venerdì 1 febbraio 2008

Iil Diavolo della Tasmania, un tumore stranissimo e i pericoli sulla conservazione della biodiversità


Nella foto, tratta dalla home page del “Tasmanian Devil Conservation Park” si vede un esemplare adulto di Diavolo della Tasmania. L'Australia grazie al suo splendido isolamento durato 100 milioni ha sviluppato una fauna propria, fatta sia di erbivore che carnivori. Fra i mammiferi non esistevano i placentati ma alcuni monotremi (fra cui l'ornitorinco) e, soprattutto, un grande numero di marsupiali, estintisi negli altri continenti quando hanno dovuto subire la concorrenza dei placentati (solo nelle Americhe ne resiste ancora qualcuno).
L'isolamento è cessato all'arrivo dell'uomo, e fu la fine per molte di queste creature. Le perdite maggiori sono state fra le specie di grandi dimensioni e fra i carnivori: il conflitto uomo – predatore è sempre stato virulento, sia perchè l'uomo si doveva difendere, sia per la competizione per il cibo. In Australia c'è stato un fattore in più, il dingo, un canide da loro introdotto.
L'invasione degli europei nel XVIII secolo è stato poi il colpo di grazia per alcuni di loro, come il feroce Tilacino (di cui esistono ancora dei filmanti in bianco e nero risalenti agli anni 30), e la ancora più isolata Tasmania è stata (ed è) il loro ultimo baluardo. Il Diavolo della Tasmania (Sarcophilus Harrisii) è il più grande dei marsupiali carnivori rimasti. Predatore notturno, deve il suo nome alle grida che emette di notte quando caccia e le sue dimensioni sono decisamente rispettabili, come un piccolo (ma robusto) cane e pesa tra 8 e 12 kg. Proprio per le sue dimensioni la competizione con il dingo è stata diretta e lo vide sconfitto: si estinse in Australia continentale ben prima del 1700.
La sua dieta è ricca, dagli insetti ad animali molto grossi, con una fondamentale differenza: i piccoli li caccia, di quelli più grossi mangia le carogne. E' quindi sia un predatore che un animale spazzino, un tipico carnivoro opportunista dal ruolo ecologico molto importante.
Attorno al 1995 la sua popolazione era arrivata ai massimi storici, quando cominciò a declinare per colpa di una grave malattia, il DFTD – sindrome del tumore facciale del Diavolo della Tasmania. Il DFTD è un tumore che colpisce il muso, su cui si formano delle escrescenze. Pertanto l'animale perde progressivamente la capacità di nutrirsi e muore per inedia. Ho visto diverse foto di animali colpiti dalla malattia esono veramente tristi. Questo tumore ha una caratteristica molto particolare: le particelle tumorali si trasmettono per contatto tra un esemplare e l'altro (credo sia l'unico esempio di trasmissione tumorale in questo modo). In alcune aree la mortalità è altissima e si stima che le perdite siano arrivate al 90% della popolazione: continuando così entro 20 anni la specie non ci sarà più.
Purtroppo il carattere poco sedentario di questo animale rende facile la propagazione di questo morbo anche in popolazioni ad oggi immuni. Sembra che alla base della malattia ci sia un problema quando si incrociano fra loro dei consanguinei: in questo caso il sistema immunitario non riesce a riconoscere come nemico il cancro. Per tentare di salvarlo, è stato intrapreso uno studio del suo genoma in cui sono coinvolti oltre 400 scienziati di diverse nazioni e non è escluso che ne derivino anche ricadute utili per l'uomo. Facciamo quindi il tifo per questo simpatico animale e per il team di scienziati che lo studia.
Quanto sta succedendo al Diavolo della Tasmania è preoccupante per questa specie (e, visto il ruolo che occupa, per l'ambiente che lo circonda) ma soprattutto ci consegna una lezione: quando le specie protette sono confinate ad una sola area, rimarranno sempre molto a rischio, sia a un punto di vista sanitario che genetico: una malattia li può decimare o una mutazione genetica dannosa potrebbe diffondersi anomalmente (questo fattore è più importante per specie che abitavano un areale molto vasto). Una variabile in più per i progetti conservazionisti, purtroppo
Inoltre la presenza in una sola aerea le fa diventare particolarmente sensibili ad un disastro ambientale. Pensiamo ad esempio quale danno per la biodiversità nordamericana arrecherebbe una catastrofica eruzione a Yellowsrtone. Pertanto i luoghi scelti per la conservazioine delle specie devono essere anche aree con pochissime possibilità di subire disastri ambientali, sia di origine naturale che antropica

1 commento:

Anonimo ha detto...

ciao Aldino,ho letto alcuni articoli del tuo blog. Non sono malvagi, ma attento: contano poco,certo, ma nell'articolo sul diavolo di Tasmania ci sono alcune disattenzioni grammaticali.Continua così,comunque, che vai più che bene. Saluti anche a Margy. A presto: @Simone@