Tre mesi fa avevo parlato del lancio della missione Aquarius perchè questo satellite si occuperà stabilmente di misurare la salinità dei mari, cosa che fino ad oggi non è mai stata fatta in maniera continua e sistematica, nonostante sia un aspetto fondamentale da tenere di conto in tutte le previsioni climatologiche a medio / lungo periodo. Il satellite, lanciato a metà giugno, è operativo dal 25 agosto e dopo appena 20 giorni ha fornito i primi risultati, che confermano le potenzialità della missione e quelle che più o meno erano le previsioni di massima sulla distribuzione della salinità marina, anche se non mancano alcune sorprese.
Allora, Aquarius sta davvero tenendo fede alle promesse. Dopo vari assestamenti dell'orbita e controlli di ogni ordine e grado il satellite lanciato a giugno è diventato operativo dal 25 agosto e sono bastati meno di 20 giorni per ottenere una istantanea della salinità marina alla fine dell'estate boreale (e dell'inverno australe), assolutamente improponibile da ottenersi in altro modo. C'è molta curiosità nell'ambiente scientifico per verificare se e cosa cambierà nei valori di questa grandezza al passare delle stagioni, cosa che potrebbe essere fondamentale per capire tante cose del clima.
Nella carta il colore viola corrisponde alle aree con la minore salinità e il rosso a quelle a maggiore salinità. I valori sono compresi fa un minimo del 3% e un massimo del 4% in peso rispetto al volume dell'acqua; ciò vuole dire che nell'Oceano Atlantico tra il Nordafrica ed i Caraibi c'è una salinità del 30% maggiore che lungo le coste pacifiche nordamericane o nel golfo del Bengala. La salinità è minore dove ci sono forti precipitazioni sia sul mare che sulla terraferma, nelle zone vicine ai ghiacci permanenti e dove si dirige l'acqua proveniente da fiumi molto grandi ed importanti ed è invece maggiore nelle zone dove prevale l'evaporazione.
È interessante notare come ci siano grosse differenze fra i vari oceani, in particolare come l'Atlantico sia caratterizzato da una salinità maggiore rispetto al Pacifico e all'Indiano. Un'altra caratteristica molto particolare la vediamo confrontando il Mare Arabico e il Golfo del Bengala: sono alla stessa latitudine, uno ad ovest e l'altro ad est dell'India ma la loro salinità è vistosamente differente. Le ragioni sono sia geografiche che climatologiche: nel golfo del Bengala, oltre alla presenza del Gange che scarica in acqua una quantità enorme di acqua dolce, anche le piogge monsoniche fanno la loro parte. L'immagine attuale è ricavata praticamente al culmine di 4 mesi di precipitazioni: come sarà la salinità a febbraio, dopo la stagione secca e con il Gange che non riceve ancora acqua prima del disgelo sulle pendici dell'Himalaya?
Nel Mare Arabico invece l'effetto dell'Indo è praticamente inesistente e l'intensa evaporazione fa il resto, conferendo valori di salinità molto più alti che ad Est del subcontinente indiano, nonostante le abbondanti piogge estive che caratterizzano la costa indiana occidentale.
Ne consegue che in questo momento il Mare Arabico mostri una salinità maggiore del 15% rispetto al Golfo del Bengala.
Sempre a dimostrazione dell'importanza dei fiumi, sulla costa atlantica del Sudamerica si vedono benissimo i “pennacchi” poco salini dovuti alle acque dolci che l'Orinoco e soprattutto il Rio delle Amazzoni scaricano nell'oceano. In particolare l'influenza del Rio delle Amazzoni è superiore al previsto e la forma del pennacchio è chiaramente influenzata dalle correnti, perchè prima si dirige a nord trascinata dalla corrente equatoriale meridionale poi una parte piega bruscamente verso Est (e francamente questo me lo spiego male perchè le correnti prevalenti vanno tutte verso nordovest)
La carta presenta ancora qualche imperfezione: le strisce in direzione N/S sono un residuo della calibrazione e sono da considerarsi un errore. Inoltre non sono ancora particolarmente affidabili i dati delle regioni più meridionali, perchè la calibrazione è più difficile a causa del gioco fra venti, correnti e precipitazioni. Anche i bassissimi valori di salinità lungo tutte le coste dovrebbero essere un tantino esagerati.
Il 2011 è stato caratterizzato dalla “Nina”, che ha portato la grande siccità nel Corno d'Africa e, in misura minore, nel Sudovest degli USA (con un inverno più caldo del normale) e grandi precipitazioni sulla costa atlantica degli stessi USA.
Molto interessanti le carte fornite al proposito dal sito della NOAA, dove si vede che il pattern delle temperature durante la Nina è molto simile a quello della salinità attuale ricavato da Aquarius: in entrambi i casi si nota una striscia lungo l'equatore, di acque più fredde nell'immagine della NOAA e di acque meno salate nell'elaborazione della NASA dei dati di Aqaurius. Dato che la temperatura dell'acqua influenza anche la salinità, forse le cose cambieranno quando tornerà El Nino?
Un altra considerazione da fare è che le variazioni di salinità possono provocare variazioni nella composizione della fauna e della flora marina. I pesci marini regolano attraverso le branchie la loro salinità interna (e bevono parecchio): riescono quindi a controllare l'osmosi, anche se, nonostante questo, trovarsi in acque troppo o troppo poco salate può essere un problema. Altri animali e le piante non hanno questa capacità osmotica e quindi variazioni di salinità possono ripercuotersi pesantemente sul futuro della distribuzione di queste specie.
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