mercoledì 9 marzo 2011

i piani di bacino e i piani di assetto idrogeologico: la difesa del territorio e i ritardi della burocrazia


Il nostro Paese è fra quelli europei, il più vulnerabile alle catastrofi naturali. La scelleratezza con cui è stato usato il territorio si unisce alle caratteristiche naturali e demografiche in maniera drammatica: terremoti, frane e inondazioni si addensano in una Nazione dalla geologia tuttora attiva, dove in molte aree in cui affiorano sedimenti non consolidati (e quindi tecnicamente scadenti) e con una densità di popolazione molto elevata. Per questo rispetto ad altre nazioni europee abbiamo giustamente un servizio di Protezione Civile molto più sviluppato.

Il problema è che la Politica non è preparata ad affrontare tali catastrofi che si ripetono con una continuità intollerabile, acuiti nel dopoguerra dall'aumento selvaggio dell'urbanizzazione dovuto in parte all'aumento della popolazione, ma anche all'industrializzazione e alle migrazioni interne. L'abbandono delle campagne, specialmente a quote collinari è stato un altro fenomeno che ha collaborato al peggioramento delle condizioni del suolo.

Limitandosi al problema delle alluvioni, dopo gli eventi del Polesine degli anni 50 le opere di regimazione nella Valpadana avevano concesso una falsa sicurezza, purtroppo infrantasi con le tragedie del 1994 e del 2000. In mezzo ci stanno il 1966 (e non solo a Firenze, la città-simbolo di quell'anno), l'alta Versilia nel 1996, le colate i Sarno del 1998 e una miriade di eventi che non posso citare per amore di brevità fino ai disastri siciliani del 2009 e a quelli degli ultimi giorni.

Torniamo al 1966, anno in cui iniziano due percorsi molto importanti: a Firenze il volontariato assume un ruolo inaspettato nelle operazioni di salvataggio di persone e cose (compresi i tesori artistici e culturali) e in qualche modo è a questa occasione che si fa ascrivere l'inizio della Protezione Civile italiana, fondata molto sull'associazionismo e, in Parlamento, la creazione con la legge 632/67, della “commissione interministeriale per lo studio della sistemazione idraulica e per la difesa del suolo”, passata alla storia come la “commissione De Marchi” dal nome del suo presidente.


Alla fine verrà fuori la legge 183/89, il primo serio tentativo di legiferare sulla difesa delle acque e del suolo. Notare che dal 1966 al 1989 sono passati 23 anni nei quali è successo di tutto (ma gli anni 90 saranno ancora peggio).



Una legge particolarmente all'avanguardia in cui vengono istituite le Autorità di Bacino, organismi misti governo – enti locali con la collaborazione di esperti scienziati che oltre a sovrintendere ai consorzi di bonifica, alla difesa del suolo, alle sistemazioni idrauliche e quant'altro, devono redarre i cosiddetti Piani di Bacino, uno strumento importantissimo e avanzatissimo per il Governo del territorio: oltre alla difesa del suolo e al rischio idrogeologico, con le conseguenti opere di bonifica, riforestazione, delimitazione delle aree a rischio, i piani di bacino devono comprendere l'istituzione di riserve e parchi naturali, la gestione attenta delle risorse idriche e minerarie, la regimazione delle acque finanche la parte paesaggistica. La novità importante è che tutte le attività umane devono ruotare intorno a questo, a partire dagli strumenti urbanistici e tutta le normative, disposizioni etc etc (a partire dai piani regolatori comunali) devono adeguarsi ai piani di bacino.
I Piani di Bacino sarebbero stati quindi un pò come la Costituzione per la Repubblica Italiana: la "carta" fondamentale del territorio. 

In effetti il comma 1 dell'articolo 17 della legge è molto esplicito al proposito: il piano di bacino ha valore di piano territoriale di settore ed è lo strumento conoscitivo normativo e tecnico – operativo mediante il quale sono pianificate e programmate le azioni e le norme di uso finalizzate alla conservazione alla difesa e alla valorizzazione del suolo e la corretta utilizzazione delle acque, sulla base delle caratteristiche fisiche ed ambientali del territorio interessato, anche, come si espresse l'anno dopo la Corte Costituzionale con la “conservazione dinamica del suolo attraverso l'imposizione di vincoli e di opere di carattere idraulico, idraulico – agricolo e forestale”.

Però nel 1993 nessun piano di bacino è stato né approvato nè adottato) e allora la legge 493 impone alle varie Autorità di Bacino (che dal 1989 ad oggi cambieranno di numero e area anche per i passaggi di deleghe dallo stato alle Regioni e alle Province Autonome) i cosiddetti “piani di assetto idrogeologico”, una sorta di piani di bacino in piccolo o, meglio, quei sottopiani dei piani di bacino, che dovranno quantomeno perimetrare le zone a rischio idrogeologico. Si arriva quindi al 1998 quando un decreto del Presidente del Consiglio fornisce delle scadenze precise: i PAI devono essere redatti entro il 30 giugno 1999, adottati entro il 30 giugno 2000 e approvati entro il 30 giugno 2001. 

Questo obbligo viene preso molto “sportivamente” da diverse amministrazioni, come dimostrano le statistiche: al settembre 2010 (quindi dopo altri 10 anni!) su 37 previsti ce ne sono appena 20 tra adottati e approvati, con una distribuzione piuttosto irregolare: per esempio la Toscana li ha approvati tutti, altri nessuno.
Quindi 21 anni dopo la legge 183 ancora non solo non ci sono i piani di bacino, ma neanche tutti questi sottopiani “di base”. E nel frattempo si continua a contare morti e danni per inondazioni e frane (anche in aree dove i PAI sono attivi e vigenti) . È una cosa assolutamente indecente.

Qui finisce la parte di “notizie” e arriva una parte di “sensazioni”, in cui rischio di cadere nel demagogico


1. In Italia una politica del territorio seria non si vuole fare perchè non porta voti e perchè gestire le emergenze “rende di più”. Faccio un esempio a proposito dei terremoti: porta più voti l'adeguamento sismico di edifici strategici o una nuova superstrada? Inoltre puoi sempre fare un figurone dove è successo un disastro, con un bell'intervento di protezione civile e con una ricostruzione veloce (o almeno pubblicizzando in TV che ce n'è stata una), magari favorendo gli amici.

2. bloccare “per sempre” un territorio significa dire a qualche personaggio che lì non ci può proprio costruire nulla. La lobby del cemento non ringrazierebbe di sicuro....

3. Ogni tanto negli ultimi 20 anni viene tirata fuori al questione che ogni comune dovrebbe dotarsi di un geologo, magari in stretta collaborazione con le strutture della Protezione Civile. A parte che chiedere oggi alla pubblica amministrazione lo sforzo di assumere qualche migliaio di persone è difficile, una figura così verrebbe vista come un “ennesimo rompiscatole” capace solo di stendere “lacci e lacciuoli” a chi vuole occupare del territorio o a chi non ne vuole sapere di mantenerlo in stato decente da un punto di vista della difesa del suolo

4. il tutto è acuito dalla babele delle responsabilità: della difesa del suolo e del rischio disastri naturali si occupano diverse, troppe, istituzioni fra organizzazioni, commissioni, enti locali, authority varie etc etc... per cui lo scaricabarile fra i vari uffici è uno sport facilmente praticabile. Con i Piani di Bacino probabilmente si cercava di porre rimedio al rimpallo di responsabilità, visto che alla fine il piano vincolava il territorio piuttosto chiaramente. Ma sono stati affossati.

I rimedi sono ormai difficili: si è costruito dappertutto, anche in zone golenali, in aree geotecnicamente scadenti e solo in pochi casi si è avuto il coraggio di abbandonare siti abitati troppo vulnerabili (per non parlare dell'attacco continuo alle coste). La sensazione è che in molti casi si cerca di chiudere la porta quando i buoi si sono abbondantemente allontanati e che in molte aree edificare sia stato un errore gravissimo.





1 commento:

canislupus ha detto...

mi trovi d'accordo.purtroppo devo dire parole sante. personalmente credo che il punto 4 delle sue sensazioni è quello fondamentale.l'italia non eccelle per organizzazione e analisi politica.dal punto di vista scientifico gli strumenti ci sono tutti...come al solito il problema è la buro-politica.arriveranno delle nuove leve a rimediare?perchè non rivoluzionare questa situazione?