Questa immagine di Pisa risale alla piena dell'Arno del 31 gennaio 2014. La posto per una riflessione significativa a imperitura memoria: senza il canale Scolmatore dell'Arno, quell'opera che in caso di piena preleva dall'Arno una fetta consistente di acqua subito a valle di Pontedera, Pisa e dintorni non si sarebbero certo salvati da un bagno non richiesto. Questo è uno splendido esempio di cosa fare per mitigare il rischio alluvioni. Certo, in questo caso si tratta di un'opera enorme e costosa, un canale lungo una trentina di km, progettato espressamente dall'Ingegner Edmondo Natoni negli anni '30 a questo scopo. Ma quanti danni ha evitato, stavolta e in altre occasioni? Ho l'impressione che l'investimeno si sia già ripagato (e continuerà a farlo in futuro).
Ci siamo lasciati nel post precedente con una situazione sconfortante di una Italia in cui basta che piova un pò di più e buonanotte a tutti. Parliamoci chiaro: le alluvioni in quanto tali non si potranno mai evitare e purtroppo l'attuale domanda umana di uso del territorio non consente, almeno in Italia, di vivere solo in zone a basso rischio idrogeologico, anche perchè, come abbiamo visto, una buona parte delle aree di pianura senza l'intervento antropico sarebbero delle paludi.
Allora si deve convivere con ragionevole sicurezza con questo rischio; in alte parole, cerchiamo di quantomeno mitigare i danni delle alluvioni: il progetto delle varie casse di espansione nel bacino dell'Arno e dei suoi affluenti è un buon esempio di come si può mitigare le piene dei fiumi cercando un sostituto delle vecchie paludi.
ARGINI, CASSE DI ESPANSIONE E CONSORZI DI BONIFICA
Allora si deve convivere con ragionevole sicurezza con questo rischio; in alte parole, cerchiamo di quantomeno mitigare i danni delle alluvioni: il progetto delle varie casse di espansione nel bacino dell'Arno e dei suoi affluenti è un buon esempio di come si può mitigare le piene dei fiumi cercando un sostituto delle vecchie paludi.
ARGINI, CASSE DI ESPANSIONE E CONSORZI DI BONIFICA
Quello dell'Arno è un progetto "ad ampio respiro" ma nel quotidiano ci sono dei provvedimenti di ordinaria manutenzione ,delle azioni elementari da fare, a partire dalle attività che dovrebbero svolgere i consorzi di bonifica: tenere i fossi più puliti da materiali che possono ostruire le arcate dei ponti ed effettuare una corretta manutenzione degli argini, per la quale spesso "non ci sono i soldi", salvo poi dover stanziare ad ogni rotta una cifra ingente per gli aiuti alla popolazione colpita.
Ovviamente la collaborazione dei cittadini è gradita (meno discariche incontrollate o pronte segnalazioni di inconvenienti, ad esempio...).
La base di partenza del "problema argini" è che purtroppo i fiumi nelle pianure sono spesso prensili, cioè il loro fondo è ad un livello più alto della piana in cui scorrono. Ne consegue che al primo problema su un argine si crea una rotta con conseguente allagamento della piana,.
Ovviamente la collaborazione dei cittadini è gradita (meno discariche incontrollate o pronte segnalazioni di inconvenienti, ad esempio...).
La base di partenza del "problema argini" è che purtroppo i fiumi nelle pianure sono spesso prensili, cioè il loro fondo è ad un livello più alto della piana in cui scorrono. Ne consegue che al primo problema su un argine si crea una rotta con conseguente allagamento della piana,.
Da notare che una rottura di un argine trasforma una qualsiasi piena, anche non di elevata portata, in un disastro, nonostante che in buona parte dei casi se non si fosse rotto l'argine il fiume non sarebbe mai esondato. In questi giorni sul Secchia in Emilia e a Ponsacco in Toscana infatti non c'è stata esondazione sopra gli argini, ma delle "semplici" rotture.
Che sia colpa delle nutrie che vi scavano gallerie, che siano problemi di materiali, problemi di danni arrecati per altri motivi non mi interessa. La questione, banalmente, è che manca quella sufficiente attenzione che andrebbe messa nel problema. Vedremo in fondo perchè.
Un argine malmesso è una bomba pronta a scoppiare!
È importante (ed abbastanza semplice da ottenere con i sistemi informatici geografici) capire quali siano le zone a rischio, l'entità delle popolazioni e delle strutture coinvolte e conseguentemente predisporre adeguati piani di protezione civile.
A questo molti comuni hanno provveduto ma c'è la sensazione che almeno alcuni di questi piani siano solo sulla carta e lacunosi: non possono essere solo un mero elenco di mezzi e uomini a disposizione.
In Italia siamo bravi e fortunati perchè il sistema di allerta della Protezione Civile funziona bene: rari sono i "falsi positivi" (allerta risultate poi infondate) e ancora meno le mancate previsioni. Quindi i piani "anti - alluvione" riescono a scattare prima dell'emergenza, guadagnando tempo prezioso.
In particolare le previsioni sono utili per poter effettuare opportune manovre delle dighe: svuotare gli invasi prima significa depotenziare le piene, potendo trattenerne una buona parte nei laghi.
Le previsioni purtroppo non possono contemplare eventi secondari improvvisi come le rotture di argini: in questo caso i soccorsi non possono che arrivare quando l'emergenza è in corso. E se non si può prevedere bisogna prevenire.
Per altri rischi il nostro Paese si è dato un’organizzazione ed è stata creata consapevolezza, pensiamo per esempio a cosa è stato fatto in Italia per i rischi da incidente sul lavoro e per gli incidenti stradali.
Che sia colpa delle nutrie che vi scavano gallerie, che siano problemi di materiali, problemi di danni arrecati per altri motivi non mi interessa. La questione, banalmente, è che manca quella sufficiente attenzione che andrebbe messa nel problema. Vedremo in fondo perchè.
Un argine malmesso è una bomba pronta a scoppiare!
PREVISIONE, GESTIONE E COSTO DELLE EMERGENZE
È importante (ed abbastanza semplice da ottenere con i sistemi informatici geografici) capire quali siano le zone a rischio, l'entità delle popolazioni e delle strutture coinvolte e conseguentemente predisporre adeguati piani di protezione civile.
A questo molti comuni hanno provveduto ma c'è la sensazione che almeno alcuni di questi piani siano solo sulla carta e lacunosi: non possono essere solo un mero elenco di mezzi e uomini a disposizione.
In Italia siamo bravi e fortunati perchè il sistema di allerta della Protezione Civile funziona bene: rari sono i "falsi positivi" (allerta risultate poi infondate) e ancora meno le mancate previsioni. Quindi i piani "anti - alluvione" riescono a scattare prima dell'emergenza, guadagnando tempo prezioso.
In particolare le previsioni sono utili per poter effettuare opportune manovre delle dighe: svuotare gli invasi prima significa depotenziare le piene, potendo trattenerne una buona parte nei laghi.
Le previsioni purtroppo non possono contemplare eventi secondari improvvisi come le rotture di argini: in questo caso i soccorsi non possono che arrivare quando l'emergenza è in corso. E se non si può prevedere bisogna prevenire.
Per altri rischi il nostro Paese si è dato un’organizzazione ed è stata creata consapevolezza, pensiamo per esempio a cosa è stato fatto in Italia per i rischi da incidente sul lavoro e per gli incidenti stradali.
Il problema sta proprio nell’assenza di percezione della dimensione del problema e lo scarso impiego di risorse per risolverlo ne è solo la logica conseguenza.
Questa assenza di percezione fa si che solo in pochi casi siano stati emanati provvedimenti elementari quali il divieto di costruzione nelle zone a rischio (sembra ovvio ma si sta continuando a farlo in moltissime Regioni!).
Proviamo a dare alcuni numeri che mostrano come il costo del dissesto idrogeologico e quanto le risorse stanziate dallo Stato per la sicurezza del territorio, la mitigazione dei rischi e la protezione dei cittadini siano del tutto insufficienti. Si tratta di dati ufficiali presentati da ISPRA, il contenitore in cui è confluito l’ex-Servizio Geologico d’Italia.
In Italia si verificano in media 7 eventi eventi disastrosi per anno connessi a frane ed alluvioni. Essi producono, in media, danni per circa 3 miliardi di Euro ogni anno (poco meno del 2 per mille del PIL). Considerando i danni indiretti la stima sale a 4-5 miliardi di Euro per anno (poco meno del 3 per mille del PIL).
Circa il 10% del territorio è a rischio e più dell’80% dei comuni è interessato da almeno un’area a rischio estremamente alto, dove non dovrebbe essere consentito costruire né ricostruire.
In media lo Stato spende circa un miliardo all’anno per riparare i danni causati dal dissesto idrogeologico, circa un terzo dei danni effettivamente prodotti.
Per gli interventi di prevenzione e di difesa del suolo, lo Stato spende in media, secondo i dati del Ministero dell’Ambiente, 400 milioni di Euro all’anno (lo 0,25 per mille del PIL), ovvero un terzo di quanto lo stesso Stato spende in riparazione dei danni, un ottavo dei danni effettivamente provocati, un dodicesimo dei danni totali diretti ed indiretti.
Tali dati fanno pensare, soprattutto se comparati con altre categorie di spesa pubblica, per esempio il 3,3% (per cento non per mille!) del PIL destinato alla Difesa Nazionale e il 3,2% destinato all’Ordine Pubblico e alla sua Sicurezza. Se lo Stato investisse per la previsione e la prevenzione del rischio idrogeologico anche un solo punto percentuale del PIL, vivremmo sicuramente in un Paese più sicuro e con maggiore benessere sociale
COME SE NE ESCE?
UNA MAGGIORE ATTENZIONE PER IL RISCHIO IDROGEOLOGICO
Si tratta in altre parole di costruire comunità resilienti, cioè capaci di resistere agli eventi naturali subendo danni minimi; per questo è necessario intervenire sulle ristrutturazioni edilizie, ma anche nella pianificazione del territorio, nella pianificazione di protezione civile ma soprattutto, bisogna insistere nell’educazione al rischio di cittadini e amministratori: nessun intervento potrà mai funzionare se il rischio non è conosciuto e percepito.
Insisto che un buon adeguamento strutturale sia la costruzione delle casse di espansione, ideate per contenere una parte delle acque di piena: in questo modo si rende di nuovo accessibile alle acque una parte dell'ex territorio paludoso.
Resta il fatto che alle volte le prestazioni degli argini di questi manufatti lasciano un pò a desiderare e c'è chi sospetta la mancanza di un chiaro controllo sui materiali impiegati per costruirne gli argini. I risultati purtroppo si vedono, ad esempio la cassa di espansione sul Panaro, entrata in funzione senza un collaudo, ha già qualche zampillo verso l'esterno al primo riempimento.
E’ chiaro: nel settore della sicurezza del cittadino c’è una diversa percezione della dimensione dei problemi anche in termini di risorse. Il rischio idrogeologico pur essendo una minaccia per la sicurezza dei cittadini non viene percepito come tale, se non nei pochi giorni dopo i disastri.
Per cui costruire un ponte o organizzare una sagra paesana conta più che impiegare risorse per sistemare un versante, anche perché la “gggente” si accorgerebbe del problema solo e soltanto se questo versante ad un certo punto frana. e allora giù contestazioni contro chi non ha fatto nulla per evitare il problema.
Invece dopo un evento meteorologico importante nessuno va a ringraziare l'Ente locale perchè non pensa che se quel versante non fosse stato messo in sicurezza sarebbe franato.
Invece dopo un evento meteorologico importante nessuno va a ringraziare l'Ente locale perchè non pensa che se quel versante non fosse stato messo in sicurezza sarebbe franato.
E quindi come abbiamo visto i finanziamenti dedicati alla prevenzione sono due ordini di grandezza inferiori rispetto ad altri settori della sicurezza.
Devono essere i cittadini a richiedere sicurezza del territorio alle amministrazioni e a vigilare sul territorio stesso per segnalare abusi e violazioni che possano aggravare le condizioni di rischio. Se tutti sono indifferenti perché non conoscono i problemi, neanche i rischi della propria abitazione, non andremo molto lontano.
La mancata percezione dei rischi legati ad un errato sfruttamento del territorio è quindi il problema maggiore.
Finalmente sta finendo quella ubriacatura tipica dell'ottimismo sulle possibilità dell'uomo di governare la Natura, tipico di una certa mentalità del dopoguerra che ha iniziato a franare negli anni '80, quando ancora la gente chiedeva "come mai oggi non si riesce a fermare un vulcano?". Quella mentalità ha avuto tragiche conseguenze: tombamento di corsi d'acqua, costruzioni in luoghi sbagliati etc etc.
Ed il drammatico è che questa mentalità (che fa la pari con quelli che il trasporto pubblico non serve a niente, soprattutto le ferrovie) continua a permeare la classe dirigente.
Occorre sensibilizzare fino dalle scuole su questo problema, per fare dei cittadini responsabili grazie ai quali le esigenze del territorio divengano un bisogno comune.
1 commento:
Meglio prevenire che curare,ma nella prevenzione i "soldi" vanno a molti e quindi non "conviene" ai pochi(gruppo dominante che ci governa) che si arricchisce sempre più con la "cura" però sempre più difficile da sostenere!
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