lunedì 14 aprile 2025

La cementazione della parte più profonda dei pozzi di reiniezione come provvedimento a successo per riduzione della sismicità indotta dalla reiniezione dei fluidi pompati insieme agli idrocarburi in Oklahoma


Torno dopo una decina di anni a parlare dell’Oklahoma e dei terremoti indotti dalla reiniezione in profondità dei fluidi derivati dall’estrazione di idrocarburi. Dopo che è stata evidenziata la correlazione fra terremoti e reiniezione i principali provvedimenti adottati dalle autorità dopo gli eventi sismici più importanti sono consistiti nella chiusura di alcuni pozzi di reiniezione e/o limitazioni nel tasso di smaltimento in altri. Con l’evidenza della correlazione fra la vicinanza della zona di reiniezione al basamento metamorfico, in Oklahoma è iniziata la cementazione della parte più profonda dei pozzi in modo da evitare che i fluidi reiniettati si fermassero nella loro discesa lontani dal basamento e dalle sue faglie. Un nuovo studio, modellando la sismicità, ha dimostrato la validità dei provvedimenti presi dal governo di questo Stato, in particolare la cementazione dei pozzi nei sedimenti cambriani del gruppo di Arbuckle, che sono quelli più vicini al basamento. 

in rosa l'area studiata da Skoumal et al (2024) e l'evolversi della sismicità

IL PROBLEMA DELL’ACQUA ESTRATTA INSIEME AGLI IDROCARBURI. I fluidi provenienti dalle attività di estrazione di idrocarburi si dividono grossolanamente in due categorie:
  1. nelle coltivazioni tradizionali di idrocarburi le cosiddette acque di strato: i fluidi che vengono vengono estratti insieme a petrolio e gas dai pozzi petroliferi 
  2. quando si usa invece la tecnica del fracking, una parte dei fluidi immessi in pressione nella roccia torna indietro e deve essere smaltita (i fluidi di “flow-back”)
Il volume delle acque di strato varia da giacimento a giacimento ed è particolarmente notevole in Oklahoma e nel Texas. Ad esempio nel texano Permian Shale a fronte di 6,5 milioni di barili al giorno di idrocarburi ne vengono prodotti 20 di acque reflue, dove 20 milioni di barili è pure la quantità di petrolio equivalente utilizzata in tutto gli USA. Il problema è che non solo le acque di strato sono fino a nove volte più salate dell'acqua di mare, ma sono spesso caratterizzate anche dalla presenza di livelli elevati di benzene e altri idrocarburi, tracce di petrolio, metalli pesanti, materiali radioattivi naturali e persino elementi oggi essenziali come il litio. Nel caso delle acque di flowback del fracking poi, si aggiungono pure composti chimici di sintesi quali acidi ed altri. È chiaro ed evidente come queste acque non possano essere rilasciate nell’ambiente e debbano quindi essere smaltite in qualche modo, una questione sempre più impattante per gli operatori e gli enti regolatori, sia pure in un clima non certo sfavorevole al settore da parte della classe politica statunitense. 
La depurazione sarebbe la soluzione più ovvia, ma ha un costo talmente elevato da essere ritenuta almeno nel sudovest degli USA economicamente insostenibile e desta pure parecchie perplessità dal punto di vista ambientale. Pertanto reiniettare queste acque nel sottosuolo in migliaia di pozzi di smaltimento per stoccarle in formazioni geologiche adatte allo scopo è attualmente la soluzione migliore. 
Purtroppo, come è noto, questa pratica sta aumentando in maniera preoccupante la sismicità in alcune delle zone dove viene effettuata. In attesa quindi di una nuova tecnologia in grado di trattare queste acque reflue super salate in modo economicamente e ambientalmente sostenibile, si rende necessario implementare delle soluzioni per diminuire la sismicità, come è successo in Oklahoma settentrionale e nel Kansas, dove la diminuzione del tasso di iniezione ha ridotto il numero di terremoti indotti. 

LA SISMICITÀ DA REINIEZIONE IN OKLAHOMA. L’Oklahoma ha una lunga tradizione di sismicità indotta dalle attività di coltivazione di idrocarburi (l’ho ripercorsa qui). Come ho spesso fatto notare, solo in pochissimi e noti casi la sismicità è direttamente collegata al fracking; fra questi ci sono proprio alcuni casi nell’Oklahoma meridionale, nei Woodford Shales, che come si vede dalla carta della prima figura sono situati a sud-ovest e a sud-est di quest'area (Skoumal et al., 2018), e non sono al centro dello studio di cui sto parlando. Nella stragrande maggioranza dei casi infatti, come in Oklahoma, i terremoti sono correlati alla reiniezione dei fluidi. Il fenomeno è in drammatico aumento in aree degli Usa che ne erano sostanzialmente prive ed è un problema piuttosto importante con cui le autorità devono confrontarsi.
Dopo una serie di studi è stato accertato che l’aumento della sismicità è stato causato dalla reiniezione di acque reflue derivante dalla produzione di petrolio e gas, a causa dell’aumento della pressione dei pori nelle zone di faglia, al quale corrisponde una diminuzione dell’attrito che le teneva ferme (Frohlich,2012) (ne ho parlato qui). È il più classico esempio di sismicità indotta dalle attività antropiche. 
In Oklahoma la situazione è stata estremamente difficile, con un drammatico aumento dell'attività sismica tra il 2009 e il 2015. Tuttavia, gli sforzi normativi per riempire alcuni pozzi di iniezione con cemento e ridurre i volumi di iniezione sono stati efficaci nell'abbassare il tasso di terremoti indotti nello Stato. 

in alto la produzione di petrolio dell'Olkahoma, in basso i terremoti. 
È evidente il crolo della simicità dopo le operazioni di cementazione
dei pozzi, soprattutto nella parte inferiore del gruppo di Arbuckle
L’AUMENTO DELLA SISMICITÀ TRA KANSAS E OKLAHOMA FINO AL 2015. Non è soltanto il Texas occidentale ad essere particolarmente flagellato dal problema: nel nord dell'Oklahoma e nel sud del Kansas tra il 1973 e il 2007, sono stati registrati soltanto sette terremoti di magnitudo ≥ 3 e come si vede dalla seconda figura, dopo il 2007 il loro numero è aumentato a dismisura fino ad un massimo di 940 nel 2015. Ci sono stati anche cinque terremoti con Mw ≥ 5, il primo a Prague nel 2011 - Mw 5.7, poi il massimo nel 2016 con quelli Mw 5.1 di Fairview, Mw 5.8 di Pawnee, Mw 5.8 di Cushing. La figura evidenzia anche come dal 2016 la sismicità sia diminuita notevolmente, nonostante l'aumento della produzione di petrolio, ma attualmente (2024) l’attività in corso è ancora ben al di sopra del tasso di fondo precedente: tra il 2019 e il 2023, mediamente si verificano oltre 20 terremoti di magnitudo ≥ 3 all'anno nell'area e addirittura dopo ben 8 anni dai precedenti così forti, nel 2024 è avvenuto un nuovo evento a Prague di M 5.1. 
È stato accertato che la stragrande maggioranza di questi recenti terremoti è stata indotta dallo smaltimento delle acque reflue nei sedimenti del gruppo di Arbuckle: sono carbonati con inframmezzate delle arenarie, deposti fra Cambriano e Ordoviciano in acque poco profonde sopra i primi e sottili sedimenti che ricoprono il basamento metamorfico di circa 1.400 milioni di anni fa. Siccome il gruppo di Arbuckle si è deposto prima della differenziazione nell’area fra Texas, Kansas, Oklahoma e Arkansas in vari bacini sedimentari paleozoici, questi sedimenti del gruppo di Arbuckle sono quindi alla base di varie successioni sedimentarie differenti note per il loro contenuto di idrocarburidi bacini come Anadarko, Ardmore e Arkoma. 
Ritornando in Oklahoma sopra il gruppo di Arbuckle si è deposta una spessa serie sedimentaria estesa su gran parte dello Stato e di quelli limitrofi che comprende alcune delle più importanti formazioni contenenti idrocarburi, come i Woodford shales del Devoniano e i calcari del Mississippi del Carbonifero. Questi ultimi in particolare sono caratterizzati da un non trascurabile rapporto volumetrico tra acqua e idrocarburi di circa 10:1 (Mitchell e Simpson, 2015): insomma insieme agli idrocarburi viene pompata molta più acqua della media.
È quindi necessario smaltire in profondità un volume enorme di fluidi che non possono certo essere scaricati in superficie. Trasporto e smaltimento di così grandi quantità di fluidi possono rappresentare un onere economico mica da poco, ma nell’Olkahoma i sedimenti del gruppo di Arbuckle, diverse centinaia di metri sottostanti a quelli che forniscono gli idrocarburi, sembravano fatti apposta per questo scopo, avendo una permeabilità elevata: in buona sostanza i fluidi immessi possono fluire rapidamente via dal pozzo, lasciando spazio a nuove iniezioni e sono usati in tutti i bacini delle cui serie fanno parte. A causa dell'aumento delle attività di produzione di idrocarburi dal 2010, i tassi di smaltimento nell'Arbuckle sono aumentati e il tasso di terremoti pure. Il picco del tasso di iniezione è stato raggiunto nel 2015. Negli anni successivi al calo del tasso di iniezione è stato osservato un corrispondente calo del tasso di sismicità (Langenbruch et al., 2018). 

PROVVEDIMENTI DELLE AUTORITÀ E MODELLIZZAZIONE DELLA SISMICITÀ. Skoumal et al (2024) hanno esaminato i fattori responsabili della diminuzione della sismicità indotta dallo smaltimento delle acque reflue, fornendo un ulteriore supporto all'idea che la riduzione della profondità dell'iniezione di acque reflue possa ridurre l'attività sismica in quanto si evita l’aumento della pressione idrostatica nelle faglie del basamento metamorfico e della parte bassa della serie sedimentaria. Queste faglie, in genere subverticali, interessano sia il basamento metamorfico che la parte più bassa della serie sedimentaria, contraddistinta appunto dal gruppo di Arbuckle (Kolawole et al,2020) sono state attive essenzialmente durante l’orogenesi di Ouachita, equivalente alla orogenesi varisica in Europa, oroginatasi dallo scontro fra Carbonifero e Permiano fra Euroamerica e il bordo settentrionale del Gondwana, nei settori che poi sono diventati il Sudamerica e l’Africa. Queste faglie non sarebbero dunque più attive da un bel pezzo, ma appunto la riduzione dell’attrito dovuta all’aumento della pressione dei pori ne ha provocato la nuova mobilitazione. 
la modellistica di Skoumal et al (2024) evidenzia come senza
la cEmentazione dei pozzi la diminuzione della reiniezione
da sola non sarebbe stata sufficiente per diminuire la sismicità
Riconosciuta l’origine della sismicità, a partire dal 2015, la Oklahoma Corporation Commission (OCC) ha emanato 33 direttive relative alla mitigazione della sismicità indotta dallo smaltimento delle acque reflue. Tali direttive spaziavano da ordini regionali per ridurre i volumi in tutto l'Oklahoma a ordini mirati in risposta a singole sequenze di terremoti. Ad esempio, in seguito al terremoto di magnitudo 4.5 di gennaio 2022 vicino a Clyde sono stati chiusi sette pozzi entro circa 10 km dall’epicentro e è stata ridotta la portata di reiniezione del 50% in altri 15, situati entro circa 16 km. In seguito al terremoto di magnitudo 5.8 di Pawnee del 2016, sono stati chiusi 32 pozzi e ridotte le portate in altri 35 che nelle contee di Pawnee e Osage iniettavano nell'Arbuckle. 
La stessa OCC e la corrispondente autorità del Kansas hanno inoltre imposto il riempimento con cemento dei pozzi che iniettano nella parte basale del gruppo di Arbuckle in modo che l’iniezione avvenga in formazioni più superficiali. 
La modellistica di Skoumai et al (2024) ha dimostrato che se la cementazione avesse interessato solo la metà dei pozzi il tasso di sismicità del 2024 in Oklahoma sarebbe stato circa 2,5 volte maggiore rispetto allo scenario attuale, valore che sarebbe stato addirittura di 4,4 volte maggiore senza prendere alcun provvedimento del genere.
A dimostrazione di tutto questo, dove questa operazione non è stata effettuata, ad esempio nel bacino del Permiano del Texas occidentale (salito alla ribalta petrolifera negli ultimi anni) e del Nuovo Messico sud-orientale la sismicità è in aumento, fino a raggiungere il livello di sei terremoti di magnitudo 5 e superiori dal 2020. 
Quanto realizzato in Oklahoma quindi potrebbe consentire anche in queste zone la mitigazione della sismicità indotta. 

BIBLIOGRAFIA 

Frohlich (2012). Two-year survey comparing earthquake activity and injection-well locations in the Barnett Shale, Texas. PNAS 109;13934–13938

Kolawole et al (2020). Basement‐controlled deformation of sedimentary sequences Anadarko Shelf Oklahoma. Basin Research 32,1365–1387.

Langenbruch et al (2018). Physics-based forecasting of man-made earthquake hazards in Oklahoma and Kansas. Nat. Comm. 9, no. 1, 3946,

Mitchell e Simpson (2015).  A regional re-evaluation of the Mississippi Lime Play, South-Central Kansas: The risks and rewards of understanding complex geology in a resource play. SPE/AAPG/ SEG Unconventional Resources Technology Conference, URTEC, URTEC-2154477

Skoumal et al (2018). Earthquakes induced by hydraulic fracturing are pervasive in Oklahoma. J. Geophys. Res. 123, no. 12, 10–918

Skoumal, et al (2024). Reduced Injection Rates and Shallower Depths Mitigated Induced Seismicity in Oklahoma. The Seismic Record. 4(4), 279–287





lunedì 7 aprile 2025

il caldo del 2024 è stato superiore alle attese: la probabile influenza della diminuzione delle nubi basse


È per me un onore moderare il 9 aprile a Firenze, alla biblioteca delle Oblate (ore 21) e anche  in diretta streaming (link in fondo al post), la presentazione del libro di Giulio Betti, meteorologo del LAMMA “ha sempre fatto caldo”. Non scrivo la recensone del libro, a cui ha già provveduto l’amico Giacomo Milazzo (la trovate qui). Però per presentare la conferenza introduco un problema su cui i climatologi stanno discutendo in questi mesi e cioè che la combinazione di aumento di CO2, El Niño e ciclo solare intenso non bastano a spiegare il deciso aumento delle temperature degli ultimi 2 anni e quindi sono in corso delle valutazioni in merito (e purtroppo come al solito il riscaldamento è superiore a quello dei modelli). Un editoriale su Nature Geosciences di marzo propone come causa del problema la diminuzione delle nubi basse, a causa della quale arriva sulla superficie una maggior percentuale di radiazione solare. Sono in corso le ricerche sul motivo di questa diminuzione, anche perché è neessario capirlo per adeguare le modellazioni climatiche. 

EL NIÑO E IL CALDO DEGLI ULTIMI 2 ANNI. Nonostante la drammatica ondata di freddo che ha colpito gli Stati Uniti, dove ovviamente i climascettici hanno gridato a forza che il riscaldamento globale è una bufala, a gennaio 2025 la temperatura media globale della superficie ha raggiunto 1,75 °C in più rispetto al clima preindustriale, stracciando il record precedente ed estendendo ulteriormente il periodo di calore eccezionale iniziato nel 2023, che ha visto battuti quasi dappertutto i record mensili della media delle temperature (Copernicus, 2025).
Sicuramente in questo record c’è lo zampino della ENSO, meglio nota come El Niño Southern Oscillation. La ENSO rappresenta sicuramente una delle principali fonti di variabilità climatica naturale quindi – tanto per rinfrescare le idee – descrivo le 3 fasi in cui consiste:

1. EL NIÑO: un riscaldamento della superficie oceanica dell'Oceano Pacifico tropicale centrale e orientale:
• le temperature superficiali del mare diventano superiori alla media
• i venti a bassa quota, che normalmente soffiano da est a ovest lungo l'equatore (i venti orientali) si indeboliscono o, addirittura iniziano a soffiare nella direzione opposta (da ovest a est o "venti occidentali")
• tendenza alla diminuzione delle precipitazioni in Indonesia

2. LA NIÑA: la superficie oceanica dell'Oceano Pacifico tropicale centrale e orientale si raffredda:
• nell'Oceano Pacifico tropicale centrale e orientale le temperature superficiali del mare diventano inferiori alla media,
• i classici venti orientali lungo l'equatore diventano ancora più forti.
• in Indonesia piove più del normale, mentre sull'Oceano Pacifico tropicale centrale piove meno del normale

3. FASE NEUTRALE (non siamo né in El Niño né nella Niña, è lo stadio – diciamo così – normale): nell'Oceano Pacifico tropicale centrale e orientale le temperature superficiali del mare sono generalmente vicine alla media, come le piogge. Questo anche se talvolta l'oceano può sembrare in stato di El Niño o La Niña, ma l'atmosfera non lo è (o viceversa).

Comunque gli effetti della ENSO si fanno sentire a livello globale esi registrano in genere temperature globali maggiori durante la fase di El Niño, che invece diventano minori durante la Niña. Variano anche un po' in giro anche i regimi delle precipitazioni.


2023-2024: NON SOLO EL NIÑO.
Bene: l'impennata di temperatura nel 2023 era in parte prevista a causa del sommarsi della componente del cambiamento climatico antropico con quella apportata da El Niño. Il problema è che l'entità del salto è stata sorprendente, perché molti climatologi si aspettavano un calo delle temperature nella seconda metà del 2024, alla conclusione della fase di El Niño della ENSO.
Questo non è successo e difatti anche a Gennaio 2025 abbiamo raggiunto un nuovo e non previsto record (come purtroppo succede di frequente, le previsioni sulle temperature si rivelano ottimistiche rispetto alla realtà). Insomma, la combinazione fra fase di El Niño della ENSO (sia pure particolarmente forte) e l'aumento continuo del tenore atmosferico dei gas serra può spiegare solo una parte del recente picco di temperature. Ovviamente come fa notare un editoriale su Nature Geoscience di marzo (redazione Nature Geosciences, 2025) la cosa ha sollevato pesanti interrogativi sul tasso di cambiamento climatico in corso. In particolare la domanda è se all’aumento dei gas serra si sia affiancata una variante naturale o si tratti soltanto di un'accelerazione del riscaldamento antropogenico.
Di sicuro l’atmosfera è un sistema molto complesso in cui non sono solo i gas-serra a controllare le temperature, anche se in questo momento il rilascio di CO2 antropico è sicuramente il maggiore driver del loro aumento.

Vediamo quindi alcuni fattori che potenzialmente hanno portato a questo anomalo perdurare di temperature record:
• innanzitutto le azioni antropiche che influenzano il clima in molti modi diversi dal rilascio di anidride carbonica, ad esempio attraverso l'emissione di forzanti climatici di breve durata come gli aerosol. 

Per quanto riguarda le cause naturali ne sono state individuate diverse:
  • una potrebbe essere la nota eruzione dell’Hunga Tonga-Hunga Ha'apai, la quale nel 2022 ha lanciato circa 150 milioni di tonnellate di vapore acqueo nella stratosfera. Dato che anche il vapore d’acqua è un gas – serra, tale quantitativo potrebbe aver contribuito al calore del 2023. Tuttavia, alcuni studi suggeriscono che l'eruzione abbia avuto un effetto di raffreddamento netto dovuto al rilascio di biossido di zolfo, che formando aerosol nella stratosfera bloccano parte della radiazione solare (Millán et al, 2022), come succede normalmente: è noto come le esplosioni vulcaniche in area equatoriale provochino un raffreddamento negli anni successivi (ne ho parlato qui) e quella del 2022 non ha quindi fatto eccezione.
  • il recente aumento dell'attività solare mentre ci avviciniamo al massimo solare quest'anno potrebbe anche aver contribuito in piccola parte al riscaldamento. 

Ovviamente dobbiamo registrare l’aria tronfia dei climascettici, prontissimi ad abbracciare la tesi “Hunga Tonka + attività solare” escludendo ovviamente il CO2. Ma come al solito la inconsistenza delle loro idee viene confermata dai dati.
In realtà il contributo di queste cause è stato negativo nel primo caso, mentre appunto una piccola componente dovuta al ciclo solare ci può stare. 
Quindi sembra ancora mancare una fonte di calore. E la risposta potrebbe trovarsi nelle nuvole. 


le nubi come tracce celle navi
IL PROBLEMA DELLE NUBI BASSE
. Qui entra in gioco l’albedo, una grandezza estremamente importante nel bilancio termico dell’atmosfera e cioè la frazione di radiazione solare che viene riflessa da una superficie e quindi la capacità di NON trasformare la radiazione in calore; ad esempio una automobile bianca al sole si riscalda meno di una nera perché respinge più radiazione (o ne assorbe meno) di una scura.
Nel 2023 le nubi basse nelle latitudini medie settentrionali e nei tropici si sono ridotte. Siccome le nubi riflettono la luce solare in arrivo, maggiore è la loro estensione, maggiore è l’energia solare che riflettono e che quindi non arriva in superficie. La loro diminuzione ha comportato quindi una minore riflessione della radiazione solare in arrivo e, di conseguenza, temperature superficiali più calde. Questo effetto di riscaldamento è potenzialmente sufficiente a colmare il divario e spiegare le alte temperature del 2023 (Goessling et al, 2025). 

Dopo aver trovato l’agente protagonista di questa componente che si è innestata accanto alle emissioni di gas-serra e alla fase di El Niño della ENSO, il perché di questo calo della copertura nuvolosa non è ancora chiaro. Ci sono 3 alternative:

1. VARIABILITÀ NATURALE: i cambiamenti nelle nubi basse sono semplicemente dovuti alla variabilità naturale, e quindi prima o poi (auspicabilmente prima) riaumenteranno e il loro contributo al riscaldamento globale tornerà ad essere negativo. Lo farà?

2. MENO EMISSIONI DALLE NAVI: . la riduzione delle nubi potrebbe essere collegata alle nuove normative internazionali sul carburante per le spedizioni implementate nel 2020, volte a ridurre le emissioni di zolfo. Queste emissioni possono aumentare la luminosità delle nubi basse marine agendo come nuclei di condensazione delle nubi, con conseguente formazione di lunghe nubi altamente riflettenti note come "tracce delle navi" (nella foto). Le nuove normative avrebbero quindi portato a una riduzione di queste tracce e quindi di nubi basse, anche se non proprio naturali (Gettelman et al, 2024). Se è così, allora paradossalmente l’uso di carburanti “ambientalmente migliori” potrebbero aver provocato degli effetti indesiderati

3. DIMINUZIONE A CAUSA DELL'INNALZAMENTO DELLA TEMPERATURA: se la seconda pare brutta, la terza è ancora peggiore: la copertura nuvolosa bassa diminuisce con l'aumento della temperatura. Quindi più la superficie terrestre si scalda, meno nubi basse si formano, contribuendo ulteriormente al riscaldamento.

Di fatto il modo in cui le nubi rispondono al riscaldamento rimane una delle maggiori incertezze nella comprensione della risposta climatica alle emissioni di anidride carbonica e un forte feedback da parte delle nubi basse potrebbe portare a un riscaldamento futuro maggiore di quanto attualmente previsto. Delle tre cause in questo momento sembrerebbe più realistica la seconda.
Quanto meglio comprendiamo come i fattori umani e naturali si combinano per produrre variabilità climatica a breve termine, tanto più solidamente possiamo limitare la risposta a lungo termine all'anidride carbonica. Da questo si capisce che fino a quando il “peso” della componente “nubi basse” non sarà chiarito (tantomeno le cause della loro variazione) le modellazioni potranno contenere importanti errori e quindi è assolutamente necessario comprendere la complessa interazione tra il riscaldamento causato dai gas serra e la variabilità climatica a breve termine.

La diretta streaming della presentazione del libro sarà visibile a questo indirizzohttps://www.caffescienza.it/programma-2024-2025/ha-sempre-fatto-caldo

BIBLIOGRAFIA

COPERNICUS (2025) January 2025 was the warmest on record globally, despite an emerging La Niña. Copernicus  https://climate.copernicus.eu/copernicus-january-2025-was-warmest-record-globally-despite-emerging-la-nina

Gettelman et al. (2024). Has reducing ship emissions brought forward global warming? Geophysical Research Letters, 51, e2024GL109077 

Goessling et al (2025). Recent global temperature surge intensified by record-low planetary albedo. Science387,68–73 

Millán et al (2022). The Hunga Tonga-Hunga Ha'apai Hydration of the Stratosphere. Geophysical Research Letters, 49, e2022GL099381. 

Redazione Nature Geoscience (2025) Rising temperatures. Nat.Geosc. 18/3, 199

Schmidt (2024). Why 2023’s heat anomaly is worrying scientists. Nature 627,467
 

venerdì 28 marzo 2025

il terremoto del 28 marzo 2025 in Myanmar, la storia della faglia di Sagaing e la geodinamica dell'area


la sismicità del Myanmar e delle aree limitrofe 
Il terremoto M 7.7 del 28 marzo 2025 nei pressi di Mandalay in Myanmar è stato seguito da numerose repliche. Particolarmente importante 12 minuti dopo la scossa principale un evento M 6.4, che avrebbe fatto anche esso parecchi danni di suo. Le notizie sono ancora molto frammentarie a 3 ore dall’evento, ma c’è il rischio che la forte replica abbia dato il colpo di grazia a delle strutture già pesantemente danneggiate e il numero dei morti sarà enorme. Come si vede dalle agenzie, il terremoto ci sono stati dei gravi danni persino a Bangkok, a circa 10000 km di distanza. La storia della faglia di Sagaing, lungo la quale si è generato il terremoto, è molto interessante: la classica trascorrente che prende il posto di un fronte di convergenza fra placche. inoltre una parte del segmento di faglia interessato dall'evento odierno era già stata individuata come un importnte gap sismico. 

In Myanmar i terremoti, molto frequenti, si verificano in due fasce sismiche principali, la prima lungo la pianura centrale e la seconda ad ovest di essa. Queste due fasce presentano due regimi tettonici differenti, sempre comunque inquadrabili nella geodonamica dell’area, la parte più orientale dell’orogene alpino – Himalayano a causa della collisione fra la placca indoaustraliana e quella euroasiatica, fra le quali sono interposte altre placche minori interposte (o ex placche, ormai integrate nell’Eurasia, i cui limiti comunque continuano ad essere attivi come succede in tutta l’Asia, dal Caucaso alla Siberia).

I BLOCCHI IN GIOCO NELLA REGIONE BIRMANA.
La regione del Myanmar non ha subito le deformazioni incredibilmente importanti del settore Himalayano e anche se in effetti c’è una subduzione attiva (come si vede dalla profondità dei terremoti) la placca continentale attualmente in subduzione penetra solo a una profondità di circa 100 km.

Grossolanamente la regione si può dividere in tre blocchi:
  1. l'altopiano di Shan a est,
  2. la pianura centrale al centro
  3. la catena indo-birmana a ovest
L'ALTOPIANO DI SHAN appartiene al blocco di Sibumasu, che segna il margine continentale meridionale dell'Asia. Nel Mesozoico il blocco di Sibumasu si è staccato dal Gondwana: i dati sugli zirconi contenuti nei suoi sedimenti paleozoici fanno ritenere che si trovasse tra l’Australia di SW e la Terra della Regina Maud in Antartide. In seguito il suo limite NE si è scontrato contro il blocco indocinese lungo la sutura di Cangning-Menglian (Liu et al, 2018). 
LA PIANA CENTRALE BIRMANA fa parte del blocco della Birmania Occidentale, che si è scontrato con Sibumasu: gli ultimi lavori come vedremo indicano per la fine della collisione un’età terziaria, mentre in quelli precedenti era posta nel Cretaceo. Da quando la convergenza, che di suo era già abbastanza obliqua, non è più attiva, il vecchio limite di placca ha continuato a svolgere un ruolo di superficie di debolezza e si è trasformato nella faglia di Sagaing, una delle faglie trascorrenti più lunghe (oltre 1.500 km) e attive al mondo: posta tra l’Himalaya e il mare delle Andamane, è in qualche modo il prolungamento della sutura dell’Indo, come si vede dalla carta di Taylor e Lin, 2009).
LA CATENA INDO-BIRMANA, a est della piana centrale birmana, è un classico prisma di accrezione in un ambiente di collisione fra placche, in questo caso con la placca indo-australiana che scorre sotto il blocco del Myanmar occidentale. La presenza di una subduzione ancora attiva è testimoniata dai terremoti profondi (quelli in verde) nella prima figura, una carta tratta dall’IRIS Earthquake Browser.

la faglia di Sagaing: confronto fra i gap sismici individuati
da Hurukawa e Maung Maung (2011)
e il segmento interessato dal movimento il 28 marzo
LA FAGLIA DI SAGAING
. E veniamo alla protagonista della tragedia che stiamo vivendo adesso: la faglia di Sagaing. È una faglia trascorrente drammaticamente importante visti i suoi 1500 km di lunghezza e visto cosa è capace di fare, eppure è meno famosa di altre strutture simili responsabili di devastanti terremoti come la faglia di San Andreas, le faglie Anatoliche settentrionale e orientale, la Linea Mediana Giapponese e quella di Enriquillo – Plantain Garden. A parte forse l'ultima condividono insieme alla faglia di Althin-tagh, al limite fra il Tibet e il bacino del Tarim e probabilmente nota più ai geo-NERD che al grande pubblico, l'essere state in precedenza un limite compressivo. Questo perché, passata la collisone, rimangono linee preferenziali di debolezza e quindi svincoli preferenziali di deformazione anche dopo la collisione finale fra i blocchi che si erano scontrati. E questo non solo se la geodinamica che ha generato quegli scontri continua, ma anche decine se non centinaia di milioni di anni dopo, dinanzi ad un nuovo quadro tettonico (Heron et al 2016). In Sicilia dovrebbe "funzionare" così la faglia Kumeta - Alcantara. 
Nello specifico la faglia di Sagaing compensa più della metà del movimento laterale destro tra l’Asia sudorientale e l’India all'interno del confine diffuso fra la placca Indoaustraliana e quella Euroasiatica (in particolare la Cina Meridionale).
Il tracciato di questa faglia è contrassegnato da scarpate topografiche, anomalie gravitazionali e una importante sismicità la cui pericolosità era notissima a causa della presenza lungo il suo tracciato di milioni di persone.
Ho detto che è meno conosciuta ma ha una storia sismica di tutto rispetto: dal 1930 al 2021 Hurukawa e Maung Maung (2011) contano lungo la faglia 15 eventi con Magnitudo da 6.0 in su, di cui 6 di M 7.0 e oltre. Scusate se è poco. Gli stessi come si vede dalla carta avevano inoltre identificato due gap sismici preoccupanti. Ebbene, confrontando la loro carta con quella del risentimento di USGS del terremoti del 28 novembre, il segmento interessato dal movimento comprende la parte indicata come gap sismico, ma si estende anche molto più a nord.   

la tomografia sismica evidenzia i due slab, a W quello ancora attivo,
ad E quello la cui attività si è conclusa nell'Eocene
e la cui sutura è diventata la faglia di Sagaing
LA TOMOGRAFIA SISMICA: DUE SUBDUZIONI PARALLELE, DI CUI UNA ANCORA ATTIVA E UNA NO
. Da ultimo un accenno alla tettonica regionale: la tomografia sismica evidenzia due subduzioni parallele (Yang et al, 2022):
  1. ad ovest sotto la catena Indo-Birmana la tomografia evidenzia la presenza di uno slab in subduzione che si immerge verso est. La presenza di terremoti che si annidano all’interno dello slab dimostra che questa subduzione è ancora attiva 
  2. Più ad est invece la tomografia evidenzia la subduzione della vecchia collisione fra il blocco di Burma (la pianura centrale) e il blocco di Sibumasu.
La novità recente è che se la tomografia l’ha individuata, difficile che la sua attività si sia conclusa 120 milioni di anni fa, perché non solo avrebbe fatto a tempo a scendenre nel mantello per la differenza di densità, ma sarebbe ormai indistinguibile dal mantello circostante. Questo ed alcune indagini sulle rocce magmatiche dell’area hanno portato Yang et al (2022) a proporre l’Eocene medio per la fine dell’attività compressiva fra i blocchi del Myanmar occidentale e di Sibumasu.
Di conseguenza, siccome la subduzione occidentale è anche essa attiva dal Cretaceo superiore, nell’area ci sono state due subduzioni parallele tra il Cretaceo superiore (80 milioni di anni) e l’Eocene (40 milioni di anni) corrispondente al periodo di rapida convergenza tra le placche indiana ed eurasiatica (e questo spiegherebbe meglio la velocità diconvergenza che poteva sembrare eccessiva). 

BIBLIOGRAFIA

Heron et al (2016). Lasting mantle scars lead to perennial plate tectonics. Nature communications DOI: 10.1038/ncomms11834

Hurukawa e Maung Maung (2011). Two seismic gaps on the Sagaing Fault, Myanmar,
derived from relocation of historical earthquakes since 1918. Geophysical Research Letters 38, L01310. 

Liu et al (2018). Geodynamics of the Indosinian orogeny between the South China and Indochina blocks: Insights from latest Permian– Triassic granitoids and numerical modeling. GSA Bulletin; 130-7/8, 1289–1306;

Taylor e Yin (2009). Active structures of the Himalayan-Tibetan orogen and their relationships to earthquake distribution, contemporary strain field, and Cenozoic volcanism. Geosphere 5, 199–214

Tun e Watkinson (2017). The Sagaing Fault, Myanmar in: Barber et al, Myanmar: Geology, Resources and Tectonics. Geological Society London, Memoirs 48, 413–441,

Yang et al (2009). Slab remnants beneath the Myanmar terrane evidencing double subduction of the Neo-Tethyan Ocean. Sci. Adv. 8, eabo1027


martedì 25 marzo 2025

l'origine del linguaggio e la possibile coincidenza con l'espansione "out of Africa" di Homo sapiens


Fra le cose che contraddistinguono l’umanità c’è sicuramente il linguaggio, anche se alcuni cetacei sembrano dotati di qualcosa di simile e alcuni animali emettono suoni differenti in base al pericolo rilevato. Proprio grazie al linguggio gli esseri umani hanno stabilito un sistema di comunicazione estremamente efficace, che ha consentito di interagire molto meglio fra di noi e con la realtà che ci circonda. La sinergia fra linguaggio e pensiero simbolico (caratteristica che da latente potrebbe essere diventata evidente proprio grazie al linguaggio) è la base della nostra evoluzione tecnologica e artistica. La possibilità di parlare come parliamo adesso è comparsa sicuramente prima della divergenza fra i Khoisan e gli altri esseri umani, un evento datato a circa 135.000 anni fa in un articolo appena apparso, che ha sfruttato per questo calcolo i dati genetici di una vasta serie di lavori svolti in precedenza. La domanda ulteriore è se il linguaggio sia stato una delle chiavi che hanno portato all’espansione massiccia fuori dall’Africa di Homo sapiens.

La comparsa del linguaggio ha rappresentato per l'Umanità un punto di non ritorno fondamentale. Nell'attuale dibattito sull'evoluzione del linguaggio umano, oltre al quando è apparso, i ricercatori sono divisi in due prospettive principali:
  • una visione gradualista → la moderna complessità del linguaggio umano è il risultato di un processo evolutivo incrementale
  • una visione saltazionale → la maggior parte dei componenti della capacità linguistica odierna si sono assemblati in un evento improvviso, grazie alla concorrenza di caratteri preesistenti (la cosiddetta “exaptation”: la presenza di caratteri che vengono utili in un momento successivo alla loro comparsa o riciclati per altri scopi)
le famiglie linguistiche dell'emisfero occidentale
Oltre a questa incertezza sul come il linguaggio sia comparso, non esiste un chiaro accordo su quando questa caratteristica cruciale sia emersa nella nostra evoluzione: se la complessità artistica fosse una indicazione della presenza di linguaggio, la sua emersione dovrebbe essere avvenuta circa 100.000 anni (esempio: Tattersall, 2017), ma secondo alcuni Autori una qualche forma di linguaggio avrebbe preceduto l'emergere degli esseri umani moderni e addirittura non sarebbe una proprietà esclusiva della linea che ha prodotto Homo sapiens.
L’articolo di cui parlo (Myiagawa et al, 2025) non entra nella questione del “come e perché” (anche se gli Autori sono inseribili nel filone dei gradualisti), ma solo indicando il limite più recente entro il quale il linguaggio sarebbe divenuto disponibile.
Ferma restando l’emersione di Homo sapiens come entità anatomicamente distintiva intorno a 230 mila anni fa (Vidal et al., 2022), le stime per l’emersione del linguaggio vanno da 300 (esempio: Scally e Durbin, 2012) a 100.000 anni (esempio: Schlebusch et al, 2012).

Appare ragionevole pensare il linguaggio come una caratteristica acquisita almeno nella popolazione ancestrale di tutta l’umanità attuale: se la capacità linguistica fosse emersa negli antenati degli esseri umani attuali solo dopo la loro divergenza iniziale, ci si aspetterebbe di trovare popolazioni moderne senza un linguaggio o con capacità di comunicazione significativamente differenti da quelle di tutte le altre popolazioni umane. Una cosa che non succede mai: le circa 7.000 lingue odierne condividono sorprendenti somiglianze nei modi in cui sono costruite fonologicamente, sintatticamente e semanticamente (Eberhard et al., 2023).

Per fornire una indicazione del limite inferiore di questo evento chiave, Miyagawa et al (2025) hanno affrontato il problema dal punto di vista genetico. Dagli albori della genetica (Vigilant et al 1989) tutti i lavori concordano: la prima divisione dalla radice originale dell’umanità attuale ha distinto dagli altri il ramo dei popoli Khoisan dell'Africa meridionale. Oltre che geneticamente, i Khoisan si distinguono pure dal punto di vista linguistico, in quanto presentano dei fonemi particolari, i click (questo filmato è particolarmente illuminante: a noi magari in prima approssimazione sembrano tutti uguali, in realtà sono molto diversi fra loro).



I ricercatori hanno utilizzato i dati di numerosi lavori precedenti che hanno esplorato parti del genoma umano, mettendoli insieme.I risultato della loro analisi portano una stima approssimativa dell’età della divisione fra gli antenati dei Khoisan e quelli del resto dell’umanità di 135.000 anni. La stima soffre di una incertezza di ± 20.000 anni a causa di alcune imprecisioni nei dati dell'orologio molecolare che non possono essere eliminate con le tecniche attuali. Si tratta comunque di una indicazione di un certo valore.

LINGUA, CULTURA ED ESPANSIONE DI HOMO SAPIENS

Comportamenti complessi come la sepoltura dei morti e l'occasionale decorazione corporea sembrano essersi verificati sporadicamente tra i Neanderthal e altri ominidi estinti e hanno fatto supporre a qualche ricercatore l’esistenza del pensiero simbolico pure nei Neandertaliani, ma DI FATTO la comparsa sistematica e diffusa di comportamenti mediati simbolicamente (uso di pigmenti, impiego di conchiglie marine forate per ornamenti e decorazioni corporee,incisione di motivi non figurativi, tecnologie complesse e infine i primi oggetti rappresentativi incisioni o dipinti con motivi geometrici) sembra essere avvenuta solo circa 100.000 anni fa all'interno di Homo sapiens. Insomma, è realistico pensare che da quando è nato il linguaggio l’umanità non è stata più la stessa, ma soprattutto appare chiaro che:
  • la capacità linguistica era pienamente in atto prima della comparsa diffusa e normalizzata del comportamento umano moderno
  • il ritardo temporale tra il limite inferiore di quando il linguaggio era presente dedotto da questo lavoro e l'emergere di comportamenti umani moderni in tutta la popolazione suggerisce che il linguaggio stesso sia stato l'innesco che ha trasformato i primi Homo sapiens non linguistici negli esseri che appunto usano il linguaggio per comunicare fra di loro

Questa tempistica mi ha particolarmente incuriosito. I dati dicono che già 315.000 anni fa i fossili di Jebel Irhoud in Marocco mostrano alcuni caratteri molto “moderni” insieme a caratteri più antichi (Hublin et al 2017), mentre i primi “veri” Homo sapiens sarebbero emersi circa 230.000 anni fa nel rift etiopico, dove è stato relativamente facile datare i fossili grazie alla presenza di un deposito vulcanico a Omo-Kibish (Vidal et al 2022).
Da questo quadro si ricava come i sapiens abbiano traccheggiato in Africa per decine di migliaia di anni, per poi iniziare ad espandersi circa 125.000 anni fa (prudentemente svicolando verso il sud-est asiatico, lasciando il Mediterraneo e l’Europa in generale ai neandertaliani).
La domanda è: perché succede questo? si tratta di una coincidenza casuale rispetto all’emersione del linguaggio oppure il linguaggio è la causale dell’espansione? È un argomento molto complesso e di cui ancora non si è capito molto e potrebbero esserci diverse concause.

le temperature degli ultimi 900.000 anni viste con il rapporto
isotopico dell'Ossigeno:il MIS53 di 125.000 anni fa
è il periodo più caldo che si è avuto
Dal punto di vista climatico 125.000 anni fa la Terra ha attraversato un momento particolare: è il MIS5e, il momento più caldo degli ultimi 900.000 anni, il culmine dell’interglaciale una volta noto come Riss-Wurm. All’epoca l’ ambiente era molto diverso rispetto ai periodi glaciali precedenti e successivi: grazie aI clima più umido vaste aree oggi aride, come il Sahara, erano ricche di vegetazione e acqua. Questa trasformazione ambientale avrebbe reso più agevole la migrazione degli esseri umani dall'Africa verso nuove regioni, aprendo rotte attraverso il Medio Oriente e oltre.
In questo contesto, il fatto che poco tempo prima si possa collocare l’origine del linguaggio non è un dettaglio da sottovalutare: siccome Homo sapiens era già presente da almeno 230.000 anni, perché l’espansione fuori dall’Arica sarebbe avvenuta proprio allora?

È quindi possibile che la chiave della travolgente avanzata dei sapiens abbia alle spalle un mix di cause ambientali e umane, che avrebbero fornito insieme un vantaggio determinante:
  • da un lato il linguaggio avrebbe permesso una comunicazione più efficace, facilitando la cooperazione all'interno dei gruppi e permettendo di organizzarsi meglio per affrontare sfide come la caccia, la raccolta di risorse e la difesa del territorio. Inoltre, la capacità di trasmettere conoscenze in modo più dettagliato avrebbe accelerato l'adattamento a nuovi ambienti, rendendo possibile la colonizzazione di terre fino a quel momento inesplorate.
  • dall’altro le condizioni climatiche favorevoli hanno senza dubbio giocato un ruolo essenziale

Da notare inoltre che anche la zona abitata dalla popolazione neandertaliana mostrava in quel momento una situazione favorevole alla crescita, ma i Neandertal non si sono espansi in maniera così decisa (Yaworsky et al, 2024).
Questo mix di cause potrebbe aver innescato un aumento vertiginoso della popolazione, a cui è quindi seguito un esodo dovuto alla sovrappopolazione.

Le popolazioni umane prima dell'espansione europea
Certo, di ondate “out of Africa” ce ne sono state diverse, ma non mi pare che nessuna delle altre abbia avuto come risultato la completa eradicazione degli altri gruppi umani (comunque con delle ibridazioni, testimoniate dal nostro genoma attuale). Invece i sapiens in meno di 80.000 anni hanno soppiantato rapidamente e in modo efficace tutti gli altri lignaggi umani: è possibile che siano state proprio le capacità linguistiche superiori la chiave per il successo della nostra linea rispetto alle altre come Denisovani e Neandertaliani?

BIBLIOGRAFIA CITATA

la base è: Miyagawa et al (2025). Linguistic capacity was present in the Homo sapiens population 135 thousand years ago. Front. Psychol. 16:1503900.

ALTRI ARTICOLI CITATI:

Eberhard et al (2023). Ethnologue: Languages of the world. 26th Edn. Dallas, TX: SIL International

Hublin et al 2017. New fossils from Jebel Irhoud, Morocco and the pan-African origin of Homo sapiens. Nature 546, 289.292

Scally, A., and Durbin, R. (2012). Revising the human mutation rate: implications for understanding human evolution. Nat. Rev. Genet. 13, 745–753.

Schlebusch et al (2017). Southern African ancient genomes estimate modern human divergence to 350,000 to 260,000 years ago. Science 358, 652–655

Tattersall (2018). An evolutionary framework for the Acquisition of Symbolic Cognition by Homo sapiens. Comp. Cogn. Behav. Rev. 3, 99–114.

Vidal et al (2022). Age of the oldest known Homo sapiens from eastern Africa. Nature 601, 579–583. doi: 10.1038/s41586-021-04275-8

Vigilant et al. (1989). Mitochondrial DNA sequences in single hairs from a southern African population. Proc. Natl. Acad. Sci. U. S. A. 86, 9350–9354. doi: 10.1073/pnas.86.23.9350

Yaworsky et al (2024). The Neanderthal niche space of Western Eurasia 145 ka to 30 ka ago. Scientific reports 14:7788


venerdì 21 marzo 2025

l'alluvione della Toscana del 14 marzo 2025: riflessioni su cosa si dovrebbe fare per i social e nella realtà. Un PNRR per il dissesto idrogeologico e il problema politico


Indi la valle, come ‘l dì fu spento,
da Pratomagno al gran giogo coperse
di nebbia; e ‘l ciel di sopra fece intento,
sì che ‘l pregno aere in acqua si converse;
la pioggia cadde e a’ fossati venne
di lei ciò che la terra non sofferse;

(purg. V, 115-120)

Così disse Bonconte di Montefeltro a Dante, raccontando la sua fine e il perché il suo corpo non fu ritrovato dopo la battaglia di Campaldino. A parte la incredibile semplicità con cui il Poeta spiega il perché delle alluvioni, ogni evento fa storia a sé e anche se ce ne fossero due identici, il territorio reagirebbe in maniera differente, perché incidono molto le condizioni iniziali e il 14 marzo oltre alla eccezionalità delle precipitazioni un’altra circostanza ha contribuito non poco al disastro: la perturbazione si è inserita dopo un periodo umido a causa del quale i fiumi erano già alti e il suolo era saturo e quindi, per dirla come il Poeta sull’acqua, a’ fossati venne di lei ciò che la terra non sofferse (cioè quasi tutta, ed è stata tanta). Purtroppo anche questa volta la ridda di idiozie scritte sui social riesce a dire tante fesserie senza arrivare al nocciolo del problema: bisogna ridare ai fiumi almeno una parte dello spazio che gli è stato tolto negli ultimi secoli e specialmente dalla seconda metà del XIX secolo.

L'EVENTO ALLUVIONALE DEL 14 MARZO 2025. La caratteristica comune a molte ondate di maltempo degli ultimi anni non è soltanto l'anomala intensità delle precipitazioni, ma il fatto che queste si concentrino in poco tempo e tendano a persistere sulle stesse aree senza muoversi come farebbero le normali perturbazioni. La dinamica di quanto è successo il 14 marzo 2025 è stato molto simile ai fatti del 2 novembre 2023 (e non solo a questo): un fronte anche temporalesco rimasto praticamente fermo per ore. L’immagine confronta i due eventi.
Il LAMMA certifica piogge eccezionali cadute in un intervallo temporale ristretto: il 14 marzo 140 mm di pioggia a Borgo San Lorenzo, e oltre 100 a Firenze (160 nel periodo 12-14 marzo, che diventano 250 nello stesso periodo a Vaglia). Insomma, in 3 giorni la pioggia di un mese come Marzo, che dovrebbe essere abbastanza umido di suo.
Inoltre le precipitazioni tra il 12 e il 14 marzo sono arrivate dopo un bimestre gennaio-febbraio particolarmente piovoso, che aveva reso il terreno saturo (quindi non in grado di ricevere ulteriori apporto) e particolarmente vulnerabile alle frane.


l'Arno al ponte Vecchio verso le 17.00 del 14 marzo
gonfio per la piena della Sieve. 
Il culmine è stato raggiunto nella notte
GLI ASSURDI COMMENTI SUI SOCIAL. Sono stufo di leggere desolanti scempiaggini sotto forma di commenti di molta gente sui social, in cui ormai una parte di utenti è stata avvelenata da cattivi e probabilmente non disinteressati maestri.
Il buon Paride Antolini, il quale essendo presidente dei geologi dell’Emilia Romagna non è esattamente un bischero (e che oltretutto solo per non sostenere la vox populi è stato persino offeso da un utente, a cui spero arrivi presto una bella denuncia per diffamazione), ha fatto un sondaggio su un campione rappresentativo di commenti, stilando la nuova classifica dei rimedi più gettonati nei social:
  1. dighe e traverse sui fiumi (questa in verità sarebbe giusta)
  2. pulire gli argini
  3. dragare i fiumi
  4. pulire i tombini
  5. le nutrie
Questo per l’Emilia – Romagna. Invece, in Toscana, a parte i soliti scoppiati delle scie chimiche (per l’appunto nei giorni precedenti un aereo sarebbe passato sul Mugello, e avrebbe irrorato l’aria con particelle che poi hanno fatto piovere) e chi dice che l’acqua scorre più lentamente per via delle antenne 5G e così i torrenti escono dagli alvei, il mantra ripetuto fino allo sfinimento è quello della pulizia degli alvei.
Ora, i detriti ci sono davvero e spesso ostacolano la corrente, ma succede a causa di ponti idraulicamente demenziali, ed inoltre la maggior parte di essi proviene dai versanti e non dagli alvei stessi e quello della pulizia degli argini è un mantra della serie “soluzioni semplici a problemi complessi”, soluzioni semplicistiche che notoriamente non vanno mai bene. Invito questi fenomeni a confrontare la portata registrata con quella necessaria e prendere atto dei risultati. Ma tutti questi ingegneri idraulici laureati alla iutiùb iunivèrsiti, preferiscono sputare sentenze a caso dall'asciutto del proprio divano senza saperne niente, invece di informarsi o meglio ancora fare qualcosa di concreto per dare una mano.
Anche il dragare gli alvei è una operazione sbagliata: a parte che in Italia molti fiumi, Arno compreso, negli ultimi 40 anni hanno eroso e non poco i loro alvei (come ad esempio si vede a Santa Croce sull'Arno) ho spiegato qui perché non si deve fare, se non in piccole porzioni particolari (per esempio il tratto fiorentino dell’Arno).

l'invaso di bilancino, grande accusato a torto
per la piena della Sieve
Naturalmente se le dighe sono un rimedio intelligente per laminare le piene (e le magre), per molti i problemi sono, al contrario, forniti proprio da esse. Si tratta di un “classico” per l’alluvione della Romagna del 2023. Peccato che gli ingegneri idraulici da tastiera non si siano resi conto che solo un fiume romagnolo ha una diga e cioè il Bidente e che proprio grazie alle manovre della diga di Ridracoli è stato il fiume che ha dato meno problemi.
Anche in Toscana si parla delle dighe e quindi se nel 1966 "hanno state le dighe", il 14 marzo la piena della Sieve sarebbe stata colpa dell'apertura di Bilancino. Ci viene in soccorso Publiacqua: a questo link dichiara che lo scarico del “troppo pieno” è entrato in funzione alle 6 del mattino di venerdì con una portata di 10 m3/s, cresciuta a 25 m3/s alle 8.00, 63 alle 12.00, 81 alle 14.00 e 100 m3/s alle 17.00. La Sieve a Dicomano ha registrato una portata di oltre 1000 m cubi al secondo e quindi si capisce che non è stato Bilancino a fare il guaio. Per rendere l'ideadi quanto enorme sia questo valore, l’Arno a valle di Firenze ha una portata massima di 2.800 mc/sec e questo da solo basta a spiegare sia il perché del disastro in Mugello e Valdisieve sia perché la piena abbia interessato il fiume solo da Pontassieve in giù.
Questo fa capire anche quanto sono idioti quelli che “le casse del Valdarno superiore non sono entrate in funzione” (e quindi l’inefficienza della Regione, che di colpe ne ha ma non in questo caso): mi pare ovvio visto che la Sieve confluisce nell’Arno a valle di queste. Sempre sulle casse di espansione è stato persino detto che sarebbero state fatte talmente male al punto tale che le loro "porte" "non si possono aprire".
È sconsolante e si deve pure notare come questi soggetti oltre a parlare a sproposito non hanno la minima voglia di approfondire la conoscenza di queste tematiche perché sono già convinti di sapere tutto.

Tra tutti questi rimedi non compare mai quello vero: (ri)dare più spazio ai fiumi. È tristissimo tutto ciò. Viene da sperare che accada qualcosa di diverso, in modo da spostare l’attenzione di quelli che si stanno improvvisando geologi o ingegneri idraulici ad altre faccende: geologi e ingegneri idraulici saranno lieti di lasciare ad altri esperti veri del nuovo problema l’onere di perdere la pazienza per gli inevitabili commenti demenziali.

apertura delle cateratte dello scolmatore di Pontedera
aperte per salvare Pisa
OGGI ALLUVIONI, DOMANI SICCITÀ
. In Toscana la situazione è quella che è, come nel resto d’Italia: ma fino a quando non si capirà che questi fatti avvengono perché i corsi d’acqua sono stati ristretti e il nuovo regime di precipitazioni sta peggiorando le cose non si andrà da nessuna parte.
Oggi si parla di alluvioni, ma utenti dei social, opinione pubblica e buona parte del mondo politico si sono ormai dimenticati la siccità. Eppure temo che fra qualche mese si parlerà della siccità e ci si dimenticherà delle alluvioni. 
È evidente quindi come si debba pensare a opere per mitigare entrambi i problemi. Lo ha sostenuto in questi giorni in diverse interviste anche il presidente dei Geologi della Toscana, Riccardo Martelli che ha invocato un piano per la mitigaizone delle piene. 
come ho già scritto spesso, una soluzione intelligente sarebbe quella di costruire dighe: la loro apertura prima delle piene consente di stoccarvi immediatamente una grande quantità di acqua (come è successo a Ridracoli nel 2023); specularmente, l’Arno nelle ultime fasi siccitose ha avuto pochi problemi grazie all’acqua stoccata nell’invaso di Bilancino. Certo, qualcuno dirà che le dighe provocano dei problemi ai fiumi, modificando l’apporto dei sedimenti e interrompendo la continuità biologica, ma non si può fare una frittata senza rompere le uova. Insomma, caso per caso vanno visti pregi e difetti della possibile soluzione.

Per le piene anche i canali scolmatori hanno il loro perché e infatti sono in realizzazione a Genova gli scolmatori per il Bisagno e il Fereggiano. Di fatto un’opera che si è rivelata utilissima il 14 marzo è stata proprio lo scolmatore di Pontedera, la cui realizzazione è stata completata nel 1966: intercettando l’acqua dell’Arno a valle della cittadina e portandola direttamente in mare a Calambrone, anche stavolta ha evitato l’inondazione a Pisa (cosa che goliardicamente saràdispiaciuta ai livornesi...). Purtroppo l’operazione non è stata indolore perché ha provocato una inondazione nella piana fra Pisa e Livorno.

IN ITALIA PERÒ È DIFFICILE FARE LE OPERE. Facciamo un esempio. Parlavo con gli studenti di una scuola di Campi Bisenzio, cittadina tra Firenze e Prato martoriata negli ultimi decenni da una serie di alluvioni. Il suo territorio comunale è stato completamente strappato a un ambiente paludoso e quindi se si vuole evitare al 100% il rischio di alluvione in quell’area non vi dovrebbe vivere nessuno (applicando in parte il detto fiorentino di Prato fare campi e di Campi fare prato). Il problema maggiore non è rappresentato da quanto piove lì (anche se il sistema fognario è, ad andar bene, progettato per eventi molto inferiori a quello del 14 marzo), ma quello che piove a monte e gonfia il Bisenzio. E in caso di piena si corre il rischio della rottura degli argini, che in quesa zona – attenzione – in genere non si rompono per cedimento, ma per la loro erosione quando le acque, traboccando dall’alveo, li sormontano.

l'ipotetico scolmatore del Bisenzio
preso ad esempio come possibile lavoro
con gli ostacoli per la sua realizzazione
Allora, come difendersi da un problema del genere? Poniamo che sia difficile trovare il posto per realizzare una o più casse di espansione a monte di Campi perché il territorio è pesantemente urbanizzato e quindi si decida di realizzare un canale scolmatore che intercetti le acque del Bisenzio tra Prato e Campi per bypassare la cittadina e magari realizzare pure una cassa di espansione nella zona tra Indicatore e Lecore.
Bene. Allora, supponiamo che qualcuno in Regione trovi intelligente questa idea (o ci abbia già pensato). Non solo c’è da progettare il lavoro, ma ci sono da fare una serie di passaggi fra i quali la valutazione di impatto ambientale, la conferenza dei servizi, definire gli espropri, indire la gara per i lavori (sperando che chi la perda non faccia ricorso al TAR, pena ulteriori ritardi); iniziati i lavori c’è da sperare che la ditta appaltatrice non fallisca e/o che non intervengano altri problemi di qualsiasi genere (ad esempio sull’Arno i lavori per la cassa di espansione di Fibbiana tra Empoli e Montelupo sono fermi per “problemi burocratici”); c’è inoltre il rischio che dei cittadini si costituiscano in un comitato contrario all'opera, come per esempio è accaduto per esempio per una cassa del Misa a Senigallia, o quelle del Seveso a Milano.
Insomma, dopo quanti anni l’opera sarebbe pronta?
Quindi ci vuole una spinta, diciamo un PNRR del dissesto idrogeologico sul tipo di quella che fu l’esperienza di Italiasicura (grazie alla quale sono partiti ad esempio i lavori per le casse di espansione nel Valdarno superiore e gli scolmatori di Bisagno e Fereggiano a Genova).

IL PROBLEMA POLITICO. La presenza dei rapidissimi cambiamenti climatici è scientificamente ineccepibile (tranne che per i soliti noti) ed è altrettanto ineccepibile che a causa di essi gli eventi estremi stanno aumentando di numero in maniera impressionante. Ma i cambiamenti climatici non sono e non dovranno essere un alibi per tutto quello che è stato fatto che non doveva essere fatto e per tutto quello che non è stato fatto ma avrebbe dovuto essere fatto.
Perché tombamenti e restringimenti degli alvei, impermeabilizzazione del terreno, abitati messi in posizioni pericolose avrebbero problemi anche con il clima di 50 anni fa e le alluvioni non sono solo un problema di oggi, anche se adesso sono più frequenti.

Purtroppo nel settore della sicurezza del cittadino c’è una diversa percezione della dimensione dei problemi anche in termini di risorse e il rischio idrogeologico non viene percepito come tale, se non per pochi giorni dopo i disastri e come si è visto i rimedi presentati dalla vox populi sono assurdi. Un mio amico che è stato sindaco venne persino criticato perché, a detta di qualcuno, aveva esagerato con la mitigazione del rischio nei versanti!
Per cui costruire una strada o organizzare una sagra paesana conta più che impiegare risorse per sistemare un versante, anche perché la “gggente” si accorger di avere un problema idrogeologico solo e soltanto in presenza del disastro. E allora giù contestazioni contro chi non ha fatto nulla per evitarlo. Invece dopo un evento meteorologico importante nessuno va a ringraziare l'Ente locale semplicemente perché non non ha la minima idea di essersela sfangata proprio grazie a quella sistemazione.
Anche per questo i finanziamenti dedicati alla prevenzione sono molto scarsi.

Devono essere i cittadini a richiedere sicurezza del territorio alle amministrazioni e a vigilare sul territorio stesso per segnalare abusi e violazioni che possano aggravare le condizioni di rischio. Se tutti sono indifferenti perché non hanno idea del rischio che corrono non andremo molto lontano.
Il problema maggiore che abbiamo quindi sulla questione dell’assetto del territorio e del suo dissesto viene quindi da una mancata o errata percezione dei rischi legati ad uno sfruttamento del territorio spesso completamente folle.


martedì 4 marzo 2025

Animali particolari dell'America meridionale 1: un uccello particolarissimo, l'Hoatzin


L’America meridionale, grazie all’isolamento geografico in un periodo cruciale come il Terziario inferiore mostra una fauna autoctona molto particolare, drammaticamente ridottasi nel Pliocene, quando le faune dell’America settentrionale hanno invaso il continente dopo la emersione dell’istmo di Panama: a causa del “grande interscambio americano” si sono estinti in America Meridionale gruppi estremamente floridi come i mammiferi litopterni o notoungulati (dei quali comunque alcuni esponenti si sono estinti solo poche migliaia di anni fa), i marsupiali carnivori e tanti altri. Comunque la fauna sudamericana è piena di enigmi e di animali “strani”. Fra gli enigmi più importanti c’è (c’era) l’origine dei placentati autoctoni sudamericani (recentemente risolta una decina di anni fa: sono parenti dei perissodattili, cavalli e rinoceronti)) e come sono arrivati nel continente attraversando l’Oceano Atlantico gli antenati di scimmie del Nuovo Mondo, roditori autoctoni e coccodrilliformi del genere Crocodylus. Ma all’interno della fauna sudamericana ci sono alcuni animali caratterizzati da morfologia, abitudini e posizione sistematica peculiari. In questo post inizio a parlare di alcuni di questi animali, e precisamente di un uccello, l’Hoatzin. Poi proseguirò (ma non chiedetemi quando…) con un marsupiale e dei placentati.


Un Hoatzin nel suo classico ambente arboricolo. Foto di Vince Smith/Flickr (CC BY 2.0)
si nota la testa un pò piccola rispetto al corpo, ingrandito dall'enorme gozzo e  dall'intestino anteriore
Cracraft (2022) descrive l’Hoatzin (Opisthocomus hoazin) come il più strano e il più enigmatico uccello vivente e ne ha ben donde, dato il modo in cui vive, alcune sue caratteristiche anatomiche e la sua genetica.
L’Hoatzin vive negli llanos, la pianura di di praterie tropicali e arbusteti a est delle Ande in Colombia e Venezuela, fondamentalmente in mezzo alle chiome degli alberi. È l’unico membro della sua famiglia, gli Opisthocomidae. Grande quanto un pollo, ha la testa sormontata da lunghe piume e una faccia con pelle nuda blu brillante.
Possiede zampe molto corte, da cui la caratteristica postura tozza e orizzontale. Anche se le ali sono relativamente grandi, non è un volatore di lungo corso, ma si trova perfettamente a suo agio quando c’è da manovrare in mezzo agli alberi.

LE STRAORDINARIE CARATTERISTICHE DELL’HOATZIN

L’anatomia dell'Hoatzin è particolare, perchè perfettamente adattata ad una dieta che consiste quasi esclusivamente in foglie e per questo ha un becco corto e robusto, adattamento utilissimo per afferrare e strappare la vegetazione. Fino a qui nulla di strano.
Ma poi la faccenda si fa più strana.
IL GOZZO PIÙ GRANDE DELLO STOMACO. Iniziamo dall’apparato digerente: negli uccelli spesso è ben evidente il gozzo, la parte inferiore dell'esofago che si è espansa per contenere il cibo prima che passi nello stomaco; si tratta di uno strumento utilissimo specialmente quando c’è da nutrire la prole, affamata a causa della rapida crescita necessaria ai pennuti. L'Hoatzin è andato talmente avanti in questa direzione al punto tale che il gozzo è diventato molto più grande dello stomaco perché questo uccello ha sostanzialmente invertito la funzione di questi due organi: buona parte della digestione avviene proprio nel gozzo, anziché nello stomaco, a cui arriva cibo già abbondantemente predigerito. Inoltre l’intestino anteriore è molto più sviluppato rispetto agli altri uccelli.
UN INTESTINO ANTERIORE MOLTO SVILUPPATO. La digestione del materiale vegetale è molto lunga, anche e soprattutto quello rigurgitato per nutrire i piccoli e per questo la fisiologia dell'Hoatzin è in qualche modo più simile a quella dei mammiferi ruminanti che a quella di altri uccelli, perché entrambi consumano grandi quantità di vegetazione ed entrambi hanno sviluppato nei loro intestini anteriori un ambiente batterico complesso per fermentare il materiale vegetale nel corso di molte ore. È stato dimostrato che questi batteri disintossicano le saponine (sostanze che le piante usano come antiparassitari) presenti in diverse fonti alimentari comuni dell'Hoatzin.
LO SCHELETRO. L'evoluzione di questo comportamento alimentare unico ha portato ad adattamenti compensatori del corpo per accogliere il peso e il volume aumentati dell'intestino anteriore allargato e quindi lo sterno, molto più piatto e meno profondo anteriormente del normale. è in grado sia di accogliere l'intestino anteriore anomalmente più grande, sia di facilitare una posizione di riposo sui rami degli alberi durante la lunga digestione. A causa di questa dilatazione del torace la testa pare un pò piccola.
LA BIOLOGIA RIPRODUTTIVA. Gli hoatzin costruiscono nidi simili a piattaforme dove gli alberi sono più fitti (in genere lungo i fiumi, anzi sopra i fiumi) e la riproduzione è cooperativa: non solo su queste piattaforme troviamo più coppie con prole, ma addirittura gli individui più giovani aiutano gli adulti nell’allevamento dei più piccoli. Anche in questo sono diversi da qualsiasi altro uccello.

come un pulcino di Hoatzin usa gli artigli per risalire l'albero. Da Abourachid et al (2019)
GLI ARTIGLI SULLE ALI. E qui abbiamo un’altra cosa semplicemente straordinaria: se un pulcino cade dal nido o salta giù perché si sente minacciato, innanzitutto non si fa male perché cade nell’acqua (o, meglio, vi si tuffa) e può nuotare per tornare all'albero. Poi però deve risalire e come fa se ancora non sa volare? Semplicissimo: le ali dei pulcini possiedono due piccoli artigli alle estremità del secondo e terzo dito che vengono utilizzati per muoversi tra la vegetazione. Questi artigli alari vengono generalmente persi poco dopo che sono in grado di volare (a me pareva che rimanessero anche negli adulti, ma secondo Cracraft no). Alcuni uccelli mantengano gli artigli sulle ali, ad esempio i fagianiformi chukar, le anatre, alcuni gruiformi e i gufi (non a caso tutti questi uccelli non sono Neoaves oppure come dovrebbe essere l'Hoatzin, sono Neoaves basali), ma a parte gli Hoatzin nessuno di quelli che li hanno li usa per la locomozione. Vediamo qui come i pulcini risalgono gli alberi nella eccellente ricostruzione di Abourachid et al (2019).

IL POSTO DELL’HOATZIN NELLA SISTEMATICA DEGLI UCCELLI

Gli Hoatzin sono recalcitranti all’inquadramento sistematico e questo è in qualche modo imbarazzante. Negli ultimi cinquant'anni molti studi morfologici e genetici hanno affrontato il problema con risultati molto vari: sono stati proposti via via come parenti stretti di tinamidi (un altro gruppo tipico del Sudamerica, parenti volatori di struzzi e affini), galliformi, fenicotteri, cuculi, piccioni, e non solo (praticamente . Questo su base anatomica, ma anche su base genetica la confusione è rimasta: per qualcuno sono parenti stretti delle gru (Mayr 2010), mentre per Prum et al (2015) gli Opisthocomidi rappresentano un primo ramo, solitario, dei Neoaves (tutti gli uccelli a parte Ratidi, il gruppo Galliformi/ Anseriformi (Anatre) e gli altri uccelli acquatici). in Mayr (2010) si trovano diverse ipotesi evolutive precedenti. Non le pubblico perché sono di non immediata comprensione.
Questa ambiguità nasce probabilmente dalla mancanza di accordo su quali componenti del genoma siano i più informativi dal punto di vista filogenetico. Pertanto, gli studi utilizzano diversi campioni di dati genomici, li combinano in modi diversi e applicano vari modelli analitici. Dos Santos et al (2018) scrivono testualmente che la posizione sistematica dell’Hoatzon deve essere ancora chiarita e Wang et al (2022) continuano ad evidenziare che ci sono dei problemi nella ricostruzione delle relazioni genetiche fra gli uccelli in generale.
Il problema fondamentale, alla fin fine, è che le principali linee di uccelli moderni hanno avuto origine ciascuna in un intervallo di tempo molto breve, tra 65 e 67 milioni di anni fa e gli antenati degli Hoatzin si sono distinti dalle altre linee di uccelli molto presto (più o meno quello che è successo con gli arcosauri all’inizio del Triassico dopo l’estinzione di fine Permiano).

DOVE SI SONO ORIGINATI GLI HOATZIN

Come ho già sottolineato, l’Hoatzin è l'unica specie di Ophistocomidi esistente oggi e vive soltanto nell'Amazzonia e in parti del bacino dell'Orinoco. Ma questa è stata l'intera storia di questo gruppo per 65 milioni di anni?
La risposta è no e anche su questo gli Hoatzin sono un mistero perché pure la loro paleobiogeografia è strana. Fossili di ophistocomidi sono stati trovati nell'Oligocene-Miocene (22-24 milioni di anni fa) del Brasile e questo ha la sua logica. Però ne sono stati trovati anche in Europa e Africa nel Miocene e, soprattutto, quelli europei sono più antichi di quelli brasiliani. Aggiungendo che – almeno per adesso – non si trovano Ophistocomidi in America settentrionale, a questo punto le soluzioni possibili sarebbero 3:
  1. gli Ophistocomidi si sono originati prima della separazione fra America meridionale e Africa
  2. gli Ophistocomidi sono nati in Europa e sono emigrati in America Meridionale passando dall’Africa
  3. gli Ophistocomidi sono nati in America meridionale e sono successivamente emigrati nel Vecchio mondo

LA RISPOSTA 1 appare molto improbabile su dati genetici: la divergenza fra America Meridionale e Africai data a circa 120 milioni di anni fa, e questo cozza vistosamente con tutti i dati genetici degli uccelli. Altrimenti toccherebbe pensare che sono sbagliati quelli degli Hoatzin, i quali quindi rappresenterebbero una linea che si è separata dagli altri uccelli molto precocemente ma di cui non si sa nulla. Oltre ai dati genetici, anche quelli paleontologici suggeriscono che un quadro simile è impossibile, perché certi caratteri tipici degli uccelli in possesso anche di Hoatzon sono molto più recenti, specialmente quelli delle ricostruzioni che li inseriscono nei Neoaves basali).
LA RISPOSTA 3 è abbastanza plausibile (o, meglio, la “meno non plausibile”), supponendo un itinerario simile a quello dei roditori americani, nati in Eurasia, emigrati in qualche modo in Africa e da lì passati in America meridionale insieme agli antenati delle Scimmie del Nuovo mondo, la cui migrazione è avvenuta dopo che gli antropoidi hanno colonizzato l’Africa e quindi non prima di 39 milioni di anni fa (Eocene medio). Insomma, in questo quadro gli Ophistocomidi sarebbero un terzo compagno di viaggio di scimmie e roditori. Vivendo lungo i fiumi l’ipotesi avanzata delle navigazione transoceanica su zattere vegetali non sarebbe da escludere del tutto
LA RISPOSTA 2 appare meno verosimile della 2 perché non risultano"viaggi" transatlantici in verso opposto a quello di Scimmie del Nuovo mondo e roditori

Insomma, sia la parentela che il luogo di origine di questo uccello enigmatico e particolare non sono stati ancora stata del tutto compresi. Fra l'altro il suo modo di volare potrebbero non essere troppo diverso da quello di Archaeopteryx, ma questa è solo una convergenza evolutiva che comunque aggiunge un'altra particolarità di questo uccello

BIBLIOGRAFIA

Abourachid et al (2019). Hoatzin nestling locomotion: Acquisition of quadrupedal limb coordination in birds. Sci. Adv 5:eaat0787
Cracraft (2022). The Hoatzin, quick guide. Current Biology 32, R1042–R1172
Dos Santos et al (2018). The Karyotype of the Hoatzin (Opisthocomus hoazin) – A Phylogenetic Enigma of the Neornithes. Cytogenet Genome Res 156,158–164
Mayr (2010). Metaves, Mirandornithes, Strisores and other novelties – a critical review of the higher-level phylogeny of neornithine birds. J Zool Syst Evol Res 49(1), 58–76
Mayr e De Pietri (2014). Earliest and first Northern Hemispheric hoatzin fossils substantiate Old World origin of a "Neotropic endemic". Naturwissenschaften 101,143–148 
Prum et al (2015). A comprehensive phylogeny of birds (Aves) using targeted next-generation DNA sequencing. Nature 526, 569-573
Wang et al (2022). Categorical edge-based analyses of phylogenomic data reveal conflicting signals for difficult relationships in the avian tree. Molecular Phylogenetics and Evolution 174, 107550