lunedì 25 settembre 2017

I terremoti messicani del settembre 2017


I due terremoti messicani degli ultimi giorni, M 8.1 dell’8 settembre 2017 a largo delle coste del Chiapas e M 7.1 del 19 settembre 2017 5 km a ENE di Raboso meritano una certa attenzione per il loro contesto geotettonico piuttosto particolare, essendosi prodotti in profondità in uno slab (una zona di subduzione) dalle caratteristiche tipiche. Un altro aspetto della questione che merita una grande attenzione è l’effetto di sito che si è registrato, come sempre, a città del Messico: a causa della costituzione del suo sottosuolo, in questa città si registrano forti amplificazioni delle onde sismiche, che rendono distruttivi eventi che se la capitale messicana fosse stata costruita su un’area a geologia diversa non sarebbero stati così gravi.

Nota: per brevità parlando della parte della parte della placca oceanica che subduce sotto una placca continentale, userò il termine slab. Gli slab in genere sono evidenziati dalla sismicità, che è assente nel mantello circostante: i terremoti profondi avvengono sempre e soltanto all'interno di queste strisce di crosta oceanica che penetrano nel mantello, dove composizione, caratteristiche meccaniche e temperatura consentono una deformazione fragile; il mantello circostante è invece caratterizzato da una deformazione duttile, asismica. 
Qualche slab è asismico e viene riconosciuto attraverso la tomografia ricavata dal comportamento delle onde sismiche, con le quali si fa una specie di TAC alla Terra.  
La presenza nel mantello di vecchi slab ormai "digeriti" si può talvolta vedere grazie a particolarità nei magmi che si formano successivamente in queste aree.

MARGINI COMPRESSIVI ACCREZIONALI E EROSIONALI. Il primo aspetto particolare è il meccanismo focale di entrambi gli eventi: si tratta di terremoti connessi a faglie normali caratterizzati da un meccanismo distensivo, cosa apparentemente anomala in quanto siamo in una zona di scontro fra zolle dove dovrebbero esserci faglie inverse e quindi i meccanismi focali dovrebbero essere compressivi. Ma questo succederebbe se si fosse in presenza di un normale margine compressivo accrezionale. Invece le cose stanno un pò diversamente.
Negli anni '70 entrò nella nomenclatura geologica il termine prisma di accrezione, con cui si identifica tutta quella serie di scaglie tettoniche che si accumulano tra la zona di subduzione e la crosta sotto la quale la placca oceanica subduce che per lo più sono costituiti da materiali terrigeni provenienti dall'arco magmatico: ce ne sono tanti, sia per l'elevato livello di erosione che contraddistingue le aree emerse e le aree marine prospicienti alle fosse oceaniche (dove abbondano canyon sottomarini) sia perchè nell'arco sono diffuse eruzioni vulcaniche di tipo esplosivo con la produzione di tufi.
Questi sedimenti si depositano in parte lungo la breve piattaforma continentale come depositi di forearc ma più spesso finiscono direttamente nella fossa oceanica che evidenzia sulla superficie terrestre l'inizio della subduzione.
Di queste scaglie possono occasionalmente fare parte anche parti di crosta oceanica (le cosiddette “ofioliti”) e della sua copertura sedimentaria: questi materiali infatti anziché condividere con la placca in subduzione il destino di finire nel mantello ed esservi “digeriti” talvolta rimangono al contatto fra le due placche.
Con queste basi teoriche immaginatevi la sorpresa quando, carotando nel 1979 e nel 1981 il margine continentale a largo del Nicaragua al posto del prisma composto da sedimenti di fondo oceanico schiacciati contro la zolla continentale fu trovato, sotto a una serie di sedimenti recenti di mare poco profondo, il basamento cristallino centroamericano.

A questa scoperta ne sono seguite altre analoghe in altre aree di collisione fra le zolle ed è venuto alla luce il concetto che non su tutti i margini convergenti di zolla si sviluppi un prisma di accrezione: ci sono anche i margini convergenti erosionali. Come vediamo nell'immagine qui sopra:

  • in un margine di placche compressivo accrezionale il taglio operato dalla subduzione è dentro la zolla inferiore, quindi alcune delle sue parti, segnatamente i sedimenti depositatisi nel tempo nella fossa oceanica, rimangono a contrasto fra le due zolle ed essendo sufficientemente plastici si deformano e in parte si accavallano su quella superiore
  • in un margine di placche compressivo erosionale il taglio si imposta all'interno della zolla superiore tutti questi sedimenti e parte della zolla superiore scendono nella zona di subduzione 

È interessante notare che se in un margine accrezionale le faglie principali della zona sopra al limite fra le due placche sono thrust, cioè faglie compressive a basso angolo, in un margine erosivo abbiamo soprattutto faglie normali ad alto angolo.
Diagramma preso da [1] con evidenziati i margini giapponesi
È favorita la presenza di un margine compressivo erosionale quando:

  • ci sono pochi sedimenti in gioco e quindi una crosta oceanica coinvolta molto giovane e/o pochi apporti sedimentari dal continente
  • la velocità di convergenza è molto alta
  • notiamo che, ovviamente, con una alta velocità di convergenza l’apporto sedimentario dal continente è forzatamente minore per unità di lunghezza lungo la fossa

Nella carta qui sopra si vede la distribuzione mondiale di margini accrezionali (in celeste) e margini erosivi (in rosso).  
Nel diagramma preso da [1] si vede chiaramente come ci sia un rapporto tra velocità di convergenza e spessore dei sedimenti e che solo un margine caratterizzato da una alta velocità di convergenza può essere erosionale. In particolare si vede come intorno al Giappone ci siano quasi esclusivamente subduzioni erosionali, mentre l’unico prisma accrezionale, quello del Giappone centro – meridionale è non casualmente caratterizzato da uno spessore sedimentario maggiore e da una velocità di convergenza minore rispetto agli altri 3.

Sezione pubblicata dallo USGS per il terremoto del 19 settembre,
a cui ho aggiunto una stella che contraddistingue
la posizione di quello dell'8
I DUE TERREMOTI MESSICANI DEL SETTEMBRE 2017. Osserviamo la profondità dei due eventi: si tratta in entrambi i casi di terremoti a profondità intermedia (rispettivamente a 70 e a 50 km dalla superficie).

La notizia dell’evento dell’8 settembre mi ha colto fuori sede e con poco tempo a disposizione e quindi ho pensato che il meccanismo era coerente, perché ho considerato le grandi faglie normali tipiche di un margine accrezionale. Avevo solo qualche dubbio sulla profondità, nel senso che mi sembrava lì per lì un po' eccessiva, ma per i soliti strani meandri della mente umana avevo lasciato correre. Poi però una grande esperta di subduzioni come Paola Vannucchi mi ha ricordato la geometria particolare di questo slab, che rimane suborizzontale per un bel tratto e così ho realizzato che il terremoto non era avvenuto in una delle faglie normali della placca superiore ma nello slab in subduzione della placca inferiore: lo slab della placca delle Cocos dopo essersi immerso nel mantello rimane pressochè orizzontale per un bel pezzo e raggiunge profondità superiori a quella dell’ipocentro dell’8 settembre solo ben all’interno del continente, quando si piega per assumere finalmente la classica angolazione di tutti i piani di subduzione che scendono nel mantello.
A largo del Messico nella zona della fossa avvengono a bassa profondità terremoti di senso compressivo a basso angolo (terremoti di thrust) al contatto fra la placca nordamericana e quella delle cocos che le scende sotto fino ad una profondità di 25 km, dopodiché prevalgono eventi distensivi su faglie ad alto angolo [2]. Si tratta di uno sforzo di distensione in una zona in cui la zolla è sottoposta a forti deformazioni e si formano queste faglie distensive a causa dello stiramento della placca nelle parti esterne dei piegamenti. Quindi il primo dei due forti terremoti si è sviluppato nello slab della zolla delle Cocos nel tratto in cui si muove orizzontalmente.

Veniamo al secondo evento. Sempre con meccanismo distensivo e ad una profondità di oltre 50 km. Quindi anche questo si è verificato nello slab della placca delle Cocos. In questo caso però si è sviluppato in una posizione diversa, e cioè esattamente nella parte superiore dello slab alla fine del suo percorso orizzontale, dove si piega per fare quello che ogni “buon” slab deve fare: scendere nel mantello sottostante. Evidentemente nella zona di origine del terremoto tra la deformazione dovuta alla curva e il cosiddetto slab pull, cioè la parte dello slab che scende in profondità cerca di “tirare giù” quella orizzontale, ci sono delle tensioni che lo aprono.
Alla figura prodotta dallo USGS, il Servizio Geologico degli Stati Uniti, che indica la posizione del terremoto del 19 settembre ho aggiunto una stella per indicare l’ambiente in cui si è avvenuto quello dell’8 settembre, precisando che non sono avvenuti nella stessa sezione, ma che quello a largo del Chiapas è avvenuto in una sezione parallela a questa, però posta a qualche centinaio di km di distanza!

CONNESSIONI FRA I DUE EVENTI? La coincidenza temporale nella stessa struttura (lo slab in subduzione della placca delle Cocos) ha ovviamente spinto a pensare che ci possa essere un rapporto preciso fra i due eventi dell’agitato settembre messicano. Ad oggi mi pare una cosa con poche prove concrete, anche se, appunto, la breve distanza temporale lo rende quantomeno possibile. Comunque ricordo che siccome la distribuzione in una certa area dei terremoti maggiori spesso non è statistica, perchè gli eventi si addensano in particolari momenti (si vedano ad esempio nell’Appennino centrale le tre sequenze recenti tra 1997 e 2016, oppure la terribile sequenza 1916 – 1920  in Appennino Settentrionale, un qualcosa che li colleghi ci potrebbe essere ma è ancora difficile provarlo.

Stratigrafia sommaria del sottosuolo di città del Messico da [4]
AMPLIFICAZIONE DELLE ONDE SISMICHE A CITTÀ DEL MESSICO. La capitale messicana non è certo nuova a subire effetti disastrosi a causa di terremoti importanti sia pure lontani [3]. La città è esposta a rischio sia per i terremoti che si verificano:

  • al confine fra placca Nordamericana e placca delle Cocos, lungo la zona di subduzione, che si verificano come l’evento del 1985 nella zona costiera e quindi ben oltre i 200 km di distanza, se non 300
  • all’interno dello slab della placca delle Cocos che, appunto, tra la costa e Città del Messico rimane grossolanamente orizzontale, come appunto, il terremoto di questi giorni
  • ci sono anche sia pure poco frequenti, terremoti di bassa profondità nella fascia vulcanica trans-messicana a cui appartiene anche il vulcano simbolo della città, il Popocatepetl


Ma perché ci sono così grandi danni nella città? A causa delle pessime prestazioni da questo punto di vista del sottosuolo della capitale messicana, composto da 3 fasce in cui affiorano depositi diversi [4]:

  • sedimenti lacustri (da 30 a 80 m di argille fradice di acqua e molto comprimibili
  • colline di lava e tufi
  • fanghi e argille alluvionali

Il drammatico è che specialmente nei sedimenti lacustri le onde sismiche rallentano in maniera notevole, e pertanto diventano più alte: il risultato è imprimono al suolo durante il loro passaggio una accelerazione molto maggiore che nei dintorni. In più la loro frequenza si sposa molto bene con quella di oscillazione di molti edifici, il che ne aumenta la vulnerabilità.

[1] Clift, P., and P. Vannucchi (2004), Controls on tectonic accretion versus erosion in subduction zones: Implications for the origin and recycling of the continental crust, Rev. Geophys., 42, RG2001, doi:10.1029/2003RG000127.

[2] Pardo e Suarez 1995 Shape of the subducted Rivera and Cocos plates in southern Mexico: Seismic and tectonic implications Journal Of Geophysical Research 100, B7, 12357-12373

[3] Singh et al 2015 Intraslab versus Interplate Earthquakes as Recorded in Mexico City: Implications for Seismic Hazard Earthquake Spectra 31, 795-812 

[4] Zeevaert 1971 Foundation Engineering for Difficult Subsoil Conditions. Van Nostrand Reinhold Company, 1971

5 commenti:

zoomx ha detto...

Il Servizio Geologico degli Stati Uniti non dovrebbe essere lo IUGS (International Union of Geological Sciences) ma l'USGS.

Aldo Piombino ha detto...

azzz. grazie per la segnalazione.... correggo subito!

punteruolorosso ha detto...

Quindi a rompersi è stata la placca inferiore. Mentre in appennino è la placca superiore a rompersi al di sopra di Adria? La placca americana non è soggetta a fagliazione?

Aldo Piombino ha detto...

1. sul fronte emilaino - romagnolo ancora la placca adriatica non è scesa sotto quella "europea".. cista scendendo. Sotto la Toscana, diciamo dalcrinale appenninico in giù, possiamo considerarla "sotto". E i terremoti fra Valtiberina Mugello e Lunigiana (che sono essenzialmente distensivi) avvengono sulla placca sureriore

2. in un margine accrezionale hai una forte sismicità dovuta ai thrust di materiale che si era deposto sulla fossa, su quello erosivo ne hai meno. Ma qualcuno c'è anche in centroamerica

punteruolorosso ha detto...

e sul fronte dell'arco calabro? i meccanismi focali sono compressivi? ciò dovrebbe indicare la prosecuzione della subduzione. ma in un post di qualche tempo fa lei aveva descritto questa sismicità come prodotta dall'inerzia, e non da una spinta attiva.
a rompersi sarebbe comunque la placca ionica, non quella calabra che le sta sopra.