In poco più di 2 anni e mezzo la Romagna è stata colpita per ben 5 volte, da eventi alluvionali intensi. L’ultimo episodio - appena avvenuto - è stato tutto sommato meno grave dei precedenti nonostante che tra il 23 e il 25 dicembre 2025 in molte località delle colline romagnole siano caduti oltre 200 mm di pioggia, più del doppio di quanto normalmente piove in tutto il mese di dicembre.
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| 48 ore di piogge dalle 15 del 23 dicembre alle 15 del 25 in alcune zone sono piovuti 200 mm di pioggia. Fonte: Regione Emilia-Romagna |
Ricordando che l’immensità del disastro del 2023 è stata dovuta al fatto che ci sono stati due eventi in 15 giorni e il secondo ha colpito un territorio ferito gravemente (la classica “pioggia sul bagnato”), in pratica ci sono state 5 piene duecentennali in 2 anni e mezzo. Qualcosa non torna ed è evidente come il riscaldamento globale stia aumentando questi eventi estremi. Rispetto a qualche secolo fa le capacità di assorbimento delle precipitazioni da parte del suolo e del reticolo fluviale sono nettamente diminuite perché per un corretto assetto del territorio in Italia è stato fatto tanto di quello che non andava fatto e pochissimo di quello che avrebbe dovuto essere fatto. Purtroppo di questo ce ne accorgiamo tutte le volte che piove un po' di più del normale e ora, anche grazie ai cambiamenti climatici, ne paghiamo le conseguenze. La mitigazione del rischio idraulico è una questione complessa, molto di più di quello che pensano molti utenti dei social, per i quali la colpa è delle nutrie, dei detriti negli alvei o dei tombini ostruiti e sta sopratutto nel ridare ai fiumi un pò di quello spazio che gli è stato tolto negli ultimi secoli, come stanno facendo in Olanda nel progetto Rijkswaterstaat.
da Pratomagno al gran giogo coperse
di nebbia; e ’l ciel di sopra fece intento,
sì che ’l pregno aere in acqua si converse;
la pioggia cadde, e a’ fossati venne
di lei ciò che la terra non sofferse;
e come ai rivi grandi si convenne,
ver’ lo fiume real tanto veloce
si ruinò, che nulla la ritenne. (Purgatorio canto V, 115 - 123)
Questi pochi versi, con cui Bonconte da Montefeltro descrive la sua morte dopo la battaglia di Campaldino e il perché il suo cadavere non fu mai ritrovato, sono un vero trattato sul perché le alluvioni: ai fiumi andò l’acqua che la terra non sofferse. I problemi quindi sono:
- quanta acqua il suolo può contenere rispetto a quella che cade con le piogge
- quanta ne può sopportare il reticolo fluviale.
GLI INTERVENTI ANTROPICI CHE HANNO MODIFICATO ILL TERRITORIO E LE CONSEGUENZE PER IL RETICOLO FLUVIALE. Ma quali possono essere le soluzioni, in Romagna come altrove? Ricordo che senza gli interventi umani le pianure italiane sarebbero delle paludi (ne ho parlato spesso, per esempio qui). E di testimonianze della situazione ne troviamo tante anche nell’arte e nella letteratura. Un esempio fra i più classici è rappresentato dai ritratti del Duca di Urbino e della sua consorte di Piero della Francesca, conservati agli Uffizi e dipinti verso il 1475, nei quali il paesaggio alle spalle dei personaggi mostra diverse aree umide.
Ecco una serie di questi interventi, le motivazioni dell'epoca che hanno portato alle loro realizzazione e le loro conseguenze.
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| la successiva urbanizzazione ha obliterato il reticolo di canalizzazioni realizzato durante le bonifiche |
1. LE BONIFICHE. Paludi e lagune erano lande inutili dal punto di vista delle attività umane ed erano pericolose, soprattutto per le malattie che le infestavano, come la malaria. Le bonifiche hanno quindi fatto guadagnare spazio alle attività umane e hanno consentito la drastica diminuzione (se non l’eradicazione) di malattie come la malaria, ma nel contempo hanno comportato gravissimi problemi nella gestione dei fiumi: nelle paludi si riversavano regolarmente le acque delle piene e quindi dopo queste operazioni i corsi d’acqua si sono ritrovati a dover gestire anche quella percentuale di acque che durante le fasi più acute delle piene si sarebbero appunto laminate nelle paludi e nelle lagune; l’Arno che è più stretto a Pisa che in uscita da Firenze dimostra quanta parte delle acque delle piene veniva smaltito nelle paludi fra Empoli e il mare. Specularmente le paludi restituivano le acque ai fiumi nei periodi di magra, aspetto particolarmente importante in un’epoca in cui i trasporti si svolgevano soprattutto per via fluviale.
Dagli anni '50 del XX secolo in poi l’espansione delle città e delle aree industriali è avvenuta urbanizzando aree agricole ottenute con le bonifiche, con la conseguente distruzione del reticolo di canali che aveva consentito (e mantenuto!) la bonifica, sostituito solo in parte da condutture sotterranee, rivelatesi spesso insufficienti
2. I FIUMI: UNA VOLTA INCREDIBILMENTE NECESSARI. Una volta i fiumi erano fondamentali per la vita umana e per l’economia: fonte di cibo, materiali fondamentali per l’edilizia e divertimento, ma soprattutto avevano due funzioni per l’epoca insostituibili: erano le arterie fondamentali per il trasporto di cose e persone e fornivano l’energia che serviva per muovere mulini e altre macchine. Il canale Firenze - Pistoia - Pisa progettato da Leonardo sarebbe proprio servito per migliorare le condizioni economiche dei luoghi attraversati.
3. GLI ALVEI FLUVIALI SONO STATI ARGINATI E RETTIFICATI. Molti fiumi sono stati arginati per evitare che tracimassero o che cambiassero corso di continuo. Insomma, più che corsi d'acqua naturali sono diventati dei canali artificali e spesso sono stati pure rettificati.
Le rettifiche sono state delle azioni perfettamente logiche per quei tempi: creavano ulteriori spazi per l’agricoltura e riducevano la distanza per i trasporti fluviali. Ma a questo modo la lunghezza delle aste fluviali è stata ridotta, anche di un terzo, per cui è diminuito il volume totale di acqua contenibile dall’alveo; inoltre la corrente è più veloce e sono diminuite fra loro le distanze fra le foci degli affluenti e quindi le piene dei corsi minori si ritrovano meno intervallate fra loro nell’asta principale.
ADESSO I FIUMI SONO DIVENTATI INUTILI. Oggi i fiumi hanno perso la maggior parte delle funzioni (soprattutto trasporti ed energia) mentre aumentano invece le esigenze abitative, industriali e – negli ultimi decenni – anche per strutture commerciali e logistiche. Di conseguenza a causa della fame di territorio sono visti come un ostacolo e come spazio inutile da sfruttare.
Dopo le operazioni di bonifica e di rettifica che hanno sostanzialmente diminuito le aree (e i volumi!) a disposizione delle acque, dalla seconda metà del XIX secolo sono arrivati ulteriori guai: la fame di territorio ha provocato il restringimento, spesso ben oltre l’inverosimile, dei fiumi, soprattutto nelle zone di pertinenza fluviale o facilmente inondabili. Hanno peggiorato ulteriormente la situazione le tombature con portata insufficiente del XX secolo. Come le rettifiche anche le tombature hanno avuto un senso con la mentalità del tempo nel quale sono state realizzate: molti canali erano ridotti a fogne maleodoranti a cielo aperto e inoltre serviva spazio per le strade. Purtroppo la portata di buona parte dei tratti tombati risulta inadeguata alle necessità (il Seveso a Milano è fra gli esempi più classici) perché all’epoca non esistevano le modellazioni numeriche oggi disponibili, tantomeno era una esigenza sentita la necessità di fornire una portata sufficiente.
SEMPRE MENO SUOLO “LIBERO”: la mazzata finale è stata il drastico aumento delle aree edificate e pertanto sigillate. È quindi evidente come fra bonifiche, canalizzazioni, rettifiche e restringimenti, tutte queste azioni sopra descritte siano andate nella direzione di far perdere una quantità significativa del volume di acque che il reticolo idrografico era precedentemente in grado di accogliere e quindi gli alvei sono in genere in grado di ricevere piene ordinarie; ma quando le precipitazioni sono maggiori dell’ordinario vanno in crisi e questa crisi è destinata a peggiorare in vista di un ulteriore peggioramento del clima, con piogge sempre più forti alternate a lunghi periodi di siccità, (una situazione in cui oltretutto il terreno assorbe meno acqua del solito).
Inoltre l’eliminazione dei canali di bonifica e l’impermeabilizzazione del suolo fanno affluire le acque piovane nelle aste fluviali in percentuale maggiore e in un tempo molto più ridotto di quello che succederebbe su terreni “liberi”, sia pure bonificati.
Il problema, come dicono ad Arezzo è che “l’acqua affitta ma non vende”. E quando un fiume ha bisogno di territorio se lo riprende. Non ci si può quindi stupire se in occasione di importanti precipitazioni i torrenti rompano gli argini o facciano esplodere le tombature in cui sono confinati.
I PONTI CI METTONO DEL LORO. Altra questione importante sono i ponti: molti di essi sono troppo bassi oppure realizzati in modo da ostacolare la corrente durante le piene e se poi vi si bloccano i detriti non è a causa degli “alvei sporchi”, perché la maggior parte dei detriti vengono dai versanti, ma è proprio colpa dei ponti realizzati senza tenere conto della dinamica fluviale.
La conclusione è che oggi i cambiamenti della dinamica delle precipitazioni conseguenti al riscaldamento globale comportano piogge più violente anche se di breve durata, che amplificano questi errori, probabilmente inconsapevoli, del passato.
LE SOLUZIONI SBAGLIATE CHE IMPERANO NEI SOCIAL. Gli utenti dei social hanno individuato i colpevoli e le cause, ma questo ci porterà verso scelte scellerate che pagheremo care nel prossimo futuro, quando si continuerà a costruire e cementificare perché la colpa era degli alberi nei fiumi e/o perché si elimineranno i rischi di collasso arginale con una sana campagna di abbattimento di Istrici e Nutrie e/o si continuerà a pensare di dare volume alla piena duecentennennale alzando gli argini (ovviamente aumentandone la pericolosità perché si aumenta la loro pendenza,) o dando concessioni per dragare i fiumi (alterandone l’equilibrio e mettendo a rischio le fondamenta di argini e ponti, ne ho parlato qui). Ma chissenefrega se sono operazioni sbagliate, il popolo così vuole e i politici li appoggiano. E così si continuerà a vivere sotto gli argini perché secondo l’attuale vulgata queste azioni, accompagnate dalla realizzazione di qualche cassa di espansione (avvenuta tra millemila difficoltà burocratiche e osteggiata dai soliti comitati), da qualche ponte sostituito e da qualche riprofilatura di alveo, ci faranno sentire più sicuri perché avrebbero diminuito il rischio.
Insomma, la speranza maggiormente diffusa nella popolazione e nella classe politica (che non conosce la materia ma è attenta alle sirene cicaleggianti degli umori della gente più che alle formiche della ricerca scientifica e delle buone pratiche) è che tutto rimanga come è, in modo che ognuno possa continuare a vivere come prima e convinto di essere più sicuro.
Ma chi ha ora il coraggio di dire che quelle prefigurate sono le classiche ed inutili soluzioni semplici a problemi complessi e che invece servono interventi drastici e per questo impopolari ?
LA IMPOPOLARE SOLUZIONE MAESTRA: RIDARE SPAZIO AI FIUMI. Le casse di espansione rappresentano un tentativo odierno di recuperare degli spazi che, come una volta le paludi, funzionano da polmone per stoccare temporaneamente le acque delle piene, mentre i bacini di raccolta (essenzialmente gli invasi creati con le dighe) oltre a un certo potere di laminare le piene servono anche per la mitigazione delle magre. L’invaso di Bilancino ad esempio si è rivelato fondamentale per gestire la portata dell’Arno durante le recenti fasi siccitose.
È quindi necessario ridare spazio ai fiumi. Purtroppo si tratta di una azione che è tutt’altro che popolare.
Chi ha ora il coraggio di prendere l'unica decisione necessaria e cioè una complessa azione per rendere alle aste fluviali un pò di quello spazio e di quei volumi che gli sono stati tolti in secoli di attività antropica?
Iniziamo a dire che dare spazio ai fiumi
- NON vuol dire tracciare un buffer (un'area di rispetto) su una carta geografica,
- significa invece ricercare lungo tutto il suo percorso le possibili variabili per aumentare in superficie lo spazio a disposizione del fiume.
insomma, il canale artificiale nel quale scorre adesso dovrà assomigliare sempre più ad un fiume, con le sue anse e le sue rive ricche di vegetazione ripariale (ebbene si, l’alveo deve essere “sporco”), con una diversificazione degli spazi agricoli a seconda della loro collocazione e la creazione di diversi livelli di difesa. Una progettazione, cioè, che nello sviluppo di una pianificazione del territorio prevede l'armonizzazione di tutti gli aspetti. é un percorso lungo, che inizia con questa generazione e finirà, forse, con la prossima, ma deve assolutamente iniziare.
Nel frattempo occorre mettere in atto quelle azioni che mitigheranno gli effetti degli eventi estremi.
PAESI BASSI: IL PROGETTO RIJKSWATERSTAAT – SPAZIO PER IL FIUME. Ci sono già delle idee in merito anche dalle nostre parti (idee, appunto, non realizzazioni) ma questo progetto è molto interessante e può essere di ispirazione per le pianure italiane e, nella fattispecie, di quella romagnola. Notoriamente i Paesi Bassi sono costantemente minacciati dalle inondazioni. Anzi, questa minaccia è in aumento, poiché le pianure alluvionali dei fiumi continuano a ridursi e anche lì sono sempre più frequenti le piogge intense.
In risposta a questa minaccia, il governo olandese ha lanciato il programma Rijkswaterstaat con l'obiettivo di ridurre il rischio di inondazioni dando ai fiumi più spazio per le inondazioni tramite una serie di operazioni come:
- spostamento degli argini più all'esterno, consentendo ai fiumi di estendersi su un'area più ampia
- costruzione di canali di inondazione
- abbassamento delle pianure alluvionali, che saranno poi allagate durante i periodi di piena, in modo da fornire temporaneamente più spazio al fiume, alleviando così la pressione sugli argini.
È evidente come un progetto del genere possa generare problemi politici e sociali, visto che si tratta di togliere terreno utile per darlo a fiumi e che quindi solo una popolazione matura scientificamente potrebbe accettare progetti simili al posto dei rimedi proposti dai social e spesso "rivenduti" dai politici senza conoscenza specifica per puri scopi elettorali





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