venerdì 21 maggio 2010

Letto e consigliato: "I re del Sole" di Stuart Clark (di quello che succederà nel 2012 e della storia dell'astronomia solare con un piccolo appunto finale sui cambiamenti climatici)


Se volete sapere davvero cosa ci aspetta tra il 2012 e il 2013 dovreste leggere “I re del sole” di Stuart Clark, uscito con “Le Scienze” del febbraio 2010 ma disponibile anche nella versione originale italiana pubblicata da Einaudi a 25 euro.
Sarebbe un investimento ben speso per chi è interessato all'argomento e oltretutto dare di imbecilli ai profeti di sventure.

Il libro prima di tutto è una storia delle ricerche sul Sole, da quando, partendo da William Herschel, suo figlio John e Richard Carrington per arrivare a George Airy ed Edward Walter Maunder (giustificandomi per l'impossibilità di elencare tutti quelli scienziati di cui Clark parla più o meno diffusamente) l'astronomia da semplice ausilio per la navigazione è diventata una scienza a sé stante.
Scritto in maniera molto appassionante è proprio un vero racconto di quello che si svolse, comprese alcune turbolente riunioni delle società scientifiche londinesi.
Diciamo che dopo averlo letto chiunque può dire di conoscere a grandi linee questi fatti.

Ma leggere il libro di Clark è anche molto utile per smentire i catastrofisti di ogni ordine e grado: con la cronaca degli eventi del 1857 e del 2003, quando fortissime tempeste magnetiche investirono la Terra, l'autore ci spiega quali davvero possano essere i pericoli per il nostro pianeta (e, soprattutto, per la nostra ipertecnologizzata umanità) nascosti nel prossimo massimo solare.
Un appunto è d'obligo: quando il libro è stato scritto si temeva un massimo solare molto forte, ma le ultime ricerche tendono a ridimensionare l'allarme.

Clark inizia descrivendo introducendola come leit-motiv del libro, la vicenda dei brillamenti solari e delle tempeste magnetiche che avvennero nell'ottobre – novembre 2003 e le collega a quella che è stata la tempesta magnetica avvertita maggiormente sulla Terra, quella scatenatasi tra la fine di Agosto e i primi di Settembre del 1859, commentando adeguatamente una serie di fenomeni che le hanno accompagnate mentre racconta il modo con cui, dopo un lungo cammino di osservazioni e teorizzazioni, è stato riconosciuto il legame fra macchie solari, brillamenti e tempeste magnetiche.

L'unico appunto che mi sento di fare a Stuart Clark e a “i re del Sole” è un finale un po' frettoloso in cui si accenna un po' vagamente alle connessioni fra la nostra stella e il clima terrestre, a partire dalla piccola era glaciale (e al “minimo di Maunder”) fino alle oscillazioni nelle precipitazioni connesse al ciclo solare.  In sostanza in un periodo di forte attività solare il Sole diminuisce molto la distribuzione dei raggi cosmici: secondo una ipotesi lanciata dai danesi Svensmark e Friis-Christensen nel 1997 maggiore è la quantità di raggi cosmici, maggiori sono le probabilità che si formino nuvole.
Quindi i massimi di attività solare corrispondono a periodi più caldi perchè durante questi periodi il sole, con le sue potenti emissioni elettromagnetiche che seguono i brillamenti, fa da scudo alla Terra nei confronti dei raggi cosmici.

Per cui, e le ricerche tendono a confermarlo misurando la concentrazione del Berillio-10 (che si forma per l'effetto dei raggi cosmici), la piccola era glaciale corrisponde ad un minimo dell'attività solare in cui i raggi cosmici potettero colpire bene il nostro pianeta, provocando un raffreddamento semplicemente con l'aumento della copertura nuvolosa.

Allo stesso modo, pure l'optimum climatico medievale sembra connesso a un ciclo di grande attività del sole
Questo spiega molto bene anche le oscillazioni del prezzo del grano che John Herschel attribuì all'alternanza dei cicli solari (il grano costava meno perchè più abbondante durante un massimo solare)

Voglio comunque riprendere a questo proposito una importante frase del libro a proposito dei cambiamenti climatici: premettendo che “dato che l'intensità della radiazione solare sarebbe più che raddoppiata dal 1901, la più intensa attività elettromagnetica del Sole ha deviato una grande quantità di raggi cosmici” e quindi “si sono formate meno nuvole e il pianeta è diventato più caldo”, nota come “alcuni ritengono che questo argomento fornisca una prova più che convincente del fatto che il riscaldamento globale sia provocato dalla attuale attività del Sole”, mentre “altri sostengono che, mentre il Sole ha effettivamente esercitato un effetto sul fenomeno, questo effetto è stato superato, come importanza, dall'inquinamento dovuto all'uomo”.

Dopodichè, in un capolavoro di obbiettività, conclude osservando che “sfortunatamente le acque sono rese torbide dal peso politico che spesso viene dato alle interpretazioni delle ricerche sul clima. Non pochi industriali e vari governi si appropriano di qualsiasi accenno (sic) ad un riscaldamento imputato a cause naturali per evitare i controlli sull'inquinamento. Sull'altro fronte i gruppi ambientalisti sembrano talvolta essere contrari, quasi per coerenza filosofica, ad ammettere anche il più piccolo effetto del Sole sulle condizioni climatiche”.

Non ho mai letto una frase più deideologizzata di questa conclusione. Ed è sostanzialmente quello che penso anche io, come avevo sottolineato in uno dei primissimi post che ho scritto su Scienzeedintorni, 3 anni e mezzo fa: La disputa sui cambiamenti climatici era basata su un metodo assurdo: si voleva partire dal risultato e trovare le osservazioni che lo giustificassero. Mi spiego: a grandi linee c'erano due schieramenti: uno “pro-ambiente”, che partendo dall'assunto che le attività umane modificano il clima, cercavano dei dati per dimostrarlo. Il secondo, che definirei “pro-multinazionali”, cercava di dimostrare il contrario. Questo metodo è sbagliato: scientificamente devo osservare un fenomeno e capire come funziona, non pensare una cosa e arrampicarmi sugli specchi per trovare i dati che mi fanno comodo, scartando ovviamente gli altri.

3 commenti:

Gianluigi Filippelli ha detto...

L'ho finito da un 4-5 giorni: è un libro stupendo!
Soprattutto un libro che dovrebbe far riflettere tutti sulla questione dei cambiamenti climatici.
Spero di riuscire a scrivere la recensione entro le prossime due settimane: intanto grazie per aver scritto questa (che ho letto molto di sfuggita per non farmi influenzare troppo) ma che leggerò più diffusamente dopo aver concluso la mia.

Alla prossima,
Gianluigi!

Gianni Comoretto ha detto...

Da astronomo conosco fin troppo bene il dibattito sul contributo solare al riscaldamento globale.

Purtroppo le acque sono davvero rese così torbide dall'ideologia che non si riesce più a scorgere quel che la ricerca, quella vera, trova:
- il contributo solare esiste, ma nell'ultimo secolo non contribuisce che ad una frazione (50%? 20%? 11%? Boh, difficile dirlo, ma non certo più del 50%)
- il meccanismo proposto da Svensmark è reale, importante, ma non corrisponde a quel che si osserva negli ultimi decenni. Il flusso di raggi cosmici si misura direttamente, e non corrisponde alle variazioni climatiche RECENTI.
- si sta cercando di ipotizzare i meccanismi più improbabili per collegare variazioni di attività solari a variazioni climatiche. Ma nessuno appare particolarmente probabile, o corroborato dai dati.

Ho riassunto le cose nel mio articolo sul primo numero di Query, in cui do qualche riferimento bibliografico.

Insomma, la frase finale è inoppugnabile, ma solo se non si quantifica. E senza quantificare non significa nulla.

Aldo Piombino ha detto...

ringrazio gianluigi per la consueta simpatia e Gianni per il suo intervento che, visto il campo in cui lavora, è una precisazione molto autorevole che arricchisce notevolmente il post.