martedì 11 agosto 2009

Una serata sismicamente agitata in oriente: un falso allarme tsunami e uno tsunami non previsto

Ieri sera c'è stato un giallo a proposito di uno tsunami e c'è qualcosa che mi sfugge: ci si aspettava uno tsunami per un terremoto nell'Oceano Indiano e poi ne è venuto uno in Giappone.
Riassumo i fatti.

Alle 19.55 GMT di ieri sera un terremoto di rispettabili dimensioni colpisce la zona a nord delle isole Andamane. La Magnitudo è 7.6 e quindi l'allarme tsunami, oltre ad essere generato in automatico, era più che fondato, anche se le dimensioni delle onde teoricamente non avrebbero dovuto essere comparabili con il grande tsunami del 2004.
Passano appena 12 minuti e una scossa di M= 6.4 colpisce il mare del Giappone. Anzi i dati corretti pongono l'epicentro proprio sulla costa, poco a nord della scossa di 7.1 avvertita il giorno prima ma che, posta a più di 300 km di profondità, era passata abbastanza sotto silenzio. Anche qui ovviamente “parte” in automatico l'allarme tsunami. La mappa dello scuotimento, però, non dava niente di particolarmente allarmante. Tutt'altro.

Quindi gli occhi di tutti erano puntati sull'Oceano Indiano. La preoccupazione aumenta quando la NOAA, l'agenzia americana per gli oceani e l'atmosfera, diffonde un comunicato, all'incirca alle 22.35 in cui si legge che “sea level readings indicate that a tsunami was generated” specificando che il fenomeno “potrebbe essere distruttivo lungo le coste vicine all'epicentro del terremoto” L'allarme, oltre per le isole Andamane e le coste indiane, birmane, thailandesi ed indonesiane era stato esteso anche allo SriLanka.
Nel frattempo, a proposito del sisma giapponese la NOAA avverte che "non esiste un reale pericolo di uno tsunami distruttivo a grande scala", precisando comunque che "comunque è possibile che un terremoto di questa grandezza possa talvolta generare uno tsunami locale" con effetti distruttivi su coste nel raggio di 100 kilometri dall'epicentro. (La NOAA si esprime in lunghezze SI e non americane!! e pertanto "le autorità locali devono tenere conto di questo con azieni appropriate".

Successivamente arrivano notizie che il mare si era ritirato di oltre un metro e mezzo, ma non era chiaro dove fosse avvenuto tutto questo. Voci incontrollate o notizie molto frammentarie, dovute molto probabilmente al fatto che era notte? Il dubbio c'era e quindi io ed i miei amici sul canale dei terremoti eravamo piuttosto preoccupati.
Nel frattempo si motiplicavano le voci su problemi in Giappone, da dove giungono delle foto in cui si vede un'onda anomala.
Supponiamo che siano immagini di repertorio (il modellino di treno pubblicato da Repubblica indicandolo come il treno deragliato a Vernio a metà giugno scorso è al proposito una referenza ineccepiblie....).

Dopo la mezzanotte italiana, visto che ormai sulla base dei tempi previsti le eventuali onde anomale dovevano già essere arrivate su alcune coste ma in realtà nei punti indicati non era successo niente, la NOAA ha chiuso l'allarme per l'Oceano Indiano.
Non si capisce a questo punto cosa sia successo e soprattutto come abbia fatto la NOAA a dare una notizia di tsunami in atto quando non era vero. Chi avrebbe visto i segnali delle onde anomale e perchè l'osservazione era sbagliata.

Vado a dormire (il trekking sotto il sole della costa della Corsica mi aveva un po' stancato...) ma stamattina riapro il PC e leggo che c'è stato uno tsunami in Giappone.
Come conferma la NOAA, onde fino a 60 centimetri hanno colpito la città di Omaezeki. Il sisma avrebbe anche provocato un morto. E ho anche la certezza che le notizie sul ritiro del mare erano riferite al Giappone e non all'Oceano Indiano.

A questo punto sorgono alcune riflessioni. Innanzitutto il lavoro della NOAA: gli americani potrebbero aver confuso le cose e cioè aver associato le onde anomale al forte terremoto delle Andamane piuttostochè a quello del Giappone, vista la forza molto maggiore del primo?
Poi ho dei dubbi anche sulle cause dello tsunami giapponese.

Nella foto si vede il porto di Omaezaki, mentre il pallino blu è l'epicentro del terremoto. Ci sono alcune cose che non tornano: a che ora si è abbattuto sulla città giapponese? Il terremoto è avvenuto alle 20.07GMT, cioè alle 22.07 italiane. Le prime foto dell'onda arrivano in Italia un paio d'ore dopo la scossa. Supponendo che le immagini a La Repubblica e al Corriere della Sera siano arrivate abbastanza alla svelta, a che ora effettivamente sono state scattate? Le ultime notizie parlano delle 22.46 italiane, quindi circa 40 minuti dopo la scossa. Tutto sommato era passata non più di un'ora e mezzo, più o meno il lasso di tempo a cui avevo pensato.

Mi domando questo perchè mi sembra strano che un terremoto così debole possa aver causato direttamente uno tsunami di 60 centimetri, anche se rilevato nella zona dell'epicentro e perchè l'onda sia arrivata dopo circa 40 minuti, un tempo per me un po' troppo lungo. In più dalle immagini satellitari il porto do Omaezaki è nella baia nella quale c'è effettivamente l'epicentro, che è a meno di 10 kilometri dal porto.
Pertanto mi chiedo se sia possibile che l'onda anomala sia stata un effetto collaterale di una frana sottomarina causata dal sisma, come è stato ipotizzato per lo tsunami di Messina del 1908.

lunedì 10 agosto 2009

Le prime precisazioni sull'impatto su Giove dello scorso luglio


Arrivano finalmente le prime precisazioni intorno all'oggetto che il 19 luglio ha colpito Giove.
Il giorno dopo la scoperta fatta dall'astronomo dilettante australiano Anthony Wesley, gli astronomi del JPL Glenn Orton and Leigh Fletcher, hanno osservato il pianeta con il telescopio da 3 metri posto sulla vetta del Mauna-Kea, nelle Hawaai e hanno notato sopra alle nubi che ricoprono il pianeta una nube di detriti, piuttosto grande, all'incirca delle dimensioni di Marte.
La nube indica chiaramente che l'oggetto è esploso nell'atmosfera superiore di Giove, prima di toccare le nuvole, e quindi il "buco" sulla copertura nuvolosa - ribattezzato "macchia di Wesley" - è stato provocato dall'impatto di un insieme di detriti più o meno grandi che si erano un pò sparsi. Questo ne spiega le dimensioni piuttosto grandi rispetto a quelle supposte dell'oggetto. La cicatrice durerà parecchio tempo, almeno qualche settimana. C'è anche la possibilità che si siano formati degli aerosol.
Per questo, anche il telescopio spaziale Hubble è stato orientato verso Giove, nonostante fosssro in corso delle operazioni di manutenzione: l'avvenimento era troppo importante e ha provocato una "rivoluzione" nell'agenda della più che longeva e fortunata missione spaziale.

C'è anche la conferma che nessuno nei giorni precedenti aveva ancora fotografato l'autore del botto, visto che non è stato trovato in nessuna delle immagini scattate nei giorni precedenti, immagini che sono state tutte attentamente scandagliate. Quindi è praticamente venuto dal nulla. Un fatto normale per un oggetto di poche centinaia di metri di lunghezza a quella distanza dalla Terra, ma piuttosto pericoloso se anziché provocarne la caduta sul pianeta la forza gravitazionale di Giove lo avesse spedito verso l'interno del Sistema Solare.
Resta il dubbio se fosse una cometa o un asteroide. Per fortuna c'è quella nube di detriti nell'atmosfera gioviana sopra la copertura nuvolosa. Gli scienziati sperano di ricavarne l'analisi, in particolare cercheranno di capire se vi è contenuta acqua. Nel caso la soluzione “cometa” diventa altamente probabile: un corpo proveniente dall'esterno del Sistema Solare la cui traiettoria, avvicinandosi al centro del sistema. lo ha portato nel campo gravitazionale di Giove, da cui non è riuscito ad uscire.

mercoledì 5 agosto 2009

La nuova classificazione dei Mammiferi Placentati su basi genetiche: conferme e sorprese

Come la Gallia tutti i mammiferi si possono dividere “in partes tres”: placentati, marsupiali e monotremi. Le differenze fra i tre taxa sono notevoli e vanno molto al di là del sistema riproduttivo,come è lecito aspettarsi da linee che si sono separate almeno 130 milioni di anni fa. Difatti non è solo la placenta a fare il placentato: gli animali appartenenti a questo gruppo condividono delle caratteristiche tipiche ed esclusive, come un certo stile nelle ossa del cranio, la presenza di 7 vertebre cervicali, i due treni di denti, uno giovanile e uno definitivo al posto di un loro continuo ricambio come nei marsupiali e negli altri vertebrati e altre.

In una recente pubblicazione sulla rivista “Trends in ecology and evolution”, Springer, Stanhope Madesen e de Jong hanno riassunto un po' tutte le scoperte della biologia molecolare e quindi ci hanno fornito lo “stato dell'arte” della ricerca in materia.
La classificazione dei mammiferi placentati è un argomento piuttosto discusso. Il problema fondamentale è che non ci sono molti fossili del cretaceo superiore, il periodo cruciale per la loro evoluzione. E' comunque accertato che l'estinzione di massa della fine del cretaceo, in cui scomparvero i dinosauri e molti altri gruppi, è stata una importante occasione di “crescita” per questi animali, anche se si erano in parte già differenziati: ad esempio i dati molecolari mostrano che gli Xenartri, gli unici placentati rimasti fra quelli originari del Sudamerica, si sono separati dai placentati africani circa 100 milioni di anni fa, data coerente con l'apertura dell'Oceano Atlantico meridionale.

Nei 70 milioni di anni del cretaceo, in piena età dei dinosauri, i mammiferi stavano esplorando parecchie soluzioni: le rocce dell'epoca ci hanno restituito fossili spesso non inquadrabili nelle divisioni attualmente esistenti (fra cui addirittura un volatore!). Purtroppo siccome sono conservate solo le parti dure (e soprattutto i denti) è difficile ricavare dai fossili il sistema riproduttivo. La maggioranza di queste forme comunque sono state considerate più vicine ai placentati che ai marsupiali, tant'è che sono state classificate fra gli euteri. I placentati alla fine sono usciti vincitori della competizione: tranne nei continenti che sono rimasti isolati hanno soppiantato marsupiali, monotremi e tutti gli altri euteri.
Un'altra grande difficoltà nella classificazione morfologica è data dai comunissimi fenomeni di evoluzione convergente: basta pensare come i marsupiali abbiano dato vita a forme molto simili a quelle dei placentati (il koala assomiglia ai lemuri, il vombato ai ratti volanti, il tilacino al lupo – solo i canguri sono tipici ed esclusivi e ci sono persino delle tigri dai denti a sciabola marsupiali), e come in Sudamerica Xenartri, Litoptermi e Notoungulati abbiano dato origine a forme simili a cavalli, cammelli, elefanti, topi, antilopi etc etc.
La biologia molecolare è riuscita in parte a colmare le lacune nelle testimonianze fossili e anche a smembrare in gruppi diversi alcune specie credute imparentate su basi morfologiche, come nel caso dei cosiddetti insettivori. Comunque ha anche un po' alterato il quadro delle parentele che era stato ricavato in base all'analisi morfologica delle forme fossili e di quelle attualmente viventi.

Nella figura, ripresa dall'articolo citato, vediamo sia la vecchia che la nuova classificazione. La classificazione su basi anatomiche e paleontologiche raggruppa i mammiferi in xenarthri, ungulati (a cui appartengono oltre ad artiodattili e perissodattili proboscidati e affini e un po' da lontano anche i carnivori) e nei gruppi fratelli arconti (primati e pipistrelli) e gliri (roditori e lagomorfi.
Ovviamente per il confronto fra i vari genomi, sia attraverso il DNA che attraverso alcune proteine non ci possiamo accontentare della sostituzione di una base, cosa che può avvenire indipendentemente in qualsiasi gene. E' il caso per esempio della visione degli uccelli: la sostituzione di una adenina con una timina fa sì che l'uccello veda nell'ultravioletto anziché nel violetto. Bastando solo il cambio di una base le possibilità che avvenga indipendentemente in varie specie è possibile ed infatti sono molti gli uccelli che hanno questa caratteristica, senza essere più imparentati fra di loro che con altri che vedono regolarmente. La classificazione su base genetica ha bisogno di trovare degli “RGC”, rare genomic changes, ripetizioni o delezioni di una parte consistente della sequenza di un gene o di una proteina, fenomeni che è praticamente impossibile che avvengano più volte con le stesse modalità.
Gli RGC quindi sono alla base della classificazione delle specie da un punto di vista genetico. Vediamo alcuni esempi.

Piuttosto netto è il caso della delezione di 18 basi nella sequenza della proteina SCA1, una caratteristica genetica molto importante condivisa solo da un gruppo di ordini che già erano legati nella classificazione precedente: primati, roditori, lagomorfi e lemuri. Per questo vengono tutti quanti inseriti negli “Arcontoglires”. La sorpresa principale è l'esclusione da questo raggruppamento dei pipistrelli, notoriamente considerati vicini ai primati. Questo grande gruppo infatti non presenta questa RGC ed è stato inserito assieme a cetartiodattili, carnivori, artiodattili e perissodattili fra i Laurasiateri, con cui condividono altre caratteristiche genomiche. Pertanto le somiglianze fra lemuri e ratti volanti da una parte e pipistrelli dall'altra vengono quindi spiegate come una convergenza evolutiva. Fra l'altro questo spostamento risolve un grosso enigma: la mancanza nei pipistrelli della tipica struttura delle anche di tutti gli altri “arcontes”, un adattamento alla vita arboricola.

Proboscidati, Sirenidi, Iracidi, di cui rimane fissata la stretta parentela, e altri gruppi di piccoli mammiferi condividono invece la delezione di 9 basi del gene BRCA1 e la presenza, nella regione immediatamente adiacente dello stesso gene, di guanina, guanina e citosina quando la stragrande maggioranza dei mammiferi, ha nello stesso luogo, una tripletta di adenina.
Anche questa mutazione è piuttosto antica ed è alla base dell'unione di questi gruppi nei cosiddetti “afroteri”, denominati così perchè, non certo casualmente, tutti questi gruppi hanno una evidente origine comune nel continente nero. Quindi il gruppo dei proboscidati viene spostato da quello degli ungulati (che non esiste più) a questa nuova classificazione, assieme a procavie, insettivori di origine africana e altre piccole specie. Fra parentesi è di questi giorni la scoperta del più antico antenato sicuro degli elefanti, Eritherium azzouzorum, un ungulato di piccole dimensioni ma molto significativo perchè conferma l'origine africana dei proboscidati.

Come nella classificazione morfologica, rimangono isolati gli Xenartri.

E' importante notare che tutte le altre RGC trovate fino ad oggi sono coerenti con il quadro che si va delienando. Si vede poi come la divisione in questi 4 gruppi (o tre se uniamo i Laurasiateri e gli Euarcontogliri nei “Boreoeuteri” – le forme di origine settentrionale), Afroteri in Africa e Xenarthi in Sudamerica alla fine corrisponde ad una rigida divisione paleogeografica cretacea, venuta un po' meno quando i movimenti delle zolle hanno consentito uno scambio prima fra Africa ed Eurasia e poi fra le due Americhe. In entrambi i casi le forme settentrionali si sono rivelate vincenti: solo i Probosciati fra gli Afroteri e qualche Xenartra in America sono riusciti a stabilirsi nelle terre settentrionali.
La scoperta di nuove RGC potrà affinare ulteriormente il quadro, a mano a mano che saranno disponibili sempre nuovi dati con cui si potrà conoscere meglio sia la paleobiogeografia che i rapporti di parentela all'interno dei vari ordini.