lunedì 17 ottobre 2016

Per il 50° del '66 2: le alluvioni del passato a Firenze


Dopo il primo post, dedicato ai problemi idraulici del bacino dell'Arno nel XX secolo, in questo secondo post esamino le alluvioni del passato a Firenze. Ci sono da fare alcune precisazioni rispetto a quanto è comunemente noto, principalmente su quanto è successo prima del 1261. Inoltre si notano alcuni particolari interessanti sulla distribuzione degli eventi: un addensamento notevole in autunno, tra settembre e gennaio (cosa non certo inaspettata...) e un cambiamento assoluto della frequenza degli eventi che si è registrato a partire dalla seconda metà del '700. Le esondazioni dell'Arno non sono un fenomeno che riguarda unicamente Firenze, ma
interessano, in forma più o meno grave, tutte le piane lungo l'asta fluviale: lo testimoniano le
tante opere idrauliche che troviamo lungo il fiume; ma questo è un aspetto che può essere evidenziato soprattutto da esperti, mentre chiunque può notare un altro aspetto e cioè le targhe che si trovano continuamente a Firenze indicanti il livello a cui sono arrivate le alluvioni del passato, (non solo di quella del 1966). Di tali targhe ne ho viste anche nelle campagne e in altre città lungo il corso del fiume. Persino in una casa privata!

L'ARNO: UN PROBLEMA PER FIRENZE DALLA SUA FONDAZIONE. Che l’Arno fosse un problema per Firenze era noto fino dalla fondazione della città, avvenuta nel I secolo a.C. (anche se ci sono evidenti tracce di insediamenti preesistenti).
Addirittura, come ho già evidenziato, nel 17 d.C. una commissione di esperti del Senato romano (una Commissione De Marchi ante – litteram!) propose di intervenire sul corso del Clanis, fiume abbastanza importante all'epoca che percorreva in direzione sud la Val di Chiana, sfociando nel Paglia e quindi nel Tevere. C’era la convinzione che le acque provenienti dalla Val di Chiana fossero il problema maggiore alla base delle alluvioni che periodicamente interessavano Roma. La proposta era quindi quella di invertire il corso del Clanis facendolo finire nell’Arno, fiume che in epoca etrusca aveva aumentato la portata in quanto prima nella zona di Arezzo l'Arno si biforcava, una parte andava verso il tracciato attuale, un’altra verso la Chiana e quindi le acque che scendevano dal Casentino in parte erano tribuarie del Tevere.
Questa idea scatenò le apprensioni degli abitanti della giovane colonia in terra etrusca in quanto c'era la paura che le acque della Valdichiana diventassero un grosso problema per l'Arno. Da notare che questa paura sussisteva ancora nel XVIII secolo quando le bonifiche leopoldine di quell’area a Firenze venivano viste come il fumo negli occhi, ma è certo che almeno per l'alluvione del 1966 il contributo di quell'area è stato molto scarso (350 mc/sec).
Il fatto meriterebbe un approfondimento: come potevano gli abitanti di una città giovanissima, fondata meno di un secolo prima, nel 59 AC, avere queste paure? C'era forse stata una alluvione in quegli anni?
Fattostà che una delegazione di fiorentini andò a Roma, riuscendo ad evitare quello che per loro poteva essere un gravissimo problema.

La delegazione riuscì nell'impresa e il progetto fu bloccato. Poco tempo dopo, nel 65 DC, sotto il regno di Nerone fu eseguita un'opera minore: il Clanis fu fermato con una specie di diga nella zona di Fabro, il “Muro Grosso”, che dovrebbe fare anche parte di un sistema di chiuse citato da Plinio il Vecchio per consentire la navigabilità tra Tevere, Paglia e Chiana. Questa operazione si concluse con un generale insuccesso: da un lato Roma continuò ad essere periodicamente allagata dal Tevere, dall'altro a causa delle difficoltà di deflusso delle acque la Valdichiana ridiventò una terra malsana e paludosa fino alle bonifiche lorenesi del Settecentento.

IL TRATTATO DEL MOROZZI DEL 1762. La prima trattazione completa e specifica sulle alluvioni dell’Arno è “il Morozzi”, il libro Dello stato antico e moderno del fiume Arno e delle cause e de’ rimedi delle sue inondazioni, scritto da Ferdinando Morozzi (1723 – 1785) e stampata nel 1762. L’autore si avvalse, fra l’altro, anche degli scritti e della conoscenza diretta di Giovanni Targioni Tozzetti (1712 – 1783), che ringraziò esplicitamente nella prefazione, e attribuì correttamente alla deposizione dell’Arno la sedimentazione della pianura di Pisa, come – altrettanto esattamente – ipotizzò che nel passato le pianure fossero tutte aree paludose.
Notiamo innanzitutto che la stragrande maggioranza degli eventi si sono verificati fra settembre e gennaio. Stranamente l'unico mese in cui non si ricordano alluvioni è marzo, che invece è uno dei mesi più umidi.

Sulla storia delle alluvioni a Firenze si devono smentire due asserzioni tradizionali che si basano teoricamente sul Morozzi.
La prima è che gli eventi alluvionali vengano “registrati meticolosamente dal 1177”. Questo deriva da una non attenta lettura della fonte di questo elenco: il Morozzi stesso precisa che nel suo catalogo potrebbero esserci delle lacune, pur essendo comunque sicuro di aver potuto ricavare notizie su tutti gli eventi principali ma non escluse la mancanza di qualche evento minore. Inoltre di quanto è scritto non c'è certezza di alcuni eventi: per esempio non si ricava una sicurezza assoluta che nel maggio 1406 la piena produsse una esondazione, mentre a proposito del 1434 parla solo di fatti avvenuti a Empoli.
In qualche caso lui stesso sposta all'anno precedente certi avvenimenti supponendo degli errori di datazione nella cronaca che ha esaminato (per esempio attribuisce al 1378 dei fatti che secondo un cronista, lo Stefani, si sarebbero invece svolti nel 1379).
La seconda è che le alluvioni dell’Arno sarebbero iniziate nel 1177. All’inizio della trattazione l'Autore accenna ad alcuni eventi, per esempio parla di un disastro avvenuto durante il regno di Costantino IV (nel VII secolo), di quelli citati da Paolo Diacono nella storia dei longobardi e altri citati da altri Autori.
Sempre nel XII secolo, prima del 1177, Morozzi stesso fa accenno ad inondazioni avvenute nel 1139 e nel 1168. In particolare a proposito del 1168 riporta una fonte anonima secondo la quale l’Arno tra settembre e novembre sarebbe uscito dagli argini ben nove volte.
Anche questa seconda asserzione deriva da una non attenta lettura di quel testo: l'inondazione del 1177 è semplicemente la prima inserita in catalogo dal Morozzi, il quale precisa esplicitamente di tralasciare “quelle seguite nei tempi di mezzo” e giustifica questa scelta con la convinzione che quell’anno costituirebbe uno spartiacque urbanistico a causa della “correlazione alla fondazione del Castello di Altafronte e di altre fabbriche fatte in Firenze sulla riva dell’Arno”. In realtà questa correlazione è sbagliata, in quanto il castello ha influito poco in quanto la “stretta” del Ponte Vecchio era preesistente a queste operazioni.

L'INTERVALLO SOSPETTO FRA IL 1177 E IL 1261. Ho inoltre un dubbio sul periodo 1177 – 1261: infatti fra la la prima e la seconda alluvione elencate dal Morozzi passano oltre 80 anni. A prima vista mi sembrano troppi.
Provo ad ipotizzare una spiegazione.
La parte più antica della città, che corrisponde al castrum romano e che più o meno è stata ripresa dalle prime mura comunali, è oggi piuttosto rialzata dal resto della città. Lo si vede anche dalla carta dell’altezza delle acque del 1966 e, di fatto, è stata colpita solo dalle inondazioni principali (1333, 1557 e 1966).
Nella pre  - pubblicazione del rapporto definitivo scritto dal comitato tecnico internazionale “Firenze 2016” sulla protezione della città dal rischio alluvioni si legge che i romani avrebbero costruito Florentia in un rialzo della piana. In realtà questo rialzo è (almeno in buona parte) di origine artificiale: gli edifici ora sovrastanti l’area romana infatti poggiano su un livello di parecchi metri di detriti di vecchie abitazioni.
Durante la crisi dei “secoli bui” Florentia si è ristretta, ma alla ripresa della civiltà fu costruita in epoca carolingia una cerchia di mura che bene o male ricalcava quella romana. Anche la successiva cerchia antica di Cacciaguida citata nella Divina Commedia (nota meglio come Mura Matildine, da Matilde di Canossa) e costruita nell’XI secolo continuava bene o male a comprendere solo la zona un po' rialzata.
Quindi è possibile che prima della crescita esponenziale della popolazione cittadina, avvenuta durante il XIII secolo e che costrinse a ideare la terza cerchia muraria, la zona abitata rimanesse per lo più confinata al rialzo e che questo rialzo non veniva toccata dalle acque perché già a livello più alto del resto a causa dei detriti sottostanti e quindi.
Ergo, nessuno si ricordava piene dell’Arno (che non aveva neanche, fra l’altro, un corso ben definito fra due argini) il quale si limitava ad esondare negli stagni e nelle paludi intorno alla città, senza influire più di tanto sulla vita civile.

Nel 1177 crollò il ponte in legno che era al posto dell’attuale Ponte Vecchio: forse è per questo che quell’evento è così noto e altri che lo hanno preceduto e seguito non hanno lasciato tracce, mentre le nove fuoriuscite dell’Arno dall’alveo citate da Morozzi nel 1168 possono essere state delle esondazioni poco più che golenali, la cui memoria è stata tramandata perché colpì la ripetizione continua dell’evento.

IL CAMBIAMENTO NELLA FREQUENZA DELLE ALLUVIONI A FIRENZE DA METÀ DEL XVIII SECOLO. Per questi motivi preferisco modificare l'elenco del Morozzi togliendo l'evento del 1177 e partendo quindi da quello del 1261.
I disastri maggiori prima del 1966 sono avvenuti nel 1333 (sempre il 4 novembre), il 13 settembre 1557 e il 30 ottobre 1559. Non essendo in grado di dire nulla su possibili tempi di ripetizione delle alluvioni prima del 1261 e ponendo che sicuramente tutti gli eventi citati dal Morozzi sono reali (anzi, al limite ne manca qualcuno) si nota una caratteristica piuttosto strana: dalla metà del 1700 a Firenze il regime è cambiato, con una marcatissima rarefazione degli eventi, per la quale ci sono due spiegazioni principali,  una antropica e una naturale.
Nelll'elenco del Morozzi tra il 1261 ed il 1761 le alluvioni si sono susseguite a ripetizione, anche in tempi molto vicini fra loro: ben 55 eventi, di cui 30 definiti molto gravi. Si tratta di un ritmo elevatissimo, se guardiamo a quello che è successo dopo: meno di 10 anni fra un evento e l’altro (è il caso per esempio degli anni 1490 /1491 e 1543 / 44 / 47 / 50, a cui seguì l’evento “maggiore” del 1557). Dopo il 1761 ne abbiamo avute soltanto 3 in 200 anni a Firenze, mentre a Pisa sono continuate, altro particolare interessante.

PIENE DELL'ARNO E DEI SUOI AFFLUENTI. Precisiamo subito una cosa importante: una alluvione dell’Arno a Firenze non è un evento che si verifica a causa di una forte pioggia su un’area limitata: a causa della portata potenziale del fiume occorre che più sottobacini (Chiana, Casentino, Valdarno superiore, Mugello, Ambra) siano oggetto di forti precipitazioni.
Ho visto recentemente e personalmente gli effetti di alluvioni che hanno colpito i tributari dell’Arno (Ema, Ciuffenna, Bisenzio, Ombrone pistoiese, Stella, Mugnone, Faella): in diverse occasioni questi torrenti hanno procurato dei danni ingenti, ma le loro piene, devastanti a livello locale, sul fiume principale sono state praticamente ad effetto zero. Solo nel 1992, in occasione dell’alluvione del Mugnone, anche l’Arno rischiò di esondare perchè le piogge si erano diffuse un pò in tutto il bacino, ma alla fine esondarono solo alcuni affluenti (nel 1345 esondarono simultanemaente Arno e Mugnone, il quale invece nel 1966 non esondò).
Insomma, perchè esca dagli argini l’Arno, a parte il tratto casentinese più a monte dove ha delle caratteristiche e delle portate simili a quelle dei torrenti di cui ho appena parlato, bisogna che siano diversi i tributari che lo ingrossano.
E di fatto l’alluvione del 1966, come l’evento del 31 ottobre 1992, in cui il rischio esondazione è stato altissimo, sono dovuti a piogge incessanti lungo tutti i sottobacini a monte di Firenze (Mugello, Casentino, Val di Chiana, Valdarno superiore, Val d’Ambra).
Quindi per avere una piena che possa provocare una inondazione a Firenze ci vuole una perturbazione che diffonda piogge intense su tutto il bacino a monte.

LE IPOTESI SUI MOTIVI DEL CAMBIAMENTO DI FREQUENZA. Secondo alcuni autori questa sostanziale modifica è dovuta ad un nuovo equilibrio idrogeologico - idraulico più o meno stabile dovuto alle sistemazioni idrauliche e forestali lorenesi, grazie alle quali fu creato un reticolo di canalizzazioni in grado di evitare le alluvioni delle aree bonificate e che rallentava il deflusso delle acque nei corsi d’acqua.
Come spiegazione questa mi lascia piuttosto perplesso, innanzitutto perché nel tratto a monte di Firenze tali operazioni hanno riguardato solo la Val di Chiana e, al limite, hanno aumentato, anziché diminuito, il flusso di acque nell’Arno: infatti non solo a questo modo sono stati perse le paludi che fungevano da serbatoi per le acque, ma, aspetto non secondario, la maggior parte di queste acque scorreva eventualmente verso il Tevere attraverso il Paglia piuttostoché verso l’Arno.
Ed è questo l’aspetto per il quale sono state piuttosto malviste in città. Di fatto grazie a questo intervento nel caso degli eventi alluvionali consistenti le portate verso l'Arno sono arrivate a 350 mc/sec nel 1966 e 663 mc/sec. nel 1921.
Anzi, al contrario, direi che queste bonifiche nella parte a valle di Firenze sono alla base delle frequenti alluvioni che invece hanno colpito Pisa e a causa delle quali è stato costruito lo scolmatore di Pontedera nel XX secolo: se impedisci alle acque piovane di esondare e le scarichi nel fiume, ne aumenti la portata e quindi aumenti automaticamente il rischio di tracimazione a valle

Situazione meteo il 4 novembre 1966:
l'alta pressione dei Balcani blocca la perturbazione
Io propendo invece per una spiegazione climatica, e cioè la fine della Piccola Era Glaciale, a cui ha corrisposto una nuova situazione in cui sono diminuiti fortemente gli eventi che riguardano il bacino intero, mentre sono aumentati, grazie al riscaldamento globale, eventi importanti in piccoli bacini.
Oggi per avere un evento come quello del 1966 (ma è quello che è successo anche in Piemonte nel 1994, per esempio) occorre che il ciclone che porta le piogge sia bloccato e non riesca ad andare verso est a causa di una alta pressione nei Balcani: ne consegue che le precipitazioni si prolungano nel tempo nello stesso posto.
Mi domando se sia possibile che in una fase più fredda come quella della Piccola Era Glaciale questo fenomeno sia avvenuto più spesso.
Nel prossimo post, terzo della serie, esaminerò l'evento del 1966, che insisto a chiamare "evento alluvionale della Toscana e dell'Italia di Nord-Est" perché se Firenze è la città - simbolo, anche il resto della Toscana e il Triveneto hanno subìto immensi danni 

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