giovedì 2 aprile 2009

Il respiro del gigante: 15 anni di correlazioni fra l'attività vulcanica e le deformazioni della montagna sull'Etna


Studiare un vulcano in tutti i suoi aspetti è oggi un'attività multidisciplinare. Passata la fase romantica del grande vulcanologo che studiava da solo o in compagnia di pochi allievi le eruzioni e guardava al microscopio le lave, adesso altre discipline delle Scienze della Terra, oltre a Chimica, Geofisica, Telerilevamento e quant'altro sono entrate di forza nello studio delle montagne di fuoco, specialmente da quando, 40 anni fa, la “tettonica a zolle crostali” riuscì a spiegare tutti i grandi fenomeni terrestri, dai vulcani, alla distribuzione delle rocce metamorfiche e dei vari tipi di vulcani in un unico contesto.
Qualche mese fa parlai di una scoperta molto importante sulle modalità dell'attività di alcuni vulcani, che sembra avvenire con un ciclo in cui il magma arriva dalle profondità della Terra in maniera molto discontinua e staziona in una camera magmatica più superficiale durante i periodi di attività parossistica. Questo spiegherebbe certe caratteristiche delle lave vesuviane. Addirittura a Soufriere Hills, nelle Antille Francesi, è stata accertata la risalita di magma dal basso senza una eruzione in atto in superficie.
Dopo Vesuvio, Soufriere Hills e altri casi sparsi per il mondo, una conferma del modello sembrerebbe arrivare dall'Etna, il più alto e il più attivo vulcano europeo (Stromboli e Marsili – quest'ultimo praticamente sconosciuto anche agli studiosi – permettendo). Il risultato di anni di confronti di mappe radar della sua superficie, forniti dai satelliti dell'ESA (L'Agenzia Spaziale Europea) è che il grande vulcano siciliano “respira”, come ha dimostrato il lavoro di un gruppo di ricercatori italiani dell’IREA (l'istituto per il rilevamento elettromagnetico dell’ambiente del CNR di Napoli).
Per 15 anni, dal 1992 al 2006 i satelliti radar dell’Esa hanno fornito costantemente le mappe dell'area che, confrontate fra di loro, dimostrano come la montagna si modifichi di continuo. La precisione dei rilevamenti è tale da rendere evidenti cambiamenti anche minimi della superficie, dell'ordine del centimetro, che sono alla fine i segnali che c'è attività vulcanica in corso. In particolare si vede il comportamento della superficie del vulcano prima durante e dopo le fuoriuscite di lava.
Nelle prime immagini, risalenti al 1993, l’Etna si stava gonfiando al ritmo di circa un centimetro all’anno. La velocità della deformazione è poi diminuita, fino praticamente ad annullarsi tra il 1998 e il 2000. Dal 2001, il vulcano ha cominciato a sgonfiarsi e la parte orientale si è anche spostata verso il mare.
Prima e dopo il 2000, al diverso comportamento del terreno, si sommano forti diversità nell'attività magmatica: negli anni 90 le eruzioni, non particolarmente importanti, vedevano una fuoriuscita di magma solo dal cratere di nordest. Dal 2001 il tasso di eruzione è stato molto maggiore e soprattutto, sono stati interessati i fianchi del vulcano anziché la sola sommità, .
Appare evidente quindi una relazione fra il tipo di attività vulcanica e le deformazioni dell'edificio ma non solo: si vede come le singole eruzioni, più che avere una storia a sé, siano solo riflessi di quello che succede sotto. Non quindi episodi magmatici singoli, privi di correlazioni con quelli passati e con quelli futuri, ma eventi inseriti in un quadro di più ampio respiro.
Riccardo Lanari, che ha diretto questi studi, ritiene che questi due comportamenti siano il risultato di un grande immagazzinamento di magma avvenuto tra il 1993 e il 2001, che ha successivamente destabilizzato il vulcano fino a scatenare le violente eruzioni del 2001 e del 2002-2003: dal luglio 2001 si sono formate delle fessure eruttive sui suoi fianchi, che hanno permesso, in aggiunta alle sempre attive bocche eruttive sommitali, il rilascio del magma accumulato negli anni precedenti. Il rilascio ha causato lo sgonfiamento del vulcano e la violenta accelerazione delle deformazioni dei suoi fianchi verso mare.

Al quadro mi manca una cosa: mi piacerebbe sapere se le fratture lungo le quali è risalito il magma delle eruzioni dal 2001 in poi siano state provocate dal rigonfiamento degli anni '90 o dalla pressione del magma.
Questa scoperta quindi ci fa vedere una dinamica inaspettata ma molto simile a quella di cui avevo parlato all'inizio. Soprattutto può servire a capire i rapporti fra eruzioni dell'Etna e sismicità dell'area.
Ricorderete come il periodo fra l'autunno 2002 e la primavera 2003 fu contraddistinto da una diffusa attività sismica nell'Italia Centro-Meridionale: terremoto di San Giuliano di Puglia, sequenza sismica delle Timpe catanesi, sequenza sismica nel mare a nordovest di Palermo, eruzioni dell'Etna e dello Stromboli (con annesso tsunami) ed altri sismi vicini. La crisi si chiuse con il forte terremoto in Algeria del Maggio 2003.
La geologia dell'area etnea fu dibattuta a lungo, in particolare la domanda fu: questa eruzione e i terremoti delle Timpe sono collegati?
Apparentemente la risposta è “no”, perchè il magma etneo si forma a profondità elevate e non ha nessuna correlazione con la tettonica superficiale (anche se la sua vicinanza alla scarpata ibleo - maltese fa pensare che la sua collocazione non sia proprio casuale...). Inoltre data la frequenza dei terremoti nell'area e quella delle eruzioni etnee, la cosa può essere probabile anche solo da un punto di vista statistico.
Però questo studio suggerisce che se la risalita dei magmi dal profondo sia assolutamente indipendente dalla tettonica locale, gli eventi geologici superficiali sono in grado di influenzare la dinamica del vulcano una volta che i magmi siano arrivati nei pressi della superficie.

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