lunedì 12 marzo 2018

Un possibile aiuto insperato nella lotta contro l'aumento del CO2 atmosferico


Per diminuire il tenore di CO2 atmosferico la soluzione più efficace (oltre a smettere di produrne, ma è irrealizzabile, ora come ora) sarebbe quello di sottrarre il gas all’atmosfera, soluzione nota come CCS (cattura e stoccaggio del Carbonio). Per adesso il CCS è un costo per gli emettitori, anche se servirebbe ad evitare i costi futuri dovuti ai cambiamenti climatici e dunque è un problema: bisognerebbe quindi trovare il verso di trasformare le emissioni da problema ad opportunità. In che modo? Trovando un uso per questo CO2. La cosa apparentemente surreale è che in prospettiva il miglior cliente per il CO2 prodotto con l’uso dei combustibili fossili sarebbe... l’oil & gas, che sfrutta già adesso il gas per aumentare la resa dei giacimenti, specialmente di quelli di petrolio.


Nel 2017 le emissioni di CO2 sono nuovamente aumentate
dopo una stasi negli anni precedenti
LA NECESSITA' DI STOCCARE IL CO2 IN ECCESSO. Siccome un massiccio taglio delle emissioni di CO2 è molto difficile (o, meglio, una "mission impossible"), c'è solo un'altra soluzione per prevenire ulteriori problemi ambientali: prelevare in qualche modo il CO2 prodotto per isolarlo dall'atmosfera. Sia l’IPCC che l'Agenzia internazionale dell'energia (AIE) hanno evidenziato il ruolo fondamentale della cattura e dello stoccaggio permanente del CO2 (CCS – Carbon Capture and Storage) per soddisfare gli obiettivi della riduzione delle emissioni globali di CO2. Si tratta di una serie di operazioni volte, come dice il nome, a catturare permanentemente almeno una parte dell’eccesso di CO2 prodotto dall’attività antropica. In questo momento nel mondo ci sono 17 impianti di CCS, altri 4 sono in arrivo nel 2018 e anche la Cina si sta attivando in proposito. È stato calcolato che per raggiungere l'obiettivo di Parigi dell’innalzamento di solo 2°C delle temperature globali, il 14% della riduzione delle emissioni deve essere derivato dal CCS; per farlo, ci sarebbe bisogno di 2500 impianti del genere nel 2040. 


I COSTI ELEVATI DELLA CATTURA E DELLO STOCCAGGIO DEL CARBONIO. L’aspetto più importante del problema è economico: giova ricordare che il nostro modo di vivere è dovuto essenzialmente alla presenza di energia in grande quantità e a basso prezzo e il CCS viene visto come un ostacolo per l'industria dei combustibili fossili (sia per l’Oil & Gas che, a maggior ragione, per il carbone): nelle centrali elettriche catturare il CO2 prodotto comporta un maggior consumo di energia ed altri costi; però in questo momento si tratta dell'unica tecnologia in grado di affrontare il problema delle emissioni, attuali e future, anche considerando che ci sono oltre 500 nuovi impianti a carbone attualmente in costruzione in tutto il mondo e ne sono stati pianificati altri 1.000 (per India, Cina e altre nazioni il carbone rimane sempre la più rilevante forma di produzione di energia elettrica e ancora oggi non solo negli USA, ma anche in Europa, il suo apporto è significativo) e che non esiste un impianto a carbone non importa se si tratti di un impianto tradizionale, o di uno dei nuovi impianti a minori emissioni noti come “HELE” (alta efficienza a basse emissioni) che possa avere un bilancio emissivo meno che decente senza un sistema di CCS.
Il CO2 ha diversi usi industriali però, siccome il tenore atmosferico è pur sempre troppo basso per poterlo ricavare dall’aria con una certa sostenibilità economica, in genere viene estratto appositamente da sacche nel sottosuolo (esattamente come gli idrocarburi…); di fatto distillarlo direttamente dai fumi degli emettitori sarebbe l’unico sistema alternativo economicamente sostenibile perché in questi fumi il tenore di CO2 è ben più elevato di quello atmosferico. In ogni caso i quantitativi attualmente richiesti dall’industria non rappresentano che una percentuale ridottissima rispetto alle emissioni.  

Stoccaggio geologico del CO2 
COME STOCCARE IL CO2 IN ECCESSO. Il sistema principale per stoccare il CO2 è geologico: il gas viene iniettato nel sottosuolo a profondità maggiore di 800 m, dove a causa della pressione ivi esistente si trova in una fase densa in cui si comporta come un liquido e tuttavia è ancora un gas. Nel tempo viene immobilizzato nell'ambiente da diversi processi come l’intrappolamento nei pori della roccia, la dissoluzione in acqua, le reazioni minerali con i minerali della roccia serbatoio. Anche in questo stato denso il CO2 è, comunque, più leggero del resto del liquido presente nella falda e quindi ne va evitata la fuga verso l’alto: quindi al di sopra della roccia – serbatoio devono esistere delle efficaci barriere geologiche, in genere strati impermeabili argillosi o scistosi che sigillano il giacimento di CO2 che è stato creato, nello stesso modo in cui petrolio e gas sono rimasti intrappolati nei sistemi naturali per milioni di anni.
L'Unione Europea ha emanato una direttiva per gli Stati membri (e gli Stati associati, come la Norvegia) che desiderano effettuare uno stoccaggio geologico di CO2, fissando criteri rigorosi per la selezione dei siti, le operazioni di iniezione, il monitoraggio e la verifica e le procedure di chiusura definitiva, al fine di garantirne l’efficacia.



Lo stoccaggio geologico di CO2 viene essenzialmente effettuato pompando il gas in falde acquifere contenute in rocce evaporitiche (sali): attualmente sulla Terra la formazione di rocce evaporitiche è ai minimi nel tempo geologico, ma in molte aree nel passato si sono formati spessi depositi di sale. Anche i giacimenti di petrolio e gas esauriti sono una buona soluzione per effettuare un CCS e, in più, hanno un plus rappresentato dalla presenza costante al di sopra una roccia che blocca la risalita del gas (altrimenti non ci sarebbe stato il giacimento...)


STOCCAGGIO DI CO2 IN REGNO UNITO E NORVEGIA. La compagnia petrolifera di stato norvegese, la Statoil, ha avviato il primo progetto al mondo per lo stoccaggio geologico sotto il Mare del Nord in una falda acquifera in rocce evaporitiche nel 1996, catturando e iniettando nel sottosuolo circa 800.000 tonnellate / anno di CO2 dalla piattaforma offshore di produzione di gas Sleipner, poco ad est delle Isole Shetland. Questo progetto ha senso dal punto di vista commerciale perché il governo norvegese impone una tassa sulle emissioni di CO2 per la produzione di petrolio e gas (il come dimostra come se il CCS non viene imposto si vada poco lontano).

Nel 2005 il governo britannico e quello norvegese istituirono una task force per esaminare le possibilità di collaborare per la costruzione di un'infrastruttura di CCS per ricevere CO2 dai paesi che circondano il Mare del Nord. Lo studio che ne è derivato nel 2010, One North Sea [1], ha riassunto le geocapacità sotto il Mare del Nord e le potenziali rotte di approvvigionamento, via nave e/o gasdotto. Nel frattempo, il governo del Regno Unito ha stanziato un miliardo di sterline per la ricerca scientifica e la costruzione di infrastrutture di CCS, con l’obbiettivo di avere entro il 2015 la prima centrale a gas dotata di cattura di CO2, trasporto e stoccaggio geologico del gas sotto il Mare del Nord al mondo. In seguito però la sovvenzione è stata ritirata e i progetti in corso cancellati, anche se erano già stati spesi 168 milioni di sterline di fondi governativi, ufficialmente perché la CCS era troppo costosa. Il tutto comporterà un ritardo di 10 anni nell'implementazione della CCS nel Regno Unito.
Questo è il classico esempio di come incida il costo immediato di un programma, anche se lo sforzo economico servirebbe ad evitare costi futuri molto maggiori. Nell'ottobre 2017 il governo del Regno Unito ha pubblicato la sua strategia di crescita pulita, che stabilisce una road map della ricerca, dell'innovazione e dello sviluppo di tecnologie a basse emissioni di carbonio necessarie per raggiungere l’obiettivo di riduzione dei gas-serra nel periodo 2028-2032: in questa strategia il ruolo maggiore viene attribuito alla implementazione di sistemi di produzione di elettricità e di trasporto a basse emissioni, mentre il CCS viene relegato ad un ruolo molto marginale. È evidente l’intento di monetizzare, esportando all’estero nuovi prodotti e nuove tecnologie a basso Carbonio, mentre il CCS continua ad essere visto semplicemente come un costo.
Insomma, il concetto è “chi paga?” e siccome la richiesta ad uso industriale di CO2 è molto inferiore alle emissioni, quello usato non è quello atmosferico e i sistemi di CCS sono semplicemente dei “costi aggiuntivi” (almeno per l’immediato) per adesso non è possibile trasformare in ricchezza il CO2: Insomma, ci sarebbe bisogno di un qualcuno che avrebbe  bisogno di questa “materia prima seconda” in grandi quantità. 
E qui arriva un attore insospettabile…

L'acqua pompata in profondità fa risalire il petrolio
UNA SOLUZIONE INASPETTATA. L'Oil & Gas fornisce un bene vitale per l’economia attuale, ma con le relative emissioni di CO2 è la principale fonte di inquinamento, e il colpevole principale di global waming, innalzamento del livello del mare globale e acidificazione degli oceani.
I problemi principali per l’industria estrattiva sono:

  • avere un greggio abbastanza fluido da scorrere nei pori del terreno per essere pompato  (e non sempre si verificano queste condizioni)
  • c'è la ovvia necessità di recuperare la maggior quantità possibile di idrocarburi da un giacimento, problema che si ingigantisce quando il giacimento invecchia e la sua resa diventa minore, fino a quando non è più economico sfruttarlo

Per ovviare a tutto questo sono stati adottati vari sistemi che vanno sotto il nome di Enhanced Oil Recovery (EOR – miglioramento nella resa del giacimento). Il sistema più comune di EOR è l’iniezione di liquidi nel sottosuolo, facendo così risalire il livello della falda acquifera e quindi il petrolio che, essendo più leggero, vi galleggia; per farlo in genere si sfruttano le salamoie saline estratte insieme al greggio, la cui percentuale aumenta con l’età del pozzo e che vanno ovviamente separate in quanto:

  • è assurdo trasportarle insieme al greggio, per evitare il costo del suo trasporto
  • le raffinerie vogliono un petrolio privo di acqua, perchè poi avrebbero da smaltirla loro

Queste salamoie non possono essere smaltite in superficie a causa della loro composizione, e reimmetterle dove erano in precedenza è tutto sommato il sistema migliore anche dal punto di vista ambientale (in pratica tornano lì dove erano prima che venissero estratte). Purtroppo in alcuni casi questo processo può provocare sismicità indotta, come ad esempio succede nell’Oklahoma ed è successo, anche se con intensità sismica molto minore, in Basilicata.
Altri sistemi di EOR lo rendono più fluido, riscaldandolo immettendo acqua calda oppure usando dei solventi.
Naturalmente, oltre ai problemi di inquinamento, questi solventi hanno un costo non indifferente (e spesso sono a loro volta derivati del petrolio, distillati nelle raffinerie). Il CO2 ha due caratteristiche che lo rendono interessante per questo scopo

  • è miscibile con il petrolio greggio 
  • è meno costoso di altri fluidi similmente miscibili


Perché il CO2? Perché è un solvente che reagendo con il greggio, ne riduce la viscosità dissolvendo selettivamente oli e gas leggeri, consentendo così agli idrocarburi di fluire verso i pozzi di produzione. Inoltre aumenta la pressione del liquido, che durante lo sfruttamento del giacimento diminuisce vistosamente, riportandola ai valori preesistenti. 

I primi esperimenti si sono svolti con un progetto pilota sul campo condotto in un bacino idrico depurato primario in Texas, vicino ad Abilene, offrendo ottimi risultati [2]. Gli studi in materia continuano incessantemente, in tutto il mondo (per esempio in Cina [3]).
Da allora questo processo, noto come CO2 EOR, è stato utilizzato in tutto il mondo e potrebbe essere considerato un sistema efficace per sequestrare CO2, se non fosse che, come per il resto dei suoi utilizzi, la maggior parte dei progetti di CO2-EOR utilizza gas estratto specificamente per questo scopo, aggiungendo le ulteriori emissioni necessarie per farlo. Una ulteriore debacle ambientale, insomma…
Il gasdotto che porta a Weyburn 
il CO2 prodotto in North Dakota

L’intenzione sarebbe quella di riuscire ad utilizzare il CO2 di scarto da fonti come le centrali elettriche, che poi rimarrebbe immagazzinata nel sottosuolo: succede già in Canada, nel Saskatchewan, dove il giacimento petrolifero di Weyburn riceve dal 2000 attraverso un gasdotto il CO2 prodotto da una centrale elettrica a carbone a Boundary Dam (50 km fuori) e da un impianto che produce fertilizzanti, gas naturale sintetico e idrogeno a partire dal carbone oltre il confine con gli Stati Uniti nel Nord Dakota. In questo modo sono stati immagazzinate oltre 31 milioni di tonnellate di CO2 e viene estratto circa il 25% in più del greggio che sarebbe estratto senza attività di EOR [4].
Questa carta tratta da [5] dimostra che l’ Oil & Gas è il maggiore richiedente di CO2 per CCS.
Pertanto, l'uso di CO2 di scarto per aumentare la resa dei giacimenti di oil & gas può essere un modo per abbattere il contenuto atmosferico di CO2, catturando l'anidride carbonica (CO2) prodotta da grandi emettitori di sorgenti puntiformi, come le centrali elettriche
Immagine presa das 
Questo uso diretto del CO2 nell'estrazione di idrocarburi ha alcuni vantaggi:

  • trasforma le emissioni di CO2 in una risorsa 
  • il CO2 utilizzato è maggiore di quello successivamente emesso dalla combustione degli idrocarburi estratti

Questo secondo aspetto è dimostrato da uno studio effettuato su 47 grandi giacimenti petroliferi in sei bacini sparsi nel mondo: l'applicazione di CO2 EOR potrebbe comportare la produzione economicamente sostenibile di poco più di un miliardo di barili in più, con un potenziale di stoccaggio di CO2 associato di 320 milioni di tonnellate [6]. Si tratta di volumi significativi e, se i conti presentati sono giusti, si tratterebbe di un bilancio estremamente positivo: è difficile fare una stima precisa di emissioni per barile, dati i molteplici usi in cui il greggio viene impiegato, anche in base alle caratteristiche variabili dei giacimenti, ma stimando una media di 467 kg al barile (dati del Ministero dell’industria), quel miliardo di barili (che rappresenta all’incirca 10 giorni di produzione mondiale di petrolio) emetterebbe sfruttandolo 467 milioni di tonnellate di CO2, avendone impiegati ben 320 miliardi per essere prodotto. 
Mi parrebbe un bel guadagno (ovviamente se e solo se si userà CO2 di origine antropica)


[1] One North Sea: http://www.ccsassociation.org/docs/2010/OneNorthSea.pdf
[2] Holm e Brien (1971). Carbon Dioxide Test at the Mead-Strawn Field. Journal of Petroleum Technology Volume 23/04 doi:10.2118/3103-PA 
[3] Huang et al (2017) CO2 flooding strategy to enhance heavy oil recovery Petroleum 3, 68-78
[4]Verdon (2012) The Weyburn CO2 Injection Project in: Microseismic Monitoring and Geomechanical Modelling of CO2 Storage in Subsurface Reservoirs pp 11-26, Springer
[5] AAVV (2017) The Global Status of CCS: 2017 The Global CCS Institute
[6] Godec et al (2012) CO2 Storage in Depleted Oil Fields: The Worldwide Potential for Carbon
Dioxide Enhanced Oil Recovery Energy Procedia 4 (2011) 2162–2169


2 commenti:

Anonimo ha detto...

Buonasera, professore. Per favore, un commento a caldo a proposito della situazione flegrea.

Aldo Piombino ha detto...

ringrazko per la fiducua...

allora:
1. faccio notare che non sono "professore" (sarebbe abuso di titolo) anche se qualche lezione la faccio..
2. mi pare che gli eventi di oggi possano essere annoverati come facento parte della dinamica normale dei campi flegrei

saluti