L'invenzione della plastica fu salutata come una grande rivoluzione per la comodità, la leggerezza e la durata dei manufatti di questa classe di materiali. Qualche anno dopo ci si accorse che oltre ai vantaggi c'erano anche un grosso svantaggio: la lunga durata, che si prolunga ben oltre il periodo di utilizzo del manufatto, ha come principale conseguenza la bassa degradabilità del materiale non più utilizzato per cui negli ultimi anni si è avuta una grande attenzione attorno al problema del riciclaggio delle materie plastiche.
Purtroppo con il riciclaggio non si può trattare quanto si è prodotto nel passato e non comprende ancora tutto il materiale attualmente lavorato che, quando non termina il suo ciclo di vita in questo modo, dovrebbe finire nelle discariche o in altri sistemi di smaltimento. Ma non è sempre così e un po' di materiale passa nel ciclo delle acque, finendo prima o poi in mare, dove un buon 30% soprattutto per la forma e la densità abbastanza bassa galleggia sulle superficie. Se da un lato così si elimina almeno in parte il problema di una deposizione delle plastiche sui fondi marini, il continuo scarico in mare di oggetti simili, volontario o fortuito che sia, li rendo oggetti relativamente comuni specialmente lungo le coste.
Circa il 10% delle plastiche prodotte finisce, deliberatamente, per incuria o per accidenti naturali nella idrosferai e quindi ogni anno si accumula sulla superficie dei mari il 3% del quantitativo, all'incirca 3 miliardi di tonnellate di polimeri la cui durata è stimata in centinaia di anni.
E' universalmente noto come i sacchetti di plastica arrechino gravi danni ai mammiferi marini, che non di rado muoiono soffocati, ma c'è un aspetto molto interessante e sconosciuto ai più: con il continuare della loro dispersione in mare i rifiuti si stanno raccogliendo in alcune zone acausa del gioco delle correnti marine. Nell'Oceano Pacifico c'è una zona in cui l'accumulo è notevole, nota come “pacific trash vortex”, estesa per un diametro di 2500 kilometri.
E' la zona del Great North Pacific Gyre, una circolazione innescata dalla corrente equatoriale che si muove vero est e che prima di incontrare le coste asiatiche scorre verso nord per poi completare il giro tornando verso est, una traiettoria spiraleggiante dalla quale i rifiuti galleggianti che ne vengono coinvolti non riescono più ad uscirne.
L'accumulo ha cominciato a formarsi una cinquantina di anni fa e da allora è sempre cresciuto a un buon ritmo: le correnti sono molto efficaci a catturare la spazzatura e si calcola che da quando un rifiuto galleggiante entra in mare passa qualche anno per fermarsi nella zona centrale, mentre se parte dalla costa asiatica l'intervallo scende a pochi mesi, un anno circa.
Chiaramente nel vortice arriva di tutto, a partire dai rifiuti vari prodotti direttamente in mare dalle navi da crocera (dove sono presenti contemporaneamente migliaia di persone) e altro. Però le plastiche sono il componente principale a causa della loro natura: il problema fondamentale è che se i rifiuti di origine biologica si biodegradano e in qualche modo alla fine vengono totalmente distrutti chimicamente o assorbiti come cibo dagli organismi marini, la plastica nel fotodegradarsi pone un limite alla sua disintegrazione in pezzi sempre più piccoli, che non può andare oltre la è dimensione dei singolo polimeri. Queste particelle galleggiano e siccome assomigliano terribilmente agli animali che compongono lo zooplancton, entrano nella dieta di quelli che si cibano di questa risorsa e di consegenza nella intera catena alimentare.
Di fatto, la parte più centrale del Pacific Trash Vortex risulta molto impoverita nelle forme di vita e non si esclude che l'accumulo di polimeri plastici nei tessuti animali sia una delle cause principali di ciò.
Sulla effettiva presenza di una isola di rifiuti ci sono versioni molto discordanti, anche secondo le dimensioni, che vanno da un'area racchiusa in un cerchio di 1000 km di diametro fino ai più pessimisti secondo i quali l'area ha un diametro di oltre 4000 km, oltre il 5% della intera superficie dell'Oceano Pacifico
Le stime diverse sono dovute alle difficoltà di vedere effettivamente anche con le immagini satelllitari le plastiche rimpicciolite ma soprattutto perchè non c'è un ammasso unico visibile in superficie essendo una situazione “dinamica”: la densità massima in alcune zone in altre può diminuire. Inoltre, anziché un singolo massimo di concentrazione, potrebbero essercene due, uno più spostato verso il nordamerica e l'altro verso l'Asia.
Recentemente è stata accertata la presenza di una situazione simile anche nell'Atlantico tra Caraibi, Bermuda e Azzorre, dove si raggiungono valori di 200.000 pezzi per kmq. Essendo più stretto del Pacifico, l'oceano Atlantico può essere considerato ancora più vulnerabile del Pacifico.
Nell'immagine a fianco sono illustrate le zone più a rischio a causa delle correnti. Come si vede le isole della spazzatura finora riconosciute coincidono perfettamente con 2 delle 5 aree arischio e sono quelle più vicine ai Paesi industrialmente sviluppati.
In sostanza i timori principali sono per i grandi cetacei (le balene quando pascolano assorbono tutto) e per gli animali ai vertici della catena come uccelli marini, i cetacei con i denti e i più grandi pesci predatori
Proprio in questi giorni all'inquinamento da plastiche è stata attribuita la moria di giovani cetacei nel pacifico nordorientale e non è per niente raro trovare nello stomaco di animali morti manufatti in questi materiali.
Il problema è grave anche per gli esseri umani, dato che la pesca fornisce una buona parte del nutrimento per uomini e anche per animali da carne. Purtroppo, mentre il problema si ingigantisce di anno in anno, allo stato attuale non ci sono le possibilità per disinquinare gli oceani dalla plastica.
Occorre comunque attivare i governi per eliminare quanto più possibile i materiali non biodegradabili e/o quelli che possono far assorbire materiali tossici alla fauna marina.
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