lunedì 11 aprile 2011

Contibuto finale di Eugenio Tabet: c'è qualcosa da imparare da Fukushima?


A meno di accadimenti imprevisti, con questo post finisce il ciclo che Eugenio Tabet ha scritto per Atomic Cafè e per Scienzeedintorni. Lo ringrazio tantissimo per la disponibilità e per le notizie che ha scritto con dovizia di particolari e chiarezza. In questo ultimo post ci sono importanti riflessioni sul nucleare in Italia ed in Europa. Personalmente io trovo il nucleare italiano insensato soprattutto da un punto di vista economico e solo secondariamente  da quello ambientale. La tragedia di Fukushima comunque è servita a prendere coscienza meglio del problema anche in Italia, dove comunque continua una campagna di disinformazione ad opera della lobby nucleare.

E’ naturale che gli eventi giapponesi abbiano catalizzato un ragionamento sulle nostre eventuali prospettive nucleari, e, in particolare, sulla localizzazione dei nuovi reattori e sulle garanzie di sicurezza che l’esercente e l’Autorità di controllo potranno offrire ai cittadini del nostro Paese.
La complessità dei problemi è nota a tutti: qui mi limito ad esporre alcuni argomenti sul tema della sicurezza degli impianti e sulla gestibilità, in condizione di incidente, di un insediamento nucleare nel territorio italiano (altri, quali ad esempio quelli di natura economica, esulano dalle mie competenze). Per brevità schematizzerò gli argomenti per punti:

1. E’ possibile un grave incidente (che può perfino trasformarsi in un evento catastrofico) in un reattore nucleare di concezione e fabbricazione occidentale? A questa domanda, a ridosso di Chernobyl si rispondeva in modo negativo, argomentando con l’evidente superiorità dei reattori fabbricati in occidente, in particolare per quanto riguarda i sistemi di contenimento.
Ma già in un Rapporto del Laboratorio di Fisica dell’Istituto Superiore di Sanità (Annali ISS, 23, 2, 1987), pubblicato all’indomani di Chernobyl, si metteva in evidenza, al contrario, che (testuale) “la concezione stessa dei reattori dell’attuale generazione porta all’impossibilità di escludere l’accadimento di incidenti ai quali sia associabile la liberazione nell’ambiente di elevate quantità di elementi radioattivi”. Oggi sappiamo che quelle previsioni erano fondate.

La nuova generazione di centrali, basate su reattori di tipo “evolutivo” (nel nostro Paese dovremmo installare unità EPR da circa 1600 MWe) ha senza dubbio progredito sul terreno della sicurezza, in particolare per i sistemi di emergenza, il contenimento del combustibile, la protezione contro la caduta di un aereo ed altri aspetti ancora. Tuttavia, la possibilità di un grave incidente che, a seguito della fusione del combustibile nucleare, porti all’esterno dell’impianto una frazione ragguardevole dell’inventario radioativo non può ancora essere esclusa, anche se se ne è ridotta la probabilità. Per i lettori con passione per gli aspetti più tecnici segnalo il sito della US Nuclear Regulatory Commission (NRC), http://www.nrc.gov/, all’interno del quale, con una certa pazienza, è reperibile una revisione critica dell’analisi di sicurezza dei reattori EPR.

2. Se un incidente grave dovesse avvenire in un paese con la densità demografica e l’uso intensivo del territorio quale è il nostro, le sue conseguenze, molto probabilmente, non sarebbero fronteggiabili. A mò di esempio, se per puro esercizio mentale si sposta l’incidente di Fukushima (così come si presenta oggi e provocato, semmai, da una diversa causa iniziale, s’intende) sul sito di Caorso (Piacenza), sede di una centrale BWR ormai dismessa, lo scenario che si presenterebbe sarebbe il seguente, seguendo il copione giapponese:

  1. l’evacuazione di Piacenza e Cremona, oltre che di altre località importanti;
  2. la sottrazione dall’uso agricolo (a causa della contaminazione del terreno, e per un tempo non inferiore a molti mesi) di una porzione di territorio non facilmente stimabile a priori ma verosimilmente valutabile almeno sulla scala del centinaio di km quadrati (si rammenti di quale zona agricola stiamo parlando).

[Per brevità si omettono altri aspetti essenziali dello scenario, quali le conseguenze sanitarie dell’esposizione di decine di migliaia di persone alle radiazioni: la valutazione della portata di ciò può effettuarsi con una serie di ipotesi sulla tempestività della dichiarazione di incidente, dell’evacuazione e del riparo al chiuso, della iodioprofilassi etc., e mediante una conoscenza realistica delle condizioni di diffusione atmosferica al momento del rilascio.] Anche strutture statali più solide delle nostre non reggerebbero all’urto di un evento di questa portata.

3. Sull’affidabilità delle istituzioni chiamate in Italia a garantire la più inflessibile obbedienza ai migliori standard di sicurezza nucleare è lecito nutrire i più gravi dubbi. Tra tutti, basterà ricordare che solo due dei membri dell’Agenzia per la Sicurezza Nucleare, di recentissima istituzione, sono esperti nel campo ove sono chiamati ad operare, essendo gli altri di tutt’altra esperienza. Più in generale, diversi episodi recenti, all’attenzione di tutti, hanno fornito una radiografia non incoraggiante delle capacità di intervento dello Stato in condizioni di emergenza.


4. Tra i diversi argomenti portati a favore dell’opzione nucleare ve ne è uno che non merita diritto di cittadinanza in una discussione basata su argomenti tecnici seri: si tratta dell’argomento secondo il quale, trovandosi in Francia, Svizzera e Slovenia impianti nucleari in esercizio, i cittadini italiani sono comunque soggetti agli eventuali rischi dovuti alle centrali nucleari, senza goderne i benefici, esprimibili in termini economici, di maggiore indipendenza energetica etc. Ora, i reattori esteri più vicini alle nostre frontiere distano dai nostri capoluoghi di provincia ben oltre 100 km: si tratta di una distanza capace di assicurare un cospicua riduzione della contaminazione in aria e al suolo, tale da cambiare radicalmente le conseguenze dell’incidente a paragone di quelle da sopportare entro le prime decine di km dalla centrale. In questo contesto può essere interessante rammentare che il 16 marzo la NRC raccomandò ai propri concittadini residenti in Giappone di allontanarsi da Fukushima per almeno 80 km, basando questa raccomandazione sul calcolo della dose risultante da un gravissimo rilascio che la NRC aveva prudentemente ipotizzato, nell’incertezza allora prevalente sul corso degli eventi.

5. Lo standard delle centrali nucleari attuali, anche di terza generazione, basate su impianti di grande taglia, non permette di garantire che il peggiore rilascio sia contenuto entro limiti modesti ed accettabili. Per ottenere ciò occorrerebbe pensare a reattori di piccola taglia concepiti in modo radicalmente nuovo e basati su sistemi a sicurezza intrinseca. Di tali progetti ve ne sono stati diversi nel passato (anche di concezione italiana), ma l’ economia di scala che ha contrassegnato la fase commerciale dell’impresa nucleare li ha confinati in una posizione del tutto marginale. Non è nelle mie competenze valutare la possibilità che si determini un radicale mutamento di tendenza, negli anni avvenire, nella progettazione e nella costruzione delle centrali nucleari: il trend attuale mi pare che non presenti, tuttavia, soluzioni di continuità rispetto al passato.

Sul tema dell’attuale dibattito sul futuro energetico vorrei concludere con una citazione in versi:

Per altra via, per altri porti
verrai a piaggia, non qui, per passare:
più lieve legno convien che ti porti.”



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