br />Aldo Piombinohttp://www.blogger.com/profile/14315928146460343487noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-191685988918780993.post-11948791136938124292023-11-22T16:15:00.001+01:002023-11-22T18:46:01.498+01:00il concorso di cause naturali e cause antropiche alla base di frane e alluvioni in Italia <br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEitJD-y_kvIq473_Buf5wOW-MZ-UlnWh5_ktlNjhLtar-d6OZqoAHuwerH7j2JkBGnKjBsTJd2rEDUh_0m6sBu8T2GTrUhVeM5jC_9kRNfeif6TPnMuCBn-bPh6eJTlr-f8X8cVnPQh8dwMCDTOEzFKZg3TpvSFh5hu4Sy68e9B5YPB2ndx4-ziYJFKIZ0/s996/dellaschiava2023.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><br /></a></div><span style="font-family: helvetica;"><div style="text-align: justify;"><i><span style="font-size: medium;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhiRzErmlpWx3WiMSjQDBi-HCsPZTdNblNY3Dap_R_JCA71mCiFSc7lMyIhhZ2nNiprV8jS6eB9i4CLyOr8ua6ITm6ZrNJGyOr-jAMVDAZKh8VsjZfnT0PiXuHmmaufIj-MKv4i8gvINdBk3W2IkNbbSTZC-2-oMj7alLfcjKlmrLu7SW7VXWmpiCKkAm8/s741/Schermata%202023-11-22%20alle%2011.37.14.png" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="741" data-original-width="709" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhiRzErmlpWx3WiMSjQDBi-HCsPZTdNblNY3Dap_R_JCA71mCiFSc7lMyIhhZ2nNiprV8jS6eB9i4CLyOr8ua6ITm6ZrNJGyOr-jAMVDAZKh8VsjZfnT0PiXuHmmaufIj-MKv4i8gvINdBk3W2IkNbbSTZC-2-oMj7alLfcjKlmrLu7SW7VXWmpiCKkAm8/w612-h640/Schermata%202023-11-22%20alle%2011.37.14.png" width="612" /></a></div><br />Prendo spunto dalla alluvione che ha colpito la Toscana il 2 novembre per una serie di riflessioni generali sulle alluvioni in Italia in questi ultimi tempi. Le cause di questa impressionante serie di disastri vengono dalla somma di diversi eventi di un lungo cammino storico, iniziato secoli fa, all’epoca logico ma che per l’appunto hanno tutti contribuito alle gravi perdite in vite umane e danni materiali. Da ultimo faccio alcune proposte sulla direzione verso la quale si dovrebbe andare per mitigare il gravissimo problema.</span></i></div><br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><b>L'EVENTO DEL 2 NOVEMBRE IN BREVE.</b> Il fenomeno ha interessato le aree di Prato-Pistoia e più in generale la fascia da sud-ovest a nord-est, da Livorno in direzione di Pistoia-Prato, Mugello fino a superare lo spartiacque appenninico.</span></div><span style="font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">La convergenza della corrente africana di scirocco con quella atlantica da NW ha sostanzialmente creato quello che si chiama un “<i>cluster temporalesco stazionario autorigenerante</i>” noto anche come <i>V-Shaped</i> per la forma che assume visto dal satellite. </div></span></span><div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><span style="font-size: medium;">E quindi per diverse ore sul mare nei pressi dell'isola di Capraia si è creata una serie continua di celle temporalesche che le correnti in quota hanno spinto verso ENE senza spostare l'area interessata. La conseguenza è stata che le precipitazioni hanno insistito con continuità nelle stesse aree anche per 5 ore, con picchi di 200 mm nell’area di Pontedera e nei bacini idrografici di Ombrone Pistoiese e Bisenzio. Un quantitativo così elevato di pioggia ha mandato in crisi il reticolo idraulico dei due fiumi, creando allagamenti ed esondazioni, generalmente per sormonto di argine. Purtroppo i sormonti hanno anche eroso e rotto gli argini, peggiorando la situazione.</span></span></div><span style="font-family: helvetica;"><div><span style="font-family: helvetica;"><br /></span></div><br /><div style="text-align: center;"><b><span style="font-size: medium;">A. LE MOTIVAZIONI DELLA FREQUENZA DELLE ALLUVIONI IN ITALIA</span></b></div></span><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br /></span><div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">Abitualmente sede di questi fenomeni, l'Italia lo è diventata ancora di più a causa di una politica e di azioni nei confronti dell' assetto del territorio non proprio corrette (eufemismo). Vediamole, premettendo che alcune di queste erano logiche per l'epoca in cui sono state realizzate</span><span style="font-family: helvetica;">.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><b style="font-family: helvetica;">1. CONDIZIONI NATURALI (GEOLOGICHE, GEOGRAFICHE E CLIMATOLOGICHE)</b><span style="font-family: helvetica;">. L’Italia è un Paese geologicamente molto recente, interessato da due orogeni (Alpi e Appennini) con molte aree attualmente in sollevamento, e non poco. Basta vedere la Val d'Aosta, la Toscana Meridionale e ancora di più l'Appennino centrale, che appena 700.000 anni fa aveva un paesaggio quasi pianeggiante (<a href="https://aldopiombino.blogspot.com/2022/08/la-paleosuperficie-appenninica-quando.html" target="_blank">ne ho parlato qui</a>). E notiamo come al sud di pianure lungo le coste ce ne siano davvero poche. Per cui dal punto di vista “originario” la civiltà umana è partita da queste condizioni: </span></span></div><div><span style="font-family: helvetica;"><br /></span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium; text-align: justify;"><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhM3QbdTtRKq7Rz-XX5NvThCIni__ZA33eTwk6eED0BJP7HM59N0ghgp6AurlCv6-yTm6bXOBFQWNI-0yuLghYbM6FYkVQnQQQQgRWKUEdRg12JYhAuU1Uigi4JZi40vItsMdPNGAjmjCif9HxioxXja8X9IGWMJFai_rVPP57545ef-CV4CIM4MjBV5nU/s1968/Screenshot%202023-11-19%20alle%2023.36.43.png" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1748" data-original-width="1968" height="284" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhM3QbdTtRKq7Rz-XX5NvThCIni__ZA33eTwk6eED0BJP7HM59N0ghgp6AurlCv6-yTm6bXOBFQWNI-0yuLghYbM6FYkVQnQQQQgRWKUEdRg12JYhAuU1Uigi4JZi40vItsMdPNGAjmjCif9HxioxXja8X9IGWMJFai_rVPP57545ef-CV4CIM4MjBV5nU/s320/Screenshot%202023-11-19%20alle%2023.36.43.png" width="320" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">in verde e celeste le aree in sollevamento<br />nel territorio italiano</td></tr></tbody></table><ul><li>il rilievo è giovane </li><li>molte delle colline e addirittura delle montagne sono costituite di materiali particolarmente erodibili o di sedimenti “vagamente consolidati” (questo è un termine non scientifico, ma l'ho coniato perché rende bene l'idea) </li><li>l’Italia è circondata da mari caldi che quindi possono provocare precipitazioni intense e a cascata frane e alluvioni </li><li>il dato brutale in mm segnala che piove più in Italia che in Belgio, solo che lì piove poco quasi tutti i giorni, da noi piove pochi giorni con forte intensità, da cui segue che i corsi d'acqua hanno un regime torrentizio</li><li>i suoi bacini fluviali sono molto piccoli e quindi rispondono molto velocemente ad intense precipitazioni </li></ul></span><span style="font-family: helvetica;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Dai punti precedenti si ricava che i<b>n una buona fetta di territorio il motore principale di formazione del paesaggio siano le alluvioni e le frane </b>(queste utime spesso generate o riattivate da alluvioni) <b>e che tutte le pianure dalla più grande alla più piccola fossero un insieme di paludi, stagni e – lungo le coste – di lagune.</b></span></div><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">Ad aggravare le difficoltà naturali l’Italia ha una densità di popolazione molto elevata e per tutto questo il territorio italiano necessiterebbe di una attenzione maggiore che altrove. E invece<b> da noi è stato fatto tanto di quello che non doveva essere fatto, ma quasi nulla di quello che avrebbe dovuto essere fatto per un corretto uso del territorio</b>, come si nota nei punti successivi.<b> </b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br /></span></div><div><span style="font-family: helvetica;"><br /></span></div><div><span style="font-family: helvetica;"><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhHJHAj2qwotbU-NrCTDhcQ1o2sZ5iW-IpQJ62h_oL_r6acHqD6bY7aTHmZt4YFnhvOAePQNKBQGsvEvp-0PetHeczYi6FsXjH3yyBCRpEIrWQ0M-6IwgkYmRyk7VmM_lIP8UY1yMaCST62P18FrcjLqwiq76OFCJlr9ERfqVfx_VvIRHgmXvI2H6nEctI/s2900/Screenshot%202023-11-20%20alle%2000.07.25.png" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1008" data-original-width="2900" height="173" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhHJHAj2qwotbU-NrCTDhcQ1o2sZ5iW-IpQJ62h_oL_r6acHqD6bY7aTHmZt4YFnhvOAePQNKBQGsvEvp-0PetHeczYi6FsXjH3yyBCRpEIrWQ0M-6IwgkYmRyk7VmM_lIP8UY1yMaCST62P18FrcjLqwiq76OFCJlr9ERfqVfx_VvIRHgmXvI2H6nEctI/w499-h173/Screenshot%202023-11-20%20alle%2000.07.25.png" width="499" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">a sinistra la pianura di Pisa. A destra le Everglades in Florida:<br />senza le bonifiche anche la piana pisana sarebbe un'alternanza di isolotti e specchi d'acqua</td></tr></tbody></table><span style="font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><b>2. LA TRASFORMAZIONE DI PALUDI E LAGUNE IN AREE AGRICOLE</b>. Come ho scritto in Italia qualsiasi pianura era una palude o - se lungo la costa - una laguna e le paludi fungevano da stoccaggi per l’acqua delle piene, come dimostra l’Arno, più largo a Firenze che a Pisa: prima delle bonifiche l’acqua in eccesso da Firenze finiva più nell’immenso sistema palustre del Valdarno inferiore che occupava tutta la vallata piuttosto che nell’alveo principale. Insomma, le pianure erano delle immense casse di espansione. </div><div style="text-align: justify;">Tale opere di bonifica, in corso addirittura nel periodo etrusco, sono proseguite a più riprese, e sono state completate a metà del secolo scorso ed hanno seguito la prassi progettuale classica creando un reticolo di drenaggio per le acque basse di pianura, i cui canali sfociano nei corsi principali che scendono dai rilievi limitrofi. Queste operazioni avevano una logica, rispondendo soprattutto a due azioni per rendere vivibili e utilizzabili queste aree: eradicare la malaria e rendere sfruttabili per l'agricoltura nuovi terreni.</div></span><br /></span></div><div><span style="font-family: helvetica;"><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjgQpTyr1cYDSsVmBbYxG_3ijMUMR_Xmmwl37xjT0fqWT90KRW3SmXOWMSr1Z21y3CrZVAPmie9YpXw0bzmXsDRw6CaxThDG8foYQTD843uHzI-lgIj-eoF7yJhZsYavQspj-zQPcTL59dk1jXfcY0phI2AzkGKdUXVHQO7CT3lkcEqrczmMJ-rRMYfWqY/s680/Schermata%202023-11-20%20alle%2010.55.40.png" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="639" data-original-width="680" height="376" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjgQpTyr1cYDSsVmBbYxG_3ijMUMR_Xmmwl37xjT0fqWT90KRW3SmXOWMSr1Z21y3CrZVAPmie9YpXw0bzmXsDRw6CaxThDG8foYQTD843uHzI-lgIj-eoF7yJhZsYavQspj-zQPcTL59dk1jXfcY0phI2AzkGKdUXVHQO7CT3lkcEqrczmMJ-rRMYfWqY/w400-h376/Schermata%202023-11-20%20alle%2010.55.40.png" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Leonardo raffigurò l'Arno tra Firnze e Signa come un fiume meandriforme<br />Oggi è un canale rettilineo</td></tr></tbody></table><span style="font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><b>3. LE DRAMMATICHE MODIFICHE AL RETICOLO FLUVIALE</b>: in Natura i fiumi quando arrivavano nelle pianure sarebbero liberi di creare meandri e spostare il loro corso. Oltre ad averli arginati per prevenire le piene, i fiumi sono stati canalizzati, rettificati e ristretti. Di conseguenza:</div></span><ul style="text-align: left;"><li style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">la loro lunghezza è stata ridotta anche di un terzo, per cui si verifica una diminuzione del volume totale di acqua contenibile dall’alveo </span></li><li style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">la velocità della corrente è aumentata per l’aumento della pendenza e per la mancanza di anse </span></li><li style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">la diminuzione della distanza vale anche fra le foci degli affluenti e così le piene degli affluenti si riversano quasi contemporaneamente nell’asta principale </span></li><li style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">per non parlare della massiccia opera di tombamenti che hanno coinvolto il reticolo minore (e talvolta non solo i fossi minori)</span></li><li style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">da ultimo l'urbanizzazione ha in genere cancellato il reticolo di canali creato durante le bonifichei</span></li></ul><br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><b>4. L’AUMENTO DELLA QUANTITÀ DI SUOLO SIGILLATO DAL DOPOGUERRA.</b> Come non si stanca di ripetere ad ogni occasione il buon Nicola Casagli (<a href="https://aldopiombino.blogspot.com/2012/11/dialogo-sul-dissesto-idrogeologico-con.html" target="_blank">parlavamo così nel 2012</a> e da allora non è che sia cambiato molto...) l'urbanizzazione selvaggia è avvenuta senza criterio, soprattutto senza rendersi conto di costruire su suolo di pertinenza fluviale e cancellando totalmente il reticolo di canalizzazioni realizzato al tempo delle bonifiche. Il sigillamento del terreno e la cancellazione del reticolo di canalizzazioni contribuiscono ad inviare più velocemente le acque piovane nei fiumi</span></div></span></div><div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></span></div><span style="font-family: helvetica;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><b>Il risultato è che oggi il reticolo fluviale va in crisi anche con piogge inferiori a quelle che in un territorio meno denaturalizzato provocherebbero meno danni.</b></span></div><span style="font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">Da notare che se dopo le bonifiche, le alluvioni erano benedette per l’agricoltura perché ricoprivano i campi di limo fertile, oggi invece le alluvioni rappresentano un disastro totale per le aree colpite</div></span><div><span style="font-family: helvetica;"><br /></span></div><br /><div style="text-align: center;"><b><span style="font-size: medium;">B. I CAMBIAMENTI CLIMATICI </span></b></div></span></div><div style="text-align: center;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><b>E LA DRASTICA MODIFICA DEL REGIME DELLE PRECIPITAZIONI</b> </span></div><div><span style="font-family: helvetica;"><br /></span></div><div><span style="font-family: helvetica;"><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgM_N4cyqcKLooCCW5jARhpuVHNhP1vFfFpqdfpHoTWeeZE7lnEv8o2iwf3ukgWt4tbDolWNJBSlzsHemFC-2gnFAIHOIsjjeE5fRxftnaQA_9AQraZVEAklR_mUkuh6gPCvlXDa0LJgVoB1172_7-bA6molP6c1AO6KrQ5J153zFhEIkpmkF80pMl_QhQ/s630/FFN_13_PPI_1999_05_03_KTLX.jpg" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><span style="font-size: medium;"><img border="0" data-original-height="510" data-original-width="630" height="324" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgM_N4cyqcKLooCCW5jARhpuVHNhP1vFfFpqdfpHoTWeeZE7lnEv8o2iwf3ukgWt4tbDolWNJBSlzsHemFC-2gnFAIHOIsjjeE5fRxftnaQA_9AQraZVEAklR_mUkuh6gPCvlXDa0LJgVoB1172_7-bA6molP6c1AO6KrQ5J153zFhEIkpmkF80pMl_QhQ/w400-h324/FFN_13_PPI_1999_05_03_KTLX.jpg" width="400" /></span></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="font-size: medium;"><span face=""Trebuchet MS", Trebuchet, Verdana, sans-serif" style="background-color: #f6f6f6;">una supercella a V in Oklahoma</span><br style="font-family: "Trebuchet MS", Trebuchet, Verdana, sans-serif;" /><span face=""Trebuchet MS", Trebuchet, Verdana, sans-serif" style="background-color: #f6f6f6;">immagine dal sito del Luther College - Iowa</span></span></td></tr></tbody></table><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><b>In buona sostanza nei prossimi anni pioverà la stessa quantità di acqua ma in meno giorni</b> (un trend già presente adesso..) per questo <b>sta cambiando la tipologia delle alluvioni: non eventi epocali in cui tutto un bacino come quello dell’Arno è interessato da giorni e giorni di piogge continue, ma episodi come quello del 2 novembre 2023, in cui si sono verificati violentissimi picchi di precipitazione in bacini più ristretti e per poche ore. </b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">In altre parole: a Firenze, per esempio, mi fan più paura il reticolo minore tipo Terzolle o Ema di quanto oggi me ne faccia l'Arno.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Evitando di fare un elenco partendo dal disastro della Versilia del 1995, un altro aspetto importante è che <b>eventi come questo ultimo in Toscana o quello delle Marche del settembre scorso</b> (<a href="https://aldopiombino.blogspot.com/2022/09/considerazioni-sullalluvione-delle.html" target="_blank">di cui ho parlato qui</a>) <b>si sono originati da celle temporalesche autorigeneranti “<i>V-Shape</i>”</b>: il nome deriva dalla forma a V del temporale come è visibile dal satellite, mentre per <i>autorigenerante</i> si intende un temporale che continua ad autoalimentarsi rimanendo praticamente fermo per diverse ore, anziché muoversi come fanno la maggior parte dei temporali comuni. <b>Vista l’area ristretta in cui si svolgono questi eventi, una loro previsione diventa praticamente impossibile</b>: abbiamo visto appunto il 2 novembre come la cella sia rimasta ferma alimentandosi a largo di Livorno con l’evaporazione da un mare ben più caldo di quello che avrebbe dovuto essere in questo periodo. Questi fenomeni provocano i <i><b>flash flood</b></i> (termine ben più adatto rispetto a “<i>bomba d’acqua</i>”, quella che una volta si chiamava "<i>nubifragio</i>"...!).</span></div></span></div><div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><span style="font-size: medium;">Oltretutto se fino al settembre 2022 si poteva pensare che eventi del genere fossero localizzati solo sui rilievi vicino alle coste del Mar Ligure e nella pianura padana davanti all'Appennino ligure, l'evento delle Marche e quello del 2 novembre hanno evidenziato un "<i>salto di qualità</i>" in quanto hanno attraversato mezza o quasi tutta la penisola. </span></span></div><span style="font-family: helvetica;"><br /><div style="text-align: center;"><span style="font-size: medium;"><b>C. PROPOSTE </b></span></div><br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">A questo punto mi permetto di esporre un ventaglio di proposte che secondo me potrebbero essere portate avanti per iniziare a parare i danni.</span></div><br /><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg8ai6W6xYhqYrsw0x_4Vh5OAGaXmOD0DUZUO8VY1jmxikGcqU2Sy09VjS0BYyodtZ0KwW74C-iRqtEjcNA3Ibh6VAo__McHHoLqoHSdmCe8EFJJnNrvg3ERB6WniXBdKFdGK7jurZE4fj3Ic6ZydxUP_PraMvRE8seB1X2Od1T4z-Iokw13QeZ9t56Lp0/s770/Schermata%202023-11-22%20alle%2009.18.37.png" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="446" data-original-width="770" height="231" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg8ai6W6xYhqYrsw0x_4Vh5OAGaXmOD0DUZUO8VY1jmxikGcqU2Sy09VjS0BYyodtZ0KwW74C-iRqtEjcNA3Ibh6VAo__McHHoLqoHSdmCe8EFJJnNrvg3ERB6WniXBdKFdGK7jurZE4fj3Ic6ZydxUP_PraMvRE8seB1X2Od1T4z-Iokw13QeZ9t56Lp0/w400-h231/Schermata%202023-11-22%20alle%2009.18.37.png" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">errare è umano, ma perseverare è diabolico:<br />Tortona: 60.000 mq di capannoni logistici in costruzione in riva allo Scrivia</td></tr></tbody></table><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">1. <b>COMUNICAZIONE ALLA POPOLAZIONE</b>. Innanzitutto bisogna spiegare che cementificare gli argini, dragare gli alvei (<a href="https://aldopiombino.blogspot.com/2020/10/no-cavare-le-ghiaie-dai-fiumi-non-e-un.html" target="_blank">ne ho parlato qui</a>) e cose simili sono delle fesserie solenni (ma purtroppo persino vasta parte della classe politica propaganda queste iniziative che non sono inutili, ma, peggio, dannose). E se i corsi d’acqua andrebbero tenuti puliti, questa non è la soluzione “definitiva”… per alcuni soggetti sembra che se il Bisenzio fosse stato pulito sarebbe andata molto meglio (e non so neanche se non fosse stato pulito. Ma chi dice così mica si informa, ripete un mantra).</span></div><span style="font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">E basta anche con “<i>ai tempi dei nonni si faceva così</i>”, oppure "<i>era meglio quando c’erano più analfabeti e meno studiosi</i>", come se a quei tempi non ci fossero alluvioni.</div></span><br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><b>2. POLITICA DI “</b><i><b>SUPERFICIE ZERO</b></i><b>”</b>. Si continua a costruire su aree vergini, piuttosto che recuperare aree abbandonate. Questo non è certo un corretto uso del territorio e quindi bisogna fermare, o ridurre a livelli ragionevoli, il consumo di suolo. Quindi occorrono almeno: </span></div></span></div><div><ol style="text-align: left;"><li style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><span style="font-size: medium;">una politica di “<i>superficie zero</i>”</span></span></li><li style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><span style="font-size: medium;">rendere più conveniente recuperare strutture e superfici laddove qualcuno in precedenza aveva già costruito.</span> </span></li></ol></div><div><span style="font-family: helvetica;"><br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><b>3. UN IMPEGNO PER MIGLIORARE LA SICUREZZA IDRAULICA</b>, ma qui ci sono dei problemi “culturali”, che non viene vista come una priorità da popolazione e politica, e non esiste continuare a vedere situazioni in cui la popolazione addirittura ostacola la messa in sicurezza come nel caso delle lotte contro le casse di espansione del Seveso o del Misa</span></div><br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><b>4. EVIDENZIAZIONE DEI VERSANTI CHE POSSONO RISULTARE PRONI A CELLE V-SHAPE</b>, in base a modellizzazioni impostate soprattutto su topografia (orientazione e pendenza dei versanti) e direzione delle correnti che li possono alimentare. Occorre prioritariamente investire nella mitigazione del rischio su questi versanti (in particolare sui ponti e su opere di laminazione delle piene)</span></div><br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><b>5. SUPERAMENTO DELLA NORMATIVA IDRAULICA BASATA SULLA PIENA DUECENTENNALE</b>. Ne avevo già parlato in un <a href="https://aldopiombino.blogspot.com/2023/10/e-forse-necessario-nelle-progettazioni.html" target="_blank">post specifico</a>. Le alluvioni degli ultimi anni sono spesso andate oltre questa soglia. Bisogna ripensare la normativa in base ad una modellistica basata su un certo evento possibile in un bacino. Come mi ha fatto notare un esponente molto importante del DPC, definire un “massimo evento possibile" è un po' difficile, e allora ho pensato di prendere come esempio la modellizzazione di un V-shape che persiste per un certo numero di ore</span></div></span></div></div></div></div><div><span style="font-family: helvetica;"><br /></span></div><div><span style="font-family: helvetica;"><br /></span></div>Aldo Piombinohttp://www.blogger.com/profile/14315928146460343487noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-191685988918780993.post-58940311940272408312023-11-15T09:28:00.001+01:002023-11-15T09:28:20.867+01:00La corrente situazione in Islanda (alla mattina del 15 novembre 2023)<br /><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjBgHcRGb6fxqvgdYQWMfsq_kzohwW_wpGi7EraPJrb3wVf4V_LgQseasaf4loxV7bIKsRVvzdx9UN1s8LBuzXOpUHAakyPtqcX8r9QP-_jTDWQbEiCEtfaVsJGDZBOvwYa_lOA16wyk5I7sBig6doMzAAOSqH2R1GfgETyNUe_5slXbpiiQ_Z5lo04KM0/s540/Kort-ragnar-enska-11-nov-2.png" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="540" data-original-width="540" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjBgHcRGb6fxqvgdYQWMfsq_kzohwW_wpGi7EraPJrb3wVf4V_LgQseasaf4loxV7bIKsRVvzdx9UN1s8LBuzXOpUHAakyPtqcX8r9QP-_jTDWQbEiCEtfaVsJGDZBOvwYa_lOA16wyk5I7sBig6doMzAAOSqH2R1GfgETyNUe_5slXbpiiQ_Z5lo04KM0/w400-h400/Kort-ragnar-enska-11-nov-2.png" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">La frattura dove si sta intrudendo il magma<br />(credit: Icelandic Met Office)</td></tr></tbody></table><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">È sempre più probabile che la penisola di Reykjanes sia oggetto di una eruzione vulcanica piuttosto importante perché il dicco magmatico (che risale probabilmente da sotto la crosta) sta continuando a risalire lungo una frattura estesa per una quindicina di km fra Stóra-Skógsfell a nord-est e il mare a SW di Grindavík. Questa frattura ha una direzione coerente con le tante linee tettoniche dell’area lungo le quali in passato e negli ultimi anni si sono verificate diverse eruzioni. <b>NB: la situazione può cambiare all'improvviso</b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br /></span></div><div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><span style="font-size: medium;"><b>SITUAZIONE ALLA SERA DEL 14 NOVEMBRE</b>. Mentre le immagini della deformazione a Grindavik fanno ovviamente il giro del mondo, le probabilità di una nuova eruzione nella penisola di Reykjanes sono sempre maggiori. Ed è realisticamente possibile che sia un evento molto più importante rispetto a quelli precedenti. Ieri sera 14 novembre nel punto più vicino alla superficie il magma era a 400 metri di profondità. Non ho capito dove ma Jon Fremann di Iceland Geology ritiene sia appena a nord-est della città di Grindavík, dove ci sarebbero emissioni di SO2 dal terreno.</span></span></div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">La risalita ha deformato la superficie in maniera estremamente vistosa: la stazione GPS appena a nord di Grindavík registra un abbassamento di 1400 mm da venerdì 10 novembre 2023. A est di questa fossa, parallela alla frattura, le stazioni si stanno alzando, alcune fino a 1 metro. L’abbassamento è tale da far temere addirittura che parte della costa a SW di Grindavik possa finire sotto il livello del mare.</div><div style="text-align: justify;">L'ufficio meteorologico islandese continua a registrare dai 700 ai 3000 terremoti ogni giorno, per lo più lungo la frattura, la cui Magnitudo arriva per gli eventi più forti intorno a 3.</div><div style="text-align: justify;">E qui c’è poi un dato che lascia un po' perplessi: sempre secondo Jon Fremann l’afflusso del magma nella frattura sarebbe di oltre 70 metri cubi al secondo, valore addirittura inferiore a quello dei giorni precedenti. Un quantitativo del genere è piuttosto importante ma anche la deformazione di questa che è la quarta intrusione dal 2020 (solo la prima della serie non è arrivata in superficie) pare molto superiore a quelle precedenti.</div><div style="text-align: justify;">Insomma è possibile che questa sia per adesso la più importante eruzione di questo ciclo.</div></span><br /><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiZ_nBkwuQePMdFbfdnOuzUjIYx1HZ4k5et2hQ3Vof5bt0YBwrg71ZFA-7abBjrX9bW8z4Of_HGEAT4lxuk3pcaiNaq-ZWcLOjgubI6LyBKTNa5GNq0gp1vKzvkyINYCK7EgPwpx1E0FygHMSFR5Vs6ynYmOHYqhRv2i0Vw6U_-OQJHXdOCrqpz27M3Th0/s549/13-nov-enska-blar-litur.png" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="549" data-original-width="540" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiZ_nBkwuQePMdFbfdnOuzUjIYx1HZ4k5et2hQ3Vof5bt0YBwrg71ZFA-7abBjrX9bW8z4Of_HGEAT4lxuk3pcaiNaq-ZWcLOjgubI6LyBKTNa5GNq0gp1vKzvkyINYCK7EgPwpx1E0FygHMSFR5Vs6ynYmOHYqhRv2i0Vw6U_-OQJHXdOCrqpz27M3Th0/w630-h640/13-nov-enska-blar-litur.png" width="630" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">la deformazione fra 10 e l' 11 novemnre 2023. Si vedono chiaramente l'area in abbassamento e quella in sollevamento</td></tr></tbody></table><br /><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhyNj03_PT427mGBB7PWRT_XyOYecnxLbp8yabDOSVYAoB6xUTXdtVZuhKkILx-ZROJAuJhsRgBxQ8xry565Pe-5xiTJA0DYNB4VTVSA9Op28RhlPXHgzCR9La00iwUI04vbosS25DT9BD7NQXhKESkmhLOVQKWHIHVxJS7S_E05SbxVFS7Dw3dQFEN4ds/s1814/Schermata%202021-04-03%20alle%2009.05.10.png" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1618" data-original-width="1814" height="285" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhyNj03_PT427mGBB7PWRT_XyOYecnxLbp8yabDOSVYAoB6xUTXdtVZuhKkILx-ZROJAuJhsRgBxQ8xry565Pe-5xiTJA0DYNB4VTVSA9Op28RhlPXHgzCR9La00iwUI04vbosS25DT9BD7NQXhKESkmhLOVQKWHIHVxJS7S_E05SbxVFS7Dw3dQFEN4ds/s320/Schermata%202021-04-03%20alle%2009.05.10.png" width="320" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">le fasi di attività vulcanica nella penisola di Reykjanes<br />suddivise per segmento </td></tr></tbody></table><br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><span style="font-size: medium;"><b>IL CONTESTO: LA NUOVA FASE DI ATTIVITÀ VULCANICA NELLA PENISOLA DI REYKJANES.</b> Ho parlato di “ciclo di attività” non a caso. Come ho accennato all’inizio, nella penisola di Reykjanes il territorio è diviso in varie aree da una serie di segmenti circa SW-NE (e anche la frattura associata a questa per adesso ancora probabile eruzione segue lo stesso trend) e l’attività viene considerata a livello di queste aree e non per edificio singolo. Si deve notare inoltre come prima dell’iniezione di magma che non ha raggiunto la superficie nella primavera del 2020 nella zona non veniva registrata attività vulcanica negli ultimi 700 anni. Da allora se non erro siamo al quarto episodio del genere (di cui solo i magmi del primo non sono arrivati in superficie).</span></span></div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">Di fatto, come si vede da questo diagramma preso da Sæmundsson et al 2020, i vari sistemi della penisola si mettono in attività più o meno in contemporanea e anche le fasi di quiescenza sono comuni.</div><div style="text-align: justify;">Limitatamente agli ultimi 3500 anni abbiamo 3 cicli di attività tra 3.550 – 3050, tra 2550 – 1900 e tra 800 – 1300 anni fa separati da intervalli di quiescenza di circa 500 e 750 anni. Oggi sono giusto 750 anni dalla fine dell’ultima attività pregressa.</div><div style="text-align: justify;">Siccome l’ultima fase di quiescenza è stata assoluta, in quanto dimostrabile dalle testimonianze storiche, si può presumere che anche durante le altre fasi simili non ci sia stata la benchè minima attività vulcanica.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">La prima eruzione, quella del 2021 presentava magmi particolarmente carichi di gas e con una composizione che ne denotava una origine estremamente profonda. La conclusione a cui erano arrivati i vulcanologi nel 2021, era quindi che la sismicità così intensa registrata a partire dal 2019, il fatto di aver avuto due distinte iniezioni di magma a meno di 12 mesi di distanza l’una dall’altra, la composizione dei magmi facevano pensare che l’evento del 2021 fosse l’inizio di una nuova fase di attività dei sistemi vulcanici della Reykjanes che durerà qualche secolo</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">I fatti stanno dimostrando la correttezza di questa ipotesi</div></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><b>BIBLIOGRAFIA CITATA</b>: Sæmundsson et al (2020) Geology and structure of the Reykjanes volcanic system, Iceland Journal of Volcanology and Geothermal Research 391 106501</span></div>Aldo Piombinohttp://www.blogger.com/profile/14315928146460343487noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-191685988918780993.post-1179214766498153232023-11-12T19:28:00.000+01:002023-11-12T19:28:01.450+01:00il crollo del ponte di Ozzanello (Appennino Parmense) del 30 ottobre 2023: come non costruire u attraversamento di un corso d'acqua<br /> <table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi5L3NMwvuD23cy9XJrJx6o87Nlr6dHBgfY5tABZlcizBjcCjeuP-Nv8BaaoRxwUQe5kK7m0D8uUaVHSIoU3BkmUqsazgMmuCivIpR5ASZLmfsdbIy2HEJ2-G2WXA83ipLMcNGKQybQJNf6TcK9u_ci2k4WHW3F-JQBcRlpsKOWghDYEhx2eRhf5l9QQrE/s1504/vista%20aerea%20dopo.png" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="924" data-original-width="1504" height="394" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi5L3NMwvuD23cy9XJrJx6o87Nlr6dHBgfY5tABZlcizBjcCjeuP-Nv8BaaoRxwUQe5kK7m0D8uUaVHSIoU3BkmUqsazgMmuCivIpR5ASZLmfsdbIy2HEJ2-G2WXA83ipLMcNGKQybQJNf6TcK9u_ci2k4WHW3F-JQBcRlpsKOWghDYEhx2eRhf5l9QQrE/w640-h394/vista%20aerea%20dopo.png" width="640" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Fig.1: vista del ponte di Ozzanello da valle dopo il crollo</td></tr></tbody></table><span style="font-family: helvetica;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Un ponte può crollare per diversi motivi. Ma se crolla è probabile che qualcosa non abbia funzionato a dovere nella progettazione o nella dinamica dell’alveo. Qualche anno fa scrissi <a href="https://aldopiombino.blogspot.com/2013/11/ponti-medievali-sicuri-e-ponti-moderni.html" target="_blank">un post sui ponti “antichi” e su quelli moderni</a>, facendo vedere che c’è negli ultimi decenni un po' di leggerezza nel costruirli (esempio classicissimo il nuovo ponte di Varese Ligure confrontato con il vecchio). È possibile che ci fosse più attenzione nel costruire i ponti durante la piccola era glaciale tra XIII e XVIII secolo perché le alluvioni a scala di bacino erano più frequenti e anche perché costruirne uno era una cosa difficile e costosa.</span></div><span style="font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">Per il crollo del ponte di Ozzanello, avvenuto il 30 ottobre 2023 durante una piena eccezionale sulla stampa è stato detto che <i>il pilone ha ceduto perché l'onda d'acqua sovrastava il ponte nel momento di massima piena</i>. Ma a vedere alcune immagini c’era qualcosa che mi sfuggiva. </div></span><br /></span><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjhYn0dhFq56BU4i9clvT_-zj2Iz4Swqa7JyUTjp35FXdoHYzNpboEcyJt49a_12_6adqDKXJEz66NDFRt5AwVBCzHFPlroILa7qwCJkBAnwxVP8wjvNzqkTVFw51Gqax9NxbE_momC5UyJ4wNKjbP-vSBj_lFCLQGODIlUSd919F_ItI7GqBsl1cuKzD4/s357/alvei.jpeg" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><span style="font-family: helvetica;"><img border="0" data-original-height="141" data-original-width="357" height="126" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjhYn0dhFq56BU4i9clvT_-zj2Iz4Swqa7JyUTjp35FXdoHYzNpboEcyJt49a_12_6adqDKXJEz66NDFRt5AwVBCzHFPlroILa7qwCJkBAnwxVP8wjvNzqkTVFw51Gqax9NxbE_momC5UyJ4wNKjbP-vSBj_lFCLQGODIlUSd919F_ItI7GqBsl1cuKzD4/s320/alvei.jpeg" width="320" /></span></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="font-family: helvetica;">Fig.2: in celeste chiaro l'alveo di morbida, <br />in celeste scuro l'alveo di magra</span></td></tr></tbody></table><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">Trovo giusto in prima battuta riepilogare alcune definizioni sugli alvei.</div></span><ol style="text-align: left;"><li style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><b>Alveo di magra</b>: la porzione dell'alveo che resta bagnata anche nei periodi più secchi, quando scorre poca acqua.</span></li><li style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><b>Alveo di morbida</b>: la porzione dell'alveo occupata dalle acque in condizioni di piena ordinaria nei periodi umidi, in cui scorre abbondante acqua.</span></li><li style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><b>Alveo di piena</b>: la porzione del letto fluviale occupata quando scorre una quantità eccezionale di acqua tale da inondare aree che normalmente sono asciutte.</span></li></ol><span style="font-family: helvetica;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Gli argini principali sono quelli che circondano l’alveo di piena e tutte le sistemazioni devono per forza fare riferimento all'alveo di piena (in particolare andrebbe evitato di infilarci dentro strutture come pilastri o, peggio, rilevati)</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><b>IL PONTE DOPO IL DISASTRO</b>. Dati i miei dubbi ho fatto alcune ricerche in rete, e ho trovato la figura 1: si tratta probabilmente di una immagine da drone che mostra il ponte dopo il crollo, visto guardando verso monte. Si vedono chiaramente la campata destra ancora a posto, una campata al centro crollata e una lunga zona priva di struttura che potrebbe corrispondere ad una terza campata, appena caduta. Questa ricostruzione lascia parecchi dubbi per diversi motivi: </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">(1) non si vedono minimamente tracce di questa terza campata (dove sarebbe finita?)</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">(2) ci sono dei tubi ancora sospesi (strano… se erano a lato della campata crollata o peggio contenuti all’interno come hanno fatto a salvarsi? Mah…)</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">ma soprattutto</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">(3) la campata crollata sembrerebbe più lunga delle altre due, circostanza costruttiva abbastanza insolita. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">La cosa – indubbiamente anomala – mi ha incuriosito ulteriormente e sono andato a cercare di capirci qualcosa.</span><span style="font-size: large;"> </span></div><br /><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhCxDIRhUYzy6-gwnMnj0bLtuLTh_lolkgHEtGyoazmrTTyWXSfUQ2GvEC0ESdys9JTpQCfDMkO72r6xJIJbpU93KUU0HvxrUiMidZ4ePjy0eguH4VjJv5DU5m3ZC_M0mOtPS2mkTtLxfew6p2o5PSkr3Neu-veGKEYU94AiEj2tlydQ7lX13_n9owtnC8/s3544/riva%20sinistra%20SP%20Val%20Spozana.png" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1952" data-original-width="3544" height="352" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhCxDIRhUYzy6-gwnMnj0bLtuLTh_lolkgHEtGyoazmrTTyWXSfUQ2GvEC0ESdys9JTpQCfDMkO72r6xJIJbpU93KUU0HvxrUiMidZ4ePjy0eguH4VjJv5DU5m3ZC_M0mOtPS2mkTtLxfew6p2o5PSkr3Neu-veGKEYU94AiEj2tlydQ7lX13_n9owtnC8/w640-h352/riva%20sinistra%20SP%20Val%20Spozana.png" width="640" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">fig.3: vista del ponte da monte lungo la riva sinistra</td></tr></tbody></table><span style="font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b>IL PONTE PRIMA DEL DISASTRO</b>. Per ricostruire come fosse la situazione e quindi come era fatto il ponte, le immagini di Google sono state estremamente utili. La figura 3, presa da Street View di Google dalla strada provinciale 39 che scorre lungo la riva sinistra dello Sporzana, chiarisce le cose: il ponte consisteva in due campate, con in aggiunta un rilevato che collegava la stessa SP39 con l’estremo della campata sinistra del ponte. Questo rilevato partiva dall’argine sinistro di piena ed è la cosa che manca completamente dopo il disastro, come appunto si vede dalla figura 1.</div></span><br /><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh8WMZdFR6J2yjIx4xprqNDTWVzAlrlVFTYq_wEetMkH7LgxQOFYpBJmcYmaYHdIZ0zZ6_e3FaDZd-llpOw3e6f35VcAuSOvW1p9eNVr5T2T2_OCj6lnBiy-emvcWGy6S1b-2mX1wuPJ5k_Ow5otpwNWW3zxIdShRLeJ6y9tbg_2u_mQpq0ozk1B5gArFY/s1934/vista%20aerea%20prima.png" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1934" data-original-width="1778" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh8WMZdFR6J2yjIx4xprqNDTWVzAlrlVFTYq_wEetMkH7LgxQOFYpBJmcYmaYHdIZ0zZ6_e3FaDZd-llpOw3e6f35VcAuSOvW1p9eNVr5T2T2_OCj6lnBiy-emvcWGy6S1b-2mX1wuPJ5k_Ow5otpwNWW3zxIdShRLeJ6y9tbg_2u_mQpq0ozk1B5gArFY/w589-h640/vista%20aerea%20prima.png" width="589" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">figura 4: vista aerea con il tracciato dell'alveo di morbida e la parte in erosione della sponda</td></tr></tbody></table><br /><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgXXfcZOL1F1JK9gze0bnKXCnZL0ZIFABSMW60jHiPTz_aCAAqGr3xkMRKjJ1G3tWyCgwCPeZ_kR-dFauRqbeByjW4HQexiwMbA4FtlhmJNAuvvxNPF_Y-lULA6cVFb2kRfkKRj7xsPpuiYSoarAmNXp1rscIG0pIbhBG1vHAyXmKRt69zMVYGD2eEI6AI/s3550/vista%20SV%20dal%20lato%20dx%20del%20ponte.png" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1920" data-original-width="3550" height="216" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgXXfcZOL1F1JK9gze0bnKXCnZL0ZIFABSMW60jHiPTz_aCAAqGr3xkMRKjJ1G3tWyCgwCPeZ_kR-dFauRqbeByjW4HQexiwMbA4FtlhmJNAuvvxNPF_Y-lULA6cVFb2kRfkKRj7xsPpuiYSoarAmNXp1rscIG0pIbhBG1vHAyXmKRt69zMVYGD2eEI6AI/w400-h216/vista%20SV%20dal%20lato%20dx%20del%20ponte.png" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Figura 5: dal ponte, sulla sinistra idraulica dello Sporzana si vede bene che <br />in sinistra idraulica la corrente tende ad erodere l'alveo</td></tr></tbody></table><span style="font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><b>LA DINAMICA DEL TORRENTE SPORZANA A MONTE DEL PONTE</b>. Qui sopra nella figura 4 vediamo un aspetto particolarmente importante che emerge dall’immagine aerea di Google: il fiume sta creando subito a monte del ponte un meandro all’interno dell’alveo di morbida e per questo il rilevato della strada che dalla SP39 porta al ponte è diventato esso stesso nella sua parte più estrema l’argine dell’alveo di morbida.</div><div style="text-align: justify;">Nella figura 5, qui accanto, che è presa dal ponte stesso al suo inizio in riva destra, si tova la conferma visiva della situazione: a causa della incipiente formazione del meandro la sponda sinistra dell’alveo di morbida a monte del ponte è chiaramente in erosione, essendo quella esterna del meandro in formazione. Quando è stato realizzato il ponte, il suo pilastro di sinistra si appoggiava sul rilevato, probabilmente in corrispondenza della sponda sinistra dell’alveo di morbida di allora. Ma l’erosione in riva sinistra ha provocato una regressione della riva, per cui il lato a monte del rilevato si è trovato a far parte della sponda dell’alveo di morbida.</div></span><br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><b><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhcyJeXF_y27THsJ9lY4YLdANQg7SfBVLWwBsq4gEEj0iJ42IWEnVJZX70iWthJytD8uxhqMgqQLjRZ5PmTGV6uA8MSb1AQ3S_GOZoG7MvwnYICz4oVLNqGiPa_HhQLYeI3lINIlMgjG_ihHtIfGELRZg85yWTexnMxjz4xgN7B-PiW8vWXONbp9ZG3TyM/s1920/appennino%20parmense.001.jpeg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1080" data-original-width="1920" height="437" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhcyJeXF_y27THsJ9lY4YLdANQg7SfBVLWwBsq4gEEj0iJ42IWEnVJZX70iWthJytD8uxhqMgqQLjRZ5PmTGV6uA8MSb1AQ3S_GOZoG7MvwnYICz4oVLNqGiPa_HhQLYeI3lINIlMgjG_ihHtIfGELRZg85yWTexnMxjz4xgN7B-PiW8vWXONbp9ZG3TyM/w777-h437/appennino%20parmense.001.jpeg" width="777" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">figura 6: ricostruzione del disastro</td></tr></tbody></table><br />LA PROBABILE DINAMICA DEI FATTI</b>. Quindi cosa è realmente successo al ponte di Ozzanello? Si vede dalla figura 6. </span></div><span style="font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">Molto semplicemente <b>a causa della piena la corrente del torrente Sporzana è andata sopra la sponda dell’alveo di morbida e ha demolito quella parte del rilevato che a seguito dell’erosone in riva sinistra era diventata la sponda. Lungo di esso la corrente particolarmente veloce essendo all'esterno della ansa è diventata estremamente erosiva, scavando il rilevato che alla fine è crollato. A questo punto la campata sinistra del ponte si è trovata senza l’appoggio sul rilevato, determinandone quindi il crollo.</b></div><div style="text-align: justify;">La figura 6 riassume la situazione e soprattutto evidenzia il nuovo alveo dello Sporzana, che si trova al posto del rilevato ed è spostato a sinistra rispetto a quello precedente .</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEibfyDaLwMaLWGu6k-_T_hDep21GD3jiFjqQUihUjsGt8Zz7dE5O2PKq76nYMewL0yTwStAqobWCi_3dJFMQCP-zLL_8PWnjLgS679rv4CTEYYXfR1w9TbeKtK4EoE3DXiIznhzGLKROsh4mcDOdoZQQDjNCuNaPOezk6lHduma1KnVng4b5yrz0VF82Hw/s990/135942827-82fe41b1-165b-4c31-b4dd-85d9b165be37.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="556" data-original-width="990" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEibfyDaLwMaLWGu6k-_T_hDep21GD3jiFjqQUihUjsGt8Zz7dE5O2PKq76nYMewL0yTwStAqobWCi_3dJFMQCP-zLL_8PWnjLgS679rv4CTEYYXfR1w9TbeKtK4EoE3DXiIznhzGLKROsh4mcDOdoZQQDjNCuNaPOezk6lHduma1KnVng4b5yrz0VF82Hw/w400-h225/135942827-82fe41b1-165b-4c31-b4dd-85d9b165be37.jpg" width="400" /></a></div>Perché succede questo? Perché un fiume lasciato libero tende a modificare il suo corso e all’interno dell’alveo di magra lo Sporzana era appunto libero di fare quello che farebbe naturalmente un fiume avendo spazi a disposizione, come si vede nel riquadro in basso a destra di della figura 6.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b>Direi quindi che l’errore fondamentale che ha portato al crollo è stato quello di costruirlo sostituendo parte della possibile travata in cemento armato con un rilevato all’interno dell’alveo di piena</b>, usando come riferimento l'alveo di morbida: se il ponte fosse stato realizzato fino a comprendere tutta l’estesa fra le due rive dell’alveo di piena, probabilmente non sarebbe crollato.</div><div style="text-align: justify;">La dinamica ricorda quella di un ponte crollato in Sardegna che si vede qui accanto: anche in questo caso l'attraversamento del corso d'acqua era parte in rilevato e parte in viadotto, con il rilevato che ha fatto da diga.</div></span><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div></span><br /><div><br /></div>Aldo Piombinohttp://www.blogger.com/profile/14315928146460343487noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-191685988918780993.post-56062838759504319352023-11-04T11:59:00.001+01:002023-11-04T11:59:58.745+01:00le immagini della sonda europea Mars Express e i dati del lander della NASa InSight evidenziano attività tettonica attuale e attività vulcanica recente in una regione di Marte <br /><div style="text-align: justify;"><i style="font-family: helvetica; font-size: large;">La presenza di faglie è un aspetto diffuso e comune sulla superficie marziana, e fornisce le prove di deformazioni fragili nel corso della storia del pianeta. La loro abbondanza nei terreni di tutte le età è stata interpretata come il risultato della contrazione termica dovuta al raffreddamento secolare e del conseguente restringimento del pianeta. Ma le ultime ricerche portano alla ribalta un Marte ancora interessato da fenomeni vulcanici e di tettonica attiva, in particolare nei dintorni di Elysium Mons, un vulcano di dimensioni enormi per gli standard a cui siamo abituati sulla Terra, dove un sistema di fosse tettoniche, le Cerberus Fossae, mostra evidenti segni di attività vulcanica recente e dove attualmente viene rilasciata la metà dell’energia sismica del pianeta.</i></div><div><br /><div><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi3g7dyZ_0ECFFjUxdKcC5Zp7Cp6TwdAB7zehjmnmr_iC3PWBz70iEMiUmuVrZtgUuwXBIBblOVbmNpintC4fUq0HcrXPYQyf0LaQkmDNITXF4FctG9nwaVVo88hsHy4Lf_W_tqdqx2Bc264EKg4gL9g7Jv0QfxVWnDsb7D50LNa9-jXL8zQk3hNks0EEo/s2498/Mars_Express_view_of_Cerberus_Fossae_pillars.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><img border="0" data-original-height="1080" data-original-width="2498" height="277" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi3g7dyZ_0ECFFjUxdKcC5Zp7Cp6TwdAB7zehjmnmr_iC3PWBz70iEMiUmuVrZtgUuwXBIBblOVbmNpintC4fUq0HcrXPYQyf0LaQkmDNITXF4FctG9nwaVVo88hsHy4Lf_W_tqdqx2Bc264EKg4gL9g7Jv0QfxVWnDsb7D50LNa9-jXL8zQk3hNks0EEo/w640-h277/Mars_Express_view_of_Cerberus_Fossae_pillars.jpg" width="640" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">L'immagine, scattata il 27 gennaio 2018 durante l'orbita 17813 dalla telecamera stereo ad alta risoluzione (HRSC) sul Mars Express dell'ESA, <br />mostra una porzione del sistema Cerberus Fossae nell'Elysium Planitia vicino all'equatore marziano.<br />Si nota bene che queste fratture tagliano i crateri per cui passano e quindi sono più recenti di essi<br />Anche la zona in alto a destra dell'immagine, totalmente priva di crateri, è giovane ma la fossa lo è ancora di più</td></tr></tbody></table><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: helvetica;"><b><i>CERBERUS FOSSAE</i>: ATTIVITÀ VULCANICA RECENTE SU MARTE</b>. </span><span style="font-family: helvetica;">Queste immagini sono state scattate dalla sonda dell’ESA <i><b>Mars Express</b></i> il 27 gennaio e mostrano parte del sistema <i>Cerberus Fossae</i> nella regione di <i>Elysium Planitia</i> vicino all’equatore marziano. </span><span style="font-family: helvetica;">Uno dei risultati più spettacolari dal punto di vista geologico delle osservazioni di Mars Express è proprio lo studio di questa zona. Come dice il nome le </span><i style="font-family: helvetica;">Fossae</i><span style="font-family: helvetica;"> – termine latino per “fossati” o “trincee” – sono delle fratture; in questo caso si tratta di strutture larghe tra poche decine di metri e oltre un chilometro, che si estendono per più di 1000 chilometri da nord-ovest a sud-est. Si tratta di faglie e la cosa interessante è che lungo il loro percorso queste faglie attraversano crateri da impatto e colline, nonché pianure vulcaniche di età molto recente (10 milioni di anni) e quindi sono state attive in tempi ancora più recenti.</span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><i>Mars Express</i> è la prima missione europea su Marte: da ben 15 anni il satellite continua la sua indagine globale di grande successo orbitando intorno al pianeta (a parte la tristissima perdita iniziale del lander <i>Beagle 2</i> che si è schiantato sulla superficie marziana anziché atterrare dolcemente). I suoi strumenti stanno analizzando Marte in modo completo, dalla parte più alta, la ionosfera, fino al suo sottosuolo con il radar. Oltre a varie altre cose ha acquisito oltre 40.000 immagini ad alta risoluzione del pianeta rosso e delle sue due lune, perché fra gli obiettivi principali della missione ci sono l’imaging ad alta risoluzione della sua intera superficie (10 metri/pixel), l'imaging di aree selezionate a altissima risoluzione (2 metri/pixel) e una mappa della composizione minerale della superficie con una risoluzione di 100 metri.</span></div><div><span style="font-family: helvetica;"><br /><span style="font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><b>L’area delle <i>Cerberus Fossae</i> era già stata precedentemente identificata come un luogo con attività vulcanica recente su Marte, datata a meno di 10 milioni di anni</b> (Taylor et al 2013), contemporanea alla deposizione di colate di lave basaltiche sulla parte orientale della <i>Elysium Planitia</i> (Berman & Hartmann, 2002). <table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiRzOVNJLmUgio8Q9FDmvAHIX9baQQabyX3NBxNw7c6AcYn83eTgUbnQbPGLQt7jw8pFQ8X4KF5XWyuOAH5VPK-CmILXLr8wkuG8souWCiQjkXdJAVT1NtVYYc_Wc44RxlNAR67BUrDhAks674R6erLJm_wyOnOEcrDpDRA-HES-1RyY65wM3zUzwjfWxo/s2892/Screenshot%202023-11-03%20alle%2009.23.04.png" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1660" data-original-width="2892" height="271" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiRzOVNJLmUgio8Q9FDmvAHIX9baQQabyX3NBxNw7c6AcYn83eTgUbnQbPGLQt7jw8pFQ8X4KF5XWyuOAH5VPK-CmILXLr8wkuG8souWCiQjkXdJAVT1NtVYYc_Wc44RxlNAR67BUrDhAks674R6erLJm_wyOnOEcrDpDRA-HES-1RyY65wM3zUzwjfWxo/w472-h271/Screenshot%202023-11-03%20alle%2009.23.04.png" width="472" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">le Cerberus Fossae si trovano vicino al vulcano Elysium<br />a bass altitudine settentrionale</td></tr></tbody></table></div><div style="text-align: justify;">Il sistema di <i>Cerberus Fossae</i> è costituito da cinque principali strutture dirette NW-SE lunghe tra 250 e 600 km, ma ulteriormente segmentate (i segmenti più piccoli identificabili in superficie sono lunghi 5–10 km)</div><div style="text-align: justify;"><b>Le fosse più occidentali sono più mature</b> (cioè con larghezza e estensione maggiori) e i loro segmenti meglio collegati rispetto a quelli delle fosse più orientali. Inoltre, è stato identificato un deposito tufaceo nella parte centrale (Horvath et al 2021), la <i>Cerberus Mantling Unit</i>, per la quale è stata ipotizzata una età di meno di 200.000 anni.</div><div style="text-align: justify;">Il sistema di <i>Cerberus Fossae</i> è stato interpretato generalmente in due modi: un sistema di fosse tettoniche oppure un sistema di fessure vulcaniche collassate e allargate. In entrambi i casi potrebbe esserci un collegamento con l'indebolimento della crosta dovuto alla fusione parziale del mantello sotto Elysium Mons (un vulcano alto oltre 14.000 metri posto al di sopra di un grande rigonfiamento superficiale) e quindi ad un sistema di fratture riempite da lave (dicchi) che si estende a partire da lì (Hauber et al 2001)</div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><b>LA SISMICITÀ DI CERBERUS FOSSAE</b>. E qui viene in sinergia alle osservazioni di <i>Mars Express</i> la sonda della NASA <b><i>Insight</i>.</b> Questo <i>lander</i> è atterrato a poco più di 1000 km di distanza dal sistema delle <i>Cerberus Fossae </i>il 26 novembre 2018 ed è rimasto operativo fra il dicembre 2018 e il 15 dicembre 2022, quando le tempeste di polvere hanno coperto i pannelli solari impedendone il funzionamento e lasciando la sonda senza corrente (le missioni dei <i>rover </i>durano di più rispetto a quelle dei semplici <i>lander</i> perché i <i>rover</i> nel loro movimento puliscono i pannelli solari, consentendo di continuarne il funzionamento e quindi l’afflusso di corrente alla sonda).</div><div style="text-align: justify;">Uno degli strumenti fondamentali di <i>Insight</i> era un sismografo, i cui dati, esaminati da Stahler et al (2022) confermano che nella regione di Cerberus Fossae ci sia ancora attività tettonica: in particolare la sismicità a 15-50 km di profondità suggerisce un regime di stress estensionale situato in un ambiente più caldo delle zone adiacenti. Queste osservazioni forniscono un quadro coerente con la recente attività magmatica e con la presenza di una zona parzialmente fusa a una profondità di 30–50 km: il flusso di calore locale è particolarmente elevato, 36 ± 10 mW m−2 contro valori medi globali marziani che si collocano intorno a 21÷22 ± 7 mW m−2.</div><div style="text-align: justify;">La sismicità è asimmetrica: non se ne osserva nella parte occidentale delle Fossae, dove invece la deformazione è maggiore. Il tutto suggerisce un processo dinamico, tramite una apertura rapida che però è diventata per lo più passiva dopo un breve periodo; si tratta di un trend comunemente osservato in situazioni simili sulla Terra: terminata la fase attiva si apre una nuova frattura più ad est. Inoltre non può essere un caso che la sismicità attuale sia correlata all’area di origine dei tufi più recenti. Usando una modellazione della sismicità provocata dalle fratturazioni indotte da dicchi magmatici simili sulla Terra, si ottiene un quadro coerente con la rapida apertura di una fessura avvenuta tra 53 e 210.000 anni fa</div></span><br /><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEimnzb85ARs2IO_VA-LV_uqznqaRDWAtVDVrKKpuUuKmIzw3xGUu3KUKCsPugC_feTcVEkg_qnSetVOIj-kDXO3i7ZA6_LUM2UEpfoJFo5VKKdRvFmqO9CWi6-9hhaajHdJeADuuW7CBseC1Cvh2p10fAc6cwUD5kpuefBkrxXeNvEppOLKbWEzIPp74W0/s1248/Screenshot%202023-11-04%20alle%2008.48.34.png" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1010" data-original-width="1248" height="362" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEimnzb85ARs2IO_VA-LV_uqznqaRDWAtVDVrKKpuUuKmIzw3xGUu3KUKCsPugC_feTcVEkg_qnSetVOIj-kDXO3i7ZA6_LUM2UEpfoJFo5VKKdRvFmqO9CWi6-9hhaajHdJeADuuW7CBseC1Cvh2p10fAc6cwUD5kpuefBkrxXeNvEppOLKbWEzIPp74W0/w446-h362/Screenshot%202023-11-04%20alle%2008.48.34.png" width="446" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">modello tettonico dei terremoti rilevati da InSight<br />nelle Cerberus Fossae da Strahler et al (2022)</td></tr></tbody></table><span style="font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><b><i>CERBERUS FOSSAE</i> E LA GEODINAMICA MARZIANA.</b> Stahler et al (2022) confermano che <i>Cerberus Fossae</i> rappresenti su Marte un ambiente tettonico unico modellato dagli attuali processi magmatici e dal flusso di calore localmente elevato. <b>Propongono quindi che la sismicità superficiale rilevata da <i>InSight</i> si inneschi lungo faglie a bassa profondità dovute alla struttura stessa della crosta, che possibilmente costituiscano la continuazione sotterranea dei fianchi delle fosse</b>, anche perché il segnale sismico non è compatibile con fonti quali frane o altri processi distruttivi o impatti meteoritici</div><div style="text-align: justify;"><b>A livello globale marziano, la quantità di momento sismico rilasciato nella regione delle <i>Cerberus Fossae</i> è praticamente la metà di quella globale misurata da <i>Insight</i>, suggerendo che la contrazione termica globale e quindi la compressione litosferica non siano il motore dominante della tettonica contemporanea su Marte</b>.</div><div style="text-align: justify;">Inoltre la distribuzione e la natura dei martemoti mostrano come il campo di stress globale non possa spiegare <b>l'origine di <i>Cerberus Fossae, </i>che invece si spiega bene con un meccanismo innescato dalla fusione parziale del mantello marziano al di sotto dell'<i>Elysium Mons</i>: questa indebolisce localmente la crosta e consente l'apertura dei graben.</b></div><div style="text-align: justify;"><b>Un flusso di calore così localizzato nell'<i>Elysium Mons</i> ha ulteriori implicazioni, di tipo geodinamico: esiste una fonte di calore dinamica, come un pennacchio simile ai plumes mantellici terresti?</b> Oppure la fusione parziale risulta da una crosta localmente spessa? La prima ipotesi si adatta meglio alla situazione, perché su Marte la crosta più spessa è quella dell'emisfero meridionale, non di quello settentrionale e aumentare lo spessore con i dati attuali di gravimetria implicherebbe automaticamente una bassa densità crostale in quella zona, difficilmente spiegabile.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Inoltre la presenza di una ristretta zona più calda nel mantello e la sismicità rilevata su Marte da InSight si accordano con uno schema in cui nel sistema solare l’attuale tettonica dei pianeti terrestri più grandi, Marte, Venere e la Terra, è dominata da dinamiche interne, invece che da un raffreddamento e un restringimento puramente passivi, come si riscontra sui più piccoli Luna e Mercurio.</div><br /></span></span></div></div><div style="text-align: center;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><b>BIBLIOGRAFIA</b></span></div><div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"> </span></div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">Berman e Hartmann (2002). Recent fluvial, volcanic, and tectonic activity on the Cerberus Plains of Mars. Icarus 159, 1–17</span></div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br /></span></div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">Horvath et al (2021). Evidence for geologically recent explosive volcanism in Elysium Planitia, Mars. Icarus 365, 114499 (2021). </span></div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br /></span></div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">Stahler et al (2022). Tectonics of Cerberus Fossae unveiled by marsquakes. Nature Astronomy, 6 /12, 1376–1386</span></div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br /></span></div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">Taylor et al (2013). Estimates of seismic activity in the Cerberus Fossae region of Mars. J. Geophys. Res. E Planets 118, 2570–2581 </span></div></div><div><br /></div>Aldo Piombinohttp://www.blogger.com/profile/14315928146460343487noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-191685988918780993.post-30264226970648814072023-11-01T10:47:00.000+01:002023-11-01T10:47:42.423+01:00alcune domande che mi sono posto sull'ultimo comunicato del Dipartimento di Protezione Civile a proposito dei Campi Flegrei<span style="white-space: pre-wrap;"><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiS3EUI9B9y8bSMm7ctySExoIASDh29Txe1vluQuVWd7f4TpvA-3xnZq8clxY3KVMVTUHwF-XGAOM7Hn1NIXq5GTYX20hcbH8xOL_0QOHK6VazK_bJRdSPIbxFaITDyfiFSwNKost1xY_AKKOMXc-geN_SFeB3Q4KS52-2vJd1zJcPcyy2USwgHxHbzxEc/s696/Schermata%202023-08-21%20alle%2018.29.53.png" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="558" data-original-width="696" height="321" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiS3EUI9B9y8bSMm7ctySExoIASDh29Txe1vluQuVWd7f4TpvA-3xnZq8clxY3KVMVTUHwF-XGAOM7Hn1NIXq5GTYX20hcbH8xOL_0QOHK6VazK_bJRdSPIbxFaITDyfiFSwNKost1xY_AKKOMXc-geN_SFeB3Q4KS52-2vJd1zJcPcyy2USwgHxHbzxEc/w400-h321/Schermata%202023-08-21%20alle%2018.29.53.png" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">l'ultima interpretazione della struttura dei Campi flegrei <br />da Akande et al (2019) </td></tr></tbody></table><br /><div style="text-align: justify;"><span><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><i>Il comunicato del </i></span></span><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><i> Dipartimento di Protezione Civile a proposito dei Campi Flegrei<span> e le parole del ministro Musumeci mi hanno lasciato un pò perplesso, vorrei un attimo esporre le mie perplessità e quello che mi domando a seguito di quanto è stato scritto.</span></i></span></div></span><br /><div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: helvetica;">Il Dipartimento di Protezione Civile</span><a href="https://www.protezionecivile.gov.it/it/comunicato-stampa/protezione-civile-commissione-grandi-rischi-intensificare-attivita-su-campi-flegrei/" style="font-family: helvetica;" target="_blank"> ha emesso un comunicato</a><span style="font-family: helvetica;"> a seguito della riunione della Commissione Grandi Rischi indetta per fare il punto sulla situazione dei Campi Flegrei.</span></span></div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">Il ministro della Protezione Civile in base a questo comunicato avrebbe detto che “<i>La attività vulcanica nei Campi Flegrei, connessa al bradisismo, risulta essere in costante evoluzione. Non si esclude che, se dovesse perdurare tale situazione, si possa passare al livello di allerta arancione</i>”.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Questa frase non è del tutto chiara. Innanzitutto perché non sarebbe certo una novità la possibilità di elevare l’allerta dal colore giallo a quello arancione. È noto a tutti che questo passaggio sarebbe una conseguenza necessaria ed inevitabile in caso di movimenti del magma (e qui ripeto che i terremoti da soli non possono determinare un cambiamento di colore, perché, a meno di cambiamenti normativi, questa è una allerta vulcanica e fino a quando gli ipocentri restano confinati al di sopra della zona idrotermale, non ci sono indizi sulla eventuale risalita di magma.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhbQNf_U7r3FzQYaGsMOY2lhw2XBuJbT9IU83JC5uugueC0Ub1YxKZBaGnoSya_oNe5l2mx3AXQlX1zxvNZ9Z1-NxEMxQz7n-rbmWgBGs9b2nOLHCnQQwxtz80VjhrQ4cGa2bENkZUZcnfY6ORHx1TnPHVDKaQzpx9QsJ5BOjAURQOEddXiHX-kdYh8QFQ/s2488/Screenshot%202023-11-01%20alle%2010.27.10.png" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1758" data-original-width="2488" height="452" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhbQNf_U7r3FzQYaGsMOY2lhw2XBuJbT9IU83JC5uugueC0Ub1YxKZBaGnoSya_oNe5l2mx3AXQlX1zxvNZ9Z1-NxEMxQz7n-rbmWgBGs9b2nOLHCnQQwxtz80VjhrQ4cGa2bENkZUZcnfY6ORHx1TnPHVDKaQzpx9QsJ5BOjAURQOEddXiHX-kdYh8QFQ/w640-h452/Screenshot%202023-11-01%20alle%2010.27.10.png" width="640" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">dal bollettino mensile di ottobre 2023 dell'Osservatorio Vesuviano<br />a. frequenza di accadimento degli eventi sismici b. profondità ipocentrali<br />c. Magnitudo d. energia cumulativa rilasciata</td></tr></tbody></table><br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><span style="font-size: medium;"><b>Insomma il DPC non sta decidendo nulla. Semplicemente il ministro dice che il DPC é pronto a decidere questo innalzamento in caso di sviluppi. Ma non era una novità perché lo era di già da decenni….</b> Anche se fa bene a sottolinearlo, avrebbe potuto precisare che non è da oggi che è così. Ma è un politico...</span></span></div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">Tantomeno è una novità quello che sottolinea il comunicato quando viene scritto che il quadro complessivo della situazione “<i>faccia comunque emergere la possibilità che i processi in atto possano evolvere ulteriormente</i>”.</div></span><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">Mi chiedo quindi se quanto dichiarato sia semplicemente un ribadire la cosa. Poi però aggiunge un particolare di difficile interpretazione: “<i>se dovesse perdurare tale situazione</i>”. </div></span></div><div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><span style="font-size: medium;">Mi chiedo quale situazione. Quella attualmente nota nella quale il magma rimane fermo nella camera magmatica? Se ha detto così ha sbagliato, a meno che non cambi qualcosa nel regolamento. Se perdurasse la situazione di magma a riposo non ci sarebbe bisogno di innalzare l'allerta (altrimenti... sarebbe stato già fatto..).</span></span></div><span style="font-family: helvetica;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Poi però sul comunicato si legge una cosa che potrebbe essere più preoccupante: “I<i>n base a quanto emerso e alle valutazioni compiute, la Commissione rileva che l’insieme dei risultati scientifici rafforza l’evidenza del coinvolgimento di magma nell’attuale processo bradisismico di sollevamento del suolo</i>”, precisando comunque che il quadro complessivo “<i>non è di univoca interpretazione</i>”.</span></div><br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Allora, delle due l’una:</span></div></span><ol style="text-align: left;"><li style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><b>il magma è coinvolto perché è è la sorgente dei gas</b> (analogamente a quanto sta succedendo in California nella caldera di Long Valley)? Questa non sarebbe una novità. E così non cambierebbe niente</span></li><li style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">i<b>l magma è coinvolto vuole dire che “<i>è in risalita</i>” o “<i>ne è arrivato dell’altro nella camera magmatica</i>”</b>? A questo punto mi domando: ne sono stati rilevati dei movimenti? Da chi? In che modo? O è solo una impressione, sia pure motivata dall’esperienza, di qualcuno? Ma se fosse così il passaggio all’allerta arancione avrebbe già dovuto essere avvenuto...!</span></li></ol><span style="font-family: helvetica;"><div style="text-align: justify;"><b><span style="font-size: medium;">Insomma, mi piacerebbe che venisse precisato questo passaggio e cioè cosa si intenda nel comunicato per <i>coinvolgimento di magma</i>...</span></b></div><span style="font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">Ricordo che se una tomografia del 1985 ha trovato del magma liquido a bassa profondità vuol dire che ha rilevato il magma che in quel momento si stava muovendo verso l’alto ed è arrivato a 2 km dalla superficie. Ma quel magma adesso è solidificato.</div></span></span></div><div><span style="font-family: helvetica;"><br /></span></div><div><span style="font-family: helvetica;"><span style="font-size: medium;">Akande et al (2019) Three-dimensional kernel-based coda attenuation imaging of caldera structures controlling the 1982-84 Campi Flegrei unrest. <i>Journal of Volcanology and Geothermal Research</i> 381, 273-283 </span><br /></span><br /></div>Aldo Piombinohttp://www.blogger.com/profile/14315928146460343487noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-191685988918780993.post-67952246288058093632023-10-23T15:01:00.000+02:002023-10-23T15:01:09.621+02:00 È forse necessario nelle progettazioni idrauliche passare da un approccio storico (le piene duecentennali) ad un nuovo approccio che consideri gli eventi estremi possibili in un bacino? <div><br /></div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><i>Prendo spunto dalla questione del nuovo aeroporto di Firenze per una serie di considerazioni che riguardano la progettazione di nuove opere impattanti nel territorio (e, volendo, per una mitigazione del rischio in quelle vecchie): già adesso mi hanno riferito che il Consiglio Superiore del Lavori Pubblici richieda come scenario di confronto per le opere che incidono sui corsi d’acqua la piena duecentennale aumentata di una certa percentuale, ma la sempre maggiore frequenza delle celle temporalesche autorigeneranti V-shaped e dei Medicanes mi spinge a ipotizzare la necessità di modificare il paradigma, cambiando lo scenario di riferimento, che oggi è quello storico, a quello di una modellazione basata sui possibili effetti in un bacino delle precipitazioni associate ad una cella temporalesca autorigenerante V-shaped. Ringrazio l’amico prof. Fabio Castelli, per le ampie discussioni che mi hanno molto aiutato sull’argomento.</i></div></span><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjyK_vus5HDX6PIEn64Gw8zi7DM0LBcn7Tmw0oWRiNCFZbsHUdhNkwWhNcfLZUlACUYHVgaX0S5ERGGdPnOUBxTUFsGwQtgZm20AMJbn58bbLfb9jHtsNghbCGLGfxA0WnS2DkYKHW2KLyV9izVlcn43mj4kAD95TqToa7cdSfETliKFs0jLFtzQDxEJK0/s400/infrastrutture_012.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="300" data-original-width="400" height="300" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjyK_vus5HDX6PIEn64Gw8zi7DM0LBcn7Tmw0oWRiNCFZbsHUdhNkwWhNcfLZUlACUYHVgaX0S5ERGGdPnOUBxTUFsGwQtgZm20AMJbn58bbLfb9jHtsNghbCGLGfxA0WnS2DkYKHW2KLyV9izVlcn43mj4kAD95TqToa7cdSfETliKFs0jLFtzQDxEJK0/w400-h300/infrastrutture_012.jpg" width="400" /></a></div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><b>ITALIA E OPERE PUBBLICHE: TROPPA IDEOLOGIA</b>. Una caratteristica di base della cultura politica e sociale del nostro Paese è la trattazione dei progetti sulla costruzione di opere pubbliche in maniera ideologica, sia da parte di chi è a favore sia da parte di chi è contrario. Con questo approccio i dati purtroppo contano meno dei preconcetti ideologici, che purtroppo spesso prescindono da quella che è la logica scientifica, ambientale e trasportistica. Non solo, ma spesso chi discute evita di proposito di leggere i dati (e talvolta anche i progetti) se vanno contro le loro convinzioni o desideri, oppure cita esclusivamente (e disonestamente) solo quelli a favore della propria tesi. </div></span><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">Insomma, in genere manca un approccio “laico” alle opere, grandi o piccole che siano e anche per questo l’Italia è la patria della<a href="https://www.liberopensiero.eu/27/02/2020/ambiente/sindrome-nimby-conflitto-ambientale/" target="_blank"> sindrome NIMBY</a> (<i>no, non nel mio cortile!</i>).</div></span><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><b>A trattare argomenti del genere senza tenere conto dei dat</b>i (o citando solo quelli che appoggiano la propria tesi), <b>succede spesso che vengano realizzate infrastrutture inutili e non vengano realizzate infrastrutture utili, oppure le realizzazioni lascino parecchio perplessi quando sono dettate da compromessi che non hanno nulla di logico.</b> E questo è un altro motivo del declino del nostro Paese.</div></span><br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><span style="font-size: medium;"><b>IL NUOVO AEROPORTO DI FIRENZE.</b> La conseguenza del problema di cui sopra è che in tutto questo marasma di discussioni i progetti si trascinano per anni, se non decenni. La questione dell’aeroporto di Firenze ne è un esempio classico visto da quanto tempo se ne parla. In buona sostanza le ipotesi sono 3: (1) lasciare le cose come sono, (2) realizzare in alternativa alla pista attuale una seconda pista perpendicolare ad essa e (3) chiudere tutto. Non intervengo in questi aspetti anche se, per onestà intellettuale e correttezza nei confronti di chi legge, considerazioni trasportistiche, ambientali ed economiche (<i>i famosi “dati”!</i>) mi spingerebbero verso la (2). Quindi non sono del tutto neutrale, ma un conto è essere neutrale, un altro essere obbiettivo e personalmente mi sento in dovere di fare le pulci sia ad opere sia ad opere a cui sono tendenzialmente contrario, sia a maggior ragione ad opere a cui sono tendenzialmente favorevole, perché farei anche io una brutta figura.</span></span></div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">Ho in proposito solo una perplessità su questo progetto, di cui <b>approfitto per parlare di una questione più larga e cioè se e come la normativa idraulica debba o no essere modificata alla luce dei cambiamenti climatici</b>. Questo vale nelle più varie situazioni, da un territorio allo stato “quasi naturale” a una realizzazione in una plaga ampiamente antropizzato.</span> </div></span><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">La cosa si dovrebbe anche applicare anche alle decisioni da prendere per rimediare ad evidenti guasti fatti per rendere maggiormente sicuri territorio, infrastrutture e manufatti in genere. Ad esempio nella mitigazione del rischio idraulico per l’abitato di Firenze a monte del ponte S. Trinita del 2021 deve essere garantito un franco di 70 cm per la piena duecentennale nello scenario futuro (cioè con realizzate le casse di espansione del Valdarno superiore (<a href="https://aldopiombino.blogspot.com/2021/11/a-55-anni-dallevento-alluvionale-della.html" target="_blank">ne ho parlato qui</a>) e 70 cm non sono proprio pochi.</div></span><br /><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiFwJ17JcLSPWw-6pj2b3xNXgYdpAdzN0GV4_tZ85XSHR2MMze8772rI3liaQWAyrnQXeMYVq3oPEZhiyRGNsy9iXR7I1-2YgjBd1AJ-mIftH9Rd-DMJYCmnhp7E0RX0k1WwsqdP5wyou9mS3wbh5v7T4K1O0xH4nATU2aKUPjTvkYkxOXobKs_eKOEOR8/s1532/Schermata%202023-10-23%20alle%2010.53.23.png" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="765" data-original-width="1532" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiFwJ17JcLSPWw-6pj2b3xNXgYdpAdzN0GV4_tZ85XSHR2MMze8772rI3liaQWAyrnQXeMYVq3oPEZhiyRGNsy9iXR7I1-2YgjBd1AJ-mIftH9Rd-DMJYCmnhp7E0RX0k1WwsqdP5wyou9mS3wbh5v7T4K1O0xH4nATU2aKUPjTvkYkxOXobKs_eKOEOR8/w640-h320/Schermata%202023-10-23%20alle%2010.53.23.png" width="640" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">il reticolo idrografico della piana fra Firenze, Sesto Fiorentino e Campi Bisenzio con la nuova pista </td></tr></tbody></table><br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><span style="font-size: medium;"><b>FARE I CONTI CON I GUASTI DEL PASSATO</b>. Non mi stancherò mai di ripetere che per “<i>guasti fatti</i>” mi riferisco alla <b>drastica diminuzione dello spazio concesso a fiumi e specchi d’acqua: le pianure come le vediamo, dalla più grande alla più piccola a parte poche rilevanti eccezioni non sono naturali perchè una volta erano aree acquitrinose nelle quali i fiumi erano liberi di fare gli affari propri, spostando il corso a loro piacimento.</b> Inoltre paludi e lagune fungevano anche da enormi casse di espansione che tenevano abbastanza costante il livello di un fiume. </span></span></div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">Le bonifiche hanno cancellato la malaria, liberato ampi territori per l’agricoltura ed altre cose utili all’Umanità, ma <b>hanno ridotto lo spazio a disposizione per i fiumi</b>; inoltre nelle pianure l’urbanizzazione ha sigillato una gran parte del territorio, cancellando il reticolo idraulico. La costruzione delle casse di espansione serve proprio a laminare le piene, ripristinando in parte quello che era il loro stoccaggio nelle paludi. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b>LA LEGISLAZIONE ATTUALE: LA <i>PIENA DUECENTENNALE</i></b>. Per legge, <b>dal punto di vista idraulico, i progetti devono essere riferiti alla portata di una piena duecentennale.</b> Mi giungono voci in base alle quali da un po' di tempo il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici chieda di considerare un certo incremento di questo valore. Per quanto riguarda l’estero, non sono a conoscenza di revisioni particolari (ma è possibile che sia io a non saperne niente), tranne che in Olanda dove hanno alzato il tempo di ritorno (insomma, più o meno come se noi aumentassimo la piena di riferimento dalla duecentennale alla cinquecentennale). </div></span><br /><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgbbeCnq9RCpX_GJcSCUHsQEHvWE2yTYiiRBiYjE0_a2nE8oOmvoo1tnK-ay3NrCHbmJsupMPlDRLuqnIsn2lWjcNG9hyETeziJPYzG2XKiy59sZS9Dvq_FU-jMDT-KMpdn4_9s88u2vuRoKDzlFeKIvA321n1gW2xV8gG8JiPtDBfK6vtyFjK9E4HJ5FQ/s760/Schermata%202023-10-23%20alle%2010.36.09.png" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="760" data-original-width="578" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgbbeCnq9RCpX_GJcSCUHsQEHvWE2yTYiiRBiYjE0_a2nE8oOmvoo1tnK-ay3NrCHbmJsupMPlDRLuqnIsn2lWjcNG9hyETeziJPYzG2XKiy59sZS9Dvq_FU-jMDT-KMpdn4_9s88u2vuRoKDzlFeKIvA321n1gW2xV8gG8JiPtDBfK6vtyFjK9E4HJ5FQ/w152-h200/Schermata%202023-10-23%20alle%2010.36.09.png" width="152" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">le porte vinciane alla confluenza <br />dei fossinel fiume Bisenzio</td></tr></tbody></table><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><b>LA QUESTIONE IDRAULICA DELL’AEROPORTO DI FIRENZE</b>. Venendo nello specifico al caso dell’aeroporto fiorentino, intervenire con infrastrutture importanti su un territorio già ampiamente antropizzato è sempre complesso. I problemi ambientali paiono risolti in maniera egregia (a parte alcune infrastrutture per la mobilità), <b>ma c’è una questione su cui sono piuttosto perplesso: il tracciato attuale del Fosso Reale confligge con il nuovo rilevato e deve essere modificato. </b></div><div style="text-align: justify;"><b>Il fosse Reale è un canale di bonifica che a monte della progettata pista raccoglie le acque provenienti da Monte Morello</b> e che poco a valle rispetto al sito dell'intervento diventa quello centrale di 3 fossi: a destra il Collettore Acque Basse e a sinistra il Collettore Sinistro Acque Basse. Il Fosso Reale e il Collettore Acque Basse sfociano nel Bisenzio a San Mauro a Signa, dopo un percorso di 6 km dall’interferenza con la pista e a meno di 1 km dalla foce del Bisenzio nell’Arno; il Collettore Sinistro invece finisce direttamente in Arno a monte della foce del Bisenzio; prima della foce dei primi due nel Bisenzio, è presente un sistema di "porte vinciane": sbarramenti mobili ad altezza fissa che sfruttano la variazione di livello del corso d'acqua. Sono dette "vinciane" perché si presume che siano state inventate da Leonardo Da Vinci. Questo sistema parzializza progressivamente il deflusso con il rialzarsi dei livelli dei corsi d'acqua, fino a determinarne la completa chiusura con il transito delle piene del fiume Bisenzio: in tal caso tutto quello che passa per i tre fossi defluisce in Arno attraverso il Collettore Sinistro. </div><div style="text-align: justify;">Un aspetto interessante di questi 3 fossi a valle della progettata pista è la presenza di 3 anse, che rallentano un po' eventuali flussi di piena. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div></span><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgF8-Thbj3PPYT02k0wnKkUXmNqwEwhZJq9elUu97VOK258gNUr62_m3KEH3tysnjR7Y1XsuRIyL50JqQmvkAaZq_XBqzb48S7S8bPFyYH9Nsn5WxZo-tfjyrtrtwJsiMF9zkiM2nyrk34_mRwyfOEnR79Zhxj5CGHnIWtDHBhcNYrKPbAaM-IuFKE-uts/s938/fossorealeA.jpeg" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="733" data-original-width="938" height="313" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgF8-Thbj3PPYT02k0wnKkUXmNqwEwhZJq9elUu97VOK258gNUr62_m3KEH3tysnjR7Y1XsuRIyL50JqQmvkAaZq_XBqzb48S7S8bPFyYH9Nsn5WxZo-tfjyrtrtwJsiMF9zkiM2nyrk34_mRwyfOEnR79Zhxj5CGHnIWtDHBhcNYrKPbAaM-IuFKE-uts/w400-h313/fossorealeA.jpeg" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">il progetto della deviazione del Fosso Reale</td></tr></tbody></table><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">L’asta fluviale del Fosso Reale (che di naturale non ha proprio nulla) si trova abbastanza vicina al termine del rilevato della pista, pertanto il progetto prevede oltre a sistemazioni del reticolo a monte della pista (in particolare briglie e rimboschimenti sul versante di monte morello), anche <b>una deviazione dell'alveo, con tre curve: una prima grossolanamente ad angolo di circa 90° e una seconda morbida a 180° con all’esterno una cassa di espansione che ricorda bene la geometria di un meandro fluviale; infine, una terza, ancora ad angolo di 90° come la prima, reimmette il fosso nel tracciato attuale.</b> Ci sono poi altri interventi sul reticolo dei fossi che però non riguardano l'argomento generale del post e quindi evito di descriverli.</div><div style="text-align: justify;"><b>Lungi da me criticare le anse dei fiumi e dei canali (anzi, rappresentano un valore rispetto alle aste fluviali in linea retta e dipendesse da me li farei rifare tutti con delle belle anse...) e sono sicuro della rispondenza dal punto di vista idraulico – legale del nuovo corso del Fosso Reale e della cassa d'espansione agli standard normativi (ci mancherebbe altro!), però mi aspetto (e auspico) che essendo una soluzione con funzionamento idraulico “non standard”, verrà richiesto in fase di progettazione definitiva un qualche studio su modello fisico, in modo da verificare aspetti su cui i normali modelli numerici lasciano ancora margini di incertezza</b>. Annoto che nella revisione del progetto si dice che rispetto al progetto originario, <i>il percorso del Fosso Reale viene ridotto di circa 1.100 metri rispetto alle previsioni di Masterplan, con evidenti benefici in termini di deflusso idraulico e velocità di scorrimento idrico.</i> <b>Resto sbalordito da questa asserzione</b>: una riduzione così decisa del percorso riduce il volume delle acque contenibili dal fosso, e si continua a dire che la velocità di deflusso sia un valore positivo, quando invece potrebbe essere un problema per quanto sta a valle.</div></span><br /><br /><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhYZLisi44P6KGLxHqm2Tft1MFkDsEOToT2UTqFllwi1GGeElOYtXH0aQVJL2lSjEF56waGn7-C1rtRoFN_TtPCQhupz5o905qEMDdc5mSI59jqapuDrrWAt0JsIheddM6ogwEERh2XcA_ys3QC3GyCEDMfyjPBntgVLxbUpip3DSMBLtMVFVNGEMNHP00/s1507/Schermata%202023-10-23%20alle%2011.20.01.png" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="513" data-original-width="1507" height="218" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhYZLisi44P6KGLxHqm2Tft1MFkDsEOToT2UTqFllwi1GGeElOYtXH0aQVJL2lSjEF56waGn7-C1rtRoFN_TtPCQhupz5o905qEMDdc5mSI59jqapuDrrWAt0JsIheddM6ogwEERh2XcA_ys3QC3GyCEDMfyjPBntgVLxbUpip3DSMBLtMVFVNGEMNHP00/w640-h218/Schermata%202023-10-23%20alle%2011.20.01.png" width="640" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">una cella temporalesca autorigenerante V-Shaped in Liguria e un Medicane sul Tirreno:<br />fenomeni sempre più frequenti</td></tr></tbody></table><br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><span style="font-size: medium;"><b>NORMATIVA IDRAULICA E CAMBIAMENTI CLIMATICI.</b> Dopo questa lunga introduzione <b>vengo ora al tema di cui vorrei parlare: <i>l'ipotetico comportamento di un sistema idraulico rispetto ad eventi inusuali come quelli a cui stiamo assistendo da qualche anno a questa parte.</i></b></span></span></div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">La mia opinione è che <b>siamo davanti ad un tema talmente ampio da richiedere dei profondi cambiamenti a livello normativo</b>: il tradizionale approccio progettuale è incentrato sui <b>tempi di ritorno di un evento di massima portata (la “<i>piena duecentennale</i>”</b>); ora, considerare la duecenennale sarebbe un criterio valido con un clima costante, ma purtroppo <b>la velocità a cui stanno procedendo i cambiamenti climatici ormai evidenti pone appunto il serio problema di quanto l’approccio “<i>storico</i>” possa essere ancora significativo</b>. Mi chiedo quindi se sia da modificare questo paradigma, e lasciando per ora perdere l'esistente, <b><i>richiedere per i nuovi interventi una verifica del comportamento rispetto a scenari non necessariamente legati al tempo di ritorno ricavato dalla storia passata del bacino, ma a scenari catastrofici purtroppo plausibili dal punto di vista climatico-fisico. </i></b></div><div style="text-align: justify;">Detto che in questo momento con l’evoluzione climatica in corso sono fonte di preoccupazione maggiore i bacini minori di quelli principali (ad esempio, per rimanere su Firenze il torrente Ema mi preoccupa molto più dell’Arno), <b>definire cosa sia fisicamente plausibile, ancorché catastrofico, è una sfida scientifica ancora molto aperta. </b></div><div style="text-align: justify;">La tempesta del 15 settembre 2022 in particolare è stata rivelatrice di un pericolo maggiore rispetto al preventivato: a partire dall’evento di Stazzema del 1996, per proseguire con tutti gli altri disastri simili, <b>sembrava che queste perturbazioni fossero relegate ad aree costiere oppure potessero proseguire solo in zone “abbastanza pianeggianti”, magari fino ad un ostacolo successivo,</b> come succede in Veneto, oppure in Piemonte e Lombardia occidentale, dove possono arrivare, attraversando il non elevato Appennino ligure, i V-shaped che si formano nel Golfo di Genova. Invece la tempesta marchigiana ha attraversato quasi in direzione trasversale quasi tutta la penisola, prima di scaricare tutta la sua furia sulla dorsale del monte Catria (<a href="https://aldopiombino.blogspot.com/2022/09/considerazioni-sullalluvione-delle.html" target="_blank">ne ho parlato qui</a>), dimostrando che <b>anche nell’Italia peninsulare aree interne molto lontane dal mare sono a rischio per questi fenomeni</b>.</div><div style="text-align: justify;"><b>Il tutto mentre i nuovi fenomeni degli uragani mediterranei (i cosiddetti <i>Medicanes</i>) stanno flagellando sempre di più l'Italia meridionale</b>.</div></span><div><br /><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEghv92R96OhxFlNMjAlQT7nu7VwZBZ-TSnWgqlIsnxCwUV-ZTD2jjqMng4BT8gnY7WZlIVCDNdfJAKFB2DQOs9k_H0_MobP6SpF2jznvaxEsD5K2aRXhJvA_VZpZK-wyzGoz3GywhsXxbWw9Os66uQkXhWyae5g-Vowr9mbfKFSLOEOBfv5HveaJln1v_A/s1532/Schermata%202023-10-23%20alle%2011.24.37.png" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="921" data-original-width="1532" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEghv92R96OhxFlNMjAlQT7nu7VwZBZ-TSnWgqlIsnxCwUV-ZTD2jjqMng4BT8gnY7WZlIVCDNdfJAKFB2DQOs9k_H0_MobP6SpF2jznvaxEsD5K2aRXhJvA_VZpZK-wyzGoz3GywhsXxbWw9Os66uQkXhWyae5g-Vowr9mbfKFSLOEOBfv5HveaJln1v_A/w400-h240/Schermata%202023-10-23%20alle%2011.24.37.png" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Monte Morello visto dall'autostrada e dalla vecchia pista aeroportuale</td></tr></tbody></table><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><b>UN NUOVO PARADIGMA PER LA NORMATIVA IDRAULICA?</b> Provo pertanto ad ipotizzare ad esempio come <b>scenario – limite di riferimento per l’Italia centrale e meridionale</b> (in Liguria e in tutta l’Italia settentrionale le cose possono essere diverse) <b>gli effetti di una cella autorigenerante V-Shaped simile a quello che ha colpito le Marche nel settembre 2016</b>; pertanto propongo un cambiamento di paradigma, e cioè <b><i style="background-color: red;">fissare le prescrizioni idrauliche non su eventi precedenti avvenuti nel bacino oggetto dell’intervento e quindi sulla piena duecentennale, ma sulla reazione del bacino stesso ad una eventuale situazione di questo tipo. </i></b></div></span><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">Risolta la questione scientifica (che non sarà semplice: potrebbero essere fissati dei massimi di pioggia per aree ben più estese, in base a morfologia, orientazione, correnti e quant’altro), questa andrebbe poi tradotta in prescrizioni sulla progettazione, in quanto un progettista non è uno studioso, bensì un tecnico che esegue gli studi che gli vengono richiesti da normativa, secondo lo stato dell'arte corrente, e solo per quelli viene pagato. Naturalmente è possibile nel corso della progettazione di un’opera la prescrizione di ulteriori studi ed approfondimenti particolari da parte delle amministrazioni coinvolte, ma anche queste difficilmente si muovono al di fuori delle normative correnti sulle opere pubbliche. </div></span><br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">Nel caso di cui parlo specificamente, la dorsale di Monte Morello, alta 900 metri e il cui lato rivolto a SW verso la piana di Firenze è quasi una parete verticale, per la sua orientazione può essere considerata a rischio di essere investita da una cella V-shaped e quindi <b>a me piacerebbe vedere una modellazione della risposta del reticolo idrografico e del territorio di Monte Morello a un evento analogo a quello marchigiano in cui piovono 400 mm di pioggia in 6 ore.</b></span> </div><div><br /></div><div><br /></div></div>Aldo Piombinohttp://www.blogger.com/profile/14315928146460343487noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-191685988918780993.post-14550372930960583422023-10-19T17:19:00.003+02:002023-10-19T17:19:56.824+02:00Le zone di subduzione come motore delle celle convettive del mantello e quindi della tettonica a placche<br /><div style="text-align: justify;"><i style="font-family: helvetica;"><span style="font-size: medium;">Stimolato da quanto ha scritto Joao Duarte, a mio avviso una delle menti più brillanti che abbiamo fra i teorici della tettonica globale, vorrei fare il punto sullo stato dell’arte della ricerca in materia, perché rispetto al vecchio paradigma della semplice espansione dei fondi oceanici come motore dei movimenti delle placche di Hess dei primi anni sessanta oggi sappiamo che i “motori” sono diversi. O, meglio, le correnti di convezione esistono, ma sono una conseguenza della tettonica a placche, in particolare della subduzione della crosta oceanica nelle zone di convergenza e non la causa della dinamica terrestre. Lo avevo già fatto notare in tre post che scrissi sull’argomento una decina di anni fa. Da allora nella manualistica poco è cambiato e le correnti di convezione del mantello vengono ancora descritte - a torto - come il motore della tettonica a placche.</span></i></div><br /><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgc7TzFaFCdtMMwmZGzJags9-R8FXnNDaT0p9UotLGLLM6r9ridin1im9HRr9E62CDo4XhOWeOP9EayygVWG5Om-5dYqDYOnx_7UoJQcF9wex52PiNPrVYAfDzh2c8sb7B1TyOGW3Qu39BaMfQPcgtycbLa2j2EtJ7s3b7HzyicuXIFHQKK4u6rH9tSbM0/s806/Schermata%202023-10-19%20alle%2016.12.32.png" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="806" data-original-width="618" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgc7TzFaFCdtMMwmZGzJags9-R8FXnNDaT0p9UotLGLLM6r9ridin1im9HRr9E62CDo4XhOWeOP9EayygVWG5Om-5dYqDYOnx_7UoJQcF9wex52PiNPrVYAfDzh2c8sb7B1TyOGW3Qu39BaMfQPcgtycbLa2j2EtJ7s3b7HzyicuXIFHQKK4u6rH9tSbM0/w490-h640/Schermata%202023-10-19%20alle%2016.12.32.png" width="490" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Carta di John T. Wilson del 1962 in cui propone la formazione dell'Oceano Indiano<br />a partire dalla separazione fra Africa, Antartide, Australia e Asia.<br />Si nota l'ipotesi di una dorsale che ha allontanato India e Australia<br />messa con il beneficio del dubbio. Hess fornirà una spiegazione degli allontanamenti</td></tr></tbody></table><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">Per vedere come come in 50 anni dalla deriva dei continenti di Wegener siamo arrivati a John Tuzo Wilson e alla tettonica a placche, attraverso Holmes e le sue celle di convezione del 1931, ho scritto nel lontano 2009 <a href="http://aldopiombino.blogspot.com/2009/12/da-wegener-wilson-dalla-deiva-dei.html" target="_blank">questo post</a>. Dopo Wilson altri tre giganti delle Scienze della Terra completarono il quadro: Dewey introdusse il termine "tettonica a placche crostali", Hess propose l’espansione degli oceani per spiegare l'esistenza di una dorsale oceanica, mentre Jason Morgan capì che la superficie del nostro pianeta è suddivisa in circa 20 placche.</div></span><div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><span style="font-size: medium;">In seguito ho scritto alcuni post facendo notare che i movimenti delle placche e l'espansione dei fondi oceanici<a href="https://aldopiombino.blogspot.com/2013/06/il-carburante-della-tettonica-placche-2.html" target="_blank"> possono essere addebitati a più meccanismi</a>. Vorrei ricapitolare come la Scienza è arrivata allo stato dell'arte odierno, che purtroppo, non è ben recepito neanche nella comunità delle Scienze della Terra.</span></span></div><br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><span style="font-size: medium;"><b>HARRY HESS, IL GEOLOGO SOMMERGIBILISTA E IL QUADRO TRADIZIONALE</b>. Parliamo un po' più diffusamente di Harry H. Hess: era un geologo e comandante di sottomarini della Marina durante la seconda guerra mondiale (e per questo mi è molto simpatico, dato che anche mio nonno era un sommergibilista). Nell'immediato dopoguerra l’importanza dei sottomarini crebbe a dismisura e fu avviato da parte degli Usa un importante programma di mappatura dei fondi oceanici (a cui un comandante di sottomarini geologo non poteva certo sottrarsi!). Parte della sua missione consisteva nello studiare le parti più profonde del fondale oceanico. Nel 1946 aveva scoperto che centinaia di montagne dalla cima piatta, forse isole sommerse, modellano il fondale del Pacifico, che si può considerare un pò una una estensione del lavoro di Darwin sugli atolli (Darwin, 1842). </span></span></div></div><div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><span style="font-size: medium;">Negli anni ’50 furono scoperte le dorsali oceaniche. Ristudiando i suoi dati di anni prima e dopo aver riflettuto a lungo, nel 1960 Hess propose che il movimento dei continenti fosse il risultato dell'espansione del fondale marino. Nel 1962 aggiunse un meccanismo geologico per tenere conto del movimento dei continenti secondo Wegener: era possibile che il magma fuso da sotto la crosta terrestre potesse fuoriuscire lungo le dorsali oceaniche. Il magma continua ad uscire e “spinge” in là quello appena più vecchio e quindi le placche su entrambi i lati della dorsale (ad esempio nell’Oceano Atlantico le Americhe a ovest e Eurasia e Africa a est): così l’Oceano Atlantico diventa sempre più ampio ma le coste delle masse continentali non subiscono grandi cambiamenti (Hess, 1962).</span></span></div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">In questo modo Hess ha dimostrato che l'idea fondamentale di Wegener era giusta e ha chiarito il meccanismo che dalla Pangea ha formato i sette continenti che ci sono familiari: i continenti fanno parte delle placche e non si muovono indipendentemente da esse, ma sono le placche stesse a spostarsi, trascinandoli con sé.</div><div style="text-align: justify;">Questo è il quadro comunemente noto. In realtà le cose stanno diversamente.</div></span><br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><span style="font-size: medium;"><b>IL RUOLO DELLE SUBDUZIONI SECONDO WILSON.</b> Sempre Wilson all'inizio degli anni ‘70 intuì il ruolo delle zone di subduzione nella dinamica del mantello: lungo di esse l'affondamento delle placche nel mantello genera i moti di convezione che lo interessano e quindi a cascata l’espansione dei fondi oceanici. Questo quadro è supportato da osservazioni ed è riproducibile in modelli numerici (ad esempio Ueda et al, 2008) ma ha una conseguenza fondamentale: le correnti di convezione esistono, ma sono l’effetto e non la causa, ribaltando tutto quello che era stato pensato fino ad allora.</span></span></div><br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><span style="font-size: medium;"><b>POSSIBILI CAUSE DELL’ESPANSIONE DEI FONDI OCEANICI.</b> Per spiegarla, come avevo fatto notare, sono stati chiamati in causa diversi processi:</span></span></div><ol style="text-align: left;"><li style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><b>trascinamento da correnti convettive del mantello</b>: la placca è trascinata da una corrente convettiva del mantello. È l'ipotesi fondamentale su cui si basava già Arthur Holmes negli anni '30 per spiegare la deriva dei continenti come ipotizzata da Wegener e che era diventata il paradigma all’inizio della storia della Tettonica a placche negli anni '60</span></li><li style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><b>trascinamento da parte della zona in subduzione (“<i>slab-pull</i>”)</b>: la crosta oceanica che subduce nel mantello (il cosiddetto <i>slab</i>) “trascina” la parte ancora in superficie della zolla</span></li><li style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><b>spinta da parte della formazione di nuova crosta lungo una dorsale medio – oceanica</b>: è l’ipotesi – diciamo così – “classica”: siccome il diametro della Terra rimane costante il continuo formarsi di nuova crosta oceanica lungo le dorsali medio – oceaniche impone che altrettanta crosta debba in qualche modo scomparire nelle zone di subduzione. Di fatto si vede bene in moltissimi casi la "coppia" formata da una dorsale dove si produce la nuova crosta e una zona di subduzione dove vecchia crosta scompare affondando nel mantello</span></li><li style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><b>spinta da parte di un punto caldo</b>: questo fattore agisce solo per tempi limitati ma può essere molto importante a causa della presenza di una zona di risalita di magma dal profondo che forma una serie di espandimenti basaltici. In sostanza, la presenza di questo materiale anomalmente caldo e quindi poco viscoso permette alla litosfera sovrastante velocità maggiori. Ad esempio proprio per il caso della deriva dell'India al passaggio Cretaceo – Terziario era attiva la serie dei Trappi del Deccan in cui in meno di 1 milione di anni sono stati messi in posto circa 1 milione di km cubi di magma. Questo può dare conto della velocità estremamente elevata che sembra aver avuto l'India proprio in quel momento e anche della temporanea inversione del movimento verso E dell’Africa.</span></li></ol><br /><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjn9YDQJSfLNSmImB6yEeAZutBSoJxN_VU8NluTbUDtj5SBUWI0KzotM7Jj0Sx-rgLAUL-iSwKwmxxEGkOCnJDc2zWLzpstrVIC5MuO9ZIAAtgFS_FsizYz95U7UmdtIDZ2j3VXHCNfxD37S2E3xoBdlXlVFKBA-YsYX9wDcXX3iL-5PuT4zBc7ciZba5U/s930/Schermata%202023-10-19%20alle%2016.55.19.png" imageanchor="1" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="851" data-original-width="930" height="556" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjn9YDQJSfLNSmImB6yEeAZutBSoJxN_VU8NluTbUDtj5SBUWI0KzotM7Jj0Sx-rgLAUL-iSwKwmxxEGkOCnJDc2zWLzpstrVIC5MuO9ZIAAtgFS_FsizYz95U7UmdtIDZ2j3VXHCNfxD37S2E3xoBdlXlVFKBA-YsYX9wDcXX3iL-5PuT4zBc7ciZba5U/w607-h556/Schermata%202023-10-19%20alle%2016.55.19.png" width="607" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">questa figura tratta da Meschede e Warr (2019) evidenzia come la litosfera in subduzione<br />più fredda provochi, immergendosi, un richiamo verso l'alto di parte della astenosfera più calda <br />presente ai lati del cuneo in subduzione</td></tr></tbody></table><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><b>IL QUADRO ATTUALE.</b> Questa immagine, molto semplice, tratta da Meschede e Warr (2019) illustra relativamente bene lo stato dell’arte della ricerca sulla tettonica delle placche nel contesto dinamico del mantello:</div></span><ol style="text-align: left;"><li style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">nelle zone di convergenza le placche oceaniche entrano nelle zone di subduzione </span></li><li style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">le placche oceaniche affondano perché sono più dense del mantello circostante e sottostante</span></li><li style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">la subduzione genera un flusso di ritorno (frecce rosse tratteggiate) che a sua volta induce la risalita di materiale profondo, i <i>mantle plumes</i> (pennacchi del mantello)</span></li></ol><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><b>Notiamo quindi una inversione dei rapporti di causa – effetto: è la perturbazione provocata dalla subduzione a provocare a sua volta i flussi ascendenti del mantello (e quindi la corrente di convezione) e non il contrario. </b></div></span><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">Per capire meglio la situazione prendiamo come modello di riferimento le correnti di convezione verticale negli oceani: si generano perché l'acqua più fredda nelle aree polari affonda, provocando la risalita passiva di masse d'acqua più calde. La stessa cosa accade nel mantello terrestre: il materiale più freddo (e più denso) della superficie che scende genera la convezione, e i plumes sono zone di risalita del mantello.</div></span><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><b>Alcuni di questi plumes arrivano verso la superficie. In questo caso la diminuzione della pressione provoca la fusione parziale della roccia e quello che arriva verso la superficie forma nuova crosta oceanica lungo una dorsale, dopo che si è aperto un rift, generalmente lungo una sutura precedente fra due masse continentali che si erano precedentemente scontrate</b> (Butler e Jarvis 2004). La crosta oceanica sarà formata da peridotiti (il residuo refrattario della fusione parziale del mantello del plume) e da magmi a composizione basaltica tipici di questo ambiente tettonico, i cosiddetti Normal MORB (Mid Oceanic Ridge Basalts). Questi magmi possono arrivare ad eruttare i basalti MORB sul fondo oceanico oppure formano complessi gabbrici se si raffreddano senza arrivare in superficie.</div></span><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">I corollari di questo scenario sono:</div></span><ol style="text-align: left;"><li style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">le placche in subduzione sottostante generano la maggior parte delle correnti di convezione del mantello. </span></li><li style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">Le placche sono anch'esse parte delle celle di convezione.</span></li></ol><br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><span style="font-size: medium;"><b>IL PROBLEMA DI COMUNICAZIONE ATTUALE</b>. Purtroppo la maggior parte dei manuali continua a usare il vecchio quadro delle correnti di convezione e quindi che è l’espansione dei fondi oceanici a generare il movimento delle placche. Ora, questo non solo non è supportato dalle osservazioni, ma nessun modello numerico è stato in grado di riprodurlo. È semplicemente sbagliato. Non c'è altro modo per dirlo. Insomma, dal punto di vista della comunicazione, siamo fermi agli anni ‘60. </span></span></div><br /><br /><div style="text-align: center;"><span style="font-family: helvetica; font-size: large;"><b>BIBLIOGRAFIA</b></span></div><br /><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">BUTLER E JARVIS (2004). Stresses induced in continental lithospheres by axisymmetric spherical convection. <i>Geophysical Journal International </i>157, 1359–1376<br /><br />DARWIN (1842). The structure and distribution of coral reefs. Being the first part of the geology of the voyage of the Beagle, under the command of Capt. Fitzroy, R.N. during the years 1832 to 1836. London: Smith Elder and Co<br /><br />HESS</span><span style="font-family: helvetica; font-size: large;"> (1962). History of ocean basins. In: ENGEL et al (eds) Petrologic Studies: a Volume in Honor of A.F. Buddington. Geological Society of America, New York, 599–620. </span></div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br />HOLMES, A. (1931). Radioactivity and Earth movements. Transactions of the Geological Society of Glasgow, 18, 559–606, </span><br /><br /><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">MESCHEDE E WARR (2019). Plate Tectonics, the Unifying Theory in: The Geology of Germany Regional Geology Reviews © Springer Nature Switzerland AG 2019. 5, 25-31<br /><br />UEDA et al (2008). Subduction initiation by thermal-chemical plumes: numerical studies. Phys. Earth Planet. Inter. 171, 296–312. </span><div><br /></div><div><p><br /></p></div></div>Aldo Piombinohttp://www.blogger.com/profile/14315928146460343487noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-191685988918780993.post-49405565270565509542023-10-14T11:45:00.003+02:002023-10-14T11:45:32.316+02:00il punto sulle eruzioni freatiche anche in rapporto ai Campi Flegrei<br /><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgW2hI_IrSNXdr23eLI6fVrtH9mwaBAhvCL9xrgOuwpRkugBZE_IC1_nt4Iaiu-ecZ2PAMdXDZXmVR4qUKFz_81Rrtd0QkC6taTSE2FMyCxCZ_nVDnsIIvYkDy03TGfWPFqVLOaGgydKmQ4m-Pyd8cQAKWxKm6GJ56QXp9esr-ZCcUY9ur8fLbvZpTkG-Q/s958/volcano-japan_wide-22594c3771f206f704b79cf48e9a669b5055642c.jpg" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="538" data-original-width="958" height="300" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgW2hI_IrSNXdr23eLI6fVrtH9mwaBAhvCL9xrgOuwpRkugBZE_IC1_nt4Iaiu-ecZ2PAMdXDZXmVR4qUKFz_81Rrtd0QkC6taTSE2FMyCxCZ_nVDnsIIvYkDy03TGfWPFqVLOaGgydKmQ4m-Pyd8cQAKWxKm6GJ56QXp9esr-ZCcUY9ur8fLbvZpTkG-Q/w533-h300/volcano-japan_wide-22594c3771f206f704b79cf48e9a669b5055642c.jpg" width="533" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">la nube piroclastica prodotta dall'eruzione dell'Ontake<br />nel 2014, ripresa da un escursionista</td></tr></tbody></table><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><i>La maggior parte degli studi sulla pericolosità vulcanica si concentrano sulle eruzioni magmatiche e sui fenomeni che le accompagnano. Tuttavia, eventi vulcanici pericolosi possono verificarsi anche senza l’intervento diretto di magmi. In particolare le eruzioni freatiche, che in genere derivano da riscaldamento e vaporizzazione di fluidi estremamente rapidi. Quindi nelle eruzioni freatiche svolgono un ruolo chiave i processi idrotermali (cioè le interazioni tra acqua, rocce, calore e gas magmatici) che interessano dei fluidi comunemente situati a livelli poco profondi sotto un vulcano. Da notare inoltre che per descrivere il fenomeno i termini </i><b>eruzione freatica</b><i> ed </i><b>esplosione freatica</b><i> sono più o meno usati in alternanza fra loro come sinonimi.</i></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">Le eruzioni freatiche interessano solo un'area limitata circostante la zona di origine e pertanto a causa della debole energia coinvolta possono sfuggire a rilevamenti non particolarmente accurati.</div><div style="text-align: justify;">L'aggettivo freatico viene dal greco "<i>frear</i>" (pozzo) e quindi si riferirebbe alla falda acquifera più superficiale. Preso alla lettera, il termine indicherebbe quindi un evento causato dalla violenta espansione del vapore generato nella falda freatica, senza il coinvolgimento di altro. Però i fluidi coinvolti nelle eruzioni freatiche possono anche provenire da:</div><div style="text-align: justify;"><ol><li>percolazione verso il basso di fluidi meteorici in rocce calde o in un condotto caldo che quindi si scaldano.</li><li>migrazione verso l'alto di fluidi vulcanici, inclusi gas, fluidi supercritici e fusioni, in un sistema idrotermale o una falda acquifera poco profonda</li></ol></div><div style="text-align: justify;">Le crisi freatiche sono spesso di lunga durata, con numerosi eventi esplosivi.</div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgKEOYyHw4XtJ1vBkdkUMq9b6THnvJzNwn0x8o1PvUhFT2qNZ-h5wAuon-taXraCc8uNTkBM-qXUivt_5qB8qrUD2d7NRWC585KsSmTxJ5BC7IshFbQhkedNaORO5wB5-aTbrAgMqqfobB045V3QMQsNlxxdBxa2uoWr4ag0Oay607S_xdx-4khEAK3gsM/s994/Schermata%202023-10-13%20alle%2016.10.06.png" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="740" data-original-width="994" height="297" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgKEOYyHw4XtJ1vBkdkUMq9b6THnvJzNwn0x8o1PvUhFT2qNZ-h5wAuon-taXraCc8uNTkBM-qXUivt_5qB8qrUD2d7NRWC585KsSmTxJ5BC7IshFbQhkedNaORO5wB5-aTbrAgMqqfobB045V3QMQsNlxxdBxa2uoWr4ag0Oay607S_xdx-4khEAK3gsM/w400-h297/Schermata%202023-10-13%20alle%2016.10.06.png" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">schema della eruzione dell'Ontake<br />da Sano et al (2015) </td></tr></tbody></table><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><b>TERMINOLOGIA.</b> Barberi et al (1992) hanno classificato i fenomeni esplosivi che coinvolgono fluidi e non magmi in:</div><div style="text-align: justify;"><ol><li><b><i>eruzione idromagmatica</i></b>: l’interazione esplosiva tra magma e acque superficiali (mare, lago, ghiacciaio); a differenza degli altri casi, le conseguenze di questo tipo di eruzioni possono essere risentite in aree estremamente vaste, in particolare quando l’interazione avviene con un ghiacciaio (basta ricordare l’eruzione in Islanda dell’Eyiafjiallayokull che nel 2010 interruppe per giorni il traffico aereo)</li><li><b><i>eruzione freatomagmatica:</i></b> l'interazione esplosiva tra falde acquifere sotterranee, freatiche e non, geotermiche e non con il magma</li><li><b><i>eruzione freatica</i></b>: l’esplosione di una sacca confinata di vapore e gas senza coinvolgimento diretto di magma (tutti i materiali espulsi sono frammenti di rocce preesistenti).</li></ol></div><div style="text-align: justify;"><b>A loro volta Styx e De Moor (2018) definiscono due tipi di eruzioni freatiche</b>:</div><div style="text-align: justify;"><ol><li><b><i>freato-vulcaniana</i></b>: un sistema idrotermale più profondo alimentato da gas magmatici è sigillato e produce una sovrappressione sufficiente a provocare eruzioni esplosive. Questo è il caso dei Campi Flegrei, dove la falda geotermica è sigillata, da una spessa coltre di materiali impermeabili sovrastanti; in situazioni del genere i fluidi caldi possono risalire solo attraverso delle fratture. In altri casi le esplosioni possono essere innescate da una sovrapressione dovuta a improvvisi crolli che sigillano i canali che portano in superficie i vapori.</li><li><b><i>freato-surtseyana:</i></b> i gas magmatici arrivano dal basso a un sistema idrotermale che si trova vicino alla superficie, vaporizzandone l'acqua liquida.</li></ol></div><div style="text-align: justify;">Le eruzioni del primo tipo tendono ad essere più energiche delle eruzioni del secondo e alcuni sistemi possono produrre eruzioni di entrambi i tipi.</div></span><br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><span style="font-size: medium;"><b>PRODOTTI E PERICOLI</b>. I prodotti delle eruzioni freatiche formano solitamente depositi di caduta (cenere, fango e blocchi) la cui distribuzione è limitata alle immediate vicinanze del cratere (poche centinaia di metri). In rari casi i blocchi possono essere lanciati a una distanza fino a 1-1,5 km e in un numero limitato di casi si segnalano piogge di cenere fino a 5-7 km di distanza. </span></span></div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">I maggiori pericoli connessi con eruzioni freatiche sono:</div><div style="text-align: justify;"><ol><li>lo <b>scarico di nubi di gas tossici o paralizzanti,</b> come a Larderello nel 1282 con un numero incerto di vittime, e come in due esempi molto recenti: Dieng in Indonesia (1979, 149 vittime) e Nyos in Camerun (1986, oltre 1700 vittime)</li><li><b>i proiettili che ricadono sul terreno</b>, come accadde sull’Etna (1979, 8 morti), sull’Ontake in Giappone (2014, oltre 50 vittime - <a href="https://aldopiombino.blogspot.com/2014/09/macalube-in-italia-e-ontake-in-giappone.html" target="_blank">ne ho parlato qui</a>) e White Island (Nuova Zelanda, 2019 – almeno 22 vittime).</li><li>su vulcani con versanti a forte pendenza circondati da tufi non consolidati, la produzione di importanti <b>colate di fango</b></li></ol></div></span><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiK7UN0VNadjnlOEMO_ZFvJFPvdnbtmNpXR-atNiQT4lsO8qltBzXK9HsbtRfqqhbxCrcie8TuobN7AoeszDZRvBHKomsz-a7vTvIQsH3o4xqWRaeg3BzocedGXwohc64ZJsBBL-rSmKvzMOTvNmGGwlNlqy1zsmnDA7suQ8EHX7049Nw1E0_zhRbr0LXM/s799/Schermata%202023-10-11%20alle%2009.19.44.png" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="799" data-original-width="712" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiK7UN0VNadjnlOEMO_ZFvJFPvdnbtmNpXR-atNiQT4lsO8qltBzXK9HsbtRfqqhbxCrcie8TuobN7AoeszDZRvBHKomsz-a7vTvIQsH3o4xqWRaeg3BzocedGXwohc64ZJsBBL-rSmKvzMOTvNmGGwlNlqy1zsmnDA7suQ8EHX7049Nw1E0_zhRbr0LXM/w570-h640/Schermata%202023-10-11%20alle%2009.19.44.png" width="570" /></a></div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><b>PRECURSORI</b>. Le eruzioni freatiche sono eventi improvvisi, e in genere arrivano senza essere accompagnati da precursori chiari, come successe nel 2014 all’Ontake in Giappone (Caudron et al 2022). Quindi i processi fondamentali legati alle fasi preparatorie sono poco conosciuti. Una ulteriore complicazione è che <b>di norma si verificano durante i cosiddetti periodi di <i>“unrest”</i> di un sistema vulcanico (traducibile come agitazione): periodi di elevata sismicità e elevato flusso di calore che talvolta sfociano in una eruzione, il che rende difficile capire quali siano effettivamente i loro precursori specifici, fra tutti i sintomi presenti in una fase in cui un vulcano dà segni di attività</b>.</div><div style="text-align: justify;">Barberi et al (1992) hanno raccolto informazioni in letteratura scientifica su un totale di 132 eruzioni freatiche, 115 delle quali non sono state seguite da un'eruzione magmatica o freatomagmatica. Si tratta di un quadro molto incompleto perché mancano i dati di molte regioni vulcaniche e dove presenti la quantità dei dati disponibili non è certo esauriente al confronto degli standard attuali. Questo soprattutto per la scarsità di dati sulla microsismicità.</div><div style="text-align: justify;">Nel lavoro non vengono espressi giudizi, lasciando le considerazioni sui possibili precursori a chi aveva descritto i fenomeni. Per cui in quel database solo in 18 casi mancano i fenomeni precursori, ma <b>dato che la maggior parte dei precursori sono sismici, sull’articolo c’è molto scetticismo al riguardo</b>: viene ritenuta molto arbitraria la definizione di precursori attribuita ad uno o più terremoti avvenuti giorni o settimane prima dell'evento sismico, dato il quadro sintomatico generale di una fase di <i>unrest</i> vulcanico e solo in 24 casi il tremore vulcanico si è verificato pochi giorni prima dell'eruzione.</div><div style="text-align: justify;"><b>Le fumarole potrebbero dare dei risultati migliori</b>: non è raro infatti che siano osservati degli aumenti di portata e/o temperatura, interpretati come sintomi di un aumento di temperatura e pressione nella falda acquifera sottostante.</div></span><br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><span style="font-size: medium;"><b>PREVISIONE DELLE ERUZIONI FREATICHE</b>. Da tutto questo si ricava che è generalmente difficile prevedere i tempi e la dimensione probabile delle eruzioni freatiche a causa della assenza o della debolezza dei loro precursori specifici che in caso esistano sono oltretutto altamente localizzati (Maeda et al. 2015). Per questo il monitoraggio avrà maggiori probabilità di rilevare dei cambiamenti prima delle esplosioni se gli strumenti sono posizionati più vicino al condotto rispetto a quelli usati per le eruzioni magmatiche.</span></span></div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">Styx e De Moor (2018) non sono a conoscenza di eruzioni freatiche formalmente e accuratamente previste e quindi i possibili precursori sono studiati a posteriori. Quelli che sembrano più promettenti sono:</div><div style="text-align: justify;"><ol><li><b>eventi sismici di periodo molto lungo</b>: noti in letteratura come VLP, sono segnali sismici con periodi che vanno da diversi a decine di secondi. Si verificano nei vulcani attivi durante periodi eruttivi o anche in fase di quiescenza, ma fino ad oggi non esiste una chiara relazione temporale tra eventi VLP ed eruzioni freatiche. C’è poi un segnale sismico particolare, un tremore a bande: un segnale sismico insolito caratterizzato da periodi di tremore intervallati da periodi di quiescenza. La durata sia del tremore che dei periodi di quiescenza sono talvolta costanti, producendo uno schema sorprendente su un sismogramma</li><li>la <b>composizione dei gas</b> fumarolici, in particolare H2S/SO2 e CO2/SO2, ma soprattutto un <b>aumento di pressione e temperatura</b> delle fumarole.</li></ol></div><div style="text-align: justify;">Quanto alla <b>deformazione del suolo</b>, è notoriamente comune prima delle eruzioni magmatiche, ma in molte eruzioni freatiche manca un sollevamento precursore, specialmente in quelle derivate da riscaldamento di una falda superficiale.</div><div style="text-align: justify;">A proposito dell’Ontake, Sano et al (2015) osservano che il<b> rapporto 3He/4He</b> della stazione più vicina al cono è aumentato significativamente da giugno 2003 a un paio di mesi dopo l’eruzione avvenuta nel novembre 2014, mentre quelli delle stazioni più distanti non hanno mostrato cambiamenti apprezzabili. Inoltre un <b>catalogo dei terremoti</b> costruito manualmente per la regione sotto la cima del Monte Ontake mostra un aumento dei terremoti tettonici vulcanici e di lungo periodo (magnitudo < 1,0) a partire da circa 2 settimane prima dell’eruzione (Kato et al 2015). </div></span><div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><span style="font-size: medium;">Invece <b>non sono stati riconosciuti neanche a posteriori dei precursori della eruzione freatica del Mayon</b> del 7 maggio 2013 nelle Filippine, dove è stato solamente osservato un evento sismico di lungo periodo, che ha accompagnato l'evento (Maeda et al 2015).</span></span></div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">A Kawah Ijen (Indonesia), noto per le sue lave blu a causa delle reazioni con composti di zolfo e White Island (Nuova Zelanda) le eruzioni freatiche sono avviate da un evento sismico di lungo periodo (VLP) situato a profondità basse tra 700 e 900 metri sotto il cratere regione, possibilmente innescata dal gas intrappolato all'interno del magma (Caudron et al 2018). Ma chiaramente questi eventi si scatenano troppo a ridosso dell’esplosione per poter essere utili a scopo previsionale.</div><div style="text-align: justify;">Un’altra difficoltà è rappresentata dal fatto che ogni eruzione freatica è storia a se, per le diverse condizioni geologiche, morfologiche ed anche climatiche. Fare considerazioni generali valide dappertutto è parecchio complesso.</div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><b>CAMPI FLEGREI.</b> E veniamo alla <b>applicazione pratica di tutto ciò nei Campi Flegrei</b>. In circostanze normali, cioè <b>su vulcani relativamente lontani da centri abitati, il pericolo per cose e persone è basso, mentre nelle zone densamente popolate come i Campi Flegrei sia l’emissione di gas che la ricadute di proiettili possono costituire eventi altamente pericolosi</b> e nella situazione attuale non è possibile escludere che avvenga un evento del genere. </div><div style="text-align: justify;">Purtroppo come abbiamo visto la previsione di una eruzione freatica è difficile e i segnali precursori sono sempre stati notati “<i>a posteriori</i>” o troppo a ridosso dell’evento, altrimenti ad esempio le esplosioni in strutture vulcaniche come White Island in Nuova Zelanda e Ontake in Giappone che hanno a disposizione monitoraggi di buon livello sarebbero avvenute ad area chiusa per il pericolo e pertanto non avrebbero provocato vittime. Comunque la rete di monitoraggi intorno a Pozzuoli è sicuramente molto più estesa che altrove e per questo motivo mantengo un cauto ottimismo in proposito, perché è realistico pensare che verranno rilevate sia eventuali variazioni di pressione e portata delle fumarole, che dei segnali sismici a bande. </div></span></div><div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><span style="font-size: medium;">A questo punto, siccome la comunità scientifica ha riconosciuto la possibilità che anche l'area dei Campi Flegrei venga investita da un fenomeno di questo tipo, mi auguro l'implementazione da parte dalla Protezione civile un protocollo per la mitigazione del rischio se verranno captati i possibili segnali precursori dell'evento. Ovviamente <i>si tratta di possibili precursori e non della certezza che avvenga qualcosa del genere, tantomeno potrebbe essere nota a priori la sua possibile entità</i>; mi auguro pertanto anche che in caso di falsi allarmi non si levino proteste o prese in giro sia degli evacuati che di osservatori a centinaia di km di distanza. </span></span></div><br /><div style="text-align: center;"><span style="font-size: large;"><b>BIBILIOGRAFIA</b></span></div><span style="font-size: medium;"><br /><b>Barberi et al (1992)</b>. A review on phreatic eruptions and their precursors. <i>Journal of Volcanology and Geothermal Research</i>, 52,231-246</span></div><div><span style="font-size: medium;"><br /></span></div><div><span style="font-size: medium;"><b>Caudron et al (2018)</b>. Anatomy of phreatic eruptions. <i>Earth, Planets and Space </i>70:168 <br /><br /><b>Caudron et al (2022)</b>. Hidden pressurized fluids prior to the 2014 phreatic eruption at Mt Ontake. <i>Nature Communications</i>, 13, 6145<br /><br /><b>Maeda et al (2015)</b>. A phreatic explosion model inferred from a very long period seismic event at Mayon Volcano, Philippines. <i>J Geophys Res Solid Earth</i> 120, 226–242. <br /><br /><b>Sano et al (2015)</b>. Ten-year helium anomaly prior to the 2014 Mt Ontake eruption. <i>Scientific Reports</i>, 5:13069<br /><br /><b>Stix e de Moor (2018)</b>. Understanding and forecasting phreatic eruptions driven by magmatic degassing. <i>Earth, Planets and Space</i> 70:83<br /><br />Per chi volesse approfondire l’eruzione dell’Ontake del 2016 c’è uno <i>special issue</i> di <i>Earth, Planet e Space</i>, disponibile a <a href="https://www.springeropen.com/collections/tpemov " target="_blank">questo indirizzo</a>.</span></div><div><span style="font-size: medium;"><br /></span></div>Aldo Piombinohttp://www.blogger.com/profile/14315928146460343487noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-191685988918780993.post-59334009838938718402023-10-12T09:07:00.002+02:002023-10-12T09:09:56.377+02:00i terremoti lungo la Faglia di Herat in Afghanistan dell'ottobre 2023<div><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjP6BRWrvVaOKUAJ40sf1yUTob_VRdgVL95T8KKVYLGLa_x-OlCG10eWBSzaji5dLIgeO3keqSjx5Lws1tIhlEQ-WGByO6M17rONORYAJqBXs0twKFfqWxgDDtjAaURPB7aYAU9B43N2VvUJYPXXpQr2Vq9du1pLXpSSsmIg3dGCLxScHermmu9fXsxMHQ/s1448/Schermata%202023-10-11%20alle%2016.29.44.png" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="889" data-original-width="1448" height="196" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjP6BRWrvVaOKUAJ40sf1yUTob_VRdgVL95T8KKVYLGLa_x-OlCG10eWBSzaji5dLIgeO3keqSjx5Lws1tIhlEQ-WGByO6M17rONORYAJqBXs0twKFfqWxgDDtjAaURPB7aYAU9B43N2VvUJYPXXpQr2Vq9du1pLXpSSsmIg3dGCLxScHermmu9fXsxMHQ/s320/Schermata%202023-10-11%20alle%2016.29.44.png" width="320" /></a></div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">Non c’è pace per l’Afghanistan. Dopo una guerra durata a fasi alterne dal 1979 al 2021 con la definitiva (si spera per poco) presa del potere da parte del misogino regime talebano, ci mancavano questi terremoti, fra i più forti che hanno interessato il Paese, dopo una decina di eventi a M superiore a 6 tra il 1998 e il 2008 nel nordest, più vicini a Kabul (considero solo i terremoti superficiali e non considero i terremoti profondi dell’Hindu-kush <a href="https://aldopiombino.blogspot.com/2015/10/il-grande-terremoto-dellhindu-kush-del.html" target="_blank">di cui ho parlato qui</a>).</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">In questa carta ricavata dall’<i>Iris Earthquake Browser</i> si vedono i terremoti a M superiore a 5.5 dal tragico 7 ottobre, quando ce ne sono stati ben 3 con M superiore a 6.</div><div style="text-align: justify;">Dopo i due terremoti M 6.3 del 7 ottobre, anche il 10 ottobre è avvenuta una scossa della stessa Magnitudo. Già dal 7 ottobre interi villaggi sono stati rasi al suolo mentre i soccorsi sono impossibilitati dalla mancanza di strade ma anche di medicine e strutture sanitarie.</div></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">I morti si contano a migliaia (attualmente il bilancio è di circa 3.000 vittime). La buona notizia è che la città di Herat, a circa 50 km dall’inizio della “zona calda” e che conta oltre 500.000 abitanti abbia subìto pochi danni.</span></div><div><br /></div><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjaqfRouv3iE68CVLBqgDk65rF7wh187hkaI4Iqh1CaiPU2ngk_4uriZ5v3rjCnszFnFM7M9TzvWe8IpwsGih-vBwDtTf5XbTmp7-Kc0Icc6EUmGMXPU6x-usumZ_1OH17iHNtxb9rnoda5X7EJ8lc4h7OC9tL7cy78sCO6MwwujH76z5d_XkC0rAquI0U/s1988/Screenshot%202023-10-12%20alle%2008.40.42.png" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1310" data-original-width="1988" height="422" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjaqfRouv3iE68CVLBqgDk65rF7wh187hkaI4Iqh1CaiPU2ngk_4uriZ5v3rjCnszFnFM7M9TzvWe8IpwsGih-vBwDtTf5XbTmp7-Kc0Icc6EUmGMXPU6x-usumZ_1OH17iHNtxb9rnoda5X7EJ8lc4h7OC9tL7cy78sCO6MwwujH76z5d_XkC0rAquI0U/w640-h422/Screenshot%202023-10-12%20alle%2008.40.42.png" width="640" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Immagine di Google Maps in cui la faglia di Chaman è tratteggiata, mentre quella di Herat è ben visibile<br />anche ad un occhio non particolarmente geologicamente allenato</td></tr></tbody></table><br /><div><br /><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjkXHcGyGyeSq63ympv-_ANmcEz6fAz3HgXKUmJuXSy2ioL__Z_D_k5PCMmWZAcaZc1m8jmOlvybAPZzUYjvqnZbcVQwYfWuHLgmY6ZQuflboUy6HkI9T1ZVZflo9o6qhvV04HQC9tjR-Fmt0qkP9vx-x7qfBvvqG6mn1arzJ5DDrqz9NZES7XiApGTcuc/s1958/Screenshot%202023-10-12%20alle%2008.26.00.png" imageanchor="1" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1632" data-original-width="1958" height="334" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjkXHcGyGyeSq63ympv-_ANmcEz6fAz3HgXKUmJuXSy2ioL__Z_D_k5PCMmWZAcaZc1m8jmOlvybAPZzUYjvqnZbcVQwYfWuHLgmY6ZQuflboUy6HkI9T1ZVZflo9o6qhvV04HQC9tjR-Fmt0qkP9vx-x7qfBvvqG6mn1arzJ5DDrqz9NZES7XiApGTcuc/w400-h334/Screenshot%202023-10-12%20alle%2008.26.00.png" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">carta tettonica dell'Afghanistan con i blocchi e <br />le faglie. Da <span style="text-align: start;">Ambraseys e Bilham (2014)</span> </td></tr></tbody></table><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><b>TETTONICA DELL'AFGHANISTAN.</b> Un occhio attento riconosce la presenza di una importante struttura allineata quasi est – ovest, <b><i>la faglia di Herat,</i></b> lunga 1.200 km che attraverso l'Afghanistan centrale, tende poi verso nord fino alle montagne dell'Hindu Kush a nord di Kabul, all'estremità NE del Paese, dove finisce nella faglia di Chaman, che, <a href="https://aldopiombino.blogspot.com/2013/09/il-terremoto-del-belucistan-e-lisola.html" target="_blank">come ho fatto vedere qui</a>, è il limite ovest della placca indiana.</div></span></div><div><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; text-align: justify;"><tbody><tr><td style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br /></span></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br /></span></td></tr></tbody></table><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">L’area è geologicamente molto delicata e la sua geologia è ancora non del tutto conosciuta (per esempio non è ancora nota la faglia associata al terremoto M 7.4 del 1956 con epicentro vicino a Bamiyan (o, almeno, non ho trovato bibliografia in materia). </div><div style="text-align: justify;">L'Afghanistan si trova su un promontorio della placca eurasiatica, ed è formato da due blocchi (Shnizai, 2020):</div></span><ul style="text-align: left;"><li style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">il blocco settentrionale è costituito dalla piattaforma afghano-tagica, a sua volta formata da un insieme di terranes minori stabili che fanno parte del continente eurasiatico fin dal Paleozoico</span></li><li style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">il blocco centrale, anche esso costituito da diversi blocchi minori che sono entrati in collisione con l'Eurasia più tardi, durante il Mesozoico e all'inizio del Cenozoico. Fra essi spicca il blocco di Helmand che potrebbe rappresentare una parte della vecchia crosta oceanica della Tetide rimasta intrappolata nello scontro fra Eurasia, India e Africa senza essersi particolarmente deformata, quindi un blocco in trasmogrificazione nel quadro di Morgan e Vannucchi (2022)</span></li></ul><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">L’arrivo dell’India e la sua indentazione nel continente asiatico hanno complicato la situazione: oggi la placca euroasiatica converge con la placca araba a sud e con la placca indiana a sud-est a una velocità di circa 30 mm/anno; c’è anche una convergenza con il blocco di Lut, ad ovest, di circa 15 mm/anno (Ambraseys e Bilham, 2014). </div><div style="text-align: justify;">In questo quadro la faglia di Herat rappresenta il contatto fra la piattaforma Afghano – Tagica e continua a mostrare una forte attività comportandosi come una “cicatrice litosferica” nel senso di Heron et al. (2016).</div><div style="text-align: justify;">In precedenza in un database di terremoti afghani l’area di Herat è stata interessata da eventi con M circa 6 negli anni 849 1102 1164 e poi anche nel XX secolo (Ambraseys e Bilham 2014).</div><div style="text-align: justify;">I terremoti di questi giorni si inquadrano perfettamente nella compressione nord – sud sulla faglia di Herat esercitata dalla convergenza fra Eurasia e Arabia.</div></span><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: center;"><b><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">BIBLIOGRAFIA</span></b></div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br />Ambraseys e Bilham (2014). The Tectonic Setting of Bamiyan 6 and Seismicity in and Near Afghanistan for the Past Twelve Centuries in: C. Margottini (ed.), After the Destruction of Giant Buddha Statues in Bamiyan (Afghanistan) in 2001, 101 <i>Natural Science in Archaeology</i>, Springer-Verlag Berlin Heidelberg 2014<br /><br />Collett et al (2015). Polymetamorphic evolution of the granulite-facies Paleoproterozoic basement of the Kabul Block, Afghanistan. <i>Mineralogy and Petrology, </i>August 2015<br /><br />Heron et al (2016). Lasting mantle scars lead to perennial plate tectonics. <i>Nature communications</i> DOI: 10.1038/ncomms11834<br /><br />Morgan e Vannucchi (2022). Transmogrification of ocean into continent: implications for continental evolution. <i>PNAS</i> 119/15 e2122694119<br /><br />Shnizai 2020. Mapping of active and presumed active faultsin Afghanistan by interpretation of 1-arcsecond SRTM anaglyph images. <i>J Seismol </i>https://doi.org/10.1007/s10950-020-09933-4</span><p><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"> </span></p></div>Aldo Piombinohttp://www.blogger.com/profile/14315928146460343487noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-191685988918780993.post-81711935584929043022023-09-11T11:59:00.002+02:002023-09-12T08:38:03.625+02:00Geodinamica del terremoto dell'Atlante dell'8 settembre 2023 <span style="font-family: helvetica;"><br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Il terremoto di magnitudo 6.8 dell’8 settembre 2023 vicino a Oukaïmedene, in Marocco, si è verificato all'interno della catena montuosa dell'Alto Atlante marocchino, a circa 75 km a sud-est di Marrakech e 120 a NNE di Agadir, la città che nel 1960 ha subito oltre 10.000 vittime per un evento simile ma molto più vicino. Questo evento è stato caratterizzato da un meccanismo compressionale accompagnato da una leggera trascorrenza (questa è la<a href="https://earthquake.usgs.gov/earthquakes/eventpage/us7000kufc/executive" target="_blank"> pagina riassuntiva di USGS</a>), entrambi ben spiegabili con la geodinamica della catena, condizionata dal movimento relativo verso la penisola iberica della placca della Nubia (termine con cui si considera buona parte dell’Africa), con un andamento NW-SE ad una velocità di circa 1,5 mm/anno (Serpelloni et al, 2007). Inoltre vi si registra dall'Eocene medio un forte sollevamento, mediamente circa 2 mm/anno.</span></div></span><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi9OmkEsrDjpvOIchbpJbCf7-6AwmiavKRcNyEAVdvN975DRxGX8XLGDn14A-G0XvqhCLqpSNiCIHh483poSd3k9xrewi5f7By1o7I6EMI-SQP-TErqLRxay45hapSJz7orOeffzD8n3zNg9PwwIxs79uSIH6NtZI_10Qq-ZWt9t8_62ZK1fv6Mx-sYdkQ/s1422/serpellonietal2007.png" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="499" data-original-width="1422" height="224" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi9OmkEsrDjpvOIchbpJbCf7-6AwmiavKRcNyEAVdvN975DRxGX8XLGDn14A-G0XvqhCLqpSNiCIHh483poSd3k9xrewi5f7By1o7I6EMI-SQP-TErqLRxay45hapSJz7orOeffzD8n3zNg9PwwIxs79uSIH6NtZI_10Qq-ZWt9t8_62ZK1fv6Mx-sYdkQ/w640-h224/serpellonietal2007.png" width="640" /></a></div><span style="font-family: helvetica;"><br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><b>L’ATLANTE, UN SISTEMA DALLA STORIA COMPLESSA</b>. La catena dell'Atlante marocchino si trova nella parte nord-occidentale del continente africano. Dal punto di vista geografico rappresenta la giunzione tra la cordigliera delle montagne del Rif a nord e l'altopiano del Sahara africano a sud. Dal punto di vista tettonico questa catena ha la particolarità di non trovarsi al limite fra due placche, bensì all'interno della placca africana, a oltre 500 km a sud del limite con la placca eurasiatica: l’Atlante quindi è una catena intracontinentale che deforma quella parte della placca africana più debole, cresciuta nel paleozoico al margine del cratone dell’Africa occidentale durante l’orogenesi varisica (è interessante notare che la catena rappresenta anche il limite della fascia deformata da questo importante evento orogenico). Un analogo potrebbe essere la catena del Tien-Shan nell’Asia centrale, formatasi nel paleozoico durante la chiusura dell’oceano paleoasiatico fra i blocchi della Cina Settentrionale e della Siberia e riattivata da quando l’India si è scontrata con l’Eurasia.</span></div><br /></span><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhvxOZJDegE29FYMnLYdg1QS1HBf9950VW3fZaJYePefNlDaJVTY6gaWFWS4d_sYCMXHu-vB2D8Ya-GU55B4JApGua97c3w17NLKHT3U3iUldKQaI4AMfPWbhpDLVqMKayKzFy3UcjBVgk4FnxJ1TZnEZRILe5EYnoyLM-ISzQC1GRhY7PXDsWZkT5m_ec/s3804/badhamekroner.png" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1156" data-original-width="3804" height="217" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhvxOZJDegE29FYMnLYdg1QS1HBf9950VW3fZaJYePefNlDaJVTY6gaWFWS4d_sYCMXHu-vB2D8Ya-GU55B4JApGua97c3w17NLKHT3U3iUldKQaI4AMfPWbhpDLVqMKayKzFy3UcjBVgk4FnxJ1TZnEZRILe5EYnoyLM-ISzQC1GRhY7PXDsWZkT5m_ec/w715-h217/badhamekroner.png" width="715" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: left;">a sinistra l'area coinvolta dall'orogenesi varisica<br />a destra la stratigrafia del Marocco e dei dintorni. Si nota come la faglia dell'atlante divide a nord un'are contraddistinata da età paleozoiche e mesozoiche <br />e a sud il cratone est africano con rocce ben più antiche (paleoproterozoiche e archeane)<br />la stella indica il terremoto dell'8 settembre</td></tr></tbody></table><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><div><span style="font-family: helvetica;"><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjm3Dj6Ik9MyfUscGkFi5lpt6SjKWAVSbv9KqGOxPZ0NrikHxYy1P_qSpid8ecMnJnkgw-hD8w6OyE3Wsu0QSQ2HVlWQJyOmWyHJ_sFc2FxW4fyRp8yeTxylY1ygTJe75xx6mAB3Pq8KKh1j2keX1IQSlu4xytFRi7cjJWcDI3DD7KNeTWsnX90RH8H14w/s1024/aitbrahim.001.jpeg" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="768" data-original-width="1024" height="317" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjm3Dj6Ik9MyfUscGkFi5lpt6SjKWAVSbv9KqGOxPZ0NrikHxYy1P_qSpid8ecMnJnkgw-hD8w6OyE3Wsu0QSQ2HVlWQJyOmWyHJ_sFc2FxW4fyRp8yeTxylY1ygTJe75xx6mAB3Pq8KKh1j2keX1IQSlu4xytFRi7cjJWcDI3DD7KNeTWsnX90RH8H14w/w422-h317/aitbrahim.001.jpeg" width="422" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">l'Atlante e le sue faglie: compressive e trascorrenti</td></tr></tbody></table><span style="font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><b>GEODINAMICA E SISMICITÀ ATTUALI.</b> Le montagne dell’Atlante stanno ancora attualmente accomodando la convergenza Africa-Iberia NNW-SSE iniziata nel cretaceo, anche attraverso l’inversione delle strutture che si erano formate durante la fase il sistema estensionale dei rift (Jacobshagen et al. 1988).</div><div style="text-align: justify;">Essendo una catena intracontinentale la fascia deformata ha uno spessore ridotto e sotto la crosta non si trovano le classiche cose tipiche di un orogene formatosi per la convergenza di due placche, come una crosta ispessita, un piano di subduzione con la sismicità profonda associata ed il magmatismo collegato ad esse: recenti studi tomografici sulla crosta e sul mantello superiore (Palomeras et al. 2017) rivelano uno spessore crustale compreso fra 30 e 35 km (nell’Appennino ad esempio si arriva a 50 km).</div><div style="text-align: justify;">I sistemi di faglia compressivi sono stati ereditati dal regime estensionale del rift, ma siccome le spinte non sono parallele a questi, oltre a queste faglie inverse, fra le quali dominano i sovrascorrimenti, si sono sviluppate anche delle faglie trascorrenti (El Moudnib et al, 2023).</div></span><br /><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj6suAQ2VSWARaX8wX6ZgzTFYYOb8qP-ejtdhxp5vJWNpEgk8Ar9HiYBWEGU4tRAkNNb-S91eyUN42X3ZhROxiqq1Y9nue36drEXG6vmc6WaxiAYkpTnZBPLBq83so5fWOhFgEapyUJ_IUXp2YofOz_d3i6bG7Rj9o1l_tSH1BWHz2B3vrNfVgbztsKLxI/s1140/El%20Moudnib%20et%20al%202023.png" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="870" data-original-width="1140" height="305" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj6suAQ2VSWARaX8wX6ZgzTFYYOb8qP-ejtdhxp5vJWNpEgk8Ar9HiYBWEGU4tRAkNNb-S91eyUN42X3ZhROxiqq1Y9nue36drEXG6vmc6WaxiAYkpTnZBPLBq83so5fWOhFgEapyUJ_IUXp2YofOz_d3i6bG7Rj9o1l_tSH1BWHz2B3vrNfVgbztsKLxI/w400-h305/El%20Moudnib%20et%20al%202023.png" title="siosmicità dell'Atlante fra il 1998 e il 2014" width="400" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">sismicità dell'Atlante fra 1998 e 2014.<br />La stella indica il terremoto dell'8 settembre 2014</td></tr></tbody></table><br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><b>LA SISMICITÀ DELL’ATLANTE.</b> Qualcuno si è stupito di questo terremoto. In effetti nell’Atlante le Magnitudo non sono particolarmente intense, e quindi è difficile che questi eventi vengano conosciuti dai non addetti ai lavori. Ma indubbiamente la sismicità di basso livello è frequente: l’IRIS Earthquake Browser evidenzia tra Agadir e Fez circa 200 eventi con M>4 fra il 1970 circa e oggi, anche se solo 5, compreso quello dell’8 settembre, hanno superato M5. Da notare che entro 500 km dall’epicentro di quest’ultimo evento non si sono verificati terremoti di M6 e oltre dal 1900, anche se ce ne sono stati 9 con M tra 5 e 5,9. Purtroppo si tratta di una sismicità superficiale in cui eventi anche “minori” possono risultare spesso distruttiva a causa delle prestazioni non certo esaltanti della maggior parte degli edifici. Conta molto anche l’ora a cui avviene il terremoto: nel 1960 ad Agadir era notte e quindi come l’8 settembre 2023 la maggior parte delle persone, specialmente nei villaggi montani, era in casa. </span></div><span style="font-size: medium;"><div style="text-align: justify;">Per quanto riguarda il periodo prima del XX secolo, Palaez et al (2007) evidenziano nell’Atlante tra il XI e il XIX secolo 8 eventi a M>5 di cui il più forte è il terremoto di Fez Mw 6.7 del 1624. </div></span></span></div><div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: helvetica;"><span style="font-size: medium;">Quindi l’ultimo terremoto è stato il più violento fra quelli storici della catena. </span></span><span style="font-family: helvetica; font-size: large;"> </span></div><span style="font-family: helvetica;"><div><span style="font-family: helvetica;"><br /></span></div><br /><div style="text-align: center;"><span style="font-size: large;"><b>BIBLIOGRAFIA</b></span></div></span></div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><br /></span></div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><b>Ait Brahim et al (2002)</b>. Paleostress evolution in the Moroccan African margin from Triassic to Present. <i>Tectonophysics</i> 357, 187–205</span></div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><b>El Moudnib et al (2023)</b>. Seismotectonic model of High‐Middle Atlas Junction. <i>Modeling Earth Systems and Environment</i> (2023) 9:2407–2423 <br /><b>Kroner e Romer (2013)</b>, Two plates — Many subduction zones: The Variscan orogeny reconsidered. <i>Gondwana Research</i> 24, 298–329<br /><b>Jacobshagen V (1988)</b>. The Atlas system (Morocco). <i>Springer-Verlag,</i> New York, pp 481–499</span></div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><b>Palomeras et al (2014)</b>. Finite-frequency Rayleigh wave tomography of the western Mediterranean: mapping its lithospheric structure. <i>Geochem Geophys Geosyst </i>15,140–160 </span></div><div><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;"><b>Peláez et al (2007)</b>. A Catalog of Main Moroccan Earthquakes from 1045 to 2005 <i>Seismological Research Letters</i> 78/6, 614 - 621</span></div><div><span style="font-family: helvetica;"><span style="font-size: medium;"><b>Serpelloni et al (2007).</b> Kinematics of the Western Africa– Eurasia plate boundary from focal mechanisms and GPS data. <b>Geophys J Int</b> 169,1180–1200 <br /></span><br /><br /></span><br /></div></div>Aldo Piombinohttp://www.blogger.com/profile/14315928146460343487noreply@blogger.com2