giovedì 31 maggio 2018

La deformazione dell'area del monte Mantap in Corea del Nord a seguito dell'esperimento termonucleare del 3 settembre



Le applicazioni del radar interferometrico satellitare (InSAR) sono numerose. In questa occasione i dati del satellite tedesco TerraSAR-X hanno determinato le deformazioni seguite all'ultimo esperimento nucleare in Corea del Nord, dimostrando come questa esplosione abbia pesantemente modificato la topografia del sito, rendendolo inutiilizzabile per attività future e costringendo il regime nordcoreano a cambiare la sua strategia. È stato inoltre possibile determinare con ls deformazioned ella superficie topografica un valore di Mw che oltre all'energia inziale comprende anche le deformazion post-evento e che sostanzialmente è in accordo con quello determinato esclusivamente con metodi geofisici.


Il 3 Settembre 2017 i sismografi di tutto il mondo hanno registrato un evento sismico localizzato nel poligono nucleare di Punggye-ri nella Corea del Nord, indicando che nel sito era stato appena eseguito un altro esperimento nucleare, e, soprattutto, che questo ultimo esperimento è stato ben più potente dei precedenti. Poco dopo l’agenzia ufficiale dello Stato ha confermato quello che molti esperti temevano: il Paese asiatico aveva fatto esplodere una bomba termonucleare a due stadi (una normale bomba a fissione ha innescato una bomba a fusione, la classica trafila di una bomba H). Già a novembre in questo post ho descritto la geologia del sito nucleare e fatto notare che a seguito dell’esperimento di settembre qualcosa non aveva funzionato a dovere: il primo allarme è stato costituito da una replica M 4.1 registrata appena 8 minuti e mezzo dopo l’esperimento. A questa prima replica ne sono seguite altre due, il 23 settembre e il 12 ottobre; secondo fonti solitamente ben informate in questa ultima occasione numerosi addetti ai lavori sarebbero morti per il crollo di un tunnel che stavano scavando. Insomma, già ai primi di novembre iniziavano i sospetti che la nuova strategia del regime coreano sulle armi nucleari fosse dovuta aulla impossibilità di proseguire l’attività a  Punggye-ri, ipotesi che è diventata certezza qualche tempo dopo che ho scritto quel post. Oggi i radar montati su satellite consentono grazie alla tecnica InSAR di vedere chiaramente le componenti verticale ed E-W della deformazione associata all’evento e dare un’altra valutazione indipendente da quella geofisica sull’energia rilasciata nell’esperimento.


Le deformazioni dopo gli esperimenti
del 1992 da Vincent et al (2003)
LE DEFORMAZIONI RILEVATE DA InSAR A SEGUITO DEGLI ULTIMI ESPERIMENTI NUCLEARI IN USA NEGLI ANNI '90. Vincent et al (2003) dimostrarono 15 anni fa che con la tecnica InSAR un radar satellitare riesce a determinare le deformazioni superficiali causate da test nucleari sotterranei anche nei casi in cui l’esplosione non abbia provocato effetti visibili, per esempio la formazione di un cratere o delle fratturazioni. È evidente invece che una leggera subsidenza del terreno non sia invece facilmente rilevabile (o, quantomeno, quantificabile), con mezzi tradizionali.
La ricerca è stata effettuata nei mesi che seguirono gli ultimi esperimenti nucleari nel poligono del Nevada, alla fine del 1992. Le serie di dati InSAR hanno evidenziato la subsidenza dell’area sovrastante i siti degli esperimenti e che dopo una forte componente immediata (subsidenza cosismica), il movimento proseguiva in un’area di circa 1 km di raggio per giorni, se non per mesi o addirittura anni, dopo l’evento. La subsidenza avviene sia nel caso di formazione di un cratere sia nel caso in cui questo cratere non si formava. Il valore finale dell’abbassamento della superficie topografica va da uno a qualche centimetro.
In questa immagine, tratta da quel lavoro, si osservano i segnali della deformazione cosismica catturati in 14 mesi di osservazione di tre test sotterranei del 1992. I punti rossi rappresentano crateri di test precedenti.

La deformazione della superficie topografica
secondo Wang et al (2018)
LE DEFORMAZIONI A PUNGGYE-RI DOPO IL 3 SETTEMBRE 2017. Su Science è uscito in questi giorni (Wang et al, 2018) un articolo di un gruppo di ricerca internazionale che applica la stessa tecnica al poligono di Punggye-ri: usando i dati provenienti dal satellite tedesco TerraSAR-X, è stata misurata la deformazione causata dall’esperimento del 3 settembre, visibile nella figura qui accanto: il movimento è stato scomposto nella componente orizzontale e in quella verticale. La componente orizzontale è rappresentata dalle frecce, che mostrano una evidente dislocazione orizzontale che diverge a raggiera dal punto dell’esplosione, il cui valore arriva addirittura a 3.5 m. 
La componente verticale invece è rappresentata dai colori sulla carta.
La deformazione indica che la sorgente dell’esplosione è localizzata dalle coordinate 129.078°E e 41.300°N±50 m, ed è avvenuta a 1750 ± 100 m di quota sopra il livello medio del mare, cioè 450 ± 100 m sotto la cima del monte Mantap.
Si osserva molto bene che un buona parte della superficie del monte Mantap si è abbassata in un’area di qualche centinaio di metri dal punto dell’esplosione, mentre un movimento orizzontale ha innalzato quelle intorno; inoltre lo spostamento orizzontale è maggiore nei fianchi meridionale e occidentale della montagna, il che evidenzia uno stretto controllo della sua entità da parte della topografia: più elevata è la pendenza, maggiore è lo spostamento centrifugo. Anche l’abbassamento è legato alla pendenza, in particolare l’area a massima subsidenza si prolunga a distanza maggiore dal sito dell’esplosione nei versanti più scoscesi a W e a S. É invece curioso vedere che i valori di innalzamento siano molto superiori nella parte nord che in quella a sud.
Un aspetto interessante è che se la topografia esercita un controllo sulla entità del movimento, non lo esercita invece sulla sua direzione, per cui non si tratta di movimenti franosi, che, ovviamente, si sarebbero dovuti muovere nella direzione del pendio. Sono comunque distinguibili anche i segnali di alcune frane innescate dallo scuotimento, che sono completamente diversi e localizzati: dei debris flows localizzati in avvallamenti preestenti non in grado si produrre i moviklenti orizzontali a larga scala evidenziati dal satellite. 
Quindi la maggior parte della deformazione della superficie topografica non è il risultato delle frane ma è proprio dettato dall’esplosione e tale quadro deformativo è connesso all’espansione di una cavità dovuta all’esplosione e al suo successivo collasso: l’espansione ha provocato il rapido allontanamento dal centro delle rocce intorno all’ordigno, le quali hanno spinto le zone adiacenti che hanno reagito sollevandosi. Successivamente il collasso di quanto stava sopra alla cavità ha provocato l’abbassamento. Il raggio della cavità è calcolato sui 300 metri. Nella figura qui sotto la serie degli eventi come descritta da Wang et al (2018)

I movimenti secondo Wang et al 2018
Il cerchio bianco a sud del punto dell'esplosione indica la posizione della replica M. 4.1 avvenuta 8 minuti e mezzo dopo, localizzata circa 700 m verso sud; non a caso questo secondo evento si colloca precisamente sotto una delle zone a massima subsidenza e di movimento centrifugo nel più scosceso fianco meridionale del monte Mantap, tra il sito dell’esplosione e il portale di accesso al poligono.
In questo lavoro non viene preso in considerazione l’evento del 23 ottobre, che poi è quello che ha confermato i dubbi sulle condizioni del poligono dopo il test, che la replica M 4.1 aveva innescato. Penso che la sua posizione possa coincidere con quell’area di leggera subsidenza a NE della carta.

LA DETERMINAZIONE DELLA MAGNITUDO DELL'EVENTO CON METODO GEODETICO. Oltre alla precisa collocazione dell’evento, l’interferometria radar è capace di definire anche una Magnitudo Momento (non quella locale) dell’esperimento, combinando la profondità ricavata dalla geodesia e l’energia ricavata dai sismogrammi: il risultato è Mw = 5.5, un po' più alto di quello ricavato dai soli dati sismici (Mw = 5.24), perché include la deformazione lenta successiva all’evento che non ha prodotto onde sismiche; il cambiamento di volume è stato stimato in 0.01 km3. 

DEFORMAZIONI ED ABBANDONO DEL POLIGONO. Questo lavoro è interessante perché dimostra come ci sia un altro metodo – satellitare – che si affianca a quello geofisico per determinare sito e potenza di un esperimento nucleare. 
Le deformazioni del sito di Punggye-ri rilevate con l’interferometria radar da un lato confermano l’energia e la posizione dell’esperimento del 3 settembre ricavate dai dati geofisici, ma vanno ben oltre, perché ci danno un quadro completo della deformazione che ne è seguita, dimostrando che la chiusura del poligono non è stata volontaria ma, come già si paventava, è una conseguenza di una esplosione troppo potente per quanto potevano resistere le rocce al suo intorno. Per fortuna, trattandosi di una esplosione termonucleare a due stadi, l’ordigno a fissione capace di produrre alte ricadute radioattive era molto piccolo; mi chiedo comunque come sia possibile che in tutto questo macello non ci sia stata una fuga di radioattività.

Vincent et al (2003) New signatures of underground nuclear tests revealed by satellite radar interferometry Geophysical Research Letters, 30 / 22, 2141 
Wang et al. (2018), Science 10.1126/science.aar7230 (2018)
   

giovedì 24 maggio 2018

La recrudescenza dell'attività sismica nella parte settentrionale della zona interessata dalla sequenza iniziata nel 2016



Con questo post vorrei fare un pò il punto della situazione a Muccia e Pievo Torina, dove in questi ultimi mesi c'è stata una recrudescenza dell'attività sismica: si ricordano in particolare gli eventi dall'inizio di aprile, ma era da gennaio che era stato notato un aumento della sismicità nella zona a nord del bacino di Caselluccio, quella più settentrionale dell'areale interessato dalla sequenza iniziata il 24 agosto 2016, in particolare quelli con M>3. Ci si domanda poi se questa sequenza sia diversa da quelle che hanno sconvolto l'Appennino centrale nei secoli passati e, soprattutto, quanto ancora durerà e se in un futuro prossimo aree limitrofe saranno colpite. Purtroppo nessuno ha la sfera di cristallo per rispondere a queste domande e continuo a sostenere che l'unica soluzione per essere sicuri è quella di vivere, lavorare, studiare, passare il tempo libero in edifici dalle caratteristiche compatibili con il rischio sismico specifico di ogni area e che la ricostruzione delle zone terremotate deve essere preceduta da una zonazione sismica capace di individuare dove si possa ricostruire.


In questo momento la situazione nella zona di Muccia e Pieve Torina è più delicata dal punto di vista umano che da quello geofisico e sismologico: il problema fondamentale oggi è sicuramente lo stress a cui la popolazione è sottoposta da quasi due anni e ne ho avute dimostrazioni pratiche anche grazie a delle domande che mi sono state fatte personalmente. Per questo ho già perso la pazienza diverse volte contro i ciarlatani che creano allarmismi e con quelli delle postvisioni del tipo “avevo l’apparecchiatura (che peraltro non legge nulla, ndr) in manutenzione”. Il drammatico è quando, come adesso, anche esponenti del mondo scientifico si mettono a far polemica: per dirla con Niels Bohr, “è difficile fare delle previsioni, specialmente per il futuro”;  Bohr non parlava dei terremoti, ma è un fatto che proprio i terremoti siano ancora, allo stato attuale, estremamente imprevedibili In questo grafico vediamo in rosso il numero degli eventi con M>2 e in blu quello degli eventi con M>3. I numeri sull’asse x sono i mesi dal 24 agosto. È chiaro che i mesi non sono tutti lunghi uguale, ma insomma, si vede come nel mese successivo al 24 agosto e in quello dopo il 30 ottobre ci sono stati moltissimi eventi (e giustamente, il secondo terremoto, essendo ben più forte, ha provocato più scosse del primo); poi la sismicità è scesa a valori molto più bassi.


Il meccanismo degli eventi dell'Appennino Centrale:
una estensione 
ALCUNI CONCETTI FONDAMENTALI DA TENERE A MENTE. voglio qui riassumere alcuni aspetti che non tutti hanno ben chiari:
1. ad eccezione degli sciami sismici, in cui ci sono diverse scosse ravvicinate nel tempo con una Magnitudo simile, in una sequenza sismica normale un singolo evento principale è seguito da una serie di repliche più deboli rispetto al primo, secondo la legge di Omori per la quale in media la frequenza delle repliche diminuisce iperbolicamente con il tempo dopo un forte terremoto. Naturalmente ogni terremoto fa storia a se e quindi i coefficienti della legge di Omori variano da sequenza a sequenza e quindi, e inotre durante l’attenuazione della sequenza non si possono escludere colpi di coda un po' sopra le righe, una situazione che sta diventando molto pesante a Muccia
2. c’è poi una seconda legge, quella di Gutenberg-Richter che integra la legge di Omori: spannometricamente si può dire che il numero di repliche di un evento principale aumenta di 10 volte scendendo di una unità nel valore della Magnitudo: ad esempio un evento M5 sarà seguito da 10 eventi di M 4, 100 di M3, 1000 di M 2 e via discorrendo, fermo restando che sotto un certo limite che mettiamo convenzionalmente a M = 1 gli eventi sismici diventano indistinguibili dal rumore di fondo
Il meccanismo compressivo tipico
dei terremoti emiliani del 2012
3. tra la sismicità dovuta a un quadro tettonico compressivo e la sismicità dovuta a un quadro tettonico distensivo  c’è un abisso nella modalità dei meccanismi focali e in quello che succede dopo: possiamo dire che in un evento compressivo i due lati del piano di faglia si “uniscono” sempre di più; in un evento distensivo invece si crea un vuoto
4. è per questo che la sequenza che segue un evento distensivo dura molto di più rispetto ad una crisi dovuta ad un evento compressivo. Lo possiamo facilmente notare confrontando la durata di pochi mesi delle repliche dei terremoti emiliani del 2012 con quella dell’Appennino centrale attuale; ma anche con quella, distensiva come quella attuale, del 1980 in Irpinia, che ancora nel 1982 ha visto alcuni eventi con M > 4 nella zona epicentrale 
5. è indubbio che la legge di Omori sia rispettata: nell’area interessata dagli eventi principali del 2016 le scosse stanno diminuendo in intensità e frequenza praticamente dappertutto, anche se nella zona di Muccia e di Pieve Torina c’è, come dire, una recrudescenza dei fenomeni dall’inizio del 2018 e in questi giorni è in corso la sequenza di Omori al seguito dell’evento del 10 aprile (che per la cronaca ha un meccansismo focale e una direzione del piano di faglia perfettamente coerente con le scosse principali dell’ottobre 2016).


MAGNITUDO, DISTRIBUZIONE E NUMERO DEGLI EVENTI. Osservando esclusivamente gli eventi con M uguale o superiore a 3, la sequenza iniziata il 24 agosto 2016 è caratterizzata da 3 fasi, come si osserva nelle tre carte qui sotto.




Qui sopra, nella prima fase, dal 24 agosto al 25 ottobre, la sismicità è essenzialmente annidata fra Preci a nord e il lago di Campotosto a sud, ma con gli eventi più meridionali “staccati” dagli altri. Questo denota che il settore del Monte Vettore ancora non ha iniziato a muoversi.



Qui vediamo invece come il 25 ottobre 2016 si attiva anche la parte settentrionale tra Preci e Camerino, e fino al 15 gennaio 2017 le replice coprono tutta l'area tra Muccia a nord e Pizzoli a sud, a parte una leggera discontinuità che separa gli eventi della zona di Amatrice da quelli di Campotosto. 


Dopo il 15 gennaio 2017 non esiste più il gap tra Amatrice e Campotosto e la distribuzione delle repliche è praticamente continua.


Quello che si può notare è che applicando la legge di Gutemberg – Richter i conti ancora non tornano: ci dovrebbero essere stati, dopo il 30 ottobre, 10 eventi con M compresa tra 5 e 6, 100 con M compresa fra 4 e 5 e 1000 con M compresa fra 3 e 4. Invece siamo a 5 (e tutti fuori zona, il 30 ottobre è stata interessata l’area più a nord, e queste repliche intense sono annidati a Campotosto, esattamente dalla parte più a sud…), 65 e poco più di 1000 (il valore di 1132 per questioni grafiche comprende anche gli eventi dello spoletino e qualcun altro fuori dalla zona “calda”). Insomma, ce ne sono stati meno nelle classi di Magnitudo superiore (la metà di quelli aspettati) e un numero abbastanza compatibile in quella di M tra 3 e 3.9.
Dal punto di vista temporale in tutta l'area interessata gli eventi complessivi con M3+ sono 260 entro il 23 ottobre 2016, e 957 entro il 14 gennaio 2017; consoderando solo la zona del M 6.5 del 30 ottobre 2016 i 3 eventi più forti che hanno seguito la scossa principale sono:
M 4.8 1 novembre 2016
M 4.7 3 novembre 2016
M 4.6 10 aprile 2018
Naturalmente questo non vuole dire che ci saranno per forza altri eventi forti per colmare il gap nelle magnitudo più alte secondo la legge di Gutemberg -  Richter, ma il rischio esiste.


UN CONFRONTO FRA OGGI E IL PASSATO. La domanda fondamentale è se precedenti terremoti di simile entità nell’Appennino Centrale abbiano avuto la stessa evoluzione di quella attuale. In parte, consultando e cronache storiche, la risposta può essere considerata “affermativa”, perché numerose fonti attestano la presenza di repliche prolungate nel tempo; dobbiamo inoltre notare come molti terremoti siano incerti non solo nella magnitudo, ma persino nell'essere avvenuti o meno; questo vale sia per gli eventi sismici principali, ma soprattutto per le repliche. Spesso si legge che le scosse sono durate mesi (o anni), ma non è dato sapere quanti, anche perché in genere gli eventi che restano sono quelli distruttivi e l’evento principale spesso distruggeva praticamente tutto quello che c’era da distruggere: in genere le repliche sono riportate dalle cronache solo se particolarmente avvertibili e/o causa di frane o ulteriori rovine negli edifici. E sicuramente una loro buona parte non è stata citata. Ne segue che il catalogo è sicuramente lacunoso.

Il post 2016 si differenzia dalle precedenti sequenze per alcune condizioni particolari dal punto di vista umano:

  • le cronache del passato non possono citare le scosse strumentali, e, come ho detto, sono abbastanza lacunose anche su eventi sismici “molto sopra le righe” (quando, appunto, non hanno provocato effetti pratici).
  • fino al 1915 non ci sono registrazioni sismometriche e, come fa notare Alessandro Amato, mai nella storia italiana la rete sismografica è stata particolarmente sofisticata nel numero e nella qualità dei sensori (una condizione ben più dettagliata non solo rispetto al 1915, ma anche rispetto al 1997 e al 2009)
  • la Magnitudo decisamente più alta rispetto agli eventi principali recenti (1997 e 2009)



Quindi non è possibile dire se questa sequenza si differenzia da altre di Magnitudo simili documentate dalle fonti storiche. Tantomeno è possibile prevedere quando il tutto si esaurirà.


MUCCIA, PIEVE TORINA E DINTORNI. Veniamo ora ai possibili scenari futuri, argomento del contendere di questi giorni con la parola d’ordine “cosa succede a Muccia e a Pieve Torina?”. La persistenza dell’attività nella zona settentrionale è probabilmente dovuta alla maggiore intensità del terremoto del 30 ottobre nei confronti di quello del 24 agosto, ma è innegabile che dopo una fase di stasi nella seconda metà del 2017, la “coda” si sia nuovamente intensificata. Non chiedetemi però il perché….
Venendo agli utlimi 2 mesi, dal 4 aprile ci sono stati fino alle 10.00 del 23 maggio 2018, nell’area molto localizzata evidenziata nella carta, 172 eventi con M > 2.1, dei quali 19 con M 3+ con le punte di M 4.0 il 4 aprile e 4.6 il 10 aprile. Non solo: in quest’area dall'inizio del 2018 si registra un’attività superiore a quella dei mesi precedenti, come si vede dal grafico qui accanto: da gennaio 2018 ben 36 dei 38 eventi con M >3 di tutta l'area tra Muccia e Pozzoli sono stati registrati qui.


L’evento del 4, ma soprattuto quello del 10, hanno innescato a loro volta una sequenza di Omori e si vede che in questo caso la legge di Gutemberg-Richter sottostima un po' il numero delle repliche.
Dobbiamo poi registrare una leggera ripresa negli ultimi giorni, dopo un paio di settimane fondamentalmente calme; in particolare un evento del 21 maggio è stato il più forte dopo il 10 aprile.  Per fare un confronto con le sequenze storiche ci si dovrebbe domandare quanti di questi eventi non solo sarebbero stati avvertiti dalla popolazione, ma soprattutto di quanti resterebbe nelle cornache il ricordo. Probabilmente ben pochi… senza la rete di INGV la maggior parte sarebbe passata inosservata e, se fosse successo anche solo 200 anni fa, le cronache storiche probabilmente non avrebbero registrato il ricordo dell’evento del 10 aprile 2018.


I POSSIBILI SCENARI FUTURI. Purtroppo, come ho detto, non si possono fare previsioni, ma è possibile delineare degli scenari futuri, a scala locale (la zona interessata dal 24 agosto 2016 in poi) e a scala regionale (l’Appennino centrale).
A scala locale lo scenario ottimale dal punto di vista umano sarebbe “finisce tutto subito”. Purtroppo non è realistico, nel senso che l’attività della sequenza sismica innescatasi nel 2016 sta ancora continuando. In questo quadro di generale diminuzione della frequenza e dell’intensità delle repliche sono purtroppo possibili  ancora “colpi di coda” come questo di Muccia, con il dubbio  sulla scarsa quantità delle repliche di M più alta e del perché della ripresa dopo una stasi. Insomma.. ancora “non ci siamo”.


La distribuzione irregolare nel tempo degli
eventi sismici maggiori dell'appennino centrale
 è chiaramente evidente in questo grafico
tratto da Tondi e Cello (2003
)
A scala dell’Appennino centrale, torniamo al gennaio 2017 e al comunicato della Commissione Grandi Rischi, che ho commentato qui: gli eventi sismici nell’Appennino centrale non sono distribuiti casualmente nel tempo, ma tendono a raggrupparsi in cluster temporali ben definiti.
Esaminando il “catalogo parametrico dei terremoti italiani” dell’INGV, si notano dei momenti in cui il settore a cavallo fra Lazio, Umbria e Marche è stato colpito da una serie di eventi con M superiore a 5.5 ravvicinati nel tempo: limitandosi al periodo tra il XIII e il XVIII secolo, è successo per esempio tra il 1269 e il 1279 e negli anni 1348 – 49, e tra il 1458 e il 1466, mentre in tutto il 1500 si segnala una attività scarsissima e nel 1600 si contano “appena” 3 eventi maggiori, tutti in un lasso temporale ristretto; nella prima metà del XVIII secolo, invece, si sono verificate scosse intense circa ogni 10 anni (1703, 1719, 1730, 1741, 1747 e 1751), poi dopo qualche decennio di calma abbiamo terremoti nel 1781, 1785, 1791 e 1799. Vediamo la distribuzione nel tempo dei terremoti più importanti in questa figura tratta da Tondi e Cello (2003).
Comunque, ci sono anche degli eventi “isolati”, come nel 1298, 1328, 1599, per cui l'asserzione "se abbiamo un evento forte, allora ne verranno altri" è stata per fortuna varie volte contraddetta.  Adesso abbiamo avuto in 20 anni il 1997, il 2009 e il 2016 (più qualche alto evento un po' fortino). Quindi è indubbio che siamo di fronte ad una crisi sismica importante. Crisi che potrebbe essere conclusa con solo queste 3 sequenze principali, o forse 4 se gli eventi del 24 agosto e del 30 ottobre possano essere considerati distinti oppure appartenenti alla stessa sequenza. Comunque il problema è che attualmente la pericolosità sismica nelle aree dell’Appennino Centrale adiacenti a quelle interessate dalle sequenze dgli ulimi 20 anni è teoricamente più elevato di quello che c’era 50 anni fa.


Le strutture sismogenetiche principali sono suddivise in due sistemi grossomodo paralleli, uno orientale che va dal Vettore alla Maiella e uno occidentale che va da Colfiorito all’alta valle del Sangro (Galadini e Galli, 2000). C’è poi un terzo allineamento, ancora più occidentale, non compreso nella carta  e obliquo rispetto ai due precedenti, che dalla Valtiberina e dalla valle Umbra arriva a Leonessa e alla valle del Salto unendosi a quello occidentale nell’area del Fucino (Boncio et al, 2004). Ne ho parlato in dettaglio qui.
Queste faglie accomodano la deformazione provocata dalla estensione (di oltre 1,5 mm /anno) che sta subendo la crosta, perché il settore adriatico si muove verso Est più di quanto non lo faccia il settore tirrenico (Farolfi e Delventisette 2016, (ne ho parlato qui). Dei due sistemi, negli ultimi secoli quello occidentale è stato più attivo di quello orientale e gli eventi del 1979 (Valnerina), 1997 e 2009 appartengono a questo, come quasi tutti gli altri forti terrmeoti storici, mentre il sistema orientale ha originato i terremoti del 2016, e quelli del Fabrianese e quelli di Amatrice e Laga del XVII secolo.


Secondo la Commissione Grandi Rischi i settori più a rischio attualmente sono quello di Norcia, che fa parte del sistema occidentale, perché si trova in mezzo fra le zone interessate nel 1997 e nel 2009 ed è di fronte al settore attualmente interessato dalla sequenza, quello della Laga, perche è quello immediatamente a sud del settore del Vettore (ma forse gli eventi di Campotosto sono già una risposta) e l’Alta Valle d’Esino, fino a Fabriano, dove il terremoto Mw 6.2 del 24 aprile 1741, che seguì e precedette il gli eventi del 1747 e 1751 della zona di Gualdo Tadino.

Ripeto nuovamente, comunque, il concetto: NON non si tratta di una previsione ma si tratta di una valutazione scientifica di possibili scenari. Le previsioni, checchè ne pensino i soliti personaggi, NON sono attualmente possibili. Punto e basta.
Dal punto di vista pratico, la cosa principale che emerge dallo scenario peggiore è che per la ricostruzione si dovrà tenero conto del rischio sismico elevato e che sono numeriosi gli edifici nelle zone vicine che vanno urgentemente adeguati.

Boncio et al 2004. Defining a model of 3D seismogenic sources for seismic hazard assessment applications: the case of central Apennines (Italy). J. Seismol. 8, 407–425

Galadini e Galli (2000) Active tectonics in the central Apennines (Italy) — input data for seismic hazard assessment. Natural Hazards 22: 225–270

Tondi e Cello (2003) Spatiotemporal evolution of the Central Apennines fault system (Italy) Journal of Geodynamics 36, 113–128

lunedì 14 maggio 2018

Estinzione del Devoniano superiore e Large Igneous Province della Yacuzia



L’evento Kellwasser è una delle “Big 5” di Sepkosky, cioè uno dei principali eventi di estinzione di massa. È avvenuto nel Devoniano superiore, ma non alla fine del periodo, che peraltro corrisponde ad un’altra fase di estinzione, nota come Evento Hangenberg. Sulle sue cause si è discusso parecchio, anche per la presenza in quel tempo di un impatto meteoritico; oggi appare abbastanza ovvio che si tratti delle conseguenze della messa in posto della Large Igneous Province dei basalti della Yacuzia e anche le ultime ricerche puntano il dito contro il vulcanismo: durante il Kellwasser notiamo una forte anomalia positiva di mercurio nei sedimenti, che si accompagna a quella dell’iridio, già nota da tempo. Il problema è che le datazioni dei basalti della Yacuzia tornano poco a causa del pessimo stato di conservazione di quella serie vulcanica,É piuttosto interessante notare una circostanza fondamentale nella storia della vita e cioè la comparsa dei primi vertebrati terrestri proprio nel tempo che intercorre fra il Kellwasser e l’ Hangenberg.


Un tipico pesce senza mascelle del Devoniano
Nel Devoniano superiore ci sono stati due diversi eventi di estinzione di massa  a poca distanza l’uno dall’altro. Il primo al limite Frasniano – Famenniano (FFB, conosciuto come evento Kellwasser) e che corrisponde ad uno dei “big five”, i 5 maggiori eventi di estinzione di massa della storia (Sepkosky, 1996); il secondo è di poco successivo e corrisponde alla fine del Famenniano (evento Hangenberg) e siccome il Famenniano è l’ultimo stadio del Devoniano, il secondo evento corrisponde anche al limite Devoniano – Carbonifero. Quindi come succederà in seguito nel Permiano superiore, abbiamo due estinzioni di massa separate da poco più di 10 milioni di anni; la differenza fra le due coppie è che nel Devoniano il primo è più importante del secondo, mentre nel Permiano, l’evento più importante è il secondo.  


Venendo specificamente al Kellwasser, si tratta di una estinzione di massa che ha coinvolto, come sempre succede, una vasta gamma di forme viventi appartenenti a gruppi molto diversi: coralli, stromatoporoidi (animali all’epoca molto diffusi, ormai estinti e ancora di incerta classificazione), trilobiti, cefalopodi, brachiopodi, conodonti e pesci (in particolare quelli senza mascelle). L’estinzione è stata veloce, ma graduale (Becker, 1993); fondamentalmente si è trattato di una sostituzione progressiva della fauna precedente con organismi sempre più adatti a vivere in condizioni di scarsa ossigenazione delle acque (guarda caso come al K/T…). 
Le cause dell’evento Kellwasser sono state variamente addebitate: cambiamenti nella circolazione oceanica, provocati alternativamente da riscaldamento o raffreddamento climatico globali (o altro non specificato), cambiamenti del livello marino, impatto di un meteorite (immancabile...).
Il cratere di Siljan, in Svezia.
 Probabilmente precede di poco l'evento Kellwasser
Al di là delle caratteristiche biotiche, ci sono molte circostanze geologiche interessanti, che poi sono comuni anche agli altri eventi di estinzione di massa (in particolare al K/T):
  • la più evidente è la deposizione dei classici sedimenti finissimi e scuri perché ricchi di materia organica, sintomo di condizioni di mancanza (o quantomeno di forte scarsità) di ossigeno. Le serie meglio studiate sono quelle dello stato di New York, dove troviamo più livelli del genere, che precedono e seguono quello principale posto al limite fra Frasniano e Famenniano. Questi livelli assomigliano al Fiskeler, il famoso sedimento che troviamo in Danimarca depositato esattamente al limite K/T (Christensen et al 1973). Come in esso troviamo cristalli di pirite e laminazioni sottilissime che possono restare evidenti solo in caso di assenza di vita nel fondo marino, perchè altrimenti questa finissima stratificazione verrebbe completamente distrutta dagli animali che vivono sul fondo e, soprattutto, da quelli che lo scavano
  • un forte disturbo, a livello globale, del rapporto isotopico del Carbonio, il δ13C: fra gli eventi di estinzione globale alcuni presentano alternativamente oscillazioni positive o negative di questo rapporto; in questo caso la situazione è un pò complessa del solito, in quanto al Kellwasser troviamo sia oscillazioni positive che negative a seconda della regione
  • forti oscillazioni del livello marino; in particolare una fase a basso livello coincide esattamente con la parte terminale del Frasniano, documentata da interruzioni della sedimentazione in molte aree (Nordamerica, Europa, Iran etc etc)
  • una anomalia positiva nella concentrazione di Iridio nelle argilliti scure, con livelli molto elevati anche se non tanto quanto al K/T (Over et al 1997) e, è arrivata la notizia in questi giorni, anche di Mercurio (Racki et al, 2018)
  • in Belgio troviamo anche delle microtectiti, tipiche di un impatto meteoritico (Claeys and Casier, 1994) e non è una coincidenza casuale in quanto nei dintorni del Kellwasser si colloca un grande impatto meteoritico, quello di Siljian, in Svezia. Si tratta di un cratere piuttosto grande (il diametro  varia a seconda degli Autori fra 65 e 90 km)
  • sempre in Belgio sono stati anche trovati alti valori di molecole organiche, che indicano diffusi incendi di foreste ed anche evidenze di una accelerazione dell’erosione del suolo (Kaiho et al, 2013)
  • e, soprattutto, la messa in posto di una Grande Provincia Magmatica (LIP, Large Igneous Province), i basalti della Yacuzia 



La stratigrafia dei sedimenti del Frasniano nello Stato di New York, che evidenzia
i numerosi episodi di sedimentazione di black shales con anomalia dell'Iridio (Over et al, 1997)
L’IRIDIO: voglio soffermarmi in particolare sulla questione dell’Iridio. La concentrazione di elementi del gruppo del Platino (PGE) nei sedimenti dello stato di New York è stata oggetto di un dettagliato studio (Over et al 1997), dove vari orizzonti di scisti neri, sia del Fammenniano superiore che quello corrispondente propriamente al Kellwasser, contengono concentrazioni anomale di Iridio; i rapporti quantitativi fra gli elementi PGE non sempre sono simili a quelli delle condriti. I campioni presi nei sedimenti “normali” invece non presentano arricchimento in iridio, platino e rutenio. Inoltre, come succede al K/T per le tectiti dello Yucatan, i sedimenti dell’impatto meteoritico di Siljan trovati in Belgio non presentano anomalia dell’iridio. Insomma, sia i rapporti quantitativi fra gli elementi del gruppo del platino, sia la presenza di diversi orizzonti arricchiti separati nel tempo non indicano una singola fonte extraterrestre, come quella rappresentata da un impatto. Anche nell’evento della fine del Devoniano troviamo una anomalia dell’Iridio in Cina (Wang et al, 1993) e in Nordafrica (Kaiser et al, 2011)


DATAZIONE DELL’IMPATTO DI SILJAN. Sull’onda dell’ipotesi del meteorite killer dei dinosauri (connessone che ormai è stata dimostrata falsa, ma che continua ad essere molto popolare) sono state ricercate connessioni fra l’impatto di Siljan e il Kellwasser. Il problema è ancora aperto in quanto la forbice cronologica degli eventi è piuttosto grande e, a complicare le cose, ci si mette lo stesso limite Frasniano – Famenniano, che negli ultimi 40 anni è oscillato tra 370 e 376 Ma; nell’ultima versione della carta cronostratigrafica ufficiale (2017) è posto a 372,2 ± 1.6 milioni di anni, quindi fra 370,6 e 373,8 Ma. Quanto al cratere, le età ricavate dalla bibliografia sono diverse, ma in sostanza tendono ad essere un pò più vecchie dell’intervallo in cui si colloca il Kellwasser; quelle ricavate più di recente che ho trovato parlano di 380.9 ± 4.6 Ma (Jourdan et al., 2012). Precedentemente due campioni avevano fornito un’età rispettivamente di 377.2 ± 2.5 Ma e 376.1 ± 2.8 (Reimold et al. 2005) per cui una connessione diretta fra i due eventi è piuttosto difficile.




Carta della giounzione tripla della Yacuzia
da Ricci et al (2013)
VULCANISMO E EVENTO KELLWASSER. I fenomeni registrati alla fine del Frasniano sono sintomi della presenza di un vulcanismo importante. Ma, come ho accennato, proprio in questi giorni ne è venuto fuori uno ancora più stringente: nei sedimenti deposti al FFB c’è una vistosa anomalia di mercurio (Racki et al 2018), anomalia che si riscontra anche in corrispondenza di altri eventi di estinzione di massa, come alla fine di Permiano, Triassico e Cretaceo (Bergquist, 2017). 
Il vulcanismo nel Frasniano è stato molto intenso, per esempio negli Stati Uniti ed in Europa, dove si stava perfezionandosi la collisione fra Euromerica e Gondwana, in Sudan e in Cina. Ci sono inoltre delle grandi eruzioni basaltiche nel cratone est europeo:  i basalti di Kola e quelli del rift di Pripyat–Dniepr – Donets tra Ucraina e Bielorussia (Kravchinsky, 2012).
Ma, soprattutto, in quei tempi avveniva la messa in posto di una delle più massicce coperture basaltiche degli ultimi 500 milioni di anni, la Large Igneous Province della Yacuzia, nota anche come Trappi di Viluy


I TRAPPI DELLA YAKUZIA. Come dice il nome della regione, siamo nella parte NE della Siberia, in una regione venuta alla ribalta con il Risiko, dove nel Devoniano superiore si è formata una giunzione tripla con la formazione di 3 rift (Ernst and Buchan, 1997), in una situazione che ricorda molto quella attuale dell’Afar. Dei tre rami del rift, due formano gli attuali margini della piattaforma siberiana ma sono abortiti. Il terzo invece ha avuto una storia diversa: dopo una fase di divergenza che ha formato un bacino oceanico il regime è tornato presto compressivo e il conseguente scontro fra la Siberia e il microcontinente di Kolyma -  Omlon ha formato nel mesozoico l’orogene dei monti Verkhoyansk (Oxman, 2003).
Nel rift di Viluy, il ramo abortito di SW, che attualmente è lungo 800 km e largo fino a 450 e in altre aree intorno alla giunzione tripla troviamo la Large Igneous Province della Yacuzia, di cui sono visibili alcuni resti lungo i lati dei rift, perchè la maggior parte è stata coperta dai sedimenti che si sono accumulati nei rift stessi; le stime parlano di quasi 2 milioni di km cubi fra lave e il loro sistema di alimentazione (Kiselev et al., 2006). 
La domanda a questo punto è se proprio la LIP di Yacuzia sia il killer del Kellwasser. Diciamo che la cosa avrebbe senso, dato che anche gli altri eventi di estinzione di massa, con solo probabilmente una eccezione, il passaggio Eocene – Oligocene, sono associati a Large Igneous Provinces, e agli altri fenomeni descritti all’inizio del post, come si vede dall’immagine. 


DATAZIONE DEI TRAPPI DELLA YACUZIA. Le indicazioni stratigrafiche indicavano il Devoniano superiore come età di queste rocce ignee, ma le datazioni assolute erano poche, e poco affidabili, anche perchè  la maggior parte di queste rocce sono molto alterate. Nel 2010 con il metodo 40Ar/39Ar furono trovate due età di 360.3 ± 0.9 and 370.0 ± 0.7 Ma, il che ha suggerito che due impulsi diversi di questi basalti abbiano provocato sia la grande estinzione al liimte Frasniano – Famenniano che quella successiva alla fine del Devoniano (l’ Hangenberg) (Courtillot et al, 2010). 
Più recentemente, anche Ricci et al (2015) esaminando diversi campioni hanno notato che con il metodo 40Ar/39Ar questi si raggruppano in due gruppi diversi con età medie ponderate di 364,4 ± 1,7 e 376,7 ± 1,7 Ma. 
Il quadro ricavato supporta quindi in entrambi gli studi la presenza di due impulsi principali (come succede spesso nelle LIP) e tutto sommato l’intervallo che si ricava è lungo più o meno come il Famenniano. Per cui è possibile (ed intrigante) che sia il Kellwasse che l’Hangenberg siano dovuti a due diverse fasi parossistiche dei Trappi di Viluy.  
Il problema è che soprattutto a causa della alterazione (che ha probabilmente interessato il sistema dell’argon) questi risultati mi paiono un pò aleatori e poco in accordo con la cronologia attualmente in vigore: insomma, oggi le stime per il Kellwasser vanno da 373,8 a 370,6 MA, quelle di Ricci e soci per la prima fase dei trappi di Viluy vanno da 374,0 a 378,4 MA. Quindi le due età si toccano quasi. Per quanto riguarda invece l’Hangenberg, è un limite abbastanza ben definito dal punto di vista cronologico, in quanto ha una incertezza nella sua datazione assoluta di poche centinaia di migliaia di anni: al massimo può essere avvenuto a 359.3, ben dopo il limite più recente della forbice cronologica della Yacuzia, che è post a 362,7. 
Insomma, il fatto che in entrambi i casi le vulcaniti risultino più vecchie degli eventi biotici può essere dovuta alla pessima qualità dei campioni dal punto di vista della loro alterazione, ma se la correlazione fra eruzioni della Yacuzia e Kellwasser è “estremamente probabile” dal punto di vista della cronologia relativa, le datazioni assolute sono ancora poco chiare. Invece sull’Hangenberg i dubbi sono ancora estremamente alti. La tabella qui accanto mostra le attuali incertezze nelle datazioni assolute.

In conclusione si può dire che la geochimica delle serie sedimentarie evidenzia sicuramente al limite Frasniano – Famenniano degli importanti fenomeni vulcanici, e i vari episodi conosciuti di quell’epoca non paiono dal punto di vista quantitativo essere minimamente paragonabili a quelli della Siberia orientale. Per cui è piuttosto verosimile che il killer della fine del Frasniano sia ancora una volta una LIP, quella della Yacuzia, anche se i meccanismi che portano una LIP ad essere uno spietato killer non sono ancora chiarissimi e la datazione assoluta delle eruzioni è ancora incerta. 

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Ernst e Buchan (1997) Giant radiating dyke swarms: their use in identifying pre-Mesozoic large igneous provinces and mantle plumes. In: Mahoney, J., Coffin, M. (Eds.), Large Igneous Provinces: Continental, Oceanic, and Planetary Volcanism: Am. Geophys. U. Geophysical Monograph Series, 100, 297–333. 
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