domenica 29 novembre 2009

un villaggio nel centro dell'Australia assediato da cammelli e le ricadute sulla "filosofia" della conservazione della Natura


Tra la fine del XIX secolo e gli inizi del XX i coloni europei in Australia avevano da risolvere un problema: come spostarsi nei vasti e quasi desertici territori del continente? I canguri erano gli unici animali di una certa stazza ma non erano certo adatti alla bisogna. La risposta fu abbastanza facile: oltre a cavalli e asini che gli europei avevano già introdotto precedentemente in Nordamerica con successo, furono importati diversi cammelli.
Il “progresso” li ha resi inutili abbastanza velocemente: come nel resto del mondo prima le ferrovie e poi le strade fornirono una alternativa più veloce ed efficace per i trasporti.
La situazione di questi animali si è evoluta in maniera diversa che altrove: se negli altri continenti, principalmente Europa e Nordamerica, la nascita dei mezzi meccanici ha provocato una riduzione del numero degli animali da tiro (quanti cavalli da tiro, asini e muli vivono adesso in Europa?), in Australia, complici le grandi distese libere, una parte di loro furono lasciati liberi e colonizzarono l'ambiente, favoriti dal vuoto che gli europei avevano fatto della fauna locale, sia erbivora (principalmente i pochi canguri sopravvissuti), sia carnivori come il tilacino, ormai definitivamente scomparso e peraltro già minacciato dai dingo (canidi importati dai primi uomini che colonizzarono il continente).

In Australia i cammelli hanno avuto buon gioco: privi di nemici e competitori, e straordinariamente adatti all'ambiente arido, sono rapidamente aumentati di numero, riducendo le fonti di cibo per i marsupiali superstiti e portando nuove malattie. Cavalli e asini, parimenti abbandonati, contribuiscono a questa situazione, ma in misura molto minore, a causa del loro minore adattamento all'ambiente locale. Sembra che ci siano almeno un milione di cammelli nell'Australia centrale.


Docker River (Kaltukatjara in linguaggio locale) è un villaggio di circa 400 abitanti (quasi tutti aborigeni) situato quasi al centro del deserto nell'isola - continente, a 400 km circa da Alice Springs che è la città importante più vicina: tanto per dare un'idea del popolamento dell'area, le fonti di informazione ci dicono che il luogo più popoloso più vicino a Kaltukatjara è Kintore, meno di 1000 abitanti a quasi 200 km di distanza!

Nonostante le sue dimensioni non proprio gigantesche, di questo luogo si stanno occupando le cronache perchè la siccità ha provocato una invasione di cammelli che stanno letteralmente assediando i cittadini nelle proprie case. Alla ricerca di acqua i primi animali sono arrivati lì e ovviamente non se ne sono andati. Quindi sono stati seguiti da altri loro simili e adesso ci sono circa 6000 cammelli che assediano letteralmente gli abitanti, i quali non possono uscire per paura di essere calpestati. Una situazione pazzesca e c'è già emergenza sanitaria in quanto ci sono degli animali morti che si stanno decomponendo, vittime della siccità a cui l'acqua di Kaltukatjara non è servita a niente e il rischio di inquinamento della falda acquifera è molto alto. A complicare la situazione gli animali hanno fatto grossi danni alle strutture, distruggendo tutto intorno alle fonti d'acqua (una cisterna in materiale composito o in lamiera di acciaio non può resistere ai loro calci). Persino la pista in terra battuta dell'aeroporto, l'unico sistema di collegamento fra il villaggio e il mondo esterno, ha subito grossi danni. E pensare che i cammelli erano visti fino a ieri come una risorsa: ho letto fra l'altro il progetto di un allevamento che avrebbe dato lavoro a diverse persone!

Quali sono le soluzioni possibili? Con una battuta di spirito si potrebbe dire che è difficile “convincere” gli animali ad andarsene con le buone. Pertanto le autorità stanno pensando ad un abbattimento di massa, dopo aver spinto gli animali fuori città con gli elicotteri. Ovviamente gli animalisti protestano. Il punto su cui focalizzano l'attenzione è rappresentato dalle sofferenze di animali colpiti ma non a morte e per i quali prospettano, giustamente, lo spettro di una lunga agonia (ma probabilmente sarebbero contrari anche a qualsiasi altro sistema per sopprimerli).

Invece propongono di circondare le comunità umane con delle barriere di protezione. La cosa potrebbe evitare a cammelli e dromedari di penetrarle, ma sostanzialmente lascerebbe inalterato il problema a livello generale in quanto quello che succede oggi a Kaltukatjara non è altro che la punta dell'iceberg: le dimensioni di questo stock sono troppo grandi e soprattutto la situazione, senza nemici naturali, potrà definitivamente andare fuori controllo in tutta l'Australia centrale, provocando un disastro.

E soprattutto provocherebbe agli animali una lenta morte per sete. Siamo sicuri che sia una fine migliore di un colpo di pistola, almeno sul piano delle sofferenze?

E' vero che lasciando le cose così entro un certo periodo di tempo (superiore alla scala umana...) la situazione potrebbe stabilizzarsi: poca vegetazione, muoiono i cammelli, ma con pochi cammelli la vegetazione ricresce e allora riaumentano i cammelli e via discorrendo. Questo però sarebbe possibile solo in un sistema senza oasi (naturali o artificiali): è chiaro che situazioni come questa di Kaltukatjara sono destinate non solo a ripetersi ma a diventare frequenti.

Soprattutto in tutto questo nessuno pensa ai residui della fauna locale: che fine faranno in tutto questo marasma?

E' una questione di vitale importanza e quale sarà il sistema adottato per risolverlo costituirà un precedente non da poco per situazioni analoghe. In Australia nelle zone utilizzate per pascolo di bovini e ovini i canguri sono tuttora considerati dei nemici e infatti la loro popolazione viene tenuta sotto controllo con abbattimenti selettivi in mancanza di nemici naturali (che comunque ho la sensazione che, ove sopravvissuti dalle stragi degli ultimi 3 secoli, sarebbero stati fatti fuori per evitare danni al patrimonio zootecnico umano....). Penso che questa sia la soluzione che verrà adottata dalle autorità australiane anche per i cammelli.

Da ultimo mi pongo una domanda: possono essere considerate “naturali” popolazioni animali rinselvatichite originate da importazione da parte di coloni di animali domestici che senza l'intervento umano sarebbero sconosciuti ad un certo territorio? Sono più da proteggere questi o i residui delle comunità locali, di cui si potrebbe cercare un reinserimento nei territori persi a causa della competizione con i nuovi arrrivati?

5 commenti:

Angela. ha detto...

Caro Aldo Piombino, sono una delle tante animaliste che tu tanto citi nell'articolo. Peccato che il punto cruciale non sia solo la sofferenza che ne deriva per gli animali, ma sia invece la causa che ha spinto i cammelli a rompere un'ecosistema. E la causa è l'uomo, sia per l'innalzamento globale del clima, sia perchè li ha importati nel 1800. Ora spetta all'uomo risolvere, e non con la morte, ma col contenimento. Anzi che utilizzare cecchini, che i soldi vengano impiegati per sedare gli animali e contenerli in una recinzione apposita, perlomeno. Non è giusto nemmeno che l'uomo possa abbeverarsi e gli animali no, e mi fa MOLTA tristezza sentire queste parole da uno studioso dell'ambiente. Se fosse stata la soluzione più giusta ucciderli, di certo i giornali e telegiornali non avrebbero avuto nessun problema a parlarne, lei non crede?.

Aldo Piombino ha detto...

Grazie per le osservazioni.
personalmente sono uno di quelli che giudicano il grado di civiltà di un Paese anche dal modo in cui sono trattati gli animali e altrettanto personalente ho stima degli animalisti e ne conosco diversi. Ho molto meno stima dei manichei (in qualsiasi campo siano).
Il problema fondamentale è che in natura le popolazioni sono tenute sotto controllo da diversi fattori quali abbondanza di cibo e acqua, patogeni e predatori. In un ambiente privo di predatori (in Australia saranno rimasti giusto un pò di dinghi, animali che non sono certo in grado di predare un cammello adulto e peraltro importati dai òprimi abitanti umani del continete) una popolazione come quella dei cammelli è destinata a moltiplicarsi un pò troppo e i risultati si vedono di già. I rischi sono sia per la distruzione della(poca nel caso vegetazione), sia nel rischio di gravi epidemie che potrebbero avere ricadute difficilmente prevedibili. Pertanto va quantomeno limitato il numero dei cammelli e gli esseri umani possono e devono intervenire per farlo. Che poi ci siano rimedi e rimedi siamo d'accordo. Ma o si fa una campagna di sterilizzazione di massa o una parte dello stock va abbattuto. non ci sono alternative.
PS: sono anche d'accordo sul fatto che alla fine la colpa è di chi li ha importati. In questo caso comunque i cambiamenti climatici c'entrano poco.

Hilary Duff ha detto...
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Its-llc ha detto...
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SBCGlobalHelp ha detto...
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