sabato 31 ottobre 2020

Il terremoto del Mar Egeo del 30 ottobre 2020



Tettonica del mar Egeo da Jolivet e Brun (2010)

L’area del Mar Egeo è un concentrato dei principali processi geodinamici che hanno plasmato la regione Mediterranea: scontri di placche che hanno provocato a più riprese la subduzione nel mantello di crosta oceanica e continentale, formazione di montagne, metamorfismo di alta pressione e bassa temperatura, collassi post-orogenici e formazione di bacini di retroarco, nuclei metamorfici, gneiss sono gli ingredienti di una evoluzione molto complessa, iniziata già nella parte finale del Mesozoico con la chiusura della Tetide, quel braccio oceanico che divideva l’Eurasia (molto virgolettato) dall’Africa e dall’Arabia (unite fino a poco tempo fa). 

IL MAR EGEO E LA PLACCA ADRIATICA. Possiamo definire il mare Egeo e la Turchia come le aree più orientali di quella zona che va dalle Alpi occidentali al Caucaso compressa tra il sistema Alpino – Dinarico e la zona di convergenza che va dal bordo meridionale della catena alpina ai monti Zagros e quindi all’Iran passando per la Carnia, la costa adriatica della penisola balcanica, la costa ionica greca, Creta e la Turchia meridionale. La rotazione antioraria della penisola italiana ha parecchio complicato il quadro, schiacciando ulteriormente questa fascia nel suo bordo occidentale. In Italia i terremoti come quello di Verona nel 1117, Brescia nel 1222 , Asolo del 1695 e quelli della Carnia (non solo nel 1976), come il recente terremoto di Zagabria, sono da leggersi in questo contesto. 
Andando verso est la situazione si complica per la presenza di altre microzolle come quella Egea e quella Anatolica, che fanno parte insieme ad Adria di tutto quel numeroso gruppo di placchette che compongono attualmente la fascia interposta fra Afroarabia e Eurasia da Gibilterra all'Iran. 
Fra parentesi molte di queste microplacche si presterebbero ad un trattato di "filosofia geologica": siccome non è che una placca si forma o viene eliminata all'improvviso le domande sono: quando è che la divisione di una placca ne genera 2? E quando dopo una collisione due placche si uniscono definitivamente? Quali di quelle dell'area di collisione lungo l'asse di chiusura della Tetide sono ancora da considerare placche a se stanti? Certo ... una parte di questo dibattito sarebbe dovuto alla "mente discontinua umana", per dirla alla Dawkins ma .. sarebbe interessante...

Nella carta da Burchfiel et al (2006) si vedono 
le velocità differenti rispetto all'Europa Stabile
fra i due lati della faglia dell'Anatolia

A sud di Creta abbiamo registrato un terremoto molto forte di recente (M 6.6 del 5 maggio 2020), e l’isola è stata teatro del più forte terremoto storico dell’area mediterranea, quello del 365 EV, noto come "terremoto di Alessandria", di cui ho parlato qui.
Quello che colpisce nel Mediterraneo orientale è la larghezza della fascia sismica: terremoti importanti si trovano ben oltre la zona di convergenza e quindi non investono solo le coste adriatiche, ioniche e Creta: tutto l’avampaese in Grecia, nel Mare Egeo e in Turchia è soggetto a forti eventi. Anzi, gli effetti si vedono fino al Caucaso, lontano 500 km dalla zona di collisione fra Arabia ed Eurasia. Avevo parlato di questa situazione 3 anni fa a proposito del terremoto iraniano del 12 novembre 2017. Rispetto a quello che ho scritto in quel post bisogna aggiungere che anche la Grecia e l’Egeo sono costellati da faglie che spesso provocano forti terremoti lontane dalla vera zona di convergenza.

Insomma, la spinta dell'Afro - Arabia provoca pure la frantumazione del bordo dell'Eurasia, rimettendo in gioco delle linee di discontinuità che probabilmente rappresentano vecchi limiti di placche, configurandosi come "cicatrici litosferiche" nel senso di Heron et al (2016) (ne avevo parlato qui). 
All’interno della placca adriatica nei Balcani oltre agli eventi compressivi abbiamo diversi terremoti molto forti di tipo trascorrente, come risposta alla compressione nel suo interno (mi pare anche quello di Skopje del 1963 sia dovuto a una faglia trascorrente). Anche la faglia dell’Anatolia è una notissima trascorrente e già agli albori delle ricerche con i dati GPS si è visto come la parte a sud della faglia abbia un movimento molto forte rispetto all’Europa stabile, come si vede in questa carta tratta da Burchfiel et al (2006). 

Modificata da Kahveci et al (2019) i terremoti del Mar Egeo
TETTONICA DEL MAR EGEO. Quanto all'area di nostro specifico interesse interesse adesso, in questa carta modificata da Kahveci et al (2019) vediamo con la stella gialla l'evento del 30 ottobre 2020 e che tra Turchia occidentale e mare Egeo i terremoti si addensano lungo delle direttrici preferenziali. Fra queste ho segnalato in giallo la parte più occidentale della faglia dell’Anatolia (a proposito… dove finisca ad ovest? Sembra finire bruscamente sulla costa orientale greca. Non ho mai approfondito il problema anche se mi ha sempre incuriosito); in nero ho invece delimitato l’area dei terremoti profondi che si scatenano nella parte ormai scesa in profondità sotto l'Egeo della crosta del Mediterraneo orientale, l’ultimo resto della Tetide ancora in posto insieme al mar Ionio (a proposito: Ionio o Jonio?? il correttore suggerisce il primo)

Per quanto riguarda in senso stretto il mar Egeo, siamo in un regime di retroarco (cioè in una collisone fra placche, un’area superficiale – e quindi della placca superiore – sotto la quale la placca inferiore scende nel mantello). Il regime di retroarco spesso corrisponde alla formazione di bacini a crosta continentale assottigliata o a crosta oceanica, in particolare quando la placca in subduzione si immerge verso ovest o verso nord; nel Mediterraneo occidentale in questo contesto tettonico si sono aperti i bacini di Alboran, Baleari, Ligure – Provenzale e Tirrenico; qui invece l’attività di apertura è abbastanza ridotta: si vede ma il bacino non si è (ancora?) aperto. La sismicità dell’area in genere è quindi tipica di un regime estensionale, ma, come in tutta l'area tra Balcani, Caucaso e Iran esistono anche diverse trascorrenze. 


IL TERREMOTO DEL 30 OTTOBRE 2020. Qui sopra le carte dell'USGS mostrano la struttura responsabile del terremoto del 30 ottobre 2020, la faglia di Kaystrios, una struttura che soddisfa esattamente i risultati dell'esame dei sismogrammi relativi a questo evento: una faglia normale grossolanamente parallela alla zona di convergenza e quindi con una estensione in direzione nord – sud. 
Sulla immersione del piano ci sono soluzioni un po' contrastanti: pareva una faglia a basso angolo, poi 12 ore dopo un ricalcolo di USGS ha portato ad un piano immergente a 54 gradi circa, ma ancora dopo ritorna la faglia a basso angolo. Non è stato comunque cambiato il meccanismo focale.
Vediamo, sempre da USGS, altre caratteristiche, in particolare il dislocamento che è stato provocato dal terremoto e il sismogramma del sismografo a lungo periodo posto nella sede dell’Osservatorio Meteosismico di Perugia a Deruta.



Questa invece è la carta delle repliche nelle 23 ore successive al terremoto principale, avvenuto alle 11.51 GMT (quindi alle 13.51 nelle isole in territorio greco e alle 14.51 nella terraferma turca). Gli epicentri delle repliche identificano l’area al di sopra della superficie del piano di faglia che si è mossa. Si notano anche dei terremoti avvenuti nella notte successiva nella terraferma immediatamente a NE, probabilmente lungo una faglia orientata circa SW-NE che immagino sia stata messa in movimento dal terremoto principale stesso. Non ho i meccanismi focali ma voto per una faglia trascorrente sinistra se il piano di faglia dell’evento principale fosse orientato verso sud, destra in caso contrario.

MUSICA ASSOCIATA:
  • Il sirtaki ed altri balli greci
  • W.A. Mozart sonata per pianoforte n.11 K331, in particolare il terzo tempo, il famoso “rondò alla turca”
  • ma già che ci siamo, parlando di Grecia, musicalmente non possiamo non citare l’indimenticabile Maria Callas e uno dei più grandi direttori d’orchestra del ‘900, Dimitri Mitropoulos

BIBLIOGRAFIA CITATA:

Burchfiel et al (2006) GPS results for Macedonia and its importance for the tectonics of the Southern Balkan extensional regime Tectonophysics 413, 239–248

Heron et al (2016). Lasting mantle scars lead to perennial plate tectonics. Nature communications DOI: 10.1038/ncomms11834

Jolivet e Brun (2010) Cenozoic geodynamic evolution of the Aegean LaurentInt J Earth Sci (Geol Rundsch)99, 109–138

giovedì 15 ottobre 2020

No! cavare le ghiaie dai fiumi non è un rimedio contro le alluvioni.... (un'altra dannosa "leggenda metropolitana")


Dopo aver evidenziato il problema del ruolo dei fiumi nella gestione del territorio e la necessità di costruire un nuovo mondo intorno ad essi, oggi parlo di una questione assurda che viene sempre alla ribalta dopo le alluvioni: la visione secondo la quale per difenderci dalle alluvioni bisognerebbe dragare il fondo dei fiumi per abbassarne gli alvei, asportando un certo spessore di sedimenti fluviali. Nell’intenzione  di chi ne parla, verrebbe aumentata la portata  del corso d’acqua, cosa teoricamente utile in caso di piena. Secondo qualcuno ci sarebbero stati troppi anni di incuria e malinteso ambientalismo da salotto grazie ai quali gli alvei sono stati lasciati a se stessi, senza neanche toccare l’albero nell’alveo, e prima o poi i fiumi ti presentano il conto. Si trattasse solo di alberi chi ha pronunciato queste parole non avrebbe del tutto torto, perché l’effetto-diga provocato dai tronchi che si mettono di traverso sotto i ponti è decisamente uno dei fattori che possono provocare le alluvioni (ma se i ponti, specialmente su fiumi non troppo grandi, fossero a campata unica...). Il problema è che per qualcuno automaticamente questo vuol dire che per combattere le alluvioni sia fondamentale ripulire non solo dagli alberi ma anche dalla ghiaie, ignorando gli affronti fatti ai fiumi, in particolare restringendone gli alvei. In effetti questa visone tipica degli interessi di chi sfrutta la ghiaia fluviale, in questo periodo ampiamente portata avanti persino da sindaci, presidenti di Regione, parlamentari etc etc come panacea per le alluvioni, appare logica ai non esperti del ramo, ma in realtà fa sobbalzare sulla sedia legioni di geologi ed ingegneri ambientali e idraulici, perché è uno dei peggiori errori che si possano compiere. Oltretutto senza memoria, perché stiamo ancora pagando i danni delle escavazioni dei tempi passati. Passiamo in rassegna alcune delle motivazioni per le quali questa è una pratica in genere estremamente scorretta.


Lettera a La Stampa. Fino a quando lo dice un cittadino comune
che dichiara inoltre di non essere competente in materia è un conto;
quando invece lo dice un politico importante è un altro
Quando qualcuno parla di ambientalisti da salotto per molti aspetti ha ragione: l’ambientalismo italiano spesso ha atteggiamenti che contrastano con le “buone pratiche” in materia ambientale, soprattutto perché in molti ambientalisti manca una specifica cultura scientifica, e per questo non si rendono spesso conto di quello che stanno dicendo. Però sulla questione delle escavazioni dei fiumi bisogna andare cauti.
Innanzitutto queste operazioni andrebbero in realtà viste nel loro contesto e non giudicate aprioristicamente come si usa fare al solito in Italia, dove su qualsiasi questione si fa i manichei: o si deve essere “completamente a favore” o si deve essere “completamente contro”, quando spesso ogni azione (o inazione!) può avere conseguenze sia favorevoli che sfavorevoli a seconda dello stato dei luoghi.
 
PERCHÈ ESTRARRE MATERIALI DAI FIUMI? Le ghiaie e le sabbie fluviali rappresentano un ottimo prodotto di base per l’edilizia che ha diversi vantaggi per chi lo fa: 
  • è di facile estrazione
  • il materiale è di qualità pregevole, poiché risulta già pulito (cioè privo di sedimenti fini), disomogeneo e ben arrotondato
  • gli impianti, attualmente usati per la lavorazione di inerti cavati altrove spesso si trovano nelle golene vicino a vecchie cave 
  • la cava in alveo evita di usare a questo scopo spazio agricolo nella piana
I costi ambientali? Beh, non sono quasi mai presi in considerazione nelle valutazioni di progetti estrattivi (peraltro non solo in questi…) e di conseguenza cavare nei corsi d’acqua appare molto più conveniente rispetto che a farlo altrove, per i vantaggi di cui sopra. 
I sedimenti fluviali sono sempre stati sfruttati nei secoli passati, ma ad un tasso molto modesto (anzi, direi quasi sostenibile), fino agli ultimi decenni del XIX secolo, da quando l’inizio dell’espansione edilizia ha provocato un drammatico incremento della domanda di materiali da costruzione, domanda che ha raggiunto i livelli più alti nei 3 decenni successivi alla seconda guerra mondiale. Purtroppo, è stato ampiamente dimostrato come asportare i sedimenti alteri l’equilibrio del corso d’acqua, che nel giro di qualche anno tenderà a definire un nuovo profilo di equilibrio aumentando la propria azione erosiva di fondo alveo determinando la scomparsa del materasso alluvionale (il complesso di sedimenti  – sabbia, ghiaia e ciottoli – che costituiscono il fondo dell’alveo).

LA PROPOSTA DI LEGGE SULLE ESCAVAZIONI
. Constatati i guai che l’incontrollato prelievo di inerti ha provocato nei decenni precedenti al 1980, le Autorità furono costrette – peraltro obtorto collo – a vietare l’estrazione degli inerti dai fiumi. Da quel momento la credenza popolare secondo la quale le esondazioni siano favorite dal fatto che nell’alveo dei corsi d’acqua vi siano alberi, arbusti e molto, forse troppo, materasso alluvionale (che, appunto, diminuisce lo spazio per le acque) è stata alimentata ad hoc proprio dai cavatori e dalle aziende produttrici di materiale per l’edilizia, e – conseguentemente – da politici che dando ragione alla ggggente ricevono facili consensi di persone che non hanno ben chiara la situazione.
Nel 2018 è stata presentata la Proposta di Legge n. 260 «Disposizioni per la manutenzione degli alvei dei fiumi e dei torrenti», dove si afferma che la causa di tanti disastri stia “nella mancata pulizia degli alvei dei fiumi e dei torrenti che provoca l’innalzamento degli alvei, dovuto alla cronica deposizione dei sedimenti e di trasporto solido, riducendo la sezione, che non riesce più a contenere il volume d’acqua del bacino scolante”. Secondo questa proposta la maggior parte dei problemi di alluvione sarebbe risolta con una manutenzione costante del corso d’acqua, liberandolo dai tronchi d’albero e dal materiale vegetale che ne impediscono il regolare deflusso, e con una pulizia del fondale dei fiumi e dei torrenti dalla deposizione della sabbia e della ghiaia trascinate dalla corrente, dovuta a “una legislazione obsoleta, carica di inopportune ideologie ambientaliste”. 
Ovviamente nessun accenno alle cause antropiche delle alluvioni quali edificazioni in aree ad alta pericolosità e confinamento dei fiumi in alvei troppo stretti per sopportare le piene e alla mancanza di sfoghi nelle paludi non più esistenti dopo le bonifiche… (paludi che vengono attualmente un po' riprodotte dalle casse di espansione). Per rimediare a questo problema, il testo darebbe per tre anni poteri straordinari ai Presidenti delle Regioni per concedere a privati l’autorizzazione a estrarre “ciottoli, ghiaia e sabbia e altre materie dal letto dei fiumi: materiale lapideo, valutato sulla base dei canoni demaniali, che verrà reso agli operatori per quantitativi commisurati al lavoro svolto”. 

Insomma, gli estensori della legge non sanno (o non capiscono) che il problema non sta nei fondi degli alvei, ma nel fatto che i fiumi sono stati ristretti, rettificati e talvolta pure intubati e non possano più esondare facilmente, non sono più in grado di depositare sedimenti nelle pianure che allagavano. Per questo oggi nelle golene si sedimenta quello che si depositerebbe nelle piane. Questi sono dei seri problemi, ma rispetto ai desiderata dei cavatori in genere è un falso problema: cavare inerti dalle golene spesso non è possibile, innanzitutto perché sono sedimenti più fini rispetto alle ghiaie di alveo e poi perché le golene, specialmente quelle dei grandi fiumi padani, per la loro fertilità sono oggetto di ricercatissime concessioni a privati per uso agricolo. 
Un altro aspetto importante da considerare è la riforestazione dovuta all’abbandono delle campagne (e specialmente delle colline), che dal dopoguerra ha notevolmente diminuito in molti bacini l’erosione e quindi l’afflusso di sedimenti nei fiumi.

L'abbassamento del livello dell'Arno dalla metà del XIX secolo,
avvenuta nonostante il forte afflusso di sedimenti
dovuto al disboscamento massiccio della fine del XIX secolo
da Rinaldi e Simon (1998)
PERCHÈ IL DRAGAGGIO NON È UNA RISPOSTA CONTRO LE ALLUVIONI. Innanzitutto l’abbassamento diretto del livello del fondo nella zona di estrazione provoca un aumento locale di pendenza che tende a migrare verso monte, dove quindi l’alveo si approfondirà. E qui qualcuno dirà: ma è cosa buona! E invece no. Vediamo le conseguenze dell’abbassamento indiscriminato di un alveo (Rinaldi et al, 2005):
  • vengono scoperte le pile dei ponti, degli argini e delle briglie, compromettendo quindi la loro stabilità 
  • la diminuzione del livello del fiume provoca un abbassamento delle falde acquifere, provocando problemi di approvvigionamento idrico, la scomparsa di aree umide e l’alterazione della vege-tazione riparia perché il suolo è più secco 
  • Inoltre aumenta il rischio a valle perché accelera e concentra i deflussi, accentuando di conseguenza il picco di piena e la sua velocità di trasferimento verso valle
  • il deficit di trasporto solido sbilancia il delicato equilibrio dei litorali, già messi a dura prova dall’aumento del livello marino e, in molti casi, dalla subsidenza
Insomma, come è già successo fino agli anni ‘80, il prelievo di inerti dai fiumi rende instabile l’equilibrio geomorfologico non solo in zona, ma anche a forte distanza sia a monte che a valle.
 
Non solo, ma – cosa questa non troppo nota – l’abbassamento generalizzato degli alvei dovuto al sovrasfruttamento delle ghiaie che ha coinvolto fino ad oggi tutti o quasi i fiumi italiani si sta attenuando proprio per la cessazione di questa pratica che ha pure azzerato l’effetto degli estesi disboscamenti dell’Italia post-unitaria, quando i fiumi si erano riempiti di detriti, peggiorando dunque le loro prestazioni in quanto a portata utile, ma fornendo buon materiali che però oggi sono stati praticamente tutti sfruttati dove di buona qualità.  Anzi, addirittura in molti casi si assiste a una nuova fase di deposizione, nonostante il minor afflusso di sedimenti per la riforestazione: questo fa capire quanto abbiano inciso i prelievi di ghiaie! 
Questo comporta dei problemi di percezione da parte delle popolazioni (e di parecchi politici…)  che adesso vedono i fiumi meno incavati di prima e per questo si allarmano senza sapere che il fiume sta tendendo a tornare dov’era prima del disequilibrio antropico. E soprattutto l’abbassamento dell’alveo ha coinciso con una errata percezione di sicurezza spingendo a costruire in golena, generalmente abusivamente (regolarizzando poi grazie ai condoni) ma in qualche caso anche con i giusti permessi.

classico esempio delle conseguenze delle escavazioni
sui ponti: la parte della pila una volta sottoterra è ora scoperta
UN PERCORSO RAGIONATO. Questo non vuole assolutamente dire che in alcune condizioni l’estrazione di ghiaie non sia una opzione valida, ma lo è solo ed esclusivamente – appunto – in determinate condizioni, in genere associate – guarda caso – ad azioni antropiche... 
Per migliorare le condizioni di sicurezza e  la qualità ambientale e paesaggistica, l’approccio attualmente ritenuto corretto consiste nell’individuazione a livello di una intera asta fluviale di un assetto di riferimento o di progetto rispettoso delle caratteristiche generali del corso d’acqua. Nel concetto di "assetto" ci sono sia il ripristino e/o la rinaturalizzazione delle sponde quanto le "giuste" quote, profondità e larghezza dell'alveo (e si sa quanto gli alvei siano stati ristretti negli ultimi decenni). Ovviamente bisogna che il tutto sia compatibile con l'uso del suolo in atto nel bacino (in special modo per la risposta alle piogge). Tale assetto di riferimento deve poi essere applicato ai singoli segmenti fluviali (Luino, 2019).
Per assetto di riferimento non bisognerebbe considerare solo la profondità dell’alveo, ma anche la sua larghezza. 
Il successivo confronto tra l’assetto attuale e quello sperabile consente di valutare le attuali condizioni di funzionalità dell’asta fluviale e l’individuazione delle azioni da intraprendere per ottenere e successivamente mantenere  tale configurazione: si tratta quindi – banalmente – di analizzare gli attuali usi e programmare i possibili interventi utili per dar maggior spazio (e quindi respiro) ai fiumi..  Poco sopra ho usato l’avverbio sperabilmente perché,  purtroppo, spesso l’assetto di progetto ideale va in conflitto con l’attuale sviluppo antropico, e se l’obiettivo prioritario fosse quello di garantire adeguate condizioni di sicurezza per i centri abitati e le infrastrutture principali,  bisogna anche purtroppo pensare ad eventuali delocalizzazioni di edifici o di infrastrutture.
Un altro aspetto da non trascurare è quello dei ponti (ne avevo parlato qui). Ad esempio dopo la terribile alluvione del 1994, in Piemonte sono state svolte tante azioni che hanno consentito al territorio di reagire in modo positivo alla addirittura maggiore intensità dell’evento del 2016, dove ci sono stati problemi solo dove non si è voluto affrontare la questione.
 
 
Come musica associata direi: 
- Riccardo Marasco - L'alluvione (una scanzonata storia ambientata a Firenze il 4 novembre 1966)
- George Friedrich Haendel - Musica sull'acqua

Bibliografia:

Luino (2019) L’uomo e i corsi d’acqua: una convivenza che è diventata difficile fra urbanizzazioni intensive, alluvioni, danni e proposte di legge per  rimuovere i sedimenti fluviali Geologia dell’Ambiente 2/2019, 2-9

Rinaldi et al (2005) sediment mining in alluvial channels: physical effects and management perspectives River Res. Applic. 21: 805–828 

Rinaldi e Simon (1998) Bed-level adjustments in the Arno River, central Italy Geomorphology 22 (1998) 57-71