mercoledì 19 maggio 2010

Eyjafjallajokull: nessun problema climatico, i possibili scenari futuri e le conseguenze sul traffico aereo

Sull'eruzione dell'Eyjafjallajokull continuo a sentirne di cotte e di crude.
Rimando di nuovo al simpatico e riuscito post su glaciology in cui David Bressan ha elencato alcune delle più colossali idiozie sull'argomento, a partire dalle macchie solari (come se fosse l'unico vulcano che si è svegliato nel periodo e come se non succedesse tutte le settimane che qualche vulcano lanci in aria un po' di roba.....).

Cominciamo dal clima, visto che sicuramente ne sentiremo delle belle per un bel pezzo da parte dei soliti (dis)informati: è innegabile che nella storia anche recente ci siano stati dei raffreddamenti che sono durati da pochi mesi a diversi anni a causa delle ceneri immesse in atmosfera per l'esplosione di un vulcano (es. Tambora o Krakatoa nel XIX secolo o al limite Pinatubo nel 1991). In casi del genere basta un giorno per avere guai per mesi se non anni, come per esempio quando esplose il Toba 75.000 anni fa.
Come ho già sottolineato, fra i vulcani islandesi il Laki e l'Hekla si sono distinti per aver provocato dei grossi problemi climatici in Europa.
Bjoern Oddsson, vulcanologo islandese, dichiara che questa è la peggiore eruzione da quella del Katla nel 1918, avendo emesso in atmosfera in questo primo mese oltre 250 miloni di metri cubi di materiali che, associati al vapore prodotto dallo scioglimento dei ghiacci nelle zone più calde, hanno provocato tutti questi guai al traffico aereo.
Però questa eruzione non può essere minimamente paragonata a due eruzioni particolarmente forti (di quella del Laki ne ho parlato anche al proposito delle 10 più violente eruzioni ricordate dalla storia umana), rispetto alle quali i gas e le ceneri emesse dall'Eyjafjallajokull sono bruscolini.
Per cui dare un allarme sul clima adesso è cosa senza il minimo senso....

Però veniamo poi ad un altro aspetto: Antonio Rungi, sacerdote e giornalista, con una espressione non proprio felice, afferma che “la nube vulcanica che da giorni ha bloccato il trasporto aereo in quasi tutta Europa se vogliamo interpretare alla luce dei testi del Vangelo e dell'Apocalisse e' certamente una prova di Dio'
Poi si riprende, sottolineando per negarlo che 'qualcuno interpreta questo fenomeno come castigo di Dio'. Lo cito per una osservazione molto sensata: "basta una esplosione vulcanica per mettere in crisi un sistema di vita, di relazioni umane, di economica, di scambio commerciali, di assicurazione dei servizi di base. Questo ci fa capire come siamo precari e come le nostre certezze si infrangono con la forza della natura".
A parte che non si può parlare di esplosione vulcanica, ognuno è libero di trarre da queste parole le proprie considerazioni religiose, filosofiche, morali, trasportistiche, scientifiche e tecniche. Però non si può negare la realtà di un sistema messo in crisi.

Sulla reale necessità di chiudere lo spazio aereo, come ho già detto, non mi esprimo. Ma se i VAAC ci sono un motivo ci sarà e non credo che quelle simulazioni possano essere sbagliate, nonostante le voci delle compagnie aeree
La realtà è che le ceneri vulcaniche in generale interessano aree a basso traffico aereo o, meglio, a bassa densità di aeroporti. Tutt'al più, nelle zone della cintura di fuoco attorno al Pacifico e in Indonesia costringono a variazioni di rotta, noiose (e anche costose)

Questa volta il problema ha investito l'Europa Occidentale e la questione si è ingigantita. Ma come mai non era ancora venuta fuori fino ad oggi?

Non è ovviamente la prima volta che le ceneri dall'Islanda si muovono verso l'Europa (dato le correnti prevalenti tutto ciò è assolutamente normale), ma siccome nubi come questa sono rilevabili solo dai radar e non certo ad occhio nudo, né hanno ricoperto il suolo europeo, nessuno si era mai accorto della loro esistenza (con la rilevante eccezione della eruzione del Laki nel 1783).

La spiegazione a tutto questo potrebbe essere molto semplice e sconfortante: un vulcanologo islandese che lavora all'università di Edimburgo, Thor Thordarson, ha esaminato da un punto di vista temporale 205 eruzioni di vulcani islandesi che coprono gli ultimi 1100 anni di storia e ha ricavato che l'attività vulcanica nell'isola non è “random”, ma segue un ciclo di circa 140 anni tra un massimo e l'altro. La seconda metà del XX secolo appartiene alla zona del minimo del ciclo e quindi in questo momento l'attività non può che aumentare. Non tutti gli studiosi sono d'accordo su questo: qualcuno ad esempio avanza l'idea di una analisi statistica un po' grossolana. Per Thordarson i cicli sono legati ad un tasso di deformazione costante che quindi giunge al momento critico più o meno sempre nello stesso lasso di tempo.

Premettendo che l'eruzione dell'Eyjafjallajokull potrà durare ancora da 6 mesi a un anno e mezzo (l'ultima, nel 1821, è durata 14 mesi) è quindi possibile secondo questo studio che a questo vulcano se ne assommino altri. 

Il candidato più idoneo è il suo grande vicino, il Katla, che è stato attivo in corrispondenza di 3 delle ultime 4 eruzioni dell'Eyjafjallajokull. 
E' fra i più importanti dei non meno di 35 vulcani attivi attualmente censiti nell'isola. Ne sono conosciute diverse eruzioni storiche (quasi tutte avvenute all'interno della caldera). Ho trovato qualche contraddizione a proposito della sua ultima eruzione: per la maggior parte delle fonti l'ultima eruzione risale al 1918 mentre altrove si accenna a qualcosa nel 1955 e 1999. E' probabile che in queste occasioni ci sia stata una certa attività che non sia però sfociata in un eruzione vera e propria
In effetti, secondo alcuni “rumours”, qualche sintomo di ripresa dell'attività del Katla c'è, ma per adesso su questo sono molto scettico, dato che le fonti ufficiali non ne fanno menzione e, anzi, dal Servizio meteorologico islandese è venuta tempo fa una secca ed esplicita smentita al riguardo, (anche se - ovviamente - non si può escludere a priori che da un momento all'altro possano presentarsi i primi sintomi di una prossima eruzione). Ciò che rende molto pericoloso il Katla presenta una caldera riempita dal ghiaccio lunga 14 km e larga 9, ghiaccio che in caso di eruzione si scioglierà di sicuro, con consegenze imprevedibili. E una sua eruzione potrebbe essere molto più devastante di quella dell'Eyjafjallajokull.

Ci sono altri 3 vulcani che secondo Thordarson sono candidati ideali per un risveglio: l'Hekla, il Grimsvot e l'Askya.

L'Hekla, oltre a provocare una crisi climatica nel XI secolo AC, ha eruttato oltre 20 volte dal IX secolo DC a oggi. Alto quasi 2000 metri la sua attività di solito comincia con una forte emissione di ceneri per poi dare luogo a colate laviche.
Il Grimsvotn ha eruttato l'ultima volta nel 1996, sciogliendo parte del ghiacciaio Vatnajokull, il più grande d'Europa) e provocando uno jokullaups (una alluvione) di grosse dimensioni. L'eruzione del Laki è più o meno collegata a questo vulcano, fra i più attivi dell'Islanda.Vediamo nella foto il "buco" nel Vatnajokull provocato dalla eruzione del 1996.
L'Askya è un altro grande edificio vulcanico. Sostanzialmente produce magmi a composizione basaltica, ma ci sono esempi di eruzioni esplosive a composizione riolitica di cui una particolarmente forte che risale a circa 10.000 anni fa.

Insomma, secondo l'analisi di Thordarson, l'espansione del traffico aereo sarebbe stata agevolata da una situazione molto favorevole in Europa dal punto di vista vulcanologico che adesso diventerebbe molto più complicata. Mi domando se la storia della aviazione civile potrebbe essere stata diversa se si fosse sviluppata in un periodo contraddistinto da una intensa attività vulcanica in Islanda.

1 commento:

Luposelvatico ha detto...

Sigh...il post è interessantissimo ma manca il finale:-)