venerdì 25 febbraio 2011

Il petrolio in Libia, l'Italia e un grande geologo italiano: Ardito Desio

Questo post è scritto assieme a Mauro Annese, una vita da geologo nei campi petroliferi (e membro di quella comunità italiana che Gheddafi cacciò dalla Libia nel 1971). Lo ringrazio vivamente perchè quello che succede in queste ore nel Paese nordafricano è anche occasione per ricordane la storia petrolifera e per parlare di uno dei più grandi geologi italiani: Ardito Desio


Non si può certo dire che la “conquista” della Libia sia stata un grande affare per l'Italia e nessuno ai tempi pensava che lo “scatolone di sabbia” (come l'aveva ribattezzata Gaetano Salvemini) sarebbe diventato quello che è diventato.

Eppure la prima manifestazione della presenza di idrocarburi nella colonia si è avuto già nel 1914, quando del greggio fuoriuscì da un comunissimo pozzo per l'acqua.
Poi comunque scoppiò la Prima Guerra Mondiale e il piccolo contingente militare italiano riuscì a malapena a conservare il controllo delle città e della costa. Ovviamente furono sospese le ricerche scientifiche di ogni ordine e grado, compresa quella del petrolio, allora ancora ad un livello di importanza come fonte energetica non paragonabile con quella attuale.


Per ritornare al controllo completo del territorio libico ci vollero diversi anni (e qualche massacro) e nel contempo la politica si era accorta dell'importanza dell'energia: i primi timidi tentativi di una politica energetica nazionale sono del 1923 e nel 1926 fu fondata l'AGIP. 

Grazie alla necessità di reperire acqua per scopi agricoli nel 1928 fu avviata la costruzione di una serie di pozzi, alcuni dei quali casualmente produssero petrolio anzichè acqua. La cosa però fu presa molto sul serio e nel 1929, lo stesso anno in cui in provincia di Parma l'AGIP scoprì un giacimento petrolifero nella Madrepatria, una società composta da alcuni maggiorenti italiani che risiedevano a Tripoli ottenne l'autorizzazione a cercare il petrolio, anche grazie al sostegno di Badoglio. Meno di una decina di pozzi fornì manifestazioni di petrolio, ma siccome le prospettive c'erano, nel 1936 fu incaricato delle ricerche Ardito Desio (1897 – 2001), uno dei padri della geologia italiana e grande protagonista della ricerca geologica del XX secolo (tra l'altro organizzatore ed ispiratore della spedizione alpinistica nella quale fu conquistato il K2).

La scelta era sicuramente quella di uno scienziato importante, e per di più quello più adatto alla bisogna, perchè Desio conosceva la geologia della Libia meglio di qualsiasi altra persona: tra il 1926 e il 1940 la esplorò veramente a fondo, a dorso di cammello o facendosi trasportare con gli aerei. Già nel 1933 disegnò la prima carta geologica della regione (e che aggiornerà nel 1939). Però la mancanza di fondi e il disinteresse delle autorità costrinsero molto presto a interrompere la ricerca sistematica di petrolio: è convinzione generalizzata di storici e scienziati che fino al 1940 l'importanza del petrolio libico sia stata trascurata perchè l'interesse del Governo italiano dell'epoca era limitato al popolamento e all'occupazione di terre da coltivare. Per questo gli interessi minerari maggiori erano rivolti a acqua e fosfati (infatti Desio si occupò molto di questi argomenti). Quando lo scienziato abbandonò la Libia erano in attività alcuni pozzi, che comunque erano stati perforati per ricerca idrica e non direttamente per quella petrolifera. Occorre comunque precisare che la ricerca petrolifera esisteva, solo che era subordinata a quella di acqua e fosfati: semplicemente non era l'obbiettivo principale delle ricerche.

Comunque questi primi successi spinsero l'Agip a tentare tra il 1938 ed il 1941 uno campagna di ricerco, con mezzi primitivi, con piccole trivelle. Sfortunatamente queste ricerche si svolsero soprattutto nella Gefara, la pianura costiera vicino a Tripoli, dove neanche negli anni sessanta è mai stato trovato petrolio. La guerra interruppe queste ricerche.

C'è comunque la quasi certezza che Desio avesse capito (o quantomeno ipotizzato) la presenza di grandi quantitativi di petrolio sotto la sabbia, altrimenti non avrebbe senso la sua richiesta a Balbo (il governatore della Libia) di farsi fornire dagli USA una sonda più gronde per perforare a profondità maggiori e trovare così il petrolio.

Purtroppo Mussolini preferì investire soldi ed energie nell'Africa Orientale, convinto che gli avrebbe dato più lustro, trascurando quindi di finanziare le ricerche in Libia. E questo nonostante che in Egitto, a Marsa Matruk, erano stati appena trovati dei piccoli campi produttivi e Desio stesso avesse riferito nei suoi rapporti di analogie nella stratigrafia con quella della Libia Orientale, al confine con l'Egitto.

Dopotutto la mossa di Mussolini era prevedibile, un po' per le gelosie e i dissidi con Balbo, notoriamente personaggio molto (troppo?) popolare e per di più nettamente contrario a leggi razziali, alleanza con la Germania nazista ed altro, e un po' perchè – bene o male – c'era la consapevolezza che la Libia era stata conquistata solo perchè nel 1911 era l'unico territorio ancora non occupato da inglesi, francesi o spagnoli. Una colonia di “serie B”, quindi.

Le ricerche ripresero verso la metà degli anni 50 ad opera delle compagnie straniere con i risultati che conosciamo, anche grazie ad una campagna di rilevamento con foto aeree. Ma i risultati inizali furono decisamente sconfortanti.

Nel primo periodo di assegnazione dei permessi petroliferi alle majors furono assegnate concessioni geologicamente interessanti nel sud dello Cirenaica (nel Bacino Sirtico); l' ENI invece ottenne soltanto una improbabile ed estesa concessione, la 82, risultata poi assolutamente priva di qualunque traccia di petrolio. Ad un'altra società petrolifera italiana, la Montedison, fu assegnata una altrettanto poco interessante concessione.

Il confine occidentale libico con Algeria e Tunisia è situato a pochi chilometri dal grande campo algerino di Zarzaitin e di quello tunisino di El Borma: quindi Esso, Shell e Total hanno combattuto aspramente per ottenere i permessi vicini al confine che sembravano potenzialmente interessanti. Però i pozzi perforati risultarono tutti sterili.
Soltanto pochi anni fa, la Lasmo, una società petrolifera privata Inglese, ha scoperto un grosso giacimento nella Libia Occidentale, giacimento poi venduto all'Agip.

Dopo questi insuccessi, l'attenzione dei petrolieri si è rivolta al Bacino dello Sirte, nel bel mezzo del desolato, immenso e piatto Serir di Kalanshò, 300 km a Sud di Benghasi.

Fortuna volle che la Esso, dopo due pozzi sterili, e pronta ad abbandonare – e sarebbe stata la fine delle ricerche petrolifere in Libia – avesse scoperto con il terzo Pozzo, lo Zelten 3, uno dei più grani giacimenti di petrolio a livello mondiale.
A questo successo ne seguirono altri da parte della stessa Esso, seguita subito dopo dalla Mobil – dove proprio Mauro Annese era geologo responsabile dei pozzi sin dal 1962 –, dal consorzio Oasis e dalla Texaco. 

L'Agip e la Montedison hanno speso una fortuna nella ricerca ma inutilmente fino verso la fine del 1960 quando furono messe in gara altre concessione di cui diversi erano aree facenti parte di permessi della prima fase della ricerca. Tutto si è svolto dal 1960 al 1968: in questi pochi anni la Libia è passata da un Paese tra i più poveri del mondo ad uno dei più ricchi. La sua produzione in pochi anni ha raggiunto i due milioni di barili al giorno di un ottimo greggio (38 API), privo di zolfo, tra i migliori al mondo, adatto a fare benzine piuttosto che olii combustibili o gasoli..
Poi l'Agip, abbondonato il permesso 82, ha partecipato alla nuova gara del 1966 (i tempi erano cambiati) ed ha ottenuto due ottimi permessi confinanti con vecchi permessi produttivi, risultati, anche questi, produttivi.
Purtroppo per gli italiani, profughi dalla Libia dopo l'avvento di Gheddafi, la presenza dell'Agip (ed anche dello Fiat), ha avuto un effetto devastante sulle eventuali rivendicazioni dei beni perduti nell'evacuazione del Paese. 

Dobbiamo quindi riconoscere ad Ardito Desío, all'AGIP ed anche al Governo dell'epoca la consapevolezza delle premesse tecniche necessarie per lo presenza di giacimenti di idrocarburi (bacini di sedimentazione, manifestazioni di olio anche se a bassa profondità, vicinanza a regioni già produttive etc etc.): ovviamente nessuno poteva prevedere all'epoca che in profondità ci potessero essere accumuli di idrocarburi di tale entità come si scoprì in seguito. Quindi quando si parlava di enormi giacimenti si facevano soltanto delle ipotesi.
A Desio le compagnie petrolifere che hanno iniziato la ricerca negli anni 50, devono dunque la compilazione della prima carta geologica dello Libia, carta che ha evidenziato la presenza dí numerosi bacini di sedimentazione dove si è formato il petrolio che poi, migrando nelle e con le rocce in cui si è formato ( rocce madri) si è accumulato nei giacimenti scoperti dal 1957 in poi.

La carta del Desio è stata ripresa ed aggiornata dalle società petrolifere e dal servizio geologico costituendo lo base per lo sviluppo sistematico della ricerca.

In conclusione, non è assolutamente vero che l'Italia abbia semplicemente trascurato il petrolio libico: priorità espansionistiche, mancanza di fondi, di attrezzature tecniche e delle tecnologie di ricerca di tipo geofisico e di perforazione per la ricerca profonda oltre i 3000 metri – all'epoca in mano a Inglesi ed Americani – e non ultimo lo scoppio di ben due guerre mondiali, sono delle importanti attenuanti. E Ardito Desio verrà sempre ricordato come il geologo che ha aperto la via libica al petrolio


PS: Chiunque volesse una copia della carta geologica della Libia dell’epoca, può richiederla ad Annese ( mauroannese@libero.it) indicando le misure richieste al costo della stampa e spedizione

giovedì 24 febbraio 2011

Il terremoto di Christchurch del 21 febbraio 2011

The geology, tectonic setting, and active seismicity of the Christchurch area indicate that future large earthquakes will occur which will have major impact on the city. Earthquakes are expected to produce liquefaction, landsliding, ground cracking, and tsunami. Così scrivevano L. J. Brown, R. D. Beetham, B. R. Paterson, and J. H. Weeber nel novembre del 1995 sulla rivista Environmental & Engineering Geoscience

Non c'è stato lo tsunami, ma per il resto siamo a posto: il terremoto che ha interessato la città di Christchurch ha provocato tutti questi fenomeni e si presta ad alcune considerazioni interessanti.
È sicuramente una scossa conseguente al grande terremoto del 3 settembre 2010 e in qualche modo era aspettata, però più il tempo passava più la probabilità di un forte afterschok diminuiva.

Per quanto riguarda il prima del terremoto di settembre, a gennaio e a marzo 2010 ci sono state due scosse nel mare prospicente Christchurch, ma data l'elevata densità di terremoti che contraddistingue l'isola dire che sono stati premonitori del sisma del 3 settembre è quantomeno molto azzardato, anche se, messi in fila sarebbero più o meno lungo la direzione della faglia che lo ha causato. In ogni caso erano nettamente più profondi e, anche se non sono riuscito a trovarne i meccanismi focali, data la profondità escluderei che abbiano avuto un movimenti trascorrenti come la scossa del 3 settembre.

Da allora come si vede nell'immagine qui accanto (ottenuta con l'Iris Earthquake Browser) l'entroterra di Christchurch è stato interessato da una bella sequenza di scosse. Come da aspettative anche questa è stata molto più debole di quella settembrina, però ha fatto molti più danni.

Perchè? Ci sono fondamentalmente 3 motivi:
- perchè la scossa principale è avvenuta a una distanza notevole dalla città
- perchè stavolta il movimento è stato generato da una faglia inversa anziché da una trascorrente ed è probabile che abbia provocato uno scuotimento maggiore
- perchè il terremoto di lunedì si è scatenato sotto la città e ad una profondità bassissima, 5 kilometri
- perchè il terremoto è stato accompagnato da fenomeni di liquefazione del terreno e di amplificazione delle onde sismiche.

Ma andiamo con ordine:

Confrontiamo qui sotto le due mappe dello scuotimento (a sinistra la scossa di settembre) e vediamo come l'epicentro della scossa principale era a oltre 50 km da Christchurch. Questa invece era proprio sotto la città. È una prima stringente motivazione.


E ora vediamo una cosa veramente impressionante, la carta in cui sono indicate le accelerazioni del suolo durante la scossa. Non è molto chiara e quindi descrivo alcuni valori, che sono espressi in percentuale rispetto a g, dove g è l'accelerazione di gravità. Nei punti segnati in rosso il valore è superiore a 0.65g. Christchurch è nel cluster principale dei punti e ve n'è uno (quello in marrone) in cui è stato raggiunto un valore di 188,7 % di g, quasi 2 volte l'accelerazione di gravità!

Per confronto questa è la carta dove l'accelerazione sismica massima aspettata è espressa in m/secXsec. A Christchurch ci si aspettava valori tra 1.6 e 2.4, ma in metri al secondo per secondo e non in “g”. Una accelerazione quindi che è stata dalle 4 alle 9 volte maggiore! Ed un valore assolutamente fuori scala per tutta l'isola: i valori massimi previsti in Nuova Zelanda, nella costa occidentale dell'isola del Sud, a nord di Crhristchurch, sono al massimo di 4.8 m/sec x sec, e cioè circa 0.5 g.

Su questo ha indubbiamente giocato la bassissima profondità dell'evento ma hanno contribuito altri due fattori: la amplificazione delle onde sismiche e la liquefazione del terreno

L'amplificazione delle onde sismiche è un fatto purtroppo molto noto in Italia: ad esso dobbiamo una parte del danno per il quale crollò la scuola di San Giuliano di Puglia. Per capirla prendiamo ad esempio le onde marine: la loro velocità è proporzionale alla profondità del mare, per cui quando arrivano vicino alla riva diminuiscono bruscamente la velocità ed aumentano l'ampiezza. Le onde sismiche hanno velocità diverse nelle varie rocce che attraversano, in particolare rallentano abbastanza bruscamente al passaggio da roccia solida a terreni ancora sciolti (sabbie, fanghi, ghiaie) e quindi sono costrette ad aumentare l'ampiezza. È la situazione sotto Cristchurch, dove sedimenti marini e fluviali recenti coprono con poco spessore rocce solide, la situazione peggiore da questo punto di vista. 

Una cosa che aveva attratto la mia curiosità nelle foto scattate dopo il terremoto era la presenza di zone alluvionate o quasi. Il terremoto non aveva però provocato una deviazione dei fiumi per cui la prima cosa che poteva venire in mente era la rottura di tubazioni. Ma poi sono arrivate foto come questa ed allora è diventato evidente che il terreno era stato in parte interessato da fenomeni di liquefazione: per le sollecitazioni dovute alla scossa sedimenti sciolti pieni di acqua possono perdere totalmente la resistenza. 
Vediamo come la zona intorno al "New Zealand Stadium" sia intrisa di acqua che è risalita durante la scossa per le liquefazioni del terreno (la terra è più+ pesante dell'acqua che quindi risale.
Quindi ci sono tante motivazioni per capire come mai il terremoto di febbraio è stato più distruttivo, pur se molto più debole, di quello di settembre.
C'è da dire comunque che le costruzioni in generale sono ben fatte in quanto in molte aree del mondo accelerazioni come quelle registrate nell'occasione avrebbero provocato un crollo pressochè totale di tutti gli edifici. Invece i rigidi standard neozelandesi hanno potuto limitare i danni
Un'ennesima dimostrazione del fatto che prevenire è meglio che curare.

Tra le curiosità legate a questo terremoto c'è stato il crollo in un lago delle pareti di un ghiacciaio: 30 milioni di metri cubi di ghiaccio che hanno provocato in questo specchio d'acqua onde anomale alte 3 metri.

giovedì 10 febbraio 2011

L'Europa nel Paleozoico e la formazione della Pangea

Uno degli ultimi post di Olelog, come al solito straordinariamente interessanti, in cui Ole Nielsen ci fa conoscere al confine fra Germania e Cechia la Altenberg–Teplice Caldera, e  - dalle stelle alle stalle - le elucubrazioni sulla Pangea dell'anonimo creazionista nel post precedente, mi spingono a parlare di come si è venutra a formare - geologicamente parlando - l'Europa.
Ci si potrebbe domandare cosa ci faccia un vulcano da quelle parti: infatti come dice il nome tra queste due località c'è una struttura formatasi per il collasso di un edificio vulcanico. Beh, innanzitutto è roba di 300 milioni di anni fa. E questo non solo risolve alcuni dubbi ma dimostra che all'epoca da quelle parti la situazione geologica era molto diversa.

In questa carta strutturale dell'Europa notiamo diversi colori che indicano 3 cicli orogenici principali:
- in celeste il ciclo alpino cioè le attuali catene perimediterranee attive
- in blu chiaro la catena ercinica e gli Urali, la cui formazione risale alla fine dell'era Paleozoica
- in blu scuro la catena caledoniana, la cui formazione risale al Devoniano – Ordoviciano
- in bianco le zone ancora più antiche

Quindi l'Europa come la conosciamo adesso è il frutto di una serie di avvenimenti che hanno preceduto e consentito la formazione della Pangea, che al contrario di quello che crede qualche creazionista, non è il continente primordiale ma il frutto di una temporanea unione di (quasi) tutte le placche continentali.

Chiaramente andare nel passato sempre più remoto è molto difficile perchè più indietro ci si sposta meno rocce troviamo e soprattutto le troviamo spesso molto deformate. La Gran Bretagna in questo è stata molto utile perchè conserva rocce che datano dal Precambriano ai nostri giorni con un assetto che tutto sommato è facile da ricostruire per chi ricerca attivamente sul campo e non passa il tempo a tentare improbabili esegesi scientifiche da un libro religioso scritto a più riprese dai 2000 ai 3000 anni fa.

Vediamo allora come si è individuato il nostro continente e soprattutto le vicissitudini che ha avuto nell'era Paleozoica. L'era paleozoica comincia con la rottura di un supercontinente, Rodinia, esistito tra un miliardo e 750 milioni di anni fa, e finisce con la formazione di un nuovo supercontinente, la Pangea.

Sempre nella stessa carta osserviamo una struttura sconosciuta ai più, la TESZ, sigla con cui si indica la Trans-European Suture Zone (o zona di sutura transeuropea): è un confine geologico molto importante e separa tra il Mare del Nord e il Mar Nero lo scudo precambriano baltico ed esteuropeo dai terreni paleozoici più recenti. Lunga più di 2.000 km, i due lati di questa linea oltre alla diversa stratigrafia mostrano altre diversità, prima fra tutte lo spessore crustale, che è di circa 30 km nel lato sud/ovest e circa 40 km nell'altro.

Ed ecco la situazione circa 550 milioni di anni fa, diciamo all'inizio del Cambriano: Russia, Ucraina e la maggior parte della Penisola Scandinava formavano la “placca Baltica”. Vicino c'era la Siberia e ad ovest la Laurentia, più o meno corrispondente all'odierna America Settentrionale. La maggior parte delle terre erano ancora raggruppata nel continente meridionale, il Gondwana, un blocco di terre già appartenenti a Rodinia che dopo la frammentazione del vecchio supercontinente si sono riassemblate insieme durante l'Orogenesi Panafricana alla fine del Precambriano. L'oceano Giapeto divideva Laurentia da Baltica e Siberia. La Laurentia si stava staccando dal resto della Rodinia e presto fra i due continenti si formerà un altro oceano, l'Oceano Rheico. Contemporaneamente dalla Rodinia si stacca un altro piccolo pezzo, in giallo nella figura, che diventerà Avalonia, una zolla continentale destinata a scontrarsi in seguito con Baltica.


Passiamo a un centinaio di milioni di anni dopo e vediamo Baltica, Laurentia e Avalonia che stanno per scontrarsi. Da esse nasceranno ad ovest la catena Caledoniana, formata dagli Appalachi, dalle Highlands scozzesi e dalle Alpi norvegesi. A Est lo scontro genererà invece la TESZ, che adesso tranne nel settore baltico (dove comunque è abbondantemente erosa), è o nascosta da sedimenti più recenti o deformata dalle successive fasi tettoniche tardopaleozoiche e cenozoiche. L'immagine qui sotto fornisce un'idea anche se rappresenta un periodo molto successivo a quello della formazione della catena.

Nasce quindi dall'unione di questi tre continenti la “Euromerica”, verso la quale convergono altre masse continentali che alla fine del Permiano le si attaccheranno: Siberia, Kazakistan e Gondwana.

È l'orogenesi ercinica, nella quale dopo Giapeto si chiude anche l'Oceano Rheico. La grande catena Ercinica che bordava le coste meridionali di Euromerica è stata in parte spezzettata dagli eventi successivi ma ne troviamo in Sardegna, Corsica, Francia e Europa Centrale degli ampi resti. A Est invece gli Urali sono rimasti invece più o meno indisturbati da quel tempo.

Si era quindi riformato, dopo Rodinia, un nuovo supercontinente: la Pangea, destinata a restare in vita ben poco: per quanto riguarda il settore europeo si sono aperti nuovi oceani, la Tetide a Sud, separando l'Europa dall'Africa e l'Atlantico a Ovest. In questa immagine vediamo la Pangea con evidenziate le catene montuose direttamente connesse alla sua formazione e qui sotto, da ultima, una immagine dell'inizio dell'Era Terziaria in cui l'Europa è rimasta come oggi connessa con la sola Asia lungo gli Urali (all'Asia si è poi attaccata anche l'India).

martedì 8 febbraio 2011

Un creazionista e i suoi strafalcioni scientifici

Non so se vi metterete a ridere o a piangere leggendo questo commento appena inviatomi su un mio vecchio post, quello in cui riprendo la discussione sul Tiktaalik di cui sono stato fra i protagonisti sul sito di Nature. Lo riporto qui sotto:

Personalmente credo nelle pagine della Bibbia e ritengo di conseguenza che la terra sia recente contro i miliardi di anni (=teorici) postulati dagli evoluzionisti, perchè necessari allo svolgersi dell'evoluzione.
La terra aveva una fisionomia precisa, nella concezione ebraica e precristiana: un grande continente emicircolare, occupante l'emisfero nord del pianeta. In contrapposizione all'emisfero sud occupato dall'acqua.
La concezione ipparchiana, aristotelica o tolemaica n'è una riduttiva ma ancora vicina concezione.Colombo non discuteva sulla rotondità del pianeta, dato che nessuno ne dubitava ma sulla fattibilità del suo viaggio.
Secondo lui, tra Eratostene e Tolomeo, aveva ragione il secondo e la terra era più piccola. Colombo affermava che poteva navigare verso ovest e raggiungere il Giappone: dai diari di bordo del suo viaggio risulta che quando sbarcò a Hispaniola fosse convinto d'aver raggiunto l'arcipelago nipponico.

Nel 1668, padre Placet, un monaco premonstratense francese scrisse un trattato per dimostrare che la terra prima del diluvio era una sola superficie. Placet fu uno dei pionieri della geologia moderna.
Sino alla rivoluzione francese gli eruditi europei conoscevano la concezione biblica ed aristotelica della terra.
Mi chiedo: ben prima di Wegener i nostri antenati e gli altri popoli civili del mondo antico conoscevano la terra unica? Sì e già in Genesi 1.9,10 appare nel racconto sacro l'emersione di questo supercontinente(nel terzo giorno).
Per brevità non mi dilungo ma essa precede la comparsa degli animali e nel racconto biblico è Dio a creare tutto.
Nel sesto giorno (non sesta "era geologica"...) Iddio creò la specie umana.
Credo si trattasse di un uomo identico a noi il cui genoma, sia pure con qualche variazione microevolutiva, abbiamo ereditato.
Molte culture antiche hanno nei loro miti il concetto dell'universo derivato da un uovo primigenio o cosmico.
La radiazione fossile dell'universo primitivo mappata dai satelliti artificiali ha appunto la forma di un gigantesco uovo.
Secondo gli astronomi questo spettro di radiazione è quanto rimane del Big Bang, l'esplosione che avrebbe caratterizzato l'attimo iniziale dell'universo
Di fronte a conoscenze così precise di un passato che gli evoluzionisti, sulla base di improbabili costruzioni filosofiche più che scientifiche, datano di svariati miliardi di anni (per il timore di trovarsi davanti ad un Dio la cui esistenza negano disperatamente), come si fa a non pensare che la Narrazione Biblica sia qualcosa di più di una "tradizione religiosa"? Io credo in quel Dio, riconosco ad altri la libertà di non crederGli, ma vorrrei che l'ateismo (vestito di panni non suoi) uscisse dall'aula di scienza.
Non è vero che il creazionismo sia sinonimo di oscurantismo; un pacato confronto gioverebbe a tutti.
Ma quelli che inveiscono e insultano non siamo noi: più di un evoluzionista ammette poi che non ha prove per dimostrare scientificamente le sue convinzioni delle quali, ovviamente, è "certo".
Per questo, occorre mettere da parte le beffe e l'animosità ideologica: se hanno ragione gli atei Dio non esiste e dunque le pagine della Bibbia sono una leggenda, le profezie annuncianti la certa venuta di Cristo non sono diverse dalle centurie di Nostradamus. Ma se i cristiani hanno ragione Gesù sta per tornare e per gli increduli saranno dolori...ognuno di noi ha il diritto di giudicare vere o false le tesi degli uni o degli altri. Alla fine è questo l'oggetto vero della contesa

Fondamentalmente questo anonimo riesce da buon creazionista a parlare di tutto senza sapere di cosa parla, facendo solo una grande confusione che denota delle conoscenze scientifiche diciamo ehm.... ehm.... approssimative (sono sufficientemente “politically correct?”)
Prendo atto che, almeno, tutti siano convinti che la Terra è rotonda. E già un buon punto di partenza. Non capisco comunque cosa c'entri parlare di Eratostene o Ipparco o Aristotele. Solo per far capire di non essere uno sprovveduto (cosa che invece dimostra abbondantemente....)? Per cortesia, chiudiamola qui con Aristotele e compagnia... Le scienze sono molto progredite dall'epoca e si deve parlare di ricerche attuali!

È inesatto dire che a parlare del “tempo profondo” siano stati per primi gli evoluzionisti (che io intenderei come biologi, zoologi, naturalisti etc etc non considerando evoluzionisti chimici, astronomi, fisici, geologi in quanto non si occupano direttamente di evoluzione nei loro studi): biologi e naturalisti hanno approfittato delle scoperte di altri scienziati (appunto essenzialmente geologi e astronomi) i quali hanno potuto stabilire (INEQUIVOCABILMENTE E CON PROVE CERTE CHE SOLO VOI OBNUBILATI DALLA RELIGIONE NON CONSIDERATE TALI!), che i tempi sono molto più dilatati rispetto a quelli biblici. È semplicemente insultante per chi studia sul campo, fa analisi di ogni ordine e grado, studia la bibliografia – insomma per chi fa ricerca – sentirsi smentire da gente che si permette di giudicare gli altri avendo come base un libro sacro di 3000 anni fa e si vede benissimo che manco ha le basi geologiche o biologiche per farlo.

La cosa più bella comunque è che secondo il nostro anonimo interlocutore la Bibbia conferma l'esistenza della Pangea. E qui casca l'asino diverse volte, fino a rompersi le ossa.
Annoto che i creazionisti (o, come spesso preferiscono chiamarsi) gli antievoluzionisti, ci confermano che l'Oceano Atlantico prima non esisteva e si è aperto dopo la creazione del mondo e ne attribuiscono la colpa al diluvio universale.
Onestamente mi sono dimenticato di chiedere se il diluvio abbia spostato l'America oppure sia stato solo una questione di erosione che ha asportato un pezzo di crosta terrestre, dividendo i due continenti. Mi sfuggono comunque le motivazioni geofisiche di come sia potuto avvenire. Attendo una risposta. Ulteriori considerazioni:
- hanno delle prove su quale sia stato l'andamento della velocità di separazione?
- perchè le velocità attuali e le isocrone della crosta sono coerenti con una apertura avvenuta 110 milioni di anni fa a partire dalla parte meridionale, con quella centrale già apertasi precedentemente come braccio centrale della Tetide?
- né d'altro canto a questa maniera mi possono spiegare le isocrone della crosta oceanica allineate lungo le dorsali senza soluzione di continuità fra quella atlantica e quelle pacifiche e indiane? (ah,, già... la Terra ha poche migliaia di anni quindi questa è l'ennesima invenzione della scienza al servizio di quei manfani degli evoluzionisti).

Veniamo a questo Padre Placet, sconosciuto ai più (e anche a me fino a ieri). Ho guardato un po' in giro e le cose stanno come avevo immaginato: aveva ripreso le osservazioni di Sir Francis Bacon che aveva visto il parallelismo fra le coste americane e quelle dell'altra sponda dell'Atlantico, suggerendo appunto il distacco delle masse continentali che bordano l'oceano. Da qui il teologo ha dedotto l'esistenza della Pangea su basi bibliche.
Purtroppo , le cose non stanno così in quanto:
- la Pangea si è formata grazie allo scontro fra diverse placche contenenti crosta oceanica una volta separate fra di loro, quindi non è il “continente primordiale”
- c'era già stato un altro supercontinente in tempi precedenti, la Rodinia, a sua volta frutto dell'unione di diverse placche precedentemente separate e successivamente smembrate. Di più: Rodinia e Pangea non sono stati i soli: c'è proprio sulla Terra una ciclica formazione e distruzione dei supercontinenti, il cosiddetto ciclo di Wilson
- anche durante l'epoca della Pangea, c'erano delle terre emerse isolate: inquadrate in sistemi arco – fossa in aree di scontro fra placche o ghirlande di isole negli oceani, originate dal passaggio della crosta sopra un punto caldo come quelle attuali della micronesia
- a sud della Siberia c'erano addirittura due placche con crosta continentale isolate dalla Pangea

Quanto alla questione su Wegener e la accettazione della “deriva dei continenti”, la cosa è stata molto lunga e complessa per diversi motivi: un anno fa raccontai come sono andate le cose nel post ”da Wegener a Wilson: dalla deriva dei continenti alla tettonica a zolle”. Prima di aprire la bocca facendo affermazioni del genere “la terra unica era conosciuta sulla base di testi religiosi e i geologi – sporchi atei (compresi quelli credenti e ce n'erano tanti!) – non lo volevano accettare" credo sia meglio per l'anonimo documentarsi meglio, magari leggendo un testo di storia della scienza.
Quindi anche in questo caso la Bibbia sbaglia. Punto e basta. Anonimo e oltranzisti religiosi in genere bocciati in Geologia ancora una volta.

Venendo ad altro, tralascio la questione dell'eventuale Big Bang, perchè io, al contrario dell'anonimo, non voglio parlare di cose di cui capisco poco.
Dopodichè la paura del giudizio di Dio immagino sia più per i credenti, che suppongono di arrivarci, piuttostochè degli atei.

Qui c'è effettivamente un punto importante: chi stabilisce chi ha ragione e chi ha torto nelle diatribe scientifiche? È chiaro che il mondo scientifico non può essere governato dalla “democrazia” (anche se quando un'idea è condivisa da quasi tutti gli esperti del settore per metterla in discussione ci vogliono delle grosse motivazioni (ed è stato il caso – appunto – sia dell'evoluzione che dei movimenti dei continenti: partiti da idee esattamente opposte, queste hanno rapidamente conquistato il mondo scientifico appena sono diventate non solo evidenti ma anche difficilmente contrastabili sulla base delle conoscenze SCIENTIFICHE e non religiose.
Quanto alle aule di scienza, non vedo, avendone frequentate un bel po', dove durante un corso di scienza si possa / si debba parlare di religione e/o di ateismo. Se l'anonimo si riferisce a corsi di biologia o paleontologia in cui non si parla della creazione, beh, piaccia o non piaccia a lui e agli altri accoliti del creazionismo, non vedo perchè durante tali corsi si debba parlare di tali credenze in un campo dove il rigoroso studio dei fatti ha dato risultati completamente opposti. Si fa Scienza, non filosofia come invece è convinto l'anonimo interlocutore, che invece è lui sì a fare tanti discorsi a vanvera!

Il quale, rifiutando l'evidenza, dimostra che l'oscurantismo, ebbene sì, è quello religioso o meglio, di una piccola parte di religiosi come l'anonimo, che rifiuta sistematicamente la Scienza in favore di un libro che parla della concezione dell'universo di pastori nomadi mediorientali di 3000 anni fa.
Sull dialogo, io la mia parte l'ho fatta e la sto facendo. Ma mi rendo conto che a ragionare con gli antievoluzionisti si perde tempo, con voi a cavillare su piccole frasi – spesso decontestualizzate – ma al di là di tutti i vostri roboanti discorsi, mentre l'evoluzione trova sempre nuove conferme, il creazionismo non è riuscito a tirare fuori neanche uno straccio di teoria alternativa, se non dire che:
- 50 metri di tufi depositatisi in una singola eruzione dimostrano che la sedimentazione è più rapida di quello che pensano gli scienziati (e non solo gli evoluzionisti in senso stretto), il tutto ovviamente ignorando le diverssissime modalità in cui i sedimenti si possono depositare (50 metri di calcari micritici diu piattaforma deposti in poche ore??? ma via...)
- l'oceano Atlantico si è aperto durante il diluvio universale
- Dio ha creato gli archetipi degli animali a livello delle famiglie linneiane (perchè proprio a livello delle famiglie... mah... come se questo termine avesse oggi, con la cladistica, un senso) e poi c'è stata una evoluzione (una speciazione) a causa di una non meglio identificata "perdita di informazioni del DNA", da qualcuno specificatamente attribuita al “peccato originale”. 

Cioè i creazionisti hanno sempre dovuto almeno adeguarsi – sia pure obtorto collo – a quanto non possa non essere toccato con mano: i movimenti dei continenti, la presenza di molecole organiche nello spazio, il fatto che ci siano animali molto simili fra loro e che bene o male le forme di vita cambiano di continuo evolvendosi. Alla fine nell'impossibilità di contrastare l'evoluzionismo  qualcuno di loro ha partorito, sconfitto, l'Intelligent Design. Ditemi voi se questo non è oscurantismo...... ah, forse è ancora peggio, ma è meglio non scriverlo... non vorrei essere volgare

domenica 6 febbraio 2011

Il Tyrannosaurus rex: predatore attivo o mangiatore di carogne?

Questa è sicuramente una delle più divertenti polemiche della paleontologia: il Tyrannosaurus rex era un predatore attivo o si nutriva di carogne? Era un mostro che sceglieva o attaccava le sue vittime oppure un opportunista che mangiava quello che trovava? 

Nell'impossibilità di vedere dal vivo il suo comportamento i ricercatori si sono divisi nei due schieramenti (senza considerare che, comunque, sarebbero possibili entrambi i comportamenti, come fanno per esempio oggi leoni e iene, i quali se trovano per esempio un leopardo o un ghepardo con una preda in bocca se possono non gliela lasciano di sicuro!).
In questi anni non sono mancati gli articoli sull'argomento, con le idee sviluppate in base ad intuizioni ricavate da indizi come i vecchi paleontologi alla “tenente Colombo”, sia con studi “modello CSI”: indagini che si basano su sofisticati modelli matematici dell'animale in cui si stimano massa muscolare, velocità e quant'altro. 

Come per la questione “estinzione della fine del Cretaceo”, mi ricordo di un numero di Le Scienze di qualche anno fa in cui si parlava proprio di questo, con due articoli, in cui in uno si sosteneva la tesi “cacciatore attivo”, mentre nell'altro la tesi era "Tyrannosaurus rex, unospazzino”.
Fondamentalmente all'epoca sono rimasto più convinto dell'ipotesi “predatore attivo” da un indizio che reputo “abbastanza decisivo”: le ossa di adrosauri mostrano tracce di morsi da parte di tirannosauri, mentre quelle dei cornuti (e probabilmente aggressivi almeno mentre si difendono) triceratopi no.
Se fosse stato un semplice mangiatore di carogne non capisco come sarebbe possibile che i cadaveri di adrosauri gli piacessero di più di quelli dei triceratopi. È quindi probabile che i tirannosauri preferissero come preda più i placidi adrosauri che i triceratopi, la cui testa corazzata e cornuta poteva rappresentare un'arma di difesa importante (e comunque erano anche piuttosto pesantini, sicuramente più dei loro parenti bipedi dal muso schiacciato). 

In questi giorni è uscito un lavoro piuttosto interessante sull'argomento, che fa pendere ancora di più la bilancia sul ruolo di predatore attivo del grande carnivoro, ad opera di Chris Carbone, Samuel T. Turvey and Jon Bielby , sulla nota rivista Proceedings of the Royal Society B.
Una prima considerazione è che nella fattispecie parliamo esclusivamente di Tyrannosaurus rex, la cui massa da adulto era superiore alle 5 tonnellate e non di altri tirannosauridi più piccoli quali Albertasaurus che arrivavano al massimo alla tonnellata di peso.
Questi Autori prendono in considerazione l'ambiente di vita del Tirannosauro nel Nordamerica, notando come almeno il 50% degli erbivori erano piccole creature del peso compreso tra 55 e 85 kg. Su questo bisogna fare alcune considerazioni:
- anche se esistevano alcuni grandi animali come sauropodi, adrosauri, ceratopsidi etc etc, una buona parte della biomassa non era composta da organismi di grandi dimensioni ma da animali di dimensioni inferiori a quelle di molti mammiferi pleistocenici (la diffusione dell'uomo ha diminuito o distrutto la maggior parte di questi grandi mammiferi per cui bisogna riferirsi per il confronto a qualche migliaio di anni fa),
- il confronto con territori tropicali o subtropicali attuali meno densamente popolati dall'uomo come l'Africa ci danno un quadro simile
- bisogna ricordare che c'erano diversi animali molto piccoli, fra i quali mammiferi (generalmente insettivori ed erbivori) e non solo placentati, anche marsupiali e multitubercolati
- esistevano all'epoca molti teropodi di piccole dimensioni (cito per esempio i dromeosauridi, difficilmente alti più di 2 metri e dal peso inferiore ai 50 kg)
è evidente che – comunque – in mancanza di iene, avvoltoi e quant'altro qualcuno dovesse svolgere per forza il ruolo di mangiatore di carogne
- non è detto che per forza una specie debba essere sempre predatore o sempre spazzino: sono noti comportamenti misti
- un'altro particolare di non trascurabile importanza è che un predatore attivo ed un mangiatore di carogne non presentano grandi diversità anatomiche e funzionali, a partire da forma dei denti, odorato etc etc

Ora veniamo ai tirannosauri. Perchè è stata avanzata l'ipotesi che si nutrissero di carogne? Principalmente perchè le loro zampe anteriori erano molto ridotte. Quanto alla vista sembra che non fosse tanto precisa, ma sicuramente avevano una visione binoculare. Sono argomenti a parer mio molto deboli:
- l'odorato e il morso particolarmente efficaci non mi pare possano essere per forza indizi di un comportamento piuttostchè di un altro: l'odorato può servire per sentire da lontano una carogna, ma anche per fiutare una preda e i denti potenti possono servire sia per azzannare una preda viva che per poi nutrirsene, a prescindere da chi l'ha fatta fuori, se il soggetto che se ne nutre o no.
- in quanto alle piccole zampe anteriori, ricordo come i Diatrymiformi del Paleocene e le Phorusrhacidae, i famosi “uccelli del terrore” non avessero bisogno delle zampe per comportarsi da efficienti carnivori.

La novità del lavoro di Carbone &c è che fino ad oggi erano state considerate e calcolate le caratteristiche anatomiche dei tirannosauri ma non erano stati compiuti studi sull'ecologia dell'epoca in rapporto ai nostri bestioni e quindi quanti e quali potessero essere i loro eventuali competitori nel settore “animali spazzini”

Dunque, all'epoca c'erano 4 classi dimensionali di dinosauri carnivori, in peso:
- tra 15 e 25 kg: dromeosauridi e celurosauridi (per alcuni dei quali forti indizi indicano la predisposizione alla attività di mangiare carogne)
- tra 50 e 70 kg: troodontidi e caenagnathidae (maniraptoridi)
- sulla tonnellata: tirannosauridi di “piccole” dimensioni come albertasaurus
- sulle 5 tonnellate: tirannosaurus rex

Vediamo quindi quali erano i potenziali fornitori di carne: tralasciando i mammiferi, troppo piccoli per influire nella dieta di animali molto grossi, c'erano dinosauri erbivori di varie dimensioni, anche in questo caso raggruppabili in varie classi: 
- al vertice grossi sauropodi e dinosauri cornuti. I primi probabilmente erano un po' come elefanti, rinoceronti ed ippopotami attuali: troppo grandi per essere cacciati (ed anche nei ceratopsidi dotati di buone armi di difesa) ma nel contempo troppo pochi per essere una dieta utile quando defunti
- oltre l'80% della biomassa era composta da forme la cui massa non era superiore ai 60 kg
- vi erano poi un certo numero di elementi intermedi, fra i 100 e i 500 kg, più animali della classe dimensionale degli adrosauri e altri  iguanodontidi

Uno “spazzino” specializzato ha bisogno di alcune caratteristiche particolari:
- una elevata mobilità che però deve accompagnarsi ad un basso costo energetico
- la capacità di capire dove c'è una carcassa
- la capacità di arrivare velocemente nel luogo

Il “successo” degli animali spazzini sta nel loro numero: per nutrirsi di carogne bisogna essere i primi ad arrivarci e gli Autori hanno calcolato che per i tirannosauri non era molto semplice arrivare “primi”: la caratteristica fondamentale è quella di essere un camminatore instancabile e vediamo che camminare per 18 km al giorno significava “coprire” circa 3 km quadrati. In questo modo ci volevano una media di 6 giorni per trovare una carcassa di 75 kg e ben 55 per trovarne una di 700.

Questo valore lo calcolano ipotizzando di avere la potenzialità di “vedere” un cadavere a una distanza massima di 80 metri. Da questo gli Autori deducono che il Tyrannosaurus rex doveva per forza essere un predatore attivo: i piccoli teropodi erano molti di più pertanto arrivavano prima sulle carcasse. Non sfugge inoltre che questi valoro siano abbastanza compatibili per l'alimentazione appunto di un carnivoro di piccole dimensioni ma a questo modo un animale di oltre 5 tonnellate difficilmente poteva sopravvivere.

Onestamente il valore di 80 metri mi sembra un po' troppo basso per uno spazzino specializzato, ma anche raddoppiandola si arriva a 3 e 22 giorni, che sono obbiettivamente ancora numeri “da fame”.
Quindi per poter essere uno “spazzino” avrebbe dovuto avere un raggio di azione molto maggiore, cosa che non traspare dalle caratteristiche anatomiche.

martedì 1 febbraio 2011

La subsidenza naturale delle pianure e i problemi che comporta lungo le coste

Una caratteristica fondamentale delle serie sedimentarie è lo spessore molto elevato, per cui il basamento roccioso su cui poggiano quelle attuali è di norma abbondantemente ben al di sotto del livello del mare: per esempio nella pianura padana ci sono migliaia di metri di sedimenti marini depositati negli ultimi 10 milioni di anni (la sezione qui a fianco è del versante emiliano  nella zona di contatto fra la pianura e i monti). Dall'altra parte degli Appennini lo spessore dei sedimenti recenti in Toscana Settentrionale è spesso superiore ai 2 km: se noi togliessimo tutto quello che si è depositato negli ultimi 5 milioni di anni tra Empoli, Montecatini e la costa ci sarebbe teoricamente un mare molto profondo. In realtà le cose stanno diversamente: la superficie del basamento roccioso ricoperta dai depositi marini si trova molto al di sotto di dove era quando si sono deposti i primi sedimenti. Si è quindi abbassata di parecchie migliaia di metri, come è successo al di sotto della pianura padana per colpa di un fenomeno detto “subsidenza”. 

La subsidenza è una caratteristica molto importante e comune della maggior parte delle zone pianeggianti in cui si depositano sedimenti ed è particolarmente difficile da gestire nelle aree vicine al mare. Consiste in un lento e progressivo abbassamento del terreno, normalmente compensato dall'afflusso di sedimenti (se non ci fosse stato un afflusso di sedimenti non si  sarebbe formata una pianura alluvionale e l'area sarebbe finita sotto il livello del mare).
Ci sono due tipi di subsidenza naturale che normalmente coesistono:
- nella subsidenza tettonica un'area si abbassa per cause tettoniche
- nella subsidenza da carico la crosta si abbassa a causa del peso di ciò che vi si accumula al di sopra
Facilmente si comprende come un'area di subsidenza tettonica possa diventare un importante bacino di sedimentazione per cui le due componenti si sommano (e normalmente è una subsidenza tettonica che consente l'inizio della sedimentazione in una certa area).

Il basamento roccioso sotto la Pianura Padana e sotto la Toscana Centrale si è abbassato molto a causa del carico rappresentato dal peso dei sedimenti che vi si sono depositati sopra. Un fenomeno esattamente contrario lo vediamo oggi in Scandinavia: tutta l'area si sta sollevando a causa della perdita avvenuta 11.000 anni fa della calotta glaciale. Ovviamente quando i ghiacci si depositarono, tutta l'area subì uno sprofondamento.
Oltre alla compattazione dei sedimenti dovuta al peso di quelli che vi si depositano via via al di sopra, la subsidenza è dovuta al “galleggiamento” della crosta terrestre sul mantello superiore, che a larga scala ha un comportamento plastico. Praticamente la crosta è come una nave che naviga sul mantello, più la carichi più la linea di galleggiamento si innalza verso il ponte. Il fenomeno è stato denominato “isostasia” già nel XIX secolo.

I prelievi idrici a vari scopi provocano un ulteriore abbassamento in quanto l'acqua occupa i pori del terreno e non è comprimibile. Toglierla vuole dire compattare il terreno, che quindi si abbassa. È un problema gravissimo e lo confermano dei dati molto curiosi: nelle aree in cui le falde acquifere sono intensamente sfruttate dalle industrie, il livello della curva piezometrica (la superficie della falda) mostra una correlazione con il lavoro nelle aziende: si innalza durante le ferie ed i fine settimana. Questa componente è spesso più forte rispetto a quella stagionale, in cui la falda si innalza in periodi piovosi e si abbassa durante le stagioni secche. Prendendo l'esempio di Prato, città in cui le tintorie di tessuti una volta erano numerosissime e non c'era nessuna forma di riciclaggio del quantitativo imponente di acqua che consumavano, il livello massimo della falda veniva toccato alla fine di agosto, quando in assenza di influenze antropiche quel periodo dovrebbe corrispondere al livello minimo annuale!

In una zona lontana dal mare la subsidenza naturale non presenta in generale conseguenze particolari, se non in casi molto localizzati in cui un forte prelievo idrico (che può essere voluto ma anche fortuito), abbassa in maniera molto veloce il terreno e si ripercuote anche pesantemente sulla stabilità degli edifici vicini. Invece la subsidenza delle regioni costiere può essere un grosso problema: è intuitivo che con il suo abbassamento il suolo rischia di finire sotto il livello del mare, ma c'è un altro problema un po' meno conosciuto che può presentare dei risvolti molto impattanti sull'uomo e sull'ambiente: la possibilità dell'ingresso di acque marine nelle falde acquifere che sostituiscono (o si mescolano con) le acque dolci. In questo modo non solo si compromette l'uso irriguo, idropotabile ed industriale della falda, ma è noto che acque salate possono provocare, se succhiate dalle radici, la morte degli alberi e delle altre forme di vita vegetale (non tutte le piante possono vivere come le mangrovie in acque ad elevata salinità!). 

Oggi la situazione delle aree costiere è ancora più difficile rispetto a prima dell'arrivo dell'Uomo in quanto:
- i fiumi in natura, come scrissi in questo post, erano liberi di divagare  e distribuire i sedimenti nella piana. Oggi sono stretti dentro argini da cui non possono divagare (tranne in casi eccezionali) e non distribuiscono più il loro contenuto solido. Questo fattore è molto importante: se la pianura è, come normalmente accade, in subsidenza i casi sono due: o l'apporto sedimentario delle alluvioni compensa l'abbassamento o prima o poi tutto finisce sotto il livello marino. E se i fiumi non tracimano di sedimento nella piana non se ne può accumulare. Vediamo per esempio questo disegno in cui si vede come un fiume cambia di continuo il suo percorso. Naturalmente durante le piene un fiume come quello, tracimando, distribuisce i sedimenti che trasporta lungo tutta la pianura, fino a dove arrivano le sue acque
- lo sfruttamento eccessivo delle falde acquifere che incrementa il tasso di subsidenza e comporta un aumento del rischio di ingressione di acque marine nel sottosuolo
- un altro contributo molto notevole alla subsidenza è dovuto alla estrazione di gas e di petrolio, ove questi giacimenti sono presenti. L'effetto è lo stesso delle falde acquifere
- negli ultimi anni bisogna pure tenere conto dell'innalzamento del livello  dei mari

Sulle capacità di un fiume di modificare il suo corso vediamo in questa immagine molto significativa la ricostruzione di due vecchi percorsi dell'Arno nella zona di Navacchio, tra Pontedera e Pisa: in alto il fiume come è adesso, un vecchio percorso medievale è attestato da una linea bianca che è una strada che ne seguiva il percorso mentre i punti rossi sono stati ricavati dalla toponomastica e rappresentano il probabile andamento del fiume circa 2.000 anni fa.
Se poi osserviamo il confine emiliano lungo il Po si evidenzia che fu stabilito quando il corso del fiume era molto diverso da quello attuale. I progressivi spostamenti dei fiumi distribuiscono quindi i sedimenti lungo tutta la pianura e tendono a mantenerla allo stesso livello. 

Quindi la gestione delle pianure costiere è diventata un affare molto delicato e si capisce come vada trattato con una certa attenzione speialmente lo sfruttamento delle risorse idriche.
Un esempio importante viene dal Texas, dalla zona tra Galveston e Baytown, dove dal 1906 l'abbassamento del suolo è arrivato in alcuni punti al valore di 3 metri, piuttosto elevato per una pianura costiera.
In questo caso, molto responsabilmente, le Autorità hanno dato vita ad un importante progetto di “comunicazione istituzionale” per spiegare a tutti cosa sia la subsidenza, perchè avviene e come fare per limitarne i danni. Il sito evidenzia la componente antropica di questo fenomeno, molto marcato a partire dagli anni '40 del XX secolo in aree caratterizzate da sviluppo industriale e attività petrolchimica (presumo anche tramite estrazione di gas e petrolio) e ricorda come la comunità di Brownwood, sobborgo della città di Baytown ha dovuto abbandonare il sito in quanto a causa della subsidenza il terreno era costantemente alluvionato.