domenica 10 ottobre 2010

Nubi vulcaniche e fulmini.


La foto qui accanto è stata scattata da Brettwood Higman, un fotografo che era casualmente impegnato in un trekking nella zona del vulcano Redoubt nella primavera del 2009. Si vedono dei fulmini provenire dalla nube al di sopra del vulcano.
Nelle fasi più parossistiche di una eruzione, quando un pennacchio di ceneri sovrasta il vulcano, non è infrequente notare la presenza di fulmini, che possono raggiungere lunghezze ben superiori al kilometro.
Capirne la causa non è a prima vista molto semplice, primo perchè già nello studio dei fulmini in generale viene adoperato spesso il condizionale anziché l'indicativo, sia perchè nei vulcani il fenomeno è molto transitorio.


Però con le risorse tecniche attuali la loro osservazione è molto più facile a causa della grande diffusione del fenomeno delle web-cam: ci sono dispositivi del genere per tutti i gusti e ovviamente anche per i vulcani (senza contare che oltre a quelle fisse, è facile allestirne velocemente di nuove ove le circostanze lo richiedano). Così è più facile immortalare questi episodi ed incrociando i dati visivi e temporali delle riprese con quelli dei sismografi si ricavano indicazioni piuttosto utili.
Comunemente i fulmini associati alle eruzioni vulcaniche iniziano a manifesrtarsi  parecchi minuti dopo che è avvenuta l'esplosione, quando la nuova nuvola di cenere si sta strutturando. Possono essere molto frequenti: si calcola che nelle fasi di maggiore attività nella nube provocata dall'esplosione del St.Helen nel 1980 si sia arrivati addirittura a un lampo al secondo! Il monitoraggio dei fulmini nelle nubi vulcaniche potrebbe anche essere usato dai vari VAAC in supporto al traffico aereo.
Uno degli episodi più documentati in materia riguarda l'eruzione del Redoubt nel 2009, uno dei più noti, attivi e studiati vulcani dell'Alaska, le cui eruzioni in generale presentano sempre le stesse caratteristiche: ad una fase esplosiva segue la costruzione di un duomo lavico (un tipo di attività comune fra i vulcani delle serie orogeniche). Tra il 22 e il 23 marzo del 2009 un momento di particolare esplosività ha provocato una vasta produzione di fulmini di cui, grazie ai dispositivi che furono installati in zone vicine specificamente per osservare quella eruzione, esiste una eccellente documentazione. Notare come lo studio dei fulmini faceva espressamente parte del programma di studio e sorveglianza.


Negli ultimi anni il fenomeno è stato ben osservato nella recente eruzione dell'Eyafjallayokull, in cui  ha avuto momenti di particolare intensità, come in quella del Chaiten in Cile.

È quindi evidente che le cause stiano nella nuvola in se stessa, coinvolgendo in qualche caratteristica i materiali che la compongono e che il processo che li innesca sia piuttosto lento.

Secondo una prima idea i fulmini sono provocati dalle particelle sospese di materiali vulcanici che compongono la nube, nei quali si attivano meccanismi di accumulo di carica elettrica che alla fine scatenano il lampo.

Si suppone che a guidare l'accumulo di differenza di potenziale elettrostatico contribuiscano in parte le rotture delle piccole particelle che costituiscono la nube, già precedentemente squilibrate dal punto di vista elettrostatico. Il merito maggiore però viene attribuito alle frequenti collisioni fra le particelle (e soprattutto degli sfregamenti). Poi le cose si fanno, almeno per adesso, un po' confuse, ma da qui in poi, cambiando solo la natura delle particelle, il modello prevede processi analoghi con quelli dei fulmini meteorologici normali.

La sequenza temporale ipotizzata è questa:

1. le particelle si caricano in qualche modo di elettricità (e qui mi pare che i motivi siano piuttosto oscuri, ma vabbè... non si può sapere tutto....: mi azzardo a pensare che l'esplosione rompa rocce magmatiche o scagli in aria particelle ancora liquide spezzando legami atomici con quindi elettroni che girano in qualche modo liberi dalle molecole a cui appartenevano).

2. Le collisioni aumentano la separazione delle cariche mentre processi aerodinamici segregano ulteriormente le aree a carica positiva da quella a carica negativa fino a quando la differenza di potenziale diventa talmente grande da provocare un devastante flusso di corrente.

Occorre notare che quindi i processi ipotizzati (o forse altri...) sono capaci di creare nella nube vulcanica zone a carica diversa da quelle circostanti.


Earle Williams del MIT e Stephen McNutt della Università dell'Alaska però nel 2008 hanno ipotizzato un'altra possibilità estremamente più semplice: il fenomeno sarebbe guidato come nelle ordinarie nubi temporalesche dall'acqua contenuta nella nube. In pratica sarebbero solo dei comunissimi temporali o, meglio, dei fulmini secchi (ciè fulmini che si scatenano senza pioggia).

In effetti l'acqua è uno dei componenti più importanti dei gas vulcanici ed è presente anche nelle nubo di cenere nubi di cenere. Quindi ce ne dovrebbe essere a sufficienza per innescare il fenomeno.
Le ricerche comunque non sono ancora arrivate alle certezze: c'è ancora molto da capire su questi fenomeni.

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