La recente scoperta, presentata sul numero uscito il primo luglio di Nature, a proposito di presunto materiale organico vecchio di oltre 2 miliardi di anni in Gabon, e che è stato interpretato come organismi pluricellulari, oltre a fare molto rumore, ha suscitato pure qualche contestazione.
Una precisazione innanzitutto: non è una novità trovare fossili di quella età. Per esempio c'è Grypania spiralis, del Michigan ed interpretata come un'alga, pur essendo ancora nel dubbio se si tratti di una cellula procariote (quindi senza nucleo differenziato) o eucariote, quindi una cellula “moderna”, con un nucleo ben distinto.
Venendo al Gabon troviamo una situazione incredibile: sedimenti marini e deltizi non piegati né tantomeno metamorfosati inquadrati nel Gruppo di Franceville, testimonianza del colmamento di un bacino ribassato in mezzo al basamento archeano vecchio di circa 2.7 miliardi di anni. In un angolo del bacino si trovano delle vulcaniti riolitiche i cui prodotti sono intercalati ai sedimenti e ne hanno permesso la datazione.
Logico che per i paleontologi specializzati nel più lontano passato la zona, per di più estesa per 35.000 km quadrati, sia oggetto di attenti studi, che hanno rilevato in passato la presenza di molti cianobatteri. Stavolta siamo forse andati oltre: El Albani e il suo team scrivono un articolo su Nature in cui parlano di concrezioni piritizzate presumibilmente organogene in una unità di scisti scuri che fa parte del gruppo di Franceville.
Le concrezioni (ne sono state prelevate circa 250 in 18 orizzonti diversi) si trovano all'interno di una serie di scisti neri di ambiente deltizio. Lunghe da poco meno di un centimetro a 12, larghe meno di 7 e spesse da 5 a 70 millimetri, arrivano ad una densità di 40 per metro quadro. Sono quindi molto appiattite e tutte disposte parallele alla stratificazione, ma la loro orientazione sulla superficie è casuale. Tutte presentano delle fessure lungo i raggi.
Negli esemplari più grandi ci sono nuclei centrali di forma nodulare. Dove manca il nodulo centrale si riducono a semplici e sottili film piritici, come le zone senza nodulo degli altri.
La piritizzazione è piuttosto comune nel precambriano (e non solo nei fossili) ed è stata guidata dall'abbondanza di solfati: l'ambiente riducente presente durante la diagenesi del sedimento spiega il solfuro. Al proposito occorre ricordare il diverso chimismo dell'atmosfera e dell'acqua dell'epoca, in particolare la minore quantità di ossigeno (in quel momento era in corso la prima delle due fasi di aumento dell'ossigneo nell'atmosfera). ci sono comunque diversi aspetti che stabiliscono senza ombra di dubbio la loro origine organica, in particolare:
- cristalli di pirite o marcasite che crescono radialmente sono noti nel precambriano e attribuiti a cianobatteri.
- le analisi geochimiche sono molto differenti da quelle della roccia incassante
la struttura:
- noduli di pirite a forma di sole di origine inorganica sono documentati nelle rocce di quel periodo ma sono estremamente più regolari
- la superficie a contatto con il sedimento sottostante è debolmente piegata, tipica caratteristica di un “foglio” organico flessibile
- tutte queste strutture sono posizionate sulla parte superiore degli strati e si sono quindi formate in superficie
- in tutte queste forme si evidenzia una crescita radiale a partire da un nucleo centrale
Anche sull'età non ci sono dubbi (si oscilla di una trentina di milioni di anni, ma insomma... stiamo parlando di oltre 2050 milioni di anni....): una breve ma completa ricerca in materia è stata esposta su Hightly Alloctonous dal puntuale Chris Rowan.
Per quanto riguarda il cosa fossero questi fossili, i ricercatori escludono di essere davanti a dei tappeti microbici perchè una crescita come quella rilevata presume quantomeno la capacità di un coordinamento fra le varie cellule, più simile a quello di organismi pluricellulari: le colonie batteriche non sono capaci di coordinare il loro comportamento e formare strutture di aspetto regolare e ben definito. Quindi saremmo al cospetto del più antico esempio del genere conosciuto. E per di più ci sarebbero dei segnali chimici (la presenza di composti organici come degli sterani) secondo i quali queste forme di vita sarebbero eucarioti e non procarioti.
Non tutti però sono d'accordo su questa conclusione. In particolare Chris Nedin, un esperto del settore (non a caso il suo blog si chiama “ediacarian”). Forse i suoi studi sono orientati più all'ediacariano (che è la parte finale del precambriano, meno di 600 milioni di anni fa), ma sicuramente è una persona informata sui fatti.
Vediamo cosa scrive Nedin sul suo blog, in un post dal significativo titolo “2.1 Ga multicellular colonial organism? uhm, not”.
Secondo lui sono proprio tappeti batterici, l'unica cosa esclusa dal gruppo di El Albani. Dove non c'è il nodulo, sia negli esemplari che ne sono dotati che no, il fossile si riduce ad un sottile fiilm piritico e gli autori dell'articolo su Nature si tirerebbero letteralmente la zappa sui piedi quando affermano che i nuclei si sarebbero piritizzati posteriormente rispetto ai film sottili. La cosa mi aveva lasciato perplesso, ma non sapendo praticamente niente di fossili del precambiano mi riservavo eventualmente di approfondire.
Secondo Chris questo è un punto focale: i noduli non rappresentano una forma originaria ante – fossilizzazione, cioè tutte le strutture si sono formate come film e solo dopo il loro seppellimento ci sono stati dei fenomeni che ne hanno modificato in parte l'aspetto. Nell'immagine qui accanto si vede il particolare di un nodulo: si evidenzia come ai suoi lati continua ad esistere il tenue film mentre l'interno è diverso. E qui c'è la differenza fondamentale nelle interpretazioni: gli autori dell'articolo pensano che il nodulo abbia origine organica, Nedin no.
L'americano spiega tutto in maniera molto diversa e presenta due ipotesi su come, in maniera del tutto meccanica, si sarebbero formati questi noduli a partire da un film organico spesso pochi millimetri.
1. in superficie: la deformazione sarebbe dovuta a qualcosa (acqua o gas) che è andato sopra al film, deformandolo e successivamente è stata coperta dallo stesso tappeto che ha cominciato a crescervi sopra, intrappolando questo qualcosa che poi si è piritizzato come il tappeto. C'è anche la possibilità che vento o acqua abbiano deformato i tasppeti e inserito sotto di loro del materiale
2. deformazioni indotte durante il consolidamento del sedimento: in qualche modo durante questa fase l'acqua contenuta nelle argille doveva essere espulsa e quindi poteva incunearsi dentro i tappeti batterici.
Inoltre le dimensioni di questi noduli sono paragonabili a quelle di tappeti microbici attuali, come dimostra lo stesso Nedin in un post successivo.
Per questi motivi non ritiene necessario pensare a forme di vita più complesse e capaci di interazione fra le varie cellule rispetto a dei procarioti.
Cosa dire a commento? Ribadendo che non sono pratico di queste cose e dopo aver sentito l'opinione di alcuni amici, in primis Cesare Papazzoni che mi ha fornito il link al blog di Nedin, l'impressione comune è che l'interpretazione scritta su Nature possa essere un po' forzata. Inoltre Nedin nei suoi due post appare molto convincente facendo vedere sia altre situazioni simili in cui delle strutture piane sono state deformate da cause esterne in sedimenti non altrimenti deformati, sia coinvolgenti tappeti batterici attuali.
Una critica potrebbe essere quella di non aver visto gli originali, ma le foto su Nature sono abbastanza chiare per una persona della sua esperienza.
Aspettiamo comunque una risposta dagli autori dell'articolo anche se, onestamente, se dovessi essere chiamato ora come ora a una preferenza "secca", opterei per Nedin.
3 commenti:
Aggiungo che gli autori non hanno menzionato alcuna somiglianza morfologica tra i diversi "esemplari". Nel caso di organismi pluricellulari ci si aspetterebbe, anche se con alta variabilità intraspecifica, un certo grado di uniformità. Il fatto che gli autori non ne parlino (e che le foto non lo mostrino) è un ulteriore punto a favore di un origine diversa delle strutture del Gabon.
questa di Cesare è un'altra nota molto interessante.
L'unica cosa che mi pare strana è che in un numero impressionante di studiosi (22 se ho contato bene) nessuno abbia pensato ad altre soluzioni
Penso che sia difficile resistere alla tentazione di pubblicare uno "scoop" di questo genere su una rivista come Nature. Trovo invece più strano che i revisori non abbiano obiettato nulla.
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