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domenica 25 settembre 2011

Ridurre l'inquinamento atmosferico con il nanobiossido di titanio e un strumento tutto italiano per testare l'efficenza del processo

Torno dopo tanto a parlare di nanotecnologie, un mondo a cui mi sto in parte avvicinando, per presentare un nuovo macchinario – tutto italiano – che è stato realizzato per testare le vernici al TiO2 in nanoparticelle. Questo composto infatti ha la fantastica proprietà di combattere l'inquinamento: quando viene colpito da radiazioni ultraviolette libera degli elettroni e le reazioni di questi elettroni con l'ossigeno e l'umidità dell'aria generano radicali liberi che catalizzano reazioni di ossido-riduzione capaci di distruggere diverse sostanze inquinanti, fra i quali gli NOx e altri composti volatili. Per testare l'efficacia di vari supporti a vari spettri luminosi e con varie sostanze inquinanti una azienda toscana ha ideato e costruito un sistema capace di evidenziare la velocità delle reazioni e definire in vari casi la miglior accoppiata spettro luminoso – supporto trattato in vari ambienti e con varie sostanze inquinanti, denominato fotoreattore. Ne parlo volentieri perchè anche questa è la dimostrazione che in Italia c'è ancora spazio per chi fa alta tecnologia.

L'applicazione di una vernice a base di nano-TiO2 su opportuni supporti permette di ottenere dei manufatti che, una volta eccitati da luce ultraviolettia, mostrano eccellenti proprietà di bagnabilità, fino ad arrivare alla “superidrofilia”, grazie alla quale l'acqua non riesce a “bagnare” la superficie, scorrendo via. Il fenomeno è maggiore quando il titanio è in nanoparticelle in quanto le proprietà superidrofiliche aumentano con l'aumentare del rapporto superficie / volume. 
Questa però non è l'unica proprietà particolare del biossido di titanio. Anzi, ce n'è un'altra se si vuole ancora più interessante: la fotocatalisi. I fotocatalizzatori sono sostanze in cui l'esposizione alla luce (normale o ultravioletta) rende possibile una certa reazione chimica oppura la modifica o la velocizza. 
Il biossido di Titanio è un fotocatalizzatore perchè in presenza di aria e luce (in particolare luce ultravioletta) i suoi cristalli cedono e successivamente ricevono un elettrone. Questi elettroni innescano un processo di formazione di radicali liberi, i quali attaccano e decompongono le sostanze organiche ed inorganiche che entrano a contatto con la sua superficie.
Se il biossido di titanio è in dimensioni nanometriche l'effetto è massimizzato perchè è proporzionale al rapporto superficie / volume,come per la superidrofilicità: gli alti valori di questo rapporto caratteristici delle nanoparticelle ostacolano la ricombinazione dei portatori di carica incrementando in modo notevolissimo l’efficienza fotocatalitica. Inoltre a causa dell’alta area superficiale si ha un elevato numero di siti attivi e quindi un’alta velocità di reazione. Fra le sostanze che subiscono questo processo ci sono molti inquinanti, fra cui i temibilissimi NOx che la reazione alla fine trasforma in nitrati. 

Il processo di eccitazione per mezzo della luce e il fenomeno della superidrofilia sono complementari, sebbene intrinsecamente differenti e quindi entrambi possono manifestarsi contemporaneamente sulla stessa superficie sia pure in gradi diversi. È possibile che in funzione della composizione e del processo di deposizione la superficie possa mostrare un carattere più ”autopulente” e meno idrofilo o viceversa
L'idrofilia viene misurata empiricamente osservando l’angolo di contatto che si forma tra la superficie di una goccia di liquido immobile e quella del solido su cui essa appoggia e si definisce superidrofilica una superficie il cui angolo di contatto dopo attivazione con luce ultravioletta risulta essere generalmente inferiore a 15°.
Al contrario, una valutazione dell’efficacia antismog di un supporto ricoperto da uno strato di nanotitania è invece più difficile perchè occorre un sistema che riesca ad individuare la velocità di dissoluzione degli inquinanti nel tempo.

Una strumentazione del genere non era ancora disponibile sul mercato mondiale per cui il Cericol, il Centro ricerche della Colorobbia, ha dovuto direttamente ideare, progettare e costruirsi in casa un fotoreattore nel quale è possibile testare nel tempo il comportamento di vari supporti colpiti da radiazioni luminose di vario spettro.
Questo strumento consiste di una camera di reazione dotata di una finestra di quarzo, all’interno della quale sono simulate delle condizioni di inquinamento (esterno o interno). Ovviamente concentrazione di contaminanti, temperatura ed umidità sono sotto controllo e possono essere facilmente variate. All'interno della camera viene posto il campione del supporto verniciato con nanobiossido di Titanio da testare, che viene irraggiato con sorgenti luminose aventi differenti proprietà spettrali, ma tutte comunque con una componente nell'ultravioletto.

Il fotoreattore possiede più strumenti di misurazione. Nel caso di analisi sulla degradazione degli ossidi di azoto (monossido di azoto e/o biossido di azoto) il monitoraggio si effettua mediante chemioluminescenza. L’analisi viene condotta miscelando inizialmente aria secca, aria umida e NO in proporzioni tali da ottenere una concentrazione di NOx di circa 500 ppbv in un’atmosfera avente il 50 ± 10% di umidità relativa alla temperatura di 25 ± 2 °C.
Per quanto riguarda invece l’analisi di sostanze organiche volatili al fotoreattore è interfacciata una gas-massa, strumento che unendo un gascromatografo e uno spettrometro di massa, ottiene misurazioni estremamente precise.
Il fotoreattore è stato progettato per eseguire in maniera automatica una serie di campionamenti in modo da valutare tempi e velocità della degradazione degli ossidi di azoto e degli altri composti.

I vari test comparativi permettono di studiare la correlazione delle variabili legate al metodo di preparazione del substrato attivo, alla qualità spettrale della sorgente ed alla sua potenza.
Con il fotoreattore il Cericol ha potuto certificare i risultati molto interessanti raggiunti dalle vernici al nanobiossido di Titanio sia nell'abbattimento degli NOx che in quello di altre sostanze volatili, perchè questo strumento consente con una certa agilità di valutare e confrontare condizioni molto diverse fra loro in termini di sostanze da degenerare, applicazione del supporto e sorgenti luminose con diversi spettri di emissione. Pertanto diventa più facile (e più rapido!) individuare le accoppiate supporto / sorgente luminosa più interessanti per le varie applicazioni pratiche, anche in risposta a specifiche condizioni di luce.

Una prima ricaduta di questi esperimenti c'è stata perchè l'azienda ha progettato e realizzato un prototipo di un sistema di filtrazione capace di abbattere le sostanze inquinanti (soprattutto gli NOx) direttamente all'aria aperta avvalendosi della sola luce solare che hanno chiamato PHOEBE ® (la ® è di prammatica in quanto il marchio è stato brevettato!)

Il bello è che dopo aver provato ad abbattere gli ossidi di azoto all'aria aperta, sono riusciti anche a lavorare al chiuso dei capannoni industriali (basta che ci siano adeguate sorgenti di luce - anche artificiale purchè produca un idoneo spettro) che colpiscono le superfici verniciate!) dove alcune lavorazioni emettono nell'aria vari tipi di sostanze inquinanti.

Già oggi alcune aziende propongono vernici al nanobiossido di titanio per “purificare l'aria” e, forse, dalle nanotecnologie potrà venire una speranza per un'aria più pulita!

giovedì 14 gennaio 2010

Le nanotecnologie per il restauro delle opere d'arte: una prospettiva per il futuro sperimentata con successo sulla Torre di Pisa


Non ci sono dubbi sul fatto che la Torre di Pisa sia uno degli edifici più celebri al mondo. C'è da dire che sarebbe osannata lo stesso anche se fosse dritta, ma così com'è fa passare in secondo piano le altre costruzioni della Piazza dei Miracoli, “robette” come il Battistero, il cimitero monumentale e la Cattedrale, uno dei massimi esempi dell’architettura romanica italiana.
Non tutti sanno che fra guerre e altri problemi I lavori per costruirla, iniziati nel 1173, si sono protratti per quasi due secoli, riuscendo però a rimanere nella piena fedeltà del progetto originario, o quasi: infatti ad un certo punto si vede una inclinazione della struttura, perchè tentarono in quel modo di raddrizzarla (forse per questo qualcuno aveva pensato che la pendenza della Torre fosse intenzionale?).

C'è anche chi l'ha messa sul ridere come icona della carenza di cultura sulla necessità di avere una consulenza da parte di un geologo: “vedi cosa succede a risparmiare sulla perizia geologica????”, altri ne hanno ricavato gag stupende, a partire dal leggendario “Servizio Torri” di “Amici miei atto II”.

Fattostà che la Torre ha continuato a pendere sempre di più e del suo restauro statico (deciso stavolta dopo una lunga e dettagliata indagine geologica....) si è parlato molto all'epoca su quotidiani e rotocalchi.
Non tutti però sanno che oltre ai restauri statici sono stati affrontati anche altri problemi che riguardano i materiali lapidei. I marmi del rivestimento sono stati messi a dura prova da sollecitazioni chimiche e fisiche: alla normale esposizione agli agenti atmosferici e alle conseguenze dell'inquinamento atmosferico (le “croste nere”), le costruzioni pisane patiscono i problemi comuni alle altre città poste vicino al mare: sali marini sono entrati nei pori del materiale reagendo con esso.

Il risultato è che, con il passare del tempo, i capitelli finemente scolpiti in marmo bianco di Carrara hanno perso gran parte del modellato e il materiale sopravvissuto si presentava con un aspetto pulvirulento ed incoerente.

Si è posto quindi il problema di consolidarli e per questo è stata scelta una tecnica molto moderna: l'uso di nanomateriali.
Le nanotecnologie stanno sviluppandosi sempre di più praticamente in tutte le branche delle attività tecniche, dalla medicina all'industria meccanica, dall'aerospaziale alla sanificazione. Sono nate quando si evidenziò che alcuni materiali, se composti di particelle inferiori al decimo di micron, presentano, un rinforzo di alcune proprietà “classiche”, e anche delle altre proprietà particolari. In altri casi, come questo, i nanomateriali vengono scelti soprattutto per le loro minime dimensioni.

Un laboratorio di ricerca toscano, il CE.RI.COL., branca tecnologica del Gruppo Colorobbia, un colosso mondiale dei materiali per le industrie di base come ceramica e vetro, ha fornito un prodotto consolidante a base di nanosilice in solvente acquoso.

Il prodotto è stato applicato ai capitelli del loggiato del primo ordine della Torre di Pisa per immersione: in corrispondenza di ognuno di loro è stata creata una vasca, sigillata con del silicone e riempita con il nostro prodotto (come se avessero messo delle mutande ai capitelli....). Le pietre hanno così potuto assorbire lentamente la silice, che per le sue dimensioni nanometriche è riuscita ad entrare praticamente in ogni vuoto. In pratica è stato come simulare in tempi molto brevi un meccanismo naturale, la diagenesi, che è il lungo processo geologico per mezzo del quale i sedimenti sciolti si trasformano in dura roccia.

A questo modo sono stati ottenuti due effetti importanti: la coesione del marmo è aumentata in maniera drastica e la chiusura dei pori limiterà al massimo la circolazione di liquidi al loro interno.
Ovviamente il trattamento non ha alterato il colore dei capitelli.

Se non bastava questo, c'è stata un altra applicazione di nanomateriali nella zona superiore della torre, vicino alla cella campanaria. Stavolta anziché una nanosilice è stato usato un nanobiossido di titanio. Questo composto ha due caratteristiche molto interessanti. Prima di tutto rende la superficie su cui viene applicato super-idrofilica, per cui l'acqua anziche fermarsi con il suo carico di composti disciolti vi scivola via, evitando la formazone di gocce. La seconda funzione è quasi da fantascienza: colpito dalla luce solare genera dei radicali liberi che riescono a dissolvere i materiali organici! Quindi oltre a tenerla pulita, impedisce che la superficie venga attaccata da sostanze organiche.

L'intervento ha riguardato un arco in cui c'è un continuo ristagno di acqua piovana in qunto è nella zona sotto pendenza. Così l'”Opera della Primaziale di Pisa” (l'istituzione nata per sovrintendere ai lavori della costruzione dei monumenti della Piazza del Duomo che continua l'attività ancora oggi dopo oltre 1000 anni!!!) spera di poter risolvere i problemi di accumulo dello sporco in quel particolare punto del monumento.

Oggi un intervento del genere “fa notizia”, ma è possibile che in futuro queste diventino operazioni di routine: fermare lo sbriciolamento delle pietra e proteggerle con un materiale incolore che tenga lontano lo sporco sono dei traguardi impensabili fino a pochi anni fa e particolarmente importanti in una nazione ricca di palazzi storici come l'Italia.