domenica 3 dicembre 2023

il terremoto M 7.6 del 2 dicembre 2023 e la complessa geodinamica delle Filippine


A causa del particolare contesto geodinamico, l'arcipelago delle Filippine è costantemente oggetto di terremoti e di eruzioni vulcaniche, con vulcani a carattere spiccatamente esplosivo. 
Il terremoto di magnitudo 7.6 del 2 dicembre 2023 al largo della costa sud-orientale dell'isola di Mindanao è una classica conseguenza di questa situazione e la sua energia non può certo sorprendere. Si è verificato lungo una faglia obliqua inversa a una profondità di circa 75 km. A causa dell'epicentro in mare e della profondità ipocentrale la mappa del risentimento evidenzia per fortuna una intensità massima non superiore alla parte centrale dell'VIII grado MCS. 
Ci sono notizie di uno tsunami di una quarantina di centimetri nel Mare delle Filippine, ma non sembrano esserci stati dei danni.
Siamo ad ovest della fossa delle Filippine, nella zona che più risente dello scontro fra la placca della Sonda e quella del mare delle Filippine che le scende sotto. E infatti il meccanismo focale indica che la rottura si è verificata come risultato di una faglia inversa coerente con la superficie dell'interfaccia di subduzione. 
Un terremoto come questo ha probabilmente coinvolto un’area all’incirca rettangolare lunga un centinaio di km e larga 35.

Nel luogo del terremoto, la placca del Mar delle Filippine si muove verso ovest-nord-ovest ad una velocità di circa 103 mm/anno rispetto alla placca della Sonda. 
Quella ad oriente delle Filippine è una delle subduzioni più “produttive” dal punto di vista dei terremoti, nel quadro di un’area in cui fra Indonesia, Nuova Guinea e Filippine l’attività sismica è incredibilmente frequente e importante: basta pensare che solo meno di 10 giorni fa, dalla parte opposta del Mar delle Filippine, un terremoto di M 6.9 ha colpito le isole Marianne settentrionali. Non solo, ma limitandosi all'area colpita da questo terremoto secondo l’USGS in un’area entro i 250 km dal terremoto del 2 dicembre 2023 negli ultimi 100 anni si sono verificati altri 127 terremoti di magnitudo 6 o superiore e 15 di questi erano M 7 o più. 
In più la sequenza delle repliche è impressionante. Il Geofon del Deutsches Geoforschungszentrum di Potsdam a 20 ore dall'evento (aggiornamento alle ore 10.00 italiane del 3 dicembre) segnala 6 repliche con M uguale o superiore a 6 e 38 (se ho contato bene) repliche con M compresa tra 5 e 6. 
Vediamo appunto qui sotto in questa carta elaborata con l’IRIS Earthquake Browser i terremoti intorno a Mare delle Filippine, Indonesia e Nuova Guinea con le varie subduzioni dell’area: 1300 eventi con M uguale o superiore a 6 in 20 anni!



La situazione nelle Filippine è molto complessa perché oltre a quella del Mar delle Filippine, l’arcipelago è interessato nel suo lato NW da una subduzione a polarità opposta, cioè verso est,  la cui traccia superficiale è data dalla fossa di Manila che prosegue a nord fino a Taiwan (ne ho parlato qui). In questo caso al contrario di quanto succede nel lato orientale, è la placca della Sonda a scendere sotto quella del Mare delle Filippine. Nonostante questa sia una collisione “matura”, cioè ormai una collisione continente – continente, anche qui le velocità non sono per niente basse, tra 65 e 85 mm/anno.

Per questo la sismicità della regione delle Filippine riflette movimenti tettonici molto complessi, e avviene sia all’interno delle isole, che come in questo caso ai suoi margini e a varie profondità. 
Nell'immagine sotto si vedono una carta e una sezione della parte settentrionale dell'arcipelago, che evidenzia le due subduzioni.

Una conseguenza importante di questa situazione tettonica è anche l'intenso vulcanismo di arco magmatico, che genera eruzioni significative. Considerando la posizione dell'arcipelago, poco sopra l'equatore, è facile che a causa della vicinanza della ITCZ, la Zona di Convergenza IntertTopicale, le maggiori esplosioni possano immettere i loro prodotti nell'alta atmosfera, e questo specialmente d'estate quando la ITCZ è alle basse latitudini settentrionali, provocando come per l'eruzione del Pinatubo, avvenuta nel 1991 e appunto in giugno, un leggero raffreddamento a livello globale.

  







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