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martedì 7 febbraio 2012

Le 4 fasi in cui si articola la storia dell'Etna: le ultime ricerche in proposito

Il 2011 è stato un anno molto impegnativo per l'Etna e per chi lo studia, data la frequente attività sia esplosiva che effusiva, che si è sviluppata con una serie di  piccoli eventi senza una singola eruzione importante. Ma se l'Etna è stato molto attivo lo sono stati anche i ricercatori: nell'ultimo volume dell'Italian journal of Geosciences (il vecchio “Bollettino della Società Geologica Italiana”) sono usciti 3 lavori molto importanti su questo vulcano che diventeranno sicuramente un caposaldo della ricerca in materia: uno presenta la nuova carta geologica dell'Etna, un altro dà conto di un dettagliato studio sulle età delle lave ricavate da datazioni effettuate con il metodo Argon / Argon e il terzo traccia una sintesi penso abbastanza definitiva sulla complessa storia di questo vulcano, che nel tempo ha cambiato la composizione del magma e quindi fasi ha attraversato fasi diverse con modalità di eruzione (e quindi la formazione degli apparati vulcanici) molto diverse. Ormai definita la storia eruttiva del vulcano gli unici dubbi ancora in piedi vertono sulla genesi dei magmi etnei (e di quelli degli Iblei): non vi è dubbio che si tratti di materiale di provenienza molto profonda, ma formazione e contesto geotettonico in cui avviene la risalita sono ancora controversi.

L'Etna è uno dei vulcani più attivi, più studiati e più famosi al mondo e già nel XIX secolo la sua complessa attività era stata tracciata per sommi capi.
Da un punto di vista morfologico, possiamo distinguere agilmente alcune strutture: in particolare la grande caldera dell'Ellittico, ben visibile in questa foto tratta da uno dei lavori di Branca et al. (2011) della rivista citata e il Cratere Centrale.
Le prime manifestazioni etnee iniziano circa 500 mila anni fa, 600 mila anni dopo l'ultima fase del vulcanismo ibleo, centrato un poco più a sud e che è stato attivo tra 7 e 1 milioni di anni fa (e che condivide con l'Etna il tipo di evoluzione magmatica). L'attività vulcanica dell'Etna è complessa e multiforme e non è neanche semplicissima da studiare: basti pensare che solo le colate degli ultimi 2000 anni ricoprono oltre il 30% della superficie ed è chiaro quindi che il continuo sovraimporsi di nuove colate e tufi sopra ai materiali preesistenti renda molto difficile capire la stratigrafia.

I ricercatori hanno diviso l'attività in 4 fasi diverse che corrispondono a 4 diverse posizioni del camino di risalita principale allineate una dietro l'altra in direzione NW. Una evoluzione petrologica simile ha caratterizzato il precedente vulcanismo ibleo.
Non affiora molto della prima fase in cui si sono deposti ingenti spessori di basalti tholeiitici, le cosiddette “tholeiiti basali”, abbondantemente ricoperte dalla attività successiva. Le troviamo essenzialmente nelle zone a SE e a S del vulcano e lungo la costa, perchè lo spostamento in direzione NW del centro eruttivo ha fatto sì che in queste aree si siano messi in posto pochi depositi delle fasi successive. Le lave più vecchie sono marine, poi si comincia a vedere colate impostate su lagune o in terraferma. In almeno un caso le lave si sono messe in posto in una zona lacustre.

Le Tholeiiti Basali, magmi molto fluidi perchè dalla elevata temperatura e del basso contenuto di silice, si producevano soprattutto da fratture lineari abbastanza lunghe che eruttavano sul fondo marino di un golfo poco profondo che occupava l'area prima della comparsa dell'Etna: i basalti a cuscini e i sedimenti intercalati alle colate lo dimostrano in maniera netta. Questa attività è durata all'incirca da 500 a 330 mila anni fa e probabilmente è stata piuttosto discontinua.
Tra la fine della prima fase e l'inizio della seconda l'intervallo di inattività è indicato tra 330 e 220 mila anni fa, ma è un dato di cui non c'è totale sicurezza: potrebbe essere minore se da qualche parte, sepolti, ci fossero materiali eruttati più recentemente di 330 mila anni fa

La seconda fase della vita del vulcano coincide con il primo “salto” del sistema del camino di risalita verso NW ed è detta “delle Timpe” perchè i depositi attualmente visibili sono per lo più concentrati lungo le Timpe, una serie di faglie che costituiscono l'estensione settentrionale subaerea di una delle maggiori strutture geologiche del Mediterraneo, limite già impostato all'inizio del Mesozoico fra la crosta continentale sicula e quella oceanica dello Jonio: la Scarpata Ibleo – Maltese.
I magmi sono risaliti lungo queste faglie distensive parallele fra loro. Nella fase delle Timpe, oltre alla zona di risalita, cambia una prima volta anche l'attività vulcanica: nasce il vulcano a scudo con una forma simile a quelli Hawaiiani, su cui si sono poi impiantati i grandi stratovulcani delle fasi successive. La somiglianza con le Hawaii riguarda il tipo di magma e la forma dell'edificio, ma non si può certo confrontare come dimensioni il vulcano a scudo etneo, lungo una ventina di km e alto un migliaio di metri, con quei giganti che si ergono per migliaia di metri sopra il mare, avendo la base sotto oltre 4000 metri di acqua.
Il vulcano a scudo si costruisce attraverso una rete di vari centri vulcanici che si sono alternati per almeno 90mila anni (da 220 a 130 mila anni fa) ottenendo una copertura completa del territorio. E probabilmente anche l'attività si era fatta molto più continua. A questo cambio netto corrisponde un cambio nel tipo di magma: sono sempre basalti, ma le tholeiiti sono sostituite da basalti alcalini.
Senza addentrarsi in particolari, la distinzione fra questi due tipi di magmi sta nella loro chimica: i prodotti tholeiitici hanno una quantità maggiore di ferro e magnesio rispetto ai magmi alcalini. I magmi etnei hanno un'origine molto profonda, nel mantello terrestre ed è importante notare che un magma tholeiitico non può – evolvendosi – diventare alcalino né può accadere il contrario: in generale nel Mantello si genera preferenzialmente un magma Tholeiitico rispetto ad un magma Alcalino all'aumentare della profondità e del grado di fusione parziale della roccia. È quindi probabile che il passaggio da un tipo di magma all'altro sia dovuto ad una minore fusione parziale del Mantello nella seconda fase rispetto alla prima.

Una nuova stasi nell'attività ci porta alla terza fase, detta “della Valle del Bove” perchè l'attività è proprio centrata in questa zona, a causa del secondo spostamento dell'asse di risalita dei magmi. Magmi che sono ancora un po' diversi dai precedenti: sempre alcalini ma da basalti i prodotti prevalenti diventano Hawaiiti e Benmoreiti, quindi lave con una viscosità maggiore e ancora una volta le differenze nella composizione dei magmi si riflettono sulla morfologia del vulcano: inizia una forte attività di emissione di ceneri e pertanto la costruzione dello stratovulcano, con pendenze molto più sensibili del vecchio vulcano a scudo ed altitudini nettamente superiori: già il primo cono che si forma, il Trifoglietto, arriverà alla rispettabile altezza di 2600 metri. Da 123 a 65.000 anni fa, si formano in successione di ben 7 coni diversi, ciascuno dei quali tende a sovrapporsi ai precedenti, dando vita ad una stratigrafia particolarmente complessa, ricca specialmente verso la fine del ciclo, di ceneri e non solo di colate laviche, segno di una certa attività esplosiva. Qui accanto la stratigrafia e i rapporti fra i vari coni secondo Branca et al (2011).

E finalmente, dopo il “solito” intervallo di quiescenza, 57.000 anni fa l'attività, riprende, centrata sull'attuale zona di risalita dei magmi. In questa ultima fase, la "fase dello stratovulcano"  si formano gli ultimi due coni, l'Ellittico e il Mongibello Recente. Secondo le ricostruzioni più attendibili l'Ellittico ha raggiunto i 3600 metri di altezza, prima della sua distruzione, provocata circa 15.000 anni fa, da almeno 4 fasi esplosive pliniane in tempi molto ravvicinati: il risultato è la gigantesca caldera che incombe pesantemente sul panorama del vulcano, che abbiamo visto nella foto iniziale.
Sulla caldera alla fine si è impiantata l'attività degli attuali cratere centrale e di nord-est.

La divisione in 4 fasi della storia vulcanica dell'Etna presentata in questi giorni è probabilmente quella definitiva, che necessiterà solo di aggiustamenti minori e dimostra una attività molto variegata. Ovviamente si spera, prima o poi, di capire anche perchè questo vulcano è proprio lì: i magmi etnei sono tipici magmi di zone lontane da limiti di zolla (o al limite di zone particolari lungo i margini di zolla divergenti), mentre il nostro è posto proprio su una zona in cui convergono due zolle.... È probabile che la presenza della scarpata ibleo – maltese sia una chiave importante per capirlo, ma resta la curiosità di un vulcano da un magma e da una attività che non ci si aspetterebbe di trovare in un ambiente geotettonico del genere. 

BIBLIOGRAFIA CONSULTATA:

Branca et al. (2011): Geological Map of Etna Volcano , 1:50.000 scale
De Beni et al. (2011): argon isotopic dating of Etna volcanic succession
Branca et al. (2011): geological evolution of a complex basaltic stratovolcano: Mt. Etna - Italy

Tutti e tre i lavori sono tratti da: Italian journal of Geosciences, vol.130 n.3 - ottobre 2011

giovedì 2 aprile 2009

Il respiro del gigante: 15 anni di correlazioni fra l'attività vulcanica e le deformazioni della montagna sull'Etna


Studiare un vulcano in tutti i suoi aspetti è oggi un'attività multidisciplinare. Passata la fase romantica del grande vulcanologo che studiava da solo o in compagnia di pochi allievi le eruzioni e guardava al microscopio le lave, adesso altre discipline delle Scienze della Terra, oltre a Chimica, Geofisica, Telerilevamento e quant'altro sono entrate di forza nello studio delle montagne di fuoco, specialmente da quando, 40 anni fa, la “tettonica a zolle crostali” riuscì a spiegare tutti i grandi fenomeni terrestri, dai vulcani, alla distribuzione delle rocce metamorfiche e dei vari tipi di vulcani in un unico contesto.
Qualche mese fa parlai di una scoperta molto importante sulle modalità dell'attività di alcuni vulcani, che sembra avvenire con un ciclo in cui il magma arriva dalle profondità della Terra in maniera molto discontinua e staziona in una camera magmatica più superficiale durante i periodi di attività parossistica. Questo spiegherebbe certe caratteristiche delle lave vesuviane. Addirittura a Soufriere Hills, nelle Antille Francesi, è stata accertata la risalita di magma dal basso senza una eruzione in atto in superficie.
Dopo Vesuvio, Soufriere Hills e altri casi sparsi per il mondo, una conferma del modello sembrerebbe arrivare dall'Etna, il più alto e il più attivo vulcano europeo (Stromboli e Marsili – quest'ultimo praticamente sconosciuto anche agli studiosi – permettendo). Il risultato di anni di confronti di mappe radar della sua superficie, forniti dai satelliti dell'ESA (L'Agenzia Spaziale Europea) è che il grande vulcano siciliano “respira”, come ha dimostrato il lavoro di un gruppo di ricercatori italiani dell’IREA (l'istituto per il rilevamento elettromagnetico dell’ambiente del CNR di Napoli).
Per 15 anni, dal 1992 al 2006 i satelliti radar dell’Esa hanno fornito costantemente le mappe dell'area che, confrontate fra di loro, dimostrano come la montagna si modifichi di continuo. La precisione dei rilevamenti è tale da rendere evidenti cambiamenti anche minimi della superficie, dell'ordine del centimetro, che sono alla fine i segnali che c'è attività vulcanica in corso. In particolare si vede il comportamento della superficie del vulcano prima durante e dopo le fuoriuscite di lava.
Nelle prime immagini, risalenti al 1993, l’Etna si stava gonfiando al ritmo di circa un centimetro all’anno. La velocità della deformazione è poi diminuita, fino praticamente ad annullarsi tra il 1998 e il 2000. Dal 2001, il vulcano ha cominciato a sgonfiarsi e la parte orientale si è anche spostata verso il mare.
Prima e dopo il 2000, al diverso comportamento del terreno, si sommano forti diversità nell'attività magmatica: negli anni 90 le eruzioni, non particolarmente importanti, vedevano una fuoriuscita di magma solo dal cratere di nordest. Dal 2001 il tasso di eruzione è stato molto maggiore e soprattutto, sono stati interessati i fianchi del vulcano anziché la sola sommità, .
Appare evidente quindi una relazione fra il tipo di attività vulcanica e le deformazioni dell'edificio ma non solo: si vede come le singole eruzioni, più che avere una storia a sé, siano solo riflessi di quello che succede sotto. Non quindi episodi magmatici singoli, privi di correlazioni con quelli passati e con quelli futuri, ma eventi inseriti in un quadro di più ampio respiro.
Riccardo Lanari, che ha diretto questi studi, ritiene che questi due comportamenti siano il risultato di un grande immagazzinamento di magma avvenuto tra il 1993 e il 2001, che ha successivamente destabilizzato il vulcano fino a scatenare le violente eruzioni del 2001 e del 2002-2003: dal luglio 2001 si sono formate delle fessure eruttive sui suoi fianchi, che hanno permesso, in aggiunta alle sempre attive bocche eruttive sommitali, il rilascio del magma accumulato negli anni precedenti. Il rilascio ha causato lo sgonfiamento del vulcano e la violenta accelerazione delle deformazioni dei suoi fianchi verso mare.

Al quadro mi manca una cosa: mi piacerebbe sapere se le fratture lungo le quali è risalito il magma delle eruzioni dal 2001 in poi siano state provocate dal rigonfiamento degli anni '90 o dalla pressione del magma.
Questa scoperta quindi ci fa vedere una dinamica inaspettata ma molto simile a quella di cui avevo parlato all'inizio. Soprattutto può servire a capire i rapporti fra eruzioni dell'Etna e sismicità dell'area.
Ricorderete come il periodo fra l'autunno 2002 e la primavera 2003 fu contraddistinto da una diffusa attività sismica nell'Italia Centro-Meridionale: terremoto di San Giuliano di Puglia, sequenza sismica delle Timpe catanesi, sequenza sismica nel mare a nordovest di Palermo, eruzioni dell'Etna e dello Stromboli (con annesso tsunami) ed altri sismi vicini. La crisi si chiuse con il forte terremoto in Algeria del Maggio 2003.
La geologia dell'area etnea fu dibattuta a lungo, in particolare la domanda fu: questa eruzione e i terremoti delle Timpe sono collegati?
Apparentemente la risposta è “no”, perchè il magma etneo si forma a profondità elevate e non ha nessuna correlazione con la tettonica superficiale (anche se la sua vicinanza alla scarpata ibleo - maltese fa pensare che la sua collocazione non sia proprio casuale...). Inoltre data la frequenza dei terremoti nell'area e quella delle eruzioni etnee, la cosa può essere probabile anche solo da un punto di vista statistico.
Però questo studio suggerisce che se la risalita dei magmi dal profondo sia assolutamente indipendente dalla tettonica locale, gli eventi geologici superficiali sono in grado di influenzare la dinamica del vulcano una volta che i magmi siano arrivati nei pressi della superficie.