giovedì 10 luglio 2008

L'Alaska, l'Italia e la geotermia

Il governo dello Stato dell'Alaska sta avviando un programma per la individuazione e il censimento delle proprie risorse geotermiche, allo scopo di rifornirsi di energia elettrica e coprire il previsto aumento dei consumi di energia elettrica. La notizia pare clamorosa: l'Alaska è un grande produttore di petrolio e gas naturali, con ingenti riserve ancora da sfruttare e il suo governo si era precedentemente distinto per cercare di ridurre i vincoli ambientali alla ricerca petrolifera, come ho scritto qualche mese fa. Vale la pena di ricordare che il presidente George W. Bush sta cercando di ottenere dal congresso degli Stati Uniti il termine della moratoria per le ricerche petrolifere offshore (e il destinataro sarebbe soprattutto l'Alaska), giustificandole con l'aumento dei prezzi che sta investendo attualmente il mercato del greggio.
Essendo poi repubblicano pure il governo dell'Alaska la cosa lascia ancora più sbalorditi. Che sia una inversione di tendenza? Possibile.
Fattostà che il Dipartimento per le Risorse Naturali dello Stato dell'Alaska ha indetto una gara per la concessione delle ricerche geotermiche sullo Spurr, un vulcano situato a poche decine di kilometri a ovest di Anchorage. Verranno effettuate in un campo geotermico sulle pendici del vulcano, con lo scopo di verificare l'esistenza (e la consistenza) di una riserva rinnovabile di fluidi geotermici ai fini di un eventuale sfruttamento per la produzione di energia elettrica. L'Alaska meridionale è ricchissima di vulcani attivi e quindi le potenzialità sarebbero enormi (con la attenzione che essendo vulcani di arco magmatico, sono piuttosto pericolosi).
Che in Alaska facciano sul serio si dimostra facilmente: oltre allo Spurr, è allo studio una gara analoga per un altro vulcano, l'Augustine. Sicuramente saranno delle esperienze molto significative, dalle quali possiamo aspettarci una delle varie soluzioni al problema della fame di energia che fra un po' attanaglierà il mondo, cercando ove possibile di affrancarsi dalla dipendenza dal petrolio, che sarà sempre più caro e sempre meno disponibile.
Per noi italiani, che la sfruttiamo da decenni a Larderello (dove un corpo magmatico si sta ancora solidificando qualche kilometro sotto la superficie), l'energia geotermoelettrica non è una novità, ma che queste esplorazioni vengano fatte in un territorio ambientalmente così ostile e per di più ricco in petrolio dimostra che il problema del futuro dell'energia va affrontato con decisione e lungimiranza.
Nell'ultima comunicazione sulla gara, davvero un eccellente documento in cui si elencano tutti i punti sensibili, dalle prospettive di sviluppo economico a quelle ambientali (ci sono delle riserve naturali molto importanti in zona) e al rischio di lavorare su un vulcano che negli ultimi 100 anni è stato piuttosto attivo, il Dipartimento per le Risorse Naturali dello Stato dell'Alaska precisa che se da un lato la costruzione di un impianto geotermico richiede un certo costo, dall'altro i costi di approvvigionamento della materia prima sono irrisori a confronto di un impianto basato su combustibili fossili (si limiterebbe soprattutto a delle royalties da pagare agli enti locali: gli impianti produttivi sono estremamente vicini alla fonte, e l'energia dei fluidi stessi ne consente il trasporto fino alla centrale). E tutto ciò al posto di un sistema che si rifornisce di materia prima da un mercato internazionale dai prezzi oscillanti senza garanzie di stabilità. Si osserva pure che " i giacimenti di gas naturale della zona sono destinati ad esaurirsi” (sic!).
Vedere il governo di una regione con enormi giacimenti di idrocarburi occuparsi di fonti alternative ai combustibili fossili prevedendone il logico esaurimento fa molto pensare (amaramente) al caso Italia, dove ben poco si sta facendo per ridurre la dipendenza dal petrolio e dagli altri idrocarburi.
In questo campo, oltre al ricorso al nucleare, scelta legittima anche se discutibile (soprattutto finchè nessun accenna al problema “scorie”....) si sta facendo ben poco: ammesso e non concesso che davvero queste centrali verranno costruite, copriranno al massimo il 10% del fabbisogno. E il resto?
Ma oltre Larderello e l'Amiata ci sono altre aree in Italia che possano permettere uno sfruttamento dell'energia geotermica? Negli anni 70, in piena crisi petrolifera, Carlo Donat Cattin, allora ministro dell'industria, sponsorizzò intelligentemente una campagna di studi sulla geotermia, durante la quale ENI e ENEL trivellarono moltissimi pozzi e il risultato - ad essere pessimisti - poteva essere descritto come “estremamente incoraggiante”: le potenzialità geotermiche del suolo italiano sono elevatissime, seconde in Europa alla sola Islanda! Purtroppo il ritorno del petrolio a prezzi bassissimi chiuse la pratica.
Sulla terraferma, oltre alla Toscana Meridionale (in cui le condizioni adatte per uno sfruttamento a fini della produzione di energia elettrica dovrebbero estendersi al Lazio settentrionale), c'è la zona intorno a Napoli e ai Campi Flegrei, dove le capacità geotermiche sono veramente eccezionali.
Ci sono poi due zone in mare, nel Tirreno Meridionale e nel Canale di Sicilia, in cui il flusso di calore dall'interno della terra è particolarmente elevato, ma per adesso in questo caso c'è solo un interesse teorico: appare irrealistico ad oggi poter sfruttare la piana tirrenica meridionale ad oltre 3000 metri di profondità e a decine di kilometri dalla costa. Tra i vulcani attivi nel Tirreno Lipari appare molto valido, ma la lontananza dalla costa e i problemi paesaggistici non permetteranno una tale installazione, a meno di piccoli usi locali. Diversamente nel Canale di Sicila i cosiddetti “Campi Flegrei del Canale di Sicilia” sono su fondali abbastanza bassi, ma sempre, purtroppo, a una certa distanza dalla costa.
Queste sono zone utili per la produzione di energia elettrica, Ve ne sono diverse altre in cui l'energia geotermica potrà essere sfruttata per usi “diretti”, come riscaldamento o usi industriali che richiedano un apporto di calore fino a 140 gradi centigradi. Tutta la costa tirrenica dalla Liguria alla Calabria e buona parte del nordovest rientrano in questa categoria, con pozzi profondi non più di 3 kilometri e quindi di costo tutto sommato limitato.
Mi domando come mai un sistema del genere, disponibile e rinnovabile (quindi in armonia con il protocollo di Kyoto) non è stato preso in considerazione. Quante tonnellate di petrolio ci farebbe risparmiare? E di quanto diminuirebbero le emissioni in atmosfera di CO2
Inoltre le royalties sullo sfruttamento dell'energia geotermica potrebbero dirottare agli enti locali una parte del cospicuo flusso di denaro che attualmente viene speso per importazioni di energia dall'estero, con benefici sia della bilancia dei pagamenti che della asfittica finanza locale.
Ma bisogna anche che la politica si muova e questo è un altro discorso.....

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