Quasi tutte le lingue parlate nell'Eurasia sono correlabili con altre parlate nelle vicinanze. Le più diffuse appartengono alle famiglie linguistiche indoeuropea (lingue neolatine, germaniche, indoiraniane etc etc), uralo-altaica (lingue turche, ungheresi, finlandesi), afroasiatica (arabe e berbere) e sino-tibetana (dialetti del Tibet e della Cina meridionale). Altre famiglie linguistiche (Caucasica, Dravidica e Austrica) sono parlate in zone più limitate. Esistono anche delle “lingue isolate”, in cui parole (ma soprattutto la struttura) sono profondamente diversa da quelle vicine. Alcuni Autori si spingono fino a considerare lingue isolate il coreano ed il giapponese, che però la maggior parte degli studiosi inserisce fra le uraliche.
Il concetto di autoctonia di una popolazione è abbastanza relativo: ad esempio per noi europei non c'è dubbio che lo siano le popolazioni na-denè del sudovest degli USA (Navajos e Apaches), ma se lo chiedevate agli antenati dei loro vicini (comanches, zuni, utes etc etc), questi non sarebbero stati della stessa opinione, visto che queste tribù erano arrivate dal Canada occidentale pochi secoli prima e avevano tolto loro quei territori.
In Europa c'è la più parlata delle lingue isolate, il Basco. Sumero e hurrita sono stati parlati a lungo nella Mesopotamia, ma furono soppiantati da idiomi indeuropei ben prima dell'inizo dell'era cristiana (il sumero verso il 2000 AC, continuando a lungo ad essere usato per scopi rituali o scientifici, l'hurrita era ormai defunto già nel VI secolo AC). Nell'odierno Pakistan circa meno di 100.000 persone, i Burushi, parlano il Burushaski. In Siberia il Ket, parlato dalla popolazione omonima stanziata nel medio oro dello Jenisei è l'ultimo sopravvissuto fra le lingue della famiglia linguistica dello Jenisei.
Nel complesso puzzle degli idiomi parlati tra la Siberia orientale e il Giappone la maggior parte appartengono al ceppo uralico. Esistono anche due (o tre) famiglie linguistiche diverse: le lingue Ciukci-kamchadale, dell'estremità nordorientale del continente e un piccolo gruppo di lingue, il Giljiak, parlato tra le isole Kurili, Sakhalin, e il basso Amur, a cui forse è legato anche l'idioma degli antichi abitanti del Giappone, gli Aiunu, sull'origine del quale sono stati avanzate le più disparateipotesi.
Per studiare le lingue isolate viene usata sempre la loro struttura. Sulle parole c'è da fare molta attenzione per scartare i termini mutuati da lingue vicine. La ricerca su questo argomento ha risvolti molto interessanti sul modo in cui si sono diffuse le lingue indoeuropee.
Il Basco è attualmente confinato nelle coste meridionali del golfo di Biscaglia, tra la Spagna e la Francia. I suoi vocaboli sono piuttosto ben definiti, con scarsa penetrazione dall'esterno: i baschi sono sempre stati abbastanza chiusi.
Sumero e hurrita sono noti da alcune tavolette e, come detto, hanno lo status di lingue isolate perchè è evidente che non siano indeuropee.
Molte parole del Burushashki sono mutuate da dialetti più o meno vicini, sia indoeuropei che turchi che sino-tibetani, ma la sua sintassi è profondamente diversa ed originale.
Tutte queste lingue hanno una caratteristica comune che le avvicina alle odierne lingue caucasiche: sono lingue ergativite. Nelle lingue indeuropee e afroasiatiche (che secondo molti studi hanno origini comuni) abbiamo il sistema nominativo / accusativo: il soggetto della proposizione (anche se il verbo è passivo) è sempre espresso con il nominativo, mentre l'oggetto, ove presente, è caratterizzato dall'accusativo. Nelle lingue ergative la situazione è un po' diversa: ci sono due nominativi, uno (l'ergativo) viene usato quando il soggetto compie un'azione
Oltre ad essere ergative, hanno un'altra caratteristica comune: sono anche agglutinanti, cioè le parole sono modificate nel significato aggiungendo e/o rimuovendo prefissi e suffissi.
Pertanto l'interpretazione attuale è che tali caratteristiche riflettano una origine comune di queste lingue: forse che prima della diffusione delle lingue indoeuropee, quelle caucasiche erano parlate in una grande fetta del vecchio mondo, dalla Spagna all'Indo?
Mi ero sempre posto un problema: con tutte le popolazioni di lingua caucasica capillarmente presenti nell'area, come mai l'indoeuropeo si è espanso così diffusamente? L'agricoltura fu scoperta e diffusa proprio dall'unica popolazione che parlava una lingua di ceppo diverso? E' strano, no? O, quantomeno, statisticamente improbabile. O è stata proprio l'adozione dell'agricoltura a far cambiare la lingua?
Su come le lingue indeuropee si siano diffuse c'è in corso un bel dibattito. Non tutti sono d'accordo addirittura sulla loro diffusione: c'è anzi chi sostiene l'autoctonia dell'indoeuropeo, ma sono attualmente delle correnti di minoranza (e rimane il problema di cosa voglia dire “autoctono”).... E' stata una invasione demica, una conquista da parte di una elite, una semplice colonizzazione culturale? Attualmente non si sa ancora, anche se, insomma, i dati genetici parrebbero escludere una massiccia invasione, almeno nel Mediterraneo occidentale: ad eccezione dei sardi, le popolazioni iberiche, italiane e della Francia meridionale sono abbastanza simili.
Potrebbe essere stato un mix di tutte queste possibilità, soprattutto perchè ci possono essere state risposte diverse a seconda della originaria densità di popolazione (questo spiegherebbe la persistenza delle lingue basche tra Francia meridionale e Spagna: la popolazione indigena era troppo grande per perdere la propria lingua). Notiamo innanzitutto che la connessione con l'arrivo dell'agricoltura è un po' difficile, soprattutto da un punto di vista temporale: è arrivata fra l'8000 e il 5000 AC e la civiltà dei megaliti, diffusa nella zona atlantica dell'Europa fino al 1.000 AC, probabilmente era bascofona.
Numerosi studi suggeriscono che il Burushashki fosse parlato in un areale molto più vasto in passato. E parallelamente ci sono forti indizi che il basco sia l'ultima di quelle lingue che erano estesamente parlate in Europa prima dell'arrivo delle lingue indeuropee e che tali idiomi fossero ancora vivi prima della conquista romana in Spagna e nella Francia meridionale. Non a caso nella famosissima introduzione del “De Bello Gallico” Giulio Cesare scrive che: “Gallia est omnis divisa in partes tres, quarum unam incolunt Belgae, aliam Aquitani, tertiam qui ipsorum lingua Celtae, nostra Galli appellantur. Hi omnes lingua, institutis, legibus inter se differunt". Secondo il testo gli Aquitani erano una entità distinta dai Celti (gallici) e Belgi (in cui si notavano elementi germanici)e probabilmente erano ancora bascofoni, come tutti gli iberici, a parte i celtiberi della Catalogna
Qualche anno fa fu pubblicato su “Le Scienze” un articolo di E.Hamel, Th. Vennemann, P. Foster, in cui gli autori proponevano l'origine bascofona di molti nomi geografici. Fecero notare che, rispetto ad altre categorie, i nomi dei fiumi presentano una grossa anomalia alfabetica: sono tantissimi quelli che cominciano per una vocale e, secondo loro, si tratta appunto di una reminiscenza bascofona. Ci sono forti possibilità che anche l'Italia fosse bascofona, e non solo per la vicinanza genetica fra le popolazioni italiche ed ibriche: in Toscana per esempio più di un terzo dei nomi dei fiumi più importanti comincia con una vocale (è significativo che la percentuale sia elevatissima in quelli più importanti e diminuisca andando verso corsi di importanza minore). Per confronto i nomi dei comuni (le città sono posteriori all'epoca della bascofonia) che iniziano per una vocale per esempio sono 14 su 287, appena il 5%!). Nel centro Italia ci sono forti indizi di bascofonia: secondo lo storico Albino Cece molti toponimi della zona compresa fra Lazio e Campania hanno origine pre-indeuropea.
Ho pensato a lungo a questo problema e penso ad una introduzione trifasica delle lingue indeuropee.
All'inizio (7000 – 5000 AC) si diffondono, a partire dall'Anatolia o dall'Ucraina nei Balcani e nelle pianure centrali, dove l'introduzione dell'agricoltura in zone scarsissimamente popolate ha avuto come effetto un aumento notevole di popolazione, con l'assimilazione totale o la scomparsa dei pochi indigeni preesistenti. L'Europa mediterranea occidentale aveva maggiore disponibilità di cibo e dunque poteva ospitare popolazioni di maggiori dimensioni di cacciatori – raccoglitori che si adeguarono all'invenzione (impossibile sapere se tramite sollecitazioni esterne oppure semplicementeimparando le novità dai vicini). Queste popolazioni sarebbero alla base della “civiltà dei megaliti”.
Una seconda espansione avvenne con la diffusione della cultura celtica detta “dei campi di urne” (urnfeld) nel primo millennio AC. Si espanse a partire dall'Europa Centrale. Secondo Cavalli – Sforza ha pochi fondamenti genetici (quindi è stata soprastutto culturale o elitaria) ed è costata alle lingue Basche l'Italia e la Francia Settentrionale (guarda caso risale all'epoca lo stanziamento dei celtiberi nella Spagna settentrionale.
La terza fase è stata la conquista latina (anche questa decisamente più culturale che genetica) che ha confinato l'areale delle vecchie lingue europee ai soli Paesi Baschi.
Aggiornamento del 14 LUGLIO 2008: su PLOS ONE è stato pubblicato un articolo che in qualche modo conferma questa ipotesi: il DNA mitocondriale di uno scheletro ritrovato in Puglia è sicuramente europeo: nel parlo qui
Il concetto di autoctonia di una popolazione è abbastanza relativo: ad esempio per noi europei non c'è dubbio che lo siano le popolazioni na-denè del sudovest degli USA (Navajos e Apaches), ma se lo chiedevate agli antenati dei loro vicini (comanches, zuni, utes etc etc), questi non sarebbero stati della stessa opinione, visto che queste tribù erano arrivate dal Canada occidentale pochi secoli prima e avevano tolto loro quei territori.
In Europa c'è la più parlata delle lingue isolate, il Basco. Sumero e hurrita sono stati parlati a lungo nella Mesopotamia, ma furono soppiantati da idiomi indeuropei ben prima dell'inizo dell'era cristiana (il sumero verso il 2000 AC, continuando a lungo ad essere usato per scopi rituali o scientifici, l'hurrita era ormai defunto già nel VI secolo AC). Nell'odierno Pakistan circa meno di 100.000 persone, i Burushi, parlano il Burushaski. In Siberia il Ket, parlato dalla popolazione omonima stanziata nel medio oro dello Jenisei è l'ultimo sopravvissuto fra le lingue della famiglia linguistica dello Jenisei.
Nel complesso puzzle degli idiomi parlati tra la Siberia orientale e il Giappone la maggior parte appartengono al ceppo uralico. Esistono anche due (o tre) famiglie linguistiche diverse: le lingue Ciukci-kamchadale, dell'estremità nordorientale del continente e un piccolo gruppo di lingue, il Giljiak, parlato tra le isole Kurili, Sakhalin, e il basso Amur, a cui forse è legato anche l'idioma degli antichi abitanti del Giappone, gli Aiunu, sull'origine del quale sono stati avanzate le più disparateipotesi.
Per studiare le lingue isolate viene usata sempre la loro struttura. Sulle parole c'è da fare molta attenzione per scartare i termini mutuati da lingue vicine. La ricerca su questo argomento ha risvolti molto interessanti sul modo in cui si sono diffuse le lingue indoeuropee.
Il Basco è attualmente confinato nelle coste meridionali del golfo di Biscaglia, tra la Spagna e la Francia. I suoi vocaboli sono piuttosto ben definiti, con scarsa penetrazione dall'esterno: i baschi sono sempre stati abbastanza chiusi.
Sumero e hurrita sono noti da alcune tavolette e, come detto, hanno lo status di lingue isolate perchè è evidente che non siano indeuropee.
Molte parole del Burushashki sono mutuate da dialetti più o meno vicini, sia indoeuropei che turchi che sino-tibetani, ma la sua sintassi è profondamente diversa ed originale.
Tutte queste lingue hanno una caratteristica comune che le avvicina alle odierne lingue caucasiche: sono lingue ergativite. Nelle lingue indeuropee e afroasiatiche (che secondo molti studi hanno origini comuni) abbiamo il sistema nominativo / accusativo: il soggetto della proposizione (anche se il verbo è passivo) è sempre espresso con il nominativo, mentre l'oggetto, ove presente, è caratterizzato dall'accusativo. Nelle lingue ergative la situazione è un po' diversa: ci sono due nominativi, uno (l'ergativo) viene usato quando il soggetto compie un'azione
Oltre ad essere ergative, hanno un'altra caratteristica comune: sono anche agglutinanti, cioè le parole sono modificate nel significato aggiungendo e/o rimuovendo prefissi e suffissi.
Pertanto l'interpretazione attuale è che tali caratteristiche riflettano una origine comune di queste lingue: forse che prima della diffusione delle lingue indoeuropee, quelle caucasiche erano parlate in una grande fetta del vecchio mondo, dalla Spagna all'Indo?
Mi ero sempre posto un problema: con tutte le popolazioni di lingua caucasica capillarmente presenti nell'area, come mai l'indoeuropeo si è espanso così diffusamente? L'agricoltura fu scoperta e diffusa proprio dall'unica popolazione che parlava una lingua di ceppo diverso? E' strano, no? O, quantomeno, statisticamente improbabile. O è stata proprio l'adozione dell'agricoltura a far cambiare la lingua?
Su come le lingue indeuropee si siano diffuse c'è in corso un bel dibattito. Non tutti sono d'accordo addirittura sulla loro diffusione: c'è anzi chi sostiene l'autoctonia dell'indoeuropeo, ma sono attualmente delle correnti di minoranza (e rimane il problema di cosa voglia dire “autoctono”).... E' stata una invasione demica, una conquista da parte di una elite, una semplice colonizzazione culturale? Attualmente non si sa ancora, anche se, insomma, i dati genetici parrebbero escludere una massiccia invasione, almeno nel Mediterraneo occidentale: ad eccezione dei sardi, le popolazioni iberiche, italiane e della Francia meridionale sono abbastanza simili.
Potrebbe essere stato un mix di tutte queste possibilità, soprattutto perchè ci possono essere state risposte diverse a seconda della originaria densità di popolazione (questo spiegherebbe la persistenza delle lingue basche tra Francia meridionale e Spagna: la popolazione indigena era troppo grande per perdere la propria lingua). Notiamo innanzitutto che la connessione con l'arrivo dell'agricoltura è un po' difficile, soprattutto da un punto di vista temporale: è arrivata fra l'8000 e il 5000 AC e la civiltà dei megaliti, diffusa nella zona atlantica dell'Europa fino al 1.000 AC, probabilmente era bascofona.
Numerosi studi suggeriscono che il Burushashki fosse parlato in un areale molto più vasto in passato. E parallelamente ci sono forti indizi che il basco sia l'ultima di quelle lingue che erano estesamente parlate in Europa prima dell'arrivo delle lingue indeuropee e che tali idiomi fossero ancora vivi prima della conquista romana in Spagna e nella Francia meridionale. Non a caso nella famosissima introduzione del “De Bello Gallico” Giulio Cesare scrive che: “Gallia est omnis divisa in partes tres, quarum unam incolunt Belgae, aliam Aquitani, tertiam qui ipsorum lingua Celtae, nostra Galli appellantur. Hi omnes lingua, institutis, legibus inter se differunt". Secondo il testo gli Aquitani erano una entità distinta dai Celti (gallici) e Belgi (in cui si notavano elementi germanici)e probabilmente erano ancora bascofoni, come tutti gli iberici, a parte i celtiberi della Catalogna
Qualche anno fa fu pubblicato su “Le Scienze” un articolo di E.Hamel, Th. Vennemann, P. Foster, in cui gli autori proponevano l'origine bascofona di molti nomi geografici. Fecero notare che, rispetto ad altre categorie, i nomi dei fiumi presentano una grossa anomalia alfabetica: sono tantissimi quelli che cominciano per una vocale e, secondo loro, si tratta appunto di una reminiscenza bascofona. Ci sono forti possibilità che anche l'Italia fosse bascofona, e non solo per la vicinanza genetica fra le popolazioni italiche ed ibriche: in Toscana per esempio più di un terzo dei nomi dei fiumi più importanti comincia con una vocale (è significativo che la percentuale sia elevatissima in quelli più importanti e diminuisca andando verso corsi di importanza minore). Per confronto i nomi dei comuni (le città sono posteriori all'epoca della bascofonia) che iniziano per una vocale per esempio sono 14 su 287, appena il 5%!). Nel centro Italia ci sono forti indizi di bascofonia: secondo lo storico Albino Cece molti toponimi della zona compresa fra Lazio e Campania hanno origine pre-indeuropea.
Ho pensato a lungo a questo problema e penso ad una introduzione trifasica delle lingue indeuropee.
All'inizio (7000 – 5000 AC) si diffondono, a partire dall'Anatolia o dall'Ucraina nei Balcani e nelle pianure centrali, dove l'introduzione dell'agricoltura in zone scarsissimamente popolate ha avuto come effetto un aumento notevole di popolazione, con l'assimilazione totale o la scomparsa dei pochi indigeni preesistenti. L'Europa mediterranea occidentale aveva maggiore disponibilità di cibo e dunque poteva ospitare popolazioni di maggiori dimensioni di cacciatori – raccoglitori che si adeguarono all'invenzione (impossibile sapere se tramite sollecitazioni esterne oppure semplicementeimparando le novità dai vicini). Queste popolazioni sarebbero alla base della “civiltà dei megaliti”.
Una seconda espansione avvenne con la diffusione della cultura celtica detta “dei campi di urne” (urnfeld) nel primo millennio AC. Si espanse a partire dall'Europa Centrale. Secondo Cavalli – Sforza ha pochi fondamenti genetici (quindi è stata soprastutto culturale o elitaria) ed è costata alle lingue Basche l'Italia e la Francia Settentrionale (guarda caso risale all'epoca lo stanziamento dei celtiberi nella Spagna settentrionale.
La terza fase è stata la conquista latina (anche questa decisamente più culturale che genetica) che ha confinato l'areale delle vecchie lingue europee ai soli Paesi Baschi.
Aggiornamento del 14 LUGLIO 2008: su PLOS ONE è stato pubblicato un articolo che in qualche modo conferma questa ipotesi: il DNA mitocondriale di uno scheletro ritrovato in Puglia è sicuramente europeo: nel parlo qui
3 commenti:
Pur se a distanza di molti anni dalla data di creazione di questo post mi sento di condividerlo ampiamente. La trovo una ricostruzione molto credibile degli antichi avvenimenti linguistici e demografici del nostro continente.
Con tre piccole postille/eccezioni:
1) d'accordo con il cambio linguistico dall'alto, ma senza esagerare. Gli esempi turchi, ungheresi e finnici sono comunque molto successivi, quando una vaga forma di organizzazione statuale già esisteva. Oltre al fatto che per imporsi sulle popolazioni pre-esistenti bisognava comunque avere dei combattenti. D'accordo che secondo la Gimbutas i popoli danubiani e mediterranei erano fortemente femminilizzati, e fisicamente poco prestanti, però se affermazione bellica ci fu, e non stento a credere che in parte fu indispensabile, di pastori/soldati ne furono necessari parecchi.
2) L'Iberico non appartiene alla stessa famiglia del Basco, pertanto che le lingue caucasico-vasconiche fossero egemoni nella penisola iberica è errato; poi gli spagnoli non ammettono che l'Iberico fosse di radice semitica come il Berbero, ma mi sembra inevitabile che sia così.
3) Stephen Oppenheimer nel Suo "Origine dei Britannici" dà molti spunti interessanti e sostanzialmente riproduce la sua tesi circa il popolamento vasconico (perchè dire Basco è davvero troppo, dei Baschi 10mila anni fa non esisteva neanche l'idea) dele isole britanniche. Afferma a tutto spiano che il celtico non ha lasciato traccie, epperò non ha mai l'ardimento di asseriche che: quando nel 500 a.C. i Belgi germanizzarono il sud-est della Britannia si siano confrontanti con dei parlanti vasconici anziché dei parlanti celtici; idem, e a maggior ragione, per i Romani 500 anni dopo: nessuna traccia di vasconici viventi. Ergo, la ricostruzione è corretta, però le testimonianze storiche sono inconfutabili: pochi o tanti che siano stati i Celti nelle Britannie, e sembra che siano stati pochissimi, la lingua che incontrarono due distinti invasori in epoca pre-storica e poi storica fu soltanto quella celtica.
grazie per il commento.
1. francamente preferivo le tesi dell'origne anatolica degli indoeuropei, ma gli ultimi dati genetici sembrano dare ragione alla gimbutas...
2. si... oggi penso anche io che le lingue iberiche fossero imparentate con quelle berbere a causa dei flussi di popolazione dal nordafrica verso la Spagna, però a nord, intorno ai pirenei l'areale vasconico (definizione più esatta, in effetti) doveva essere ancora vasto
3. ammetto che la questione delle isole britanniche è un pò complessa. I problemi sono diversi e c'è qualcosa che non mi torna ma ho poca bibliografia in merito.
Spero poi che Lei mi possa dare un aiuto: c'è stato ad un certo punto un blocco dell'avanzata dell'agricoltura o degli indoeuropei nella Germania settentrionale senza arrivare al mare. Purtroppo non ho più quei dati. Ne sa qualcosa? Ancora grazie
Mi scusi il ritardo di questa mia, non ero sicuro di avere effettivamente spedito e, nel caso, pensavo di ricevere la risposta sulla mia email (ho visto ora che non navevo taggato). Oggi volevo postare quello stesso testo leggermente modificato ed ho letto la sua risposta. No, non sono informatissimo sull'avanzata degli agricoltori anatolici nei Balcani e poi in Europa, se non per le pessime figure che fecero alcuni scienziati sul tema. Primo fra tutti, il nostro mitico Cavalli Sforza e con lui Colin Renfrew: il primo, all'alba dei suoi 80 anni (ora ne avrà quasi cento), sostenne il popolamento anatolico dell'Europa, popolamento che trascinò con sé anche la loro lingua indoeuropea. Tesi affascinante, come accennava lei, e anche convincente: 'sti indoeuropei che arrivano dappertutto, vincono dappertutto, si mescolano dappertutto, francamente mi apparivano molto forzati, e tali mi appaiono ancora. Molto più convincente il popolamento per espansione demografica, in virtù di una tecnica di sussistenza più vincente, ai danni dei rari cromagnoidi cacciatori/raccoglitori che all'epoca popolavano il nostro continente. Un movimento a tenaglia che ricordava, in qualche modo, la sostituzione dei neandertaliani con i sapiens sapiens: poca violenza, maggiore conoscenza/abilità e di conseguenza maggiore prolificità. Peccato che la tesi di Cavalli-Sforza e di Renfrew non abbia retto alle analisi genetiche: grande popolamento dei Balcani (oltre il 50%), ma scarsa presenza degli anatolici nel restante continente. Totale: il 25% degli europei è di origine anatolica. Sarebbe bastato dire "mi sono sbagliato, la mia tesi è veritiera ma completamente sovradimensionata", e invece Cavalli Sforza ha preteso di aver stimato anche lui un popolamento anatolico inferiore al 30%. Così si prende in giro l'audience e la comunità scientifica. Poi le dico ancora su questi anatolici e sulla loro famiglia linguistica: secondo l'olandese Ulhembeck che parlò di "doppio strato" del proto-indoeuropeo gli anatolici apportarono una lingua caucasica che si mescolò con quella uralica dei pastori di quella vasta area, da cui si creò l'indeuropeo. La è teoria è probabilmente errata, ma se le premesse fossero esatte ne uscirebbe che, in Europa propriamente detta, gli anatolici parlanti una lingua caucasica si sovrapposero ai cacciatori parlanti una lingua vasconica. In altre parole l'incrocio -assai precedente all'indeuropeizzazione- tra europei e anatolici fu tra popolazioni parlanti lingue della stessa famiglia linguistica. Francamente mi lascia perplesso.
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