mercoledì 27 febbraio 2008

L'attività umana e l'erosione delle spiagge toscane: stato dell'arte e considerazioni per il futuro

L'uomo vorrebbe che le caratteristiche geografiche rimanessero fisse, ma non è così. E le linee di costa sono fra le caratteristiche più “mobili” che ci siano, non solo per le variazioni del livello marino, di cui adesso si sente parlare tutti i giorni
Il problema dell'erosione delle spiagge in Toscana ha primariamente ragioni antropiche. Sempre ragioni antropiche in precedenza ne avevano provocato un altrimenti ingiustificablie avanzamento.
Come ormai quasi tutte le coste delle cosiddette “nazioni avanzate” le coste toscane di pianura, dalla Versilia alla Maremma, non sono naturali: consideriamo la laguna veneta una eccezione, ma in realtà è proprio questo che ci si dovrebbe aspettare lungo una pianura, dove una linea di costa precisa non esiste e tutta la zona costiera è una successione di stagni, dune, cordoni litorali, insomma una laguna. E se la pianura è vasta, come quella padana o semplicemente la bassa valle dell’Arno, il limite fra le acque dolci e quelle salmastre sarebbe molto più sfumato di quello che vediamo oggi.Le bonifiche in zona costiera (che hanno portato ad una netta divisione fra acque e terraferma) hanno determinato una situazione completamente innaturale, dal delicatissimo equilibrio. Tantopiù che nella maggior parte dei casi dalla spiaggia è stata asportata la duna costiera, essenziale in natura e non solo per l'equilibrio sedimentario. Si possono vedere anche in Toscana delle dune fossili: per esempio quelle collinette che si vedono dal rilevato dell'autostrada fra Pisa Centro e Livorno nella zona di Tombolo (toponimo decisamente significativo...)
Il devastante disboscamento dei versanti montani e collinari operato nei secoli passati, sia per la produzione di legname, sia per ottenere spazi per l'agricoltura (in Toscana soprattutto per agricoltura di pregio), ha enormemente accelerato l'erosione dei versanti: è noto che la presenza di alberi su un versante ferma l'erosione perchè frena la velocità dello scorrimento delle acque piovane e perchè le radici trattengono il terreno. Aggiungiamo pure le bonifiche delle zone paludose interne, per cui i sedimenti non si distribuiscono più all'interno delle paludi ma sono tutti portati dai fiumi fino alla foce. Quindi alla componente naturale del sedimento che arriva in mare se ne è sommata una antropica notevolmente elevata e i litorali hanno mostrato una decisa avanzata.
Il bilancio sedimentario di una costa ha diverse componenti: ovviamente l'apporto sedimentario, ma anche la naturale subsidenza del terreno: in tutte le zone di pianura il suolo tende ad abbassarsi perchè il peso comprime i sedimenti sottostanti (che anche in Toscana possono avere uno spessore di migliaia di metri). A questa subsidenza naturale si è aggiunta una componente antropica, dovuta allo sfruttamento delle risosre idriche: è chiaro che togliendo acqua il suolo sovrastante si abbassa. Quindi per continuare a restare ad un certo livello il terreno ha bisogno di essere “rifornito” di sedimenti. Una volta i sedimenti venivano perchè tutta la costa era un insieme di vie d'acqua (che li trasporta) e per le continue esondazioni dei fiumi. Adesso che le lagune sono scomparse e i fiumi regimentati fra alti argini non esondano (quasi...) più è cessato questo rifornimento. Le estese aree del delta padano sotto il livello del mare sono dovute a questo fenomeno.
Le correnti marine e la presenza di ostacoli lungo la spiaggia rappresentano l'altra componene importante: il sedimento “viaggia” trascinato dalla corrente e la lina di spiaggia è l'espressione dell'equilibrio fra quanto ne arriva e quanto ne parte. Chiaramente la corrente ha una velocità molto bassa (se non ci fossero le onde probabilmente non riuscirebbe a scalzare la sabbia dal fondo) e quindi la presenza di un ostacolo, che può essere naturale o artificiale, ferma il suo movimento, per cui a monte di questo la spiaggia avanza (i sedimenti arrivano ma non riescono ad avanzare oltre ), mentre a valle la spiaggia tende a scomparire (i sedimenti se ne vanno senza essere rimpiazzati).
Nell'immagine presa da Google Earth vediamo l'interruzione del trasporto naturale della sabbia all'altezza del porto di Marina di Carrara, un tipico esempio di ostacolo artificiale: è evidente come la corrente venga dal Nord (dal Magra) e quindi a monte del porto la sabbia si accumula, mentre a valle non ce n'è più.
Al tutto si aggiungono due nuove componenti antropiche: la prima è il rimboschimento (e qui si nota una coperta un po' corta: se si rimboschisce i versanti se la passano meglio, ma le spiagge vanno in sofferenza; se si disbosca i versanti vanno in crisi e le spiagge crescono) e la seconda è la costruzione delle dighe, che bloccano il trasporto sedimentario. Non è un caso, infatti, che le zone in cui il ritiro è stato più violento sono alle foci dei fiumi (che come detto, si erano anomalmente ingranditi). Quindi se la “coperta” è corta è colpa dell'uomo che nei secoli scorsi ha “allungato il letto”.
Per contrastare il fenomeno in Toscana erano state costruite dei gruppi di scogliere perpendicolari alla costa (ad esempio a Marina di Massa).Se questi manufatti bloccano l'erosione della spiaggia nel punto di messa in opera, agiscono chiaramente come barriere allo stesso modo del porto di Marina di Carrara, per cui si limitano a spostare il problema o a valle (dove, anzi, l'erosione continua ancora più forte di prima) o addirittura immediatamente a largo di essi, con un forte approfondimento del fondale.
L'idea attuale, venuta fuori al convegno del gruppo BEACHMED-E (un gruppo di ricerca a livello europeo sul problema dell'erosione delle spiagge) sarebbe quella di utilizzare per il ripascimento dei “giacimenti” di sabbia che si trovano sul fondo marino (ne sono stati trovati 4 adatti allo scopo).
Queste sabbie non sono altro che delle vecchie spiagge formatesi in una fase glaciale, quando il livello marino era ancora più basso dell'attuale. E' chiaro che anche questa soluzione presenta delle difficoltà: innanzitutto lo sconvolgimento di un fondale marino, ma poi, alla fine, o rifornisci “di continuo” il litorale a valle dell'ostacolo oppure dopo un certo numero di anni il problema si ripropone.
Quindi dopo il ripascimento credo che debbano essere messi in atto dei procedimenti diversi e precisamente studiare un sistema che invii a valle dell'ostacolo una quantità di sedimento pari a quella che passerebbe naturalmente. Infatti se da un lato chi sta a monte dell'ostacolo trae dei grossi benefici dall'ostacolo (ad esempio gli stabilimenti balneari di Marina di Carrara), dall'altra deve considerare che l'equilibrio è molto artificiale e che un ulteriore prolungamento della spiaggia non è un fatto positivo (basta poco per azzerarlo).
La cosa migliore da fare anche adesso sarebbe quella di togliere sabbia dalla zona a monte dell'ostacolo per riportarla a valle, senza andare a prelevarla sul fondo marino, ma questo cozza chiaramente con gli interessi di chi sta a monte.

lunedì 25 febbraio 2008

La corsa al Polo nord: dove la ricerca geologica è spinta dall'economia (ma forse l'Orso Bianco fermerà tutto..)


Negli ultimi giorni è passata praticamente inosservata una notizia molto importante: l'Università del New Hampshire e la NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration), hanno comunicato che la scarpata continentale a largo dell'Alaska è molto più estesa del previsto, fino alla “Chukchi Cap”, un promontorio sottomarino della piattaforma. Informano anche che la presidenza degli Stati Uniti sta prestando molta attenzione a questo. Anche russi, canadesi e danesi (la Groenlandia fa parte della Danimarca) mostrano grande agitazione in materia: i russi stanno esaminando la zona del polo nord, per vedere se fosse in continuità con la piattaforma continentale siberiana, i danesi stanno esaminando la dorsale Lomonsov, per capire se sia o no collegata con la Groenlandia e anche i canadesi non stanno a guardare. Ma perchè sta succedendo tutto ciò? Forse che il Presidente Bush è preso da una incontrollabile smania di conoscenze scientifiche? Tutti gli oceani sono stati così ben studiati che non resta da fare altro? No, le motivazioni sono ben altre, di interesse economico.
La superficie terrestre è suddivisa in zone a crosta continentale (con un'altitudine media sopra i 200 metri) e zone a crosta oceanica, con una profondità media di 4.000 metri. Le terre emerse e i fondi oceanici sono collegati fra loro da una zona sommersa a crosta continentale che ha una profondità media di circa 200 metri e che, alla fine, è limitata dalla scarpata continentale. A causa delle calotte glaciali il livello del mare è più basso di quello “normale” dell'ultimo miliardo di anni e quindi i mari si estendono poco sulla crosta continentale. Tra le eccezioni annoveriamo il Mare del Nord, l'Adriatico e i mari intorno alle isole dell'Indonesia e delle Filippiine. Se però alziamo il livello marino di solo una settantina di metri molte zone attualmente emerse sarebbero sommerse
La Convenzione di Montego Bay del 1982 ha segnato un punto fermo nella storia del Diritto Marittimo, tentando di armonizzare le legislazioni degli stati costieri, che erano molto diverse fra loro e soprattutto ha indicato un modo di comporre le vertenze fra nazioni in contrasto fra loro sulla rivendicazione di diritti su una zona marina. Secondo questo documento le acque della piattaforma continentale sono di libero passaggio per chiunque (al contrario delle acque territoriali, considerate parte dello stato costiero), ma il loro sfruttamento, sia in materia di pesca che di risorse minerarie sul fondo marino e sotto di esso, sono di esclusiva pertinenza di esso.
Siccome le piattaforme continentali possono essere piuttosto larghe, specialmente se associate ad un margine continentale “passivo”, cioè geologicamente tranqullo, mentre sono molto più strette se associate ad un margine “attivo” come quelli che bordano il Pacifico, è stato inserito il concetto di “zona economica esclusiva” che può arrivare fino a 200 miglia marine dalla costa, indipendentemente dalla minore larghezza della piattaforma continentale La convenzione non lo dice esperessamente, ma è chiaro che se la piattaforma fosse più larga di 200 kilometri, i diritti di sfruttamente sarebbero comnque attribuiti allo stato costiero anche oltre questa distanza convenzionale.
Numerosi indizi geologici fanno pensare che la piattaforma continentale a largo di Siberia ed Alaska contenga significative risorse di petrolio e gas naturale. Per questo gli stati rivieraschi stanno facendo tutte queste spedizioni per accertarne la effettiva larghezza e quindi accaparrarsene i diritti. Comunque non penso proprio che al di là della piattaforma, la crosta oceanica del mare di Beaufort contenga qualcosa di economicamente utile. Nella immagine (tratta daWikipedia) le zone in verde più chiaro sono le piattaforme continentali. Come si vede non c'è un limite preciso fra quella siberiana e quella nordamericana, il che potrebbe portare a dispute fra queste due nazioni. (cie ne sono già fra Canada e USA) I rischi per un ecosostema così delicato sono enormi, ma il Governo dello Stato dell'Alaska fa finta di niente, pianificando la costruzione di nuovi oleodotti e gasdotti. Ma c'è pronta a cadere sullo sviluppo (chiamiamolo così) dell'area una grossa tegola l'Orso Polare. Infatti se questa specie entrerà fra le specie protette dall' “endangered species law” dovranno essere prese delle misure tese a salvaguardare il suo habitat e che ovviamente contrastano con le esplorazioni petrolifere. Non a caso quindi i governanti dell'Alaska si stanno battendo contro questa possibilità. Il che suona veramente strano se si pensa all'Orso Bianco come l'animale simbolo di questo stato.

Aggiornamenti alla situazione: il 14 maggio 2008 l'Orso Bianco è stato inserito nell'elenco delle specie in pericolo dall'amministrazione federale americana. Pertanto, almeno in teoria, lo sfruttamento dell'artico dovrà continuare con la massima attenzione per l'ambiente ed è previsto un attento monitoraggio delle operazioni di ricerca e produzione di gas e petrolio nel mare di Beaufort. Viene comunque escluso che, nonostante la acclarata relazione fra aumento di gas-serra e diminuzione dell'habitat della specie (per la continua perdita di estensione dei ghiacci), non ci saranno per questo motivo restrizioni alle emissioni in atmosfera. Inoltre non ci saranno limitazioni alla produzioe da parte dei nativi di oggetti fatti con ossa o altre parti anatomiche degli orsi bianchi

giovedì 21 febbraio 2008

Le nanotecnologie nella lotta contro i tumori


Nella immagine che mi è stata gentilmente fornita dal Ce.Ri.Col, il Centro Ricerche Avanzate della Colorobbia SPA di Vinci (Firenze), si vede un vetrino di carne bovina in cui è stata impiantata una nanoparticella di un ossido di ferro. Successivamente il vetrino è stato investito da semplici onde radio e si vede chiaramente che attorno alla nanoparticella si registra un forte aumento della temperatura. Potrà sembrare strano, ma potrebbe essere veramente un'arma letale contro una delle malattie più letali: il cancro.
La lotta contro i tumori è una delle sfide più difficili per la medicina moderna. Qualche anno fa in Italia molto si parlò della somatostatina e del Dottor Luigi Di Bella, rimedio caduto nel dimenticatoio (secondo le chiacchere da bar perchè non interessava alle case farmaceutiche, in realtà di bufala si trattava...).
All'epoca facemmo ridere tutto il mondo civile: fu montato un caso politico basato sulla grave impreparazione tecnico-scientifica della nostra classe politica e sulla sua irresponsabile demagogia nei confronti di persone tanto disperate quanto prive di conoscenze scientifiche di base.
Venne poi il Dottor Folkmann con l'angiostatina, che doveva evitare la formazione di vasi sanguigni nella zona del tumore, uccidendolo per fame. La differenza fondamentale con la somatostatina è che, almeno in questo caso, si capiva il meccanismo di funzionamento del farmaco. Ma anche di questa via, che sembrava così promettente, si sono perse le tracce.
Adesso si sono aperte nuove possibilità, grazie alle applicazioni delle nanotecnologie. Nella ricerca contro il cancro si è appurato che le cellule tumorali sono più sensibili alla temperatura di quelle ordinarie: portandone la temperatura fin verso i 45 gradi, muoiono, mentre le cellule sane riescono ancora a resistere. Questo ha aperto una strada molto interessante: le nanotecnologie si basano sul fatto che un materiale, quando ridotto in dimensioni molto piccole, dell'ordine del milionesimo di millimetro, incrementa i valori di alcune sue caratteristiche o ne riceve di nuove.
Alcuni minerali ferromagnetici, come per esempio ferrite, magnetite ed altri ossidi, alla nanoscala incrementano le capacità magnetiche e quindi, se eccitati con onde radio, si riscaldano. Se le nanoparticelle vengono poste vicino a cellule tumorali e vegono investite da onde radio, il loro calore si irraggia nei dintorni e uccide le cellule malate.
Quindi curare il cancro con la “ipertermia fluida magnetica”, meglio nota con la sigla inglese MFH (Magnetic fluid Hypertermia) è una fra le possibili strade della ricerca.
Un vantaggio non trascurabile è che, essendo il corpo umano trasparente alle onde radio, non ci sarebbero particolari effetti collaterali. Quindi la MFH si porrebbe come una vantaggiosa alternariva alla chemioterapia, trattamento decisamente invasivo per il paziente e quindi duro da sopportare.
Ci sono ancora delle difficoltà: in primo luogo le particelle vanno protette con un guscio per evitare che il ciclo biochimico del ferro se ne impossessi e le digerisca. La tecnologia sta sviluppando dei “gusci” che contengano le particelle magnetiche e le isolino dall'esterno.
Ma la cosa più difficile potrebbe essere quella di inviarle nel posto giusto.
Vi ricordate il film “Salto nel buio” in cui il tenente pilota Tuck Pendleton (Dennis Quaid) partecipa ad un'esperimento che lo miniaturizza e la navicella con dentro Tuck viene inserita in una siringa e in seguito iniettata in una persona? Beh, sarà proprio così!!
Esiste nel corpo umano una eccellente rete di vasi sanguigni, che consente di arrivare dappertutto con i capillari (il concetto di capillarità, per esempio nella distribuzione delle merci, è un termine che dice proprio “arriviamo dappertutto”). Naturalmente i nanodispositivi devono essere più piccoli di un capillare, ma questo non è poi un grande problema, visto che lo devono essere anche per avere queste grandi proprietà magnetiche.....
Ci sono 3 possibilità: o farle girare fino a che non si fermano nei pressi del tumore (approfittando del fatto che nei pressi del tumore i vasi sanguigni sono rotti), o usare dei recettori specifici che “sentano” dov'è il tumore e quindi arrivati lì fermino la particella. La terza possibilità è guidare la particella usando un campo magnetico, la cosiddetta “consegna a guida magnetica del farmaco” o magnetic – targeted drug delivery.
Sarà la volta buona? Ci sono già i primi risultati in-vitro e in-vivo. Quelli in-vitro li ho visti e sono confortanti soprattutto dal punto di vista della estensione molto limitata della zona riscaldata, che garantisce quindi la sicurezza per le cellule sane vicine.
Non si sa ancora quando si potrà incominciare effettivamente a curare così il cancro. Due fatti mi fanno ben sperare: innanzitutto non si tratta del lavoro di un singolo o di una singola equipe: in tutto il mondo, Italia compresa come abbiamo visto all'inizio, ci sono gruppi di studio che se ne occupano. Poi il fatto che la ricerca prosegua zitta, senza clamori, anche se ogni tanto qualche notizia viene riportata.
E' chiaro comunque che la prevenzione dei tumori sarà sempre la strada maestra da seguire.

lunedì 18 febbraio 2008

referendum: i pochi elettori al voto bocciano per poco il progetto. Soldi pubblici spesi inutilmente


Bene, si è svolto il referendum sulla tramvia. Ne ha parlato persino il "Times", il padre di tutti i giornali, con un richiamo in prima pagina sopra la testata e un servizio all'interno. Che figura.... Ha votato il 39% degli aventi diritto, un numero in linea con le previsioni e non con le speranze di qualcuno.
Hanno vinto i sì, cioè gli antitram. Molto risicata la vittoria per Careggi – Viale Europa, un po' più alto per Novoli – Duomo – Libertà. Evidentemente le paure sul tram al Duomo, ingigantite ad arte, hanno fatto il loro dovere.
Non credo che (per fortuna) cambierà molto, a meno che non si facciano nuove elezioni comunali e cambi la maggioranza (direi improbabile).
La tabella, (un pò piccina, a dire la verità) riassume i dati, quartiere per quartiere.

Come mai i fiorentini si sono espressi contro un progetto che migliora la salute ed i trasporti?
Fondamentalmente la colpa è della giunta comunale, in primo luogo per la sfiducia che vi viene riposta (anche da chi l'ha votata....) e l'antipatia che riscuote fra chi non l'ha votata. Poi per la cattiva qualità dell'informazione, peggiorata dalla propria pessima immagine: basta vedere che dove ha informato un po' meglio, all'Isolotto e dintorni, il voto è stato diverso.
Hanno contato inoltre la continua disinformazione operata da Razzanelli & c (ben consci di quello che facevano) che si è innestata su paure e, soprattutto, sulla voglia di tanti fiorentini di fare il proprio comodo con l'automobile e il motorino (ricordiamoci che c'è anche, inquadrato nel centrodestra, il “partito dei motorini”.)
Sulla disinformazione operata sia da Razzanelli &c, sia dalla stampa compiacente, ci sono alcuni capolavori, tra i quali raddoppiare la grandezza del tram in alcuni disegni (indimenticabili esempi di questo rimarranno la foto dal Cupolone verso via Martelli e la sezione di Via dello Statuto), diffondere una foto in cui si immagina - sempre in piazza Duomo - un treno lunghissimo, notificare il taglio di alberi anche dove non verranno tagliati, le rotaie lasciate all'aperto come in una ferrovia e non con le traversine coperte, i pali anche in piazza Duomo (dove, come è noto, non ci saranno...) e in altri posti fotomontati esageratamente alti, la favola che i mezzi di soccorso non potranno percorrere la zona dei binari, muri di 2 metri che dividono la sede tramviaria dal resto etc etc.. E da ultimo l'incidente provocato dal SUV a milano (per colpa del tram ovviamente, i SUV sono guidati solo da bravi, innocenti e più che irreprensibili automobilisti, secondo loro). Chiaramente non si accenna alla nuova, bellissima, sistemazione dell'arredo urbano, per esempio come stanno facendo in via di Novoli, ai tempi di percorrenza inferiori a quelli di un motorino e alla fine dell'assedio delle migliaia di autobus (oltre 2000) ed altri mezzi privati che scorrazzano giornalmente attorno alla nostra splendida cattedrale
Un commento sul voto scorporato quartiere per quartiere:
Si evidenzia una città con due tendenze: quella dei quartieri 1 (centro), 2 (Campo di Marte - nordest) e 5 (tutto il nordovest, Peretola, Novoli, Rifredi) e quella dei quartieri 3 (Gavinana – sudest) e 4 (Isolotto – sudovest).
Colpisce che il 2, non toccato dai progetti, si sia espresso così. E' il quartiere che usa l'automobile per eccellenza e dove la busvia di Viale dei Mille ha provocato grossi malumori (ovviamente fra gli automobilisti). Oltretutto è quello più isolato, da cui non passano grandi correnti di traffico in uscita: non ha caselli autostradali, ha solo tre statali (Faentina, Bolognese e Forlivese, quest'ultima con una eccellente alternativa) e risente meno dei problemi di penetrazione del traffico proveniente da furi città, avendo alle spalle solo colline. Ed è il quartiere in cui la parte politica di Razzanelli &c riscuote più consensi.
Sul quartiere 5 sarei curioso di vedere scorporati i dati zona per zona: probabilmente troveremo dalle parti dello Statuto molti contrari, sia a causa di alcune scelte non felici del tracciato, sia perchè il centrodestra riscuote molti consensi.
Il quartiere 1 si è è espresso con le stesse percentuali, ma con un numero di votanti molto più basso.
Anche qui secondo me la paura maggiore è il disagio per i lavori.
Il dato dei quartieri 3 e 4, che hanno bocciato il referendum, è interessante, soprattutto per il 4: evidentemente hanno prevalso due stati d'animo, il primo è che i disagi stanno per finire, il secondo che sperano davvero che la tramvia gli levi il pesante traffico che lo attraversa. Inoltre è una zona storicamente dedita alla sinistra.
Nel quartiere 3 invece sono molti quelli che prendono i mezzi pubblici (anche grazie alle tante linee presenti e che portano dappertutto, non solo in centro) e sperano che la tramvia (fra 8 anni, purtroppo...) dia loro un sistema migliore per muoversi.
Riflessione finale: a parte lo spreco di soldi pubblici per indire un referendum così idiota, vista la bassa percentuale dei votanti succederà che i sostenitori del no diranno che solo il 20% dei fiorentini è contro la tramvia, oppure quelli contro il tram diranno che lo vuole solo una sparuta minoranza del 14%?

sabato 16 febbraio 2008

A Firenze domenica 17 febbraio referndum sulla tramvia

Domani si terrà il referendum consultivo sulla costruzione della tramvia, limitatamente alle linee 2 e 3. Anche a me certe scelte lasciano un pò perplesso e il sistema nasce monco perchè le esrensioni verso Campo di Marte e Gavinana - Bagno a Ripoli sono solo sulla carta. Ma è necessaria per cercare di far scendere dall'auto quanta più gente possibile.
Ce ne vorrebbero altre 10 di linee tramviarie....
Gli oppositori del progetto ne hanno fatte di tutti i colori (anche la giunta comunale, comunque....): via via si sono appellati alla "tristezza del taglio degli alberi", hanno presentato uno sconclusionato progetto di micrometropolitana o invocano una vera metropolitana sotterranea (ma dove li troviamo i oasseggeri per una roba del genere????). In realtà quello che preme a loro è di CONTINUARE AD USARE IMPUNEMENTE LE AUTOMOBILI.
Conosco gente che lavora in Piazza Libertà e sta a San Frediano, in pieno centro. Per andare al lavoro prende la macchina. E si lamenta pure per il traffico e per le difficoltà di parcheggio!!!!
Gli oppositori hanno inviato un manifestino in cui il tram è grande il doppio del vero e stanno usando una serie assrda di panzane che offenderbbero quelli del bar dello sport.
Ma la cosa più assurda è ammettere che in Europa oltre 100 città hanno costruito o stanno costruendo, tramvie ma dicono che a Firenze non si puà "perchè è una città medievale". Prima di tutto non mi consta che Isolotto, Rifredi, Careggi e Novoli siano zone medievali... (eppure la storia di Firenze mi pare di cononoscerla decentemente ...). Allora: la parte del centro che sarà toccata dai lavori sarà quella tra Santa Maria Novella, il Duomo e Piazza Libertà: attualmente ci passano migliaia di autobus al giorno, un tantinello più inquinanti, a mio avviso.
Qualcuno dice che "è sbagliato anche portare gli autobus in centro". Ma chi ci deve andare come ci arriva, con i bussini elettrici? Ma avete idea di quanta gente entra in centro a Firenze??? Poca sì per una metropolitana interrata, ma un tantinello di più di quella che starebbe nei bussini...
La verità è che Lor Signori, abituati da sempre ad andare in Piazza Duomo con macchine (alla faccia della zona a traffico limitato) e motorini, vogliono continuare a farlo. Solo che con la tramvia non lo potranno più fare.
Idem dicasi per Via dello Statuto, quando dicono: ma se si mette il Tram ci sarà meno posto per le autovetture!. Bravi, è proprio questo che si deve fare!!!! Lasciare a casa la macchina e prendere il mezzo pubblico!
Volete mettere il gusto di arrivare in 10 minuti da Novoli in centro a tutte le ore del girono, indipendentemente se è ora di punta o no e dagli ingorghi?

domenica 10 febbraio 2008

12 febbraio: Darwin Day: come trasformare un evento scientifico in uno scontro ideologico

Il 12 febbraio è il “Darwin – Day”, il giorno in cui si commemora, nella sua data di nascita, il grande scienziato che ha individuato il meccanismo fondamentale dell'evoluzione della specie (anche Alfred Russel Wallace arrivò arrivò quasi contemporaneamente alla stessa ipotesi, dimostrando che l'ambiente scientifico era ormai “maturo” per questo).
Da un lato il Darwin Day è un giorno in cui si tengono manifestazioni per spiegare cosa sia l'evoluzione della specie ma purtroppo dall'altra si sta dimostrando un momento di intolleranza fra evoluzionisti ed antievoluzionisti, segnatamente fra atei militanti e credenti più o meno ultraortodossi.
Io continuo a sostenere che non ci possa più essere un dibattito sulla fondatezza dell'evoluzionismo, anche se posso benissimo mettermi a disposizione per ragionare e rispondere ad interrogativi in materia: i dati che esistono sull'evoluzione delle creature viventi sono tali e tanti (e il quadro deriva da osservazioni coerenti fra loro, compiute da scienziati molto diversi: biologi, geologi,chimici, fisici, paleontologi, astronomi) che ne fanno un processo incontrovertibilmente certo e chi lo critica o è in malafede o ha il cervello pieno di muffa (almeno in questo campo: non nego che possa essere un genio in altri settori!).
Il problema è intrinsecamente culturale e nasce da una completa ignoranza dei fatti accertati.. (con questo ametto anche io, comunque, una ia intolleranza di fatto per il creazionismo....)
In Italia la questione assume particolari connotati per le caratteristiche speciali degli umanisti nostrali: questi normalmente ritengono che la scienza non sia cultura, o, quantomeno, sia una cultura di serie B. In realtà chi ritiene che la Scienza non sia cultura è, semplicemente, un ignorante e confonde volutamente la scienza con la tecnica (che poi sarebbe cultura anch'essa...)
Il modo "classico" con cui un "umanista" (uso le virgolette e la iniziale minuscola perché in realtà non di Umanista si tratta, ma di uno che si crede tale) tratta uno scienziato quando vuole offenderlo e sminuirne l'opera è parlare di "tecnica" anziché di Scienza. Tullio Regge si è sentito dire da una filosofo, una volta, che il suo lavoro era "ingegneria" (non nel senso nobile della parola, ma nel senso di "mera tecnica"). Più recentemente, l'insistere da parte di un noto vescovo sulla conoscenza del latino mentre si rivolge ad un noto matematico-logico fa quasi pensare che egli consideri "di cultura" solo chi conosce quella lingua. Personalmente anche a me piace il latino, ma non considero la sua conoscenza come principale metro di giudizio ai fini della valutazione dello spessore culturale di una persona.
In realtà, Umanisti (senza virgolette) e scienziati collaborano. La collaborazione degli "umanisti" non è cercata dagli scienziati, né sarebbe utile.
Su evoluzione e evoluzionismo da molti esponenti religiosi non mi aspetto altro che inutili battaglie di retroguardia: è vero che così come è messo, l'evoluzionismo è palesemente in contrasto con il racconto della Genesi.
Ma prendere la Bibbia come libro scientifico è un assurdo: cosa avrebbero capito i pastori nomadi del Big Bang o del DNA e di altre “amenità scientifiche” e, soprattutto, gliene sarebbe venuto qualcosa? Comunque, incrociando gli esemplari migliori dei loro animali domestici, hanno usato inconsapevolmente le leggi della genetica.
Al solito i vari cristiani ultraconservatori americani brillano per livore puro e per attaccarsi a qualsiasi fatto che contest l'evoluzionismo, di solito palesemente falso o, se vero, deformato all'ennesima potenza.
Quello che mi preoccupa è il nuovo corso della Chiesa Cattolica, culminato nella rimozione di Padre Coyne dalla direzione della Specola Vaticana. Padre Coyne, sacerdote gesuita, eminente astrofisico, e ovviamente convinto evoluzionista, è stato il responsabile della Specola Vaticana sotto il pontificato di Giovanni Paolo II e ha ispirato gli scritti in materia di scienza e fede dell'illustre papa polacco. Ufficialmente la rimozione è dovuta all'età ma in realtà sembra che sia stata la conseguenza della polemica con l'Arcivescovo di Vienna (creazionista).
Da notare che in un recente passato, proprio presso la Pontificia Accademia delle Scienze si è svolta una importante conferenza sulla evoluzione umana, fondamentale per lo “stato dell'arte” della ricerca scintifica sul'argomento.
Il problema fondamentale è che in questo momento il cattolicesimo si trova in difficoltà davanti agli sviluppi della cultura e non trova di meglio che combattere le nuove scoperte con generiche invettive. Faccio notare che il 14 settembre 2006 l'Avvenire critica coloro che accettano le idee evoluzionistiche "perchè screditano l'immagine di Dio Creatore e mettono l'uomo a immagine e somiglianza delle scimmie e non di Dio"
Con questa situazione l'evoluzionismo diventa la principale cassa di risonanza per chi ha nel suo DNA culturale il più strenuo anticlericalismo di principio (che considero speculare all'estremismo religioso: entrambi negano il dibattito e si assurgono a giudice unico delle cose). Rispondendo a questi attacchi la Chiesa tornerà a chiedere ad alta voce la libertà condizionata per le ricerche scientifiche che trova motivi di ostacolo per la sua dottrina. Cito dal sito PapaNews: “il progresso scientifico deve saper resistere alla tentazione di circoscrivere l'identità umana entro parametri tecnici (dagli con la “tecnica...), lasciando spazio alla ricerca sul chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo”. Una assurda demonizzazione delle scienze che non porterà da nessuna parte.
Personalmente a me non fa differenza discutere civilmente con un ateo o con un credente (di qualsiasi religione o confessione): credo agli scambi culturali fra persone che la pensano diversamente e mi da molto fastidio tascciare uno perchè ateo o credente, basta che nessuno dei due attenti alla mia libertà.
La religione sopravviverà all'evoluzionismo o dichiarando guerra alla scienza (con ciò coprendosi di ridicolo dalle persone con un po' di sale scintifico in zucca e relegandosi definitivamente agli strati meno acculturati della popolazione) o raccogliendo questa sfida da un punto di vista teologico, riconsiderando e dando una nuova valenza al libro della Genesi.
E non ditemi che la risposta sia l'Intelligent Design, perchè mi potrei.....
Credo che per la Chiesa ci siano altre urgenze e altre lotte, che addirittura la potrebbero unire agli anticlericali dell'UAAR (unione atei e agnostici razionalisti): contro la diffusione delle sette e contro la diffusione capillare, pesante e irrefrenabile di una accozzaglia di panzane come l'astrologia.

martedì 5 febbraio 2008

Il caso del rinoceronte: quando una multnazionale salva involontariamente una specie protetta

Finalmente una ottima notizia nella tragica situazione della conservazione delle specie a rischio: la popolazione di rinoceronti africani sta incrementando il suo numero.
I rinoceronti, assieme ai tapiri e agli equini, sono gli ultimi sopravvissuti di un ordine di mammiferi ungulati, i perissodattili, che durante l'era terziaria ha avuto un grande successo evolutivo con forme di dimensioni enormi, come il Brontotherium e l'ancora più imponente Baluchitherium, alto oltre 5 metri (!). Differiscono dagli artiodattili (cervidi, bovidi, suidi, ippopotami, giraffidi e quant'altro), che li hanno soppiantati in molte nicchie ecologiche per avere un numero di dita dei piedi dispai anziché pari. I rinoceronti sono sicuramente i più simili a quegli antichi animali.
Fino all'avvento sulla terra del genere umano i rinoceronti erano diffusi in tutto il vecchio mondo (se ne trovano fossili in moltissime località) ed addirittura in Europa sono raffigurati in pitture rupestri. Poi con la caccia gli uomini l'hanno cancellato da tutta l'Europa. Resiste solo in Africa, in India ed in Indonesia. Recentemente è stato riavvistato in libertà il piccolo Rinoceronte di Sumatra.
Adesso il nemico principale dei rinoceronti è la medicina orientale, in cui si attribuiscono al loro corno capacità afrodisiache. Pertanto è molto ricercato e il suo costo rende molto ai bracconieri e ai trafficanti che si servono di loro.
I programmi di conservazione erano quindi in grande difficoltò e la situazione stava precipitando. Ma dal 1997 la popolazione ha ricominciato a crescere di un buon 5% all'anno. C'erano meno di 9.000 rinoceronti neri e meno di 3.000 rinoceronti bianchi. Adesso siamo a rispettivamente poco meno di 15.000 e 4.000 esemplari, come si legge in un articolo pubblicato on line dalla rivista LiveSciences.com, I rinoceronti sono stati reimpiantati anche in Zambia ed Uganda dove erano stati completamente eliminati.
Faccio sinceramente i complimenti a chi si batte strenuamente per la conservazione delle specie in pericolo, ma quello che non dicono le (lodevolissime!!!) persone che sostengono ed attuano il programma di rinascita di questi animali, è che in questo caso il fattore umano, anzi, meglio, medicale, è stato molto importante. Non sfuggirà ai più che la rinascita del rinoceronte è cominciata nel 1997 e che un tasso del 5% di crescita all'anno in specie dalla riproduzione lenta è sicuramente eccezionale e presuppone, nella fattispecie, anche e sopratutto una notevole diminuzione del bracconaggio. Ma perchè il bracconaggio si è così ridotto? Solo merito degli encomiabili progetti per combatterlo? Hanno concorso altri fattori esterni?
Vediamo cosa è successo in quegli anni di eclatante nel campo della medicina: la scoperta del Viagra! Pertanto, essendo il corno di rinoceronte un ritrovato dall'efficacia quantomeno molto, molto dubbia, il momento che è venuto fuori un farmaco che davvero ha la sua efficacia, anche in Cina e dintorni hanno cominciato ad utilizzarlo al posto di quello naturale.
Da questa storia possiamo trarre due morali:
1.annotiamo la sconfitta di un rimedio di “medicina alternativa” rispetto ad un farmaco (cosa che meriterebbe una bella riflessione in un periodo in cui stanno fiorendo vecchie e nuove superstizioni)
2. dobbiamo essere grati ad una multinazionale della medicina per aver permesso la sopravvivenza di questi splendidi animali, veramente simili a tanti antichi mammiferi che non ci sono più

venerdì 1 febbraio 2008

Iil Diavolo della Tasmania, un tumore stranissimo e i pericoli sulla conservazione della biodiversità


Nella foto, tratta dalla home page del “Tasmanian Devil Conservation Park” si vede un esemplare adulto di Diavolo della Tasmania. L'Australia grazie al suo splendido isolamento durato 100 milioni ha sviluppato una fauna propria, fatta sia di erbivore che carnivori. Fra i mammiferi non esistevano i placentati ma alcuni monotremi (fra cui l'ornitorinco) e, soprattutto, un grande numero di marsupiali, estintisi negli altri continenti quando hanno dovuto subire la concorrenza dei placentati (solo nelle Americhe ne resiste ancora qualcuno).
L'isolamento è cessato all'arrivo dell'uomo, e fu la fine per molte di queste creature. Le perdite maggiori sono state fra le specie di grandi dimensioni e fra i carnivori: il conflitto uomo – predatore è sempre stato virulento, sia perchè l'uomo si doveva difendere, sia per la competizione per il cibo. In Australia c'è stato un fattore in più, il dingo, un canide da loro introdotto.
L'invasione degli europei nel XVIII secolo è stato poi il colpo di grazia per alcuni di loro, come il feroce Tilacino (di cui esistono ancora dei filmanti in bianco e nero risalenti agli anni 30), e la ancora più isolata Tasmania è stata (ed è) il loro ultimo baluardo. Il Diavolo della Tasmania (Sarcophilus Harrisii) è il più grande dei marsupiali carnivori rimasti. Predatore notturno, deve il suo nome alle grida che emette di notte quando caccia e le sue dimensioni sono decisamente rispettabili, come un piccolo (ma robusto) cane e pesa tra 8 e 12 kg. Proprio per le sue dimensioni la competizione con il dingo è stata diretta e lo vide sconfitto: si estinse in Australia continentale ben prima del 1700.
La sua dieta è ricca, dagli insetti ad animali molto grossi, con una fondamentale differenza: i piccoli li caccia, di quelli più grossi mangia le carogne. E' quindi sia un predatore che un animale spazzino, un tipico carnivoro opportunista dal ruolo ecologico molto importante.
Attorno al 1995 la sua popolazione era arrivata ai massimi storici, quando cominciò a declinare per colpa di una grave malattia, il DFTD – sindrome del tumore facciale del Diavolo della Tasmania. Il DFTD è un tumore che colpisce il muso, su cui si formano delle escrescenze. Pertanto l'animale perde progressivamente la capacità di nutrirsi e muore per inedia. Ho visto diverse foto di animali colpiti dalla malattia esono veramente tristi. Questo tumore ha una caratteristica molto particolare: le particelle tumorali si trasmettono per contatto tra un esemplare e l'altro (credo sia l'unico esempio di trasmissione tumorale in questo modo). In alcune aree la mortalità è altissima e si stima che le perdite siano arrivate al 90% della popolazione: continuando così entro 20 anni la specie non ci sarà più.
Purtroppo il carattere poco sedentario di questo animale rende facile la propagazione di questo morbo anche in popolazioni ad oggi immuni. Sembra che alla base della malattia ci sia un problema quando si incrociano fra loro dei consanguinei: in questo caso il sistema immunitario non riesce a riconoscere come nemico il cancro. Per tentare di salvarlo, è stato intrapreso uno studio del suo genoma in cui sono coinvolti oltre 400 scienziati di diverse nazioni e non è escluso che ne derivino anche ricadute utili per l'uomo. Facciamo quindi il tifo per questo simpatico animale e per il team di scienziati che lo studia.
Quanto sta succedendo al Diavolo della Tasmania è preoccupante per questa specie (e, visto il ruolo che occupa, per l'ambiente che lo circonda) ma soprattutto ci consegna una lezione: quando le specie protette sono confinate ad una sola area, rimarranno sempre molto a rischio, sia a un punto di vista sanitario che genetico: una malattia li può decimare o una mutazione genetica dannosa potrebbe diffondersi anomalmente (questo fattore è più importante per specie che abitavano un areale molto vasto). Una variabile in più per i progetti conservazionisti, purtroppo
Inoltre la presenza in una sola aerea le fa diventare particolarmente sensibili ad un disastro ambientale. Pensiamo ad esempio quale danno per la biodiversità nordamericana arrecherebbe una catastrofica eruzione a Yellowsrtone. Pertanto i luoghi scelti per la conservazioine delle specie devono essere anche aree con pochissime possibilità di subire disastri ambientali, sia di origine naturale che antropica