mercoledì 25 febbraio 2015

Le polemiche sulla necessità di eliminare la nutria dai fiumi italiani


Ambientalisti in generale e animalisti in particolare dimostrano alle volte un integralismo teorico che non solo si scontra con una dura realtà, ma addirittura rischia di provocare danni proprio a quello che si vorrebbe proteggere. Il problema è che chi non ha una cultura scientifica in campo ambientale conquistata con anni di studi superiori e continuamente aggiornata e non ha scelto le letture "giuste" spesso non si rende conto di non avere l'esatta percezione di come stiano le cose. Allo stesso modo non si rende conto che la Scienza è (o, almeno, dovrebbe essere) deideologizzata. Invece l'ambientalismo (e nella fattispecie l'animalismo) rappresentano ideologie che (come succede in altri campi scientifici con certe idee religiose) talora, purtroppo, cozzano contro la Scienza e la realtà, per cui può succedere che certi convincimenti vadano addirittura contro quello che vorrebbero proteggere. Un'altra conseguenza del subordinare all'ideologia i dati (o non conoscerli) è, banalmente, la presunzione di avere ragione sempre e comunque e che chi non condivide le loro idee è un cattivone senza cuore che spreca il suo tempo e vuole distruggere il mondo. Il caso Brambilla – Nutrie è un ottimo esempio di questo, specialmente la discussione che ne è venuta dietro.

Sono convinto che gli animalisti siano importanti sia perché combattono fenomeni come il randagismo, sia perchè senza il loro contributo non si sarebbe fatta luce su certe pratiche inutilmente crudeli. Sono invece molto perplesso sulla loro posizione a proposito, ad esempio, di sperimentazione animale: al proposito modererò fra un paio di mesi un caffe-scienza sull'argomento in cui ci sarà il confronto fra un ricercatore che fa sperimentazione animale e uno che è contrario. 

Michela Brambilla si sta battendo ampiamente a favore dell'animalismo. Posizione che considero assolutamente legittima, anche se la sua attività di vendita di prodotti ittici rende a mio avviso un po' sui generis il suo animalismo (non trovo invece giuste le critiche su quanto abbia fatto prima di pentirsi ed abbracciare la causa, proprio perché era prima: chi salterebbe addosso a San Francesco per la sua vita dissoluta precedente alla conversione???).  
In un annuncio sulla sua pagina Facebook, con una nutria in mano, la Brambilla scrive: “diciamo basta alle crudeli stragi di nutrie che gli amministratori locali mettono in atto in tutta Italia. Non accettiamo che vi siano animali considerati di serie B o addirittura nocivi. Difendiamo anche la nutria”.

Evidentemente, innanzitutto, alla Brambilla (e a quelli che la appoggiano in questo caso) manca la nozione di specie invasive e dei danni che sono capaci di fare. E il Myocastor coypus (topo simile al castoro, coypus è il nome dell'animale in una lingua nativa americana) è presente nelle prime 100 posizioni della classifica delle specie invasive redatta dall'apposito gruppo di lavoro in seno alla Organizzazione Mondiale per la conservazione della Natura.

Le specie invasive (o aliene) sono quelle che che vengono introdotte nell'ambiente dall'uomo, accidentalmente o intenzionalmente pur provenendo da altri luoghi (spesso da altri continenti). Alcune di queste sono talmente adatte al nuovo ambiente da diffondersi in maniera tale da comprometterne l'equilibrio, predando specie locali fino alla loro eliminazione oppure distruggendo quelle corrispondenti (vedi l'esempio dei gamberi della Louisiana e quello degli scoiattoli grigi, con le stesse proteste da parte di chi non capisce che la fine del nostro scoiattolo rosso è prossima), e/o distruggere nicchie ecologiche particolari e le specie che vi abitano.
Le specie invasive vengono oggi considerate una delle cinque principali cause della perdita di biodiversità, insieme alla distruzione degli habitat, allo sfruttamento eccessivo delle risorse, ai cambiamenti climatici e all'inquinamento.

La nutria è un roditore caviomorfo originario del Sudamerica. Fu importata in America Settentrionale ed Europa - in Italia dal 1928 - come animale da pelliccia (il cosiddetto “castorino”). 
Dagli allevamenti questo roditore si è diffuso nei fiumi. Noto che chi sta per le nutrie spesso addebita la colpa di questa diffusione agli allevatori che se ne sono disfatti perché le pellicce sono passate di moda e non sapevano cosa farsene; al contrario i non ambientalisti sostengono che è la conseguenza delle incursioni negli allevamenti da parte degli animalisti, i quali spesso sono entrati all'interno delle strutture, liberando gli animali.
Probabilmente la verità sta nel mezzo (e, inoltre, ci saranno state pure delle fughe fortuite dagli allevamenti), ma comunque l'idea di liberare nell'ambiente animali che non ne fanno parte non è di sicuro un qualcosa che all'ambiente fa bene. Siamo ai soliti problemi di mancanza di cultura scientifica...

Vediamo in cosa consiste il problema delle nutrie. Fondamentalmente è un animale di grandi dimensioni (dalla testa alla - lunga - coda può arrivare al metro) per un territorio in cui a causa dell'antropizzazione i suoi possibili predatori sono scomparsi da qualche migliaio di anni, ad eccezione di alcune roccaforti montane. Pertanto nei fiumi nostrani non ha competitori: a casa sua, tra Paraguay, Bolivia e Argentina, a tenerne sotto controllo la popolazione ci pensano serpenti, lupi ed altri predatori. 
Al proposito, gira la voce, anche su testi attribuiti al WWF, che le nutrie vengano predate dai caimani. È una notizia errata in quanto l'areale delle nutrie è più meridionale di quello tropicale dei caimani. 
Se alla mancanza di predatori aggiungiamo il suo elevato tasso di fertilità (da buon roditore) si capisce bene come abbia potuto diffondersi in maniera così veloce e devastante: in Italia raggiungono la maturità sessuale a 4 - 6 mesi di età e la gravidanza, dopo la quale vengono messi alla luce da uno a 10 cuccioli, dura poco più di due mesi. È interessante notare che in Argentina, dove presentano una minore dimensione corporea, l’età della maturità sessuale è compresa fra gli 8 e i 10 mesi per il maschio e tra i 5 e i 10 mesi per le femmine.
È evidente come la selezione negli allevamenti abbia modificato pesantemente la specie originaria.
In diversi fiumi il nemico ci sarebbe: precisamente un altro invasivo, il siluro. Ma dubito che possa funzionare (e soprattutto il rimedio sarebbe peggiore del male visti i danni che fanno i siluri alla fauna ittica locale). 

La diffusione delle nutrie presenta tre aspetti di particolare rischio:
1. ha provocato danni accertati alle colture per centinaia di milioni di euro, se non di più. Le colture maggiormente colpite sono riso, barbabietola da zucchero, carota e cicoria
2. scavando tane negli argini di fiumi e canali ne indebolisce la struttura e provoca i famosi “fontanelli”, quei passaggi di acqua dal fiume ai terreni circostanti che erodono l'argine fino a farne crollare una parte
3. alimentandosi della vegetazione palustre, la nutria causa la scomparsa di alcune specie vegetali (Ninfea, Canna di palude, Tifa, etc) e della fauna che li utilizza per la nidificazione. Inoltre, secondo alcune fonti, questa specie è responsabile della distruzione di nidi e della predazione di uova e nidiacei di uccelli che nidificano a terra (Germano reale, Gallinella d’acqua, Cavaliere d’Italia, Folaga etc). La cosa pare assurda agli animalisti ma è riportata ampiamente nella letteratura scientifica (e d'altro canto i roditori in genere sono noti per il loro opportunismo alimentare) 

È emblematico il caso di Punte Alberete, vicino a Ravenna, dove si trovano gli ultimi esempi di foreste paludose della Valle padana: la diffusione incontrollata della Nutria ha provocato la scomparsa quasi totale delle distese di ninfee, che fino a 30 anni fa erano una delle caratteristiche principali dell'area; la conseguenza a cascata è stata la scomparse di quegli uccelli che costruivano il nido sulle foglie galleggianti e del resto del bioma tipico di questo particolare ambiente. 


Stabilito il problema si capisce che la sua eradicazione sia necessaria. In Inghilterra ci sono riusciti negli anni '80 del XX secolo nelle paludi dell'Anglia orientale. In Italia tra il 1995 e il 2000, ci sono stati danni per oltre 11 milioni di euro, mentre il controllo ne è costato 2 e mezzo e sono state rimossi 220.688 esemplari (circa la metà sono stati uccisi direttamente, un'altra metà dopo la cattura) ma, tanto per dare un'idea della vastità della popolazione, questo numero è risultato inferiore al tasso di crescita della popolazione.

Purtroppo non tutti la pensano così, in particolare gli animalisti. che le difendono a oltranza incuranti degli aspetti negativi della sua diffusione, nonostante che anche il WWF - e non la Federcaccia, che potrebbe avere qualche conflittuccio di interessi in proposito - abbia dichiarato la necessità di intervenire presto e drasticamente.

Fra le voci contrarie all'eliminazione registriamo prese di posizione un po' originali (diciamo così). Per esempio c'è chi dice che basterebbe evitare di vivere e/o coltivare in zone protette dagli argini. In pratica “lasciatele distruggere gli argini e levatevi di torno”. Cioè... queste persone pretenderebbero il trasferimento di milioni di persone in zone sicure (quali???) solo per le nutrie e poi, questa è ancora più bella, fare attività di agricoltura solo lontano dai fiumi... ogni commento sulla preparazione scientifica di chi le spara così grosse è superfluo.

Ora, questo discorso corrisponderebbe anche ad una mia visione “ideale” del territorio: via l'agricoltura, si ripristinano le condizioni ambientali precedenti alla colonizzazione e bonifica del territorio da parte dell'uomo (grossomodo gli ultimi 2200 anni con l'interruzione nei secoli bui del basso medioevo) e si vive di caccia e di raccolta, anziché di agricoltura e allevamento (o, alternativamente, importando il fabbiogno dall'estero). 
Peccato però che una operazione simile sia oggettivamente impraticabile e quindi evito di pubblicizzarla per evitare che a qualche irresponsabile venga in mente di proporla. 

Altri sostengono che gli argini cadano per la scarsa manutenzione. In parte può essere vero ma è fuori da ogni dubbio che le nutrie aggravano la situazione e non poco, come dimostra questa foto tratta dal sito della Unione regionale delle bonifiche dell'Emilia - Romagna.
Ancora più simpatica è una risposta espressamente rivolta ad un mio commento in proposito: in Veneto le case e le fabbriche sott'acqua ci sono finite perchè il territorio è stato ripetutamente stuprato dal cemento, non dalle nutrie. Non è un argomento complottista: il suolo dei campi che assorbe acqua, nel bilancio dei fatti che portano ad un'alluvione, batte la tenuta degli argini... credimi.
Figuriamoci se non mi batto contro il consumo di suolo... l'ho fatto spesso anche su Scienzeedintorni, ma pensare che in un territorio senza la minima cementificazione (e nell'area in discussione siamo a valori del 10% – poco, ma sempre troppo) le precipitazioni siano integralmente assorbite dal terreno è ridicolo e il bello è che questo viene detto semplicemente per tentare di assolvere le nutrie.

C'è poi chi prova empatia per gli animali: frase già sentita a proposito di un mollusco bivalve che sta invadendo il lago di Bilancino. Il problema è che, però, nessuno di questi signori prova empatia per la Folaga o per il Cavaliere d’Italia, tipiche specie adatte a vivere in un ambiente palustre già pesantemente disturbato (e arealmente molto ridotto) dall'attività antropica: questi animali inoltre interagiscono con altre specie animali e vegetali infinitamente più importanti della Nutria. 
Forse perché non capisce le conseguenze della diffusione del roditore, che potrebbe anche provocare problemi sanitari notevoli come la leptospirosi o altre malattie di origine batterica.  O non le vuole capire.

Insomma, purtroppo per loro, le nutrie rappresentano un problema e devono essere eliminate alla svelta almeno dalle zone in cui rappresentano un grave problema, pena la totale distruzione dei pochi ambienti umidi rimasti in Italia, il moltiplicarsi del rischio alluvioni e ingenti danni all'agricoltura. 

Altrimenti per i nostri fiumi si prospetta un futuro esclusivamente a nutrie e siluri, con l'approvazione degli animalisti, alla faccia della biodiversità e della salvaguardia dell'ambiente. 

venerdì 20 febbraio 2015

Il mulino di Amleto, il Serpente Cosmico e una stella che può spiegare i miti dell'Eurasia e delle Americhe


Qualche anno fa lessi una cosa che mi lasciò molto colpito sulle analogie nella nomenclatura delle costellazioni in tutta l'Eurasia e le Americhe. Purtroppo era una rivista cartacea (tipologia che, insieme ai libri, continuo imperterrito a comprare e collezionare: sarò vecchio – e forse da questo punto di vista non “environmentally friendly – ma lo preferisco al supporto informatico) e quindi il testo giace attualmente sepolto ed introvabile in una cantina. Poi arrivò “il Mulino di Amleto” e buon ultimo, per le mie ricerche sulla fine dei Dinosauri, il “Serpente cosmico”. Sono rimasto molti colpito da queste leggende e ci ho ragionato parecchio. Oggi la scoperta che una stella nana è passata vicino al sistema solare qualche decina di migliaia di anni fa offre una spiegazione piuttosto interessante e si colloca più o meno nel periodo a cui avevo pensato io per la formazione del substrato comune a tutta la tradizione mitologica eurasiatica e amerinda: all'inzio della fase di espansione dell'umanità nell'Asia Settentrionale attorno a 60.000 anni, fa quando è iniziata la fase piuttosto calda contraddistinta dallo stadio isotopico dell'ossigeno MIS3. 

Quando le comete entrano nella parte interna del sistema solare hanno una vita breve perché ogni passaggio ravvicinato verso il Sole ne diminuisce la massa. Ne consegue che da qualche parte ci debba essere un “deposito” di comete che rifornisca il sistema solare interno. Per spiegare la presenza di comete a lungo periodo (e soprattutto il fatto che se ne presentino di nuove di continuo) l'idea migliore è che questi corpi risiedano abitualmente in una zona molto esterna del sistema solare: perturbazioni gravitazionali dovute alla interazione fra loro e a quella con stelle che transitano vicino al sistema solare disturbano la stabilità delle orbite di questi corpi, alcuni dei quali vengono così spinti verso l'interno del sistema solare e diventano delle comete.
C'è chi ha pensato anche che queste periodiche interazioni galattiche abbiano innescato le estinzioni di massa, anche se ora questo dibattito sembra finalmente chiuso dando la colpa nella stragrande maggioranza dei casi alle gigantesche emissioni di gas da parte di una sporadica attività vulcanica, le large igneous provinces, durante la quale si mettono in posto in poche decine di migliaia di anni centinaia di migliaia di km cubi di magmi. È successo anche quando si sono estinti i dinosauri, con buona pace di quelli che ancora continuano a darne la colpa al meteorite caduto nello Yucatan.

Di fatto è stato notato che buona parte dei crateri da impatto si addensano in una serie di intervalli ristretti e quindi sembra che la maggior parte di queste strutture siano dovute più a comete (o corpi similari) che ad asteroidi, probabilment eperchè la cometa si spezza in più parti prima di cadere come è successo alla cometa Shoemaker - Levy 9 che nel 1994 si schiantò su Giove.
Nel 1979 William M. Napier e Victor Clube pubblicarono un articolo su Nature in cui ipotizzavano che il Sistema Solare nel suo movimento attraverso la galassia, possa incontrare dei corpi che per la gravità cadono verso di esso. I due scienziati hanno insistito molto su questo aspetto negli anni seguenti, e fra le loro cose più brillanti c'è un libro del 1982, “Il serpente cosmico”.
Il Serpente cosmico era una cometa gigantesca che ha terrorizzato il genere umano nella preistoria, un feroce drago che lanciava fulmini, apportando disastri sulla Terra. Questi fatti sarebbero stati dimenticati negli ultimi 3000 anni. In particolare Napier e Clube attribuirono lo sciame delle Tauridi ad una cometa molto grande che per un po' di tempo ha orbitato intorno al sole con un periodo di pochi anni, intersecando l'orbita terrestre poche decine di migliaia di anni fa e terrorizzando l'umanità. La loro idea, che è stata successivamente chiamata Catastrofismo Coerente, è che la Terra ed il sistema Solare sono periodicamente soggetti a perturbazioni che muovono un certo numero di comete o planetesimi verso l'interno del sistema; questi movimenti si rifletterebbero in varie catastrofi. 

Avrei voluto dedicare un post a Il Mulino di Amleto di Giorgio De Santillana, scritto in collaborazione con Hertha von Dechend. Ne parlo brevemente adesso. 
Giorgio De Santillana (Roma 1902 – Beverly 1974) è stato un fisico, un filosofo e storico della Scienza. Un personaggio interessante e complesso, che dall'Italia è andato ad insegnare al MIT. 
I fatti storici acclarati non potranno mai spiegare gli eventi mitici, ma alle volte è successo il contrario: fatti e personaggi mitici  hanno prestano i loro nomi e il loro significato alla storia. Ma cosa si nasconde dietro ai miti degli albori della civiltà, a quelle figure gigantesche, sovrumane, e a quei fatti leggendari che spesso sono entrati nei libri religiosi successivi, persino nella Bibbia? Partendo dagli scritti di personaggi storici come William Shakespeare e Sàssone il Grammatico (uno storico medievale danese), il libro esamina e confronta miti e libri religiosi di diverse popolazioni, dall’Edda islandese al Kalevala finlandese, all’epopea di Gilgameš e alla Bibbia, dal sanscrito dei Rg-Veda al Kumulipo hawaiiano, passando per il Mahabarata, l'Odissea e tanti altri. Particolarmente interessanti i personaggi che dall'Islanda all'Asia orientale fanno quello che fa l'Amleto della trasposizione dell'Edda scritta dal poeta islandese Sturluson  Snorri. Ma ci sono tante altre somiglianze mitologiche in tutto il mondo euroasiatico e amerindo, a partire da quel personaggio che arriva al Sole senza morire, lasciandosi dietro uno stuolo di morti: dal biblico Enoch (la visione monoteista della Bibbia deve trasformare figure mitologiche in personaggi reali) all'atzeco Quetzalcoatl, passando per l'iranico Kay Khusraw, cantato dal poeta nazionale iraniano Firdusi, a Yudhi Shira del Mahabarata e tanti altri.
Consiglio vivamente la lettura di questo libro, anche se spesso il testo si dilunga un po' troppo. 

Diciamo che Il mulino di Amleto arriva indipendentemente a conclusioni simili a quelle del Serpente Cosmico.
Personalmente sono convinto che entrambi gli Autori abbiano ragione e cioè che questi miti sarebbero nati durante un periodo contrassegnato da numerosi passaggi ravvicinati di una cometa (o più comete) in linea con quanto ipotizzato da Napier e Clube ed è naturalmente logico che abbiano una origine comune (come sarebbe possibile che casualmente raccontino indipendentemente le stesse cose?). Inoltre, siccome sono presenti anche nelle popolazioni amerinde la loro origine deve risalire a prima della colonizzazione del Nuovo Mondo; miti del genere non esistono nell'Africa Subsahariana (o, meglio, quelli che ci sono potrebbero fare riferimento alla stessa situazione ma sono troppo diversi per avere una origine comune) e per questo si possono collocare dopo l'uscita dall'Africa.

Ho discusso diverse volte su questo argomento con l'amico Sandro, che mi ha fatto appunto conoscere il libro di De Santillana.
Pertanto ho pensato che il nucleo fondamentale di queste leggende sia nato in un'area collocabile da qualche parte nell'Eurasia sudoccidentale (tra Russia, Turchia e Iran)  ben prima dell'ultimo massimo glaciale di 20.000 anni fa, in corrispondenza di una espansione verso settentrione dell'umanità all'inizio della fase piuttosto calda del MIS3 (Marine isotopic stage 3), che all'incirca si colloca tra 60 e 30 mila anni fa).

Ed ecco che arriva un articolo piuttosto interessante in materia proprio in questi giorni su The Astrophysical Journal Letters: Eric E. Mamajek et al.: the closest known flyby of a star to the solar system. 
Nel contesto di un programma per l'individuazione e la classificazione di stelle nane brune finora trascurate nelle vicinanze del Sistema solare, l'anno scorso un gruppo capitanato da R.D. Scholz del Leibniz-Institut für Astrophysik Potsdam, ha scoperto un sistema stellare, denominato WISE J072003.20-084651.2, che dal nome dello scopritore è noto anche come stella di Scholz
È composto da una stella principale, una nana rossa, e da una nana bruna dalla massa di circa ¾ della stella principale.
Questa stella pur essendo a distanza ridotta è rimasta sconosciuta perché è vicina al piano della galassia, è poco brillante e il suo movimento rispetto al sistema solare è lento. 
Data la sua posizione, Mamajek e soci hanno quindi cercato di capire se WISE J072003.20-084651.2 possa capitare in un prossimo futuro nei dintorni del sistema solare. Hanno invece dedotto il contrario: la stella di Scholz è appena passato dalle nostre parti e questo è avvenuto circa.... 70.000 anni fa.  

Questa è esattamente una situazione che va proprio a fagiolo con il Serpente cosmico e con il Mulino di Amleto e conferma il fatto che la base originaria della stragrande maggioranza dei miti eurasiatici rifletterebbe il ricordo di eventi reali, e cioè il passaggio di uno o più corpi celesti in prossimità della Terra, catapultati dalla nube di Oort verso il sistema solare interno dal passaggio ravvicinato della stella di Scholtz.
Inoltre noto con piacere che la datazione del passaggio tende a confermare pure la mia ipotesi sulla datazione di questi eventi.


martedì 3 febbraio 2015

Il Tallio a Valdicastello (Pietrasanta): un esempio di risposte (si spera) concrete ad una emergenza inaspettata



Alle volte delle ricerche scientifiche possono avere dei risvolti imprevisti e possono mettere in luce dei problemi a cui nessuno aveva pensato. Recentemente, grazie ad una ricerca sulla circolazione delle acque sotterranee è stato scoperto che le acque di un torrente che scende dalle Apuane, il Baccatoio, presenta tenori piuttosto elevati di Tallio, elemento tossico di cui non era stata mai notata la presenza perchè non esiste una normativa in materia. La risposta delle Autorità, sia pure non rapidissima, c'è stata ed è stato firmato un protocollo d'intesa per risolvere la questione. Il "modello Pietrasanta" costituisce un ottimo esempio di risposta multidisciplinare coordinata ed integrata tra vari enti ed istituzioni e, se funzionerà, potrebbe essere un esempio importante di come lo Stato debba reagire alle emergenze. 


Il Tallio è un metallo piuttosto tossico: ricordo vagamente anche un film giallo – forse tratto da uno scritto di Agatha Christie – in cui l'omicida si servì proprio del Tallio per uccidere delle persone. In passato il solfato di Tallio è stato utilizzato come topicida e insetticida, ma siccome i suoi effetti andavano al di là dei topi e degli insetti il suo uso è stato successivamente vietato. Comporta problemi ad ampio spettro (sistema respiratorio, sistena nervoso e intestino) e pare anche avere effetti cancerogeni. Un elemento quindi da maneggiare con attenzione, e proprio per questo negli USA la normativa prevede restrizioni alla potabilità delle acque in riferimento al suo contenuto. Stranamente nulla prevede al riguardo la normativa europea. O, meglio, in Europa viene considerato solo per le acque destinate alla dialisi.

A Pietrasanta in questi mesi è scoppiato il caso del Tallio nell'acquedotto di Valdicastello, in una maniera piuttosto casuale: un gruppo di geochimici dell'Università di Pisa ha deciso di svolgere una ricerca sulla circolazione delle acque nelle Alpi Apuane, lavoro interessante anche a causa della diversità delle litologie e delle strutture di questa notissima catena montuosa. Uno studio scientifico sulle acque deve prendere in esame una serie di parametri più vasti rispetto a quelli richiesti da una indagine a scopi idropotabili: le quantità in gioco di alcuni elementi che hanno un valore pratico zero magari ne possiedono uno scientifico molto alto. Fra i parameri considerati c'era anche il contenuto di Tallio: sopra Pietrasanta, oltre alle cave di marmo da cui proviene anche il blocco del David di Michelangelo, nel passato sono state pure sfruttate le mineralizzazioni a solfuri, che ne presentano tenori estremamente alti (nella Pirite si arriva anche a oltre 1 mg/g).

Grazie a questo studio è venuto fuori il problema: le acque provenienti da queste miniere si riversano nel torrente Baccatoio e alimentano l'acquedotto che serve la frazione di Valdicastello e parte di Pietrasanta capoluogo e in queste acque il tenore di Tallio è superiore a quello ammesso negli USA, mentre non essendo normato in Europa, nessuno lo aveva cercato. L'origine della contaminazione non risiede soltanto nelle mineralizzazioni ancora presenti nelle rocce, ma anche – e forse soprattutto – nei detriti e nei residui delle coltivazioni minerarie.

Il decreto legislativo 31/2001 al punto 8/3 recita: "l'azienda unità sanitaria locale assicura una ricerca supplementare, caso per caso, delle sostanze e dei microrganismi per i quali non sono stati fissati valori di parametro a norma dell'allegato I, qualora vi sia motivo di sospettare la presenza in quantità o concentrazioni tali da rappresentare un potenziale pericolo per la salute umana". Quindi se secondo la letteratura scientifica la quantità di una sostanza anche non normata presenta dei rischi, è necessario che la ASL intervenga lo stesso. Ed è ciò che è stato fatto, perché, giustamente, la questione ha assunto una certa rilevanza.

I cittadini ovviamente non hanno preso bene questa notizia e hanno protestato, anche in maniera vistosa (e giustificata!). All'inizio i rifornimenti idrici sono stati assicurati mediante autobotti. Un primo provvedimento è stato la modificata della provenienza delle acque dell'acquedotto che serve Valdicastello: è stato invertito il flusso delle condotte che andavano verso la piana, fornendo la frazione con acque provenienti dal basso. Purtroppo questa operazione non si è rivelata risolutiva, perché ha mobilizzato le incrostazioni di tallio della tubatura e quindi la situazione non è eccessivamente migliorata. È in corso la sostituzione delle tubature e per un certo periodo è stata direttamente posata una condotta provvisoria in superficie.

Ma il Tallio nell'acquedotto di Valdicastello c'è sempre stato e di conseguenza molti abitanti ne presentano accumuli su capelli e urine, talvolta davvero eccessivi.

La necessità di risolvere la situazione è impellente e per fortuna le autorità regionali toscane stanno provvedendo in merito, secondo i cittadini un pò in ritardo nel recepimento della questione. Siccome molti di loro sono convinti (non so se a torto o a ragione) che la questione si stata tenuta nascosta per parecchio tempo, i loro comitati avranno un ruolo di controllo dei lavori per una questione di trasparenza.

È stata quindi avviata una operazione che coinvolge gli enti locali, il gestore idrico, le agenzie regionali di protezione ambientale e della sanità, il CNR e l'università di Pisa per affrontare tutti gli aspetti della situazione e non solo la mera questione delle forniture di acqua potabile.
Coordinati dal Sindaco di Pietrasanta ci saranno due gruppi di lavoro: uno per la parte ambientale e uno per la parte sanitaria a cui parteciperanno appunto anche dei rappresentanti dei comitati dei cittadini.
Ovviamente il primo passo (non semplice) sarà quello di risolvere l'emergenza idrica trovando una fonte di acqua alternativa che non può provenire dai monti, bensì dagli acquiferi della piana versiliese, possibilmente non collegati con le acque che scendono dalla valle del Baccatoio (dovrebbe avvenire entro la fine di maggio, un sincero in bocca al lupo: non sarà semplicissimo, immagino ci vogliano tra i 30 e i 50 litri al secondo.... e trovati i pozzi questi vanno anche raccordati...). Ricordo anche che nel territorio del comune di Pietrasanta d'estate il periodo di maggiore siccità corrisponde anche al momento in cui l'area litorale (Focette, Tonfano, Fiumetto) è particolarmente sovrappopolata e quindi il dimensionamento della rete acquedottistica deve essere molto superiore a quella richiesta nella maggior parte dell'anno.

Il gruppo di lavoro ambientale effettuerà analisi rigorose delle acque di tutto il territorio; verranno inoltre approfonditi aspetti della geologia, della mineralogia e dell'idrogeologia del bacino del Baccatoio.
Il tutto è finalizzato alla messa in sicurezza della zona: il Comune di Pietrasanta, titolare delle concessioni minerarie della Buca della Vena e del Monte Arsiccio di Valdicastello, origine della contaminazione, presenterà entro metà marzo un progetto di bonifica e un monitoraggio ambientale delle acque. Ci sarà anche una analisi tecnico-scientifica per scoprire come eliminare il tallio dall'acqua potabile una volta individuato e gestire al meglio queste situazioni sinora mai affrontate.

Dal lato della salute verranno effettuati controlli epidemiologici in termini di analisi che riguardano sia la presenza della sostanza in capelli e urine, sia lo stato complessivo di salute della popolazione e quindi si capiranno meglio gli effetti che il tallio può avere sulla salute.

Questa vicenda comporterà inoltre delle ricerche in merito nelle altre zone della Toscana nelle quali esistono giacimenti a solfuri e dove potrebbe esserci lo stesso problema.

Su tutte queste operazioni vigilerà un Comitato di Sorveglianza, presieduto dal presidente della Regione Toscana e siccome queste operazioni sono state finanziate dalla Regione stessa, questa potrà provvedere alla revoca dei finanziamenti erogati o a sostituire i soggetti considerati inadempienti.

Al di là dei comunicati idilliaci bisogna riconoscere che le autorità si sono mosse in maniera (teoricamente) efficiente. Mi aspetto parecchio dai comitati dei cittadini, visto il loro coinvolgimento, che è un fatto a mio avviso davvero interessante e spero che possano vigilare scrupolosamente su tutto, sempre però attenendosi al rigore scientifico e senza cadere nella demagogia e nelle facili tentazioni di polemiche fini a se stesse; meno male che in rete sul Tallio non ci sono grosse fesserie sul tipo delle scie chimiche o del fronte antivaccinista. 
Insomma, reazioni scomposte (specialmente se condotte da parte di qualcuno che abbia intenzione di fare confusione per puri scopi personali) vista la situazione sono fuori luogo: non c'è tempo da perdere come dimostra la tempistica prevista.

Speriamo che alle intenzioni corrispondano i fatti auspicati: il “modello Pietrasanta” è sicuramente interessante per la sua natura multidisciplinare e per la volontà espressa di risolvere un problema inaspettato, improvviso e impellente.