mercoledì 3 settembre 2014

Storia, genetica ed identità storica dei popoli: errori comuni, il "Caso Sardegna" e riflessioni sull'attuale (post "a due tastiere" con Francesco Saliola)


Un lettore di Scienzeedintorni ha posto una domanda a proposito del popolamento della Sardegna: ma è vero che esistono margini di rilievi genetici in comune tra i sardi, e i popoli del mare e soprattutto con i falasti poi filistei e ora palestinesi?
A seguito di questa domanda e della mia breve risposta ho coinvolto il “solito” Francesco Saliola, il quale mi ha fornito (come supponevo...) una risposta articolata e piena di spunti interessanti che vanno al di là del caso specifico sardo, grazie alla quale abbiamo colto l'occasione di un approfondimento su un problema generale interessante e poco noto: il rapporto fra identità genetica ed etnie e gli errori che spesso vengono commessi invocando la cosiddetta “continuità storica”. Pertanto questo è un “post a due tastiere” scritto in collaborazione fra me e Francesco, a cui va come al solito un grande ringraziamento

La conoscenza del passato indubbiamente è cosa interessante e bella, ma potrebbe apparire un po' fine a sé stessa. Ed è un rischio che purtroppo oggi è più vivo che mai, con le specializzazioni estreme di “ganzi eccezionali nella loro nicchia” come diceva il compianto professor Pietro Passerini, geologo di rara multidisciplinarietà. È invece chiaro come nelle pieghe della storia si presentano "casi di studio" che ci aiutano a comprendere problemi anche attuali e ci forniscono possibili opzioni di soluzione (che però poi, come comunità, possiamo scegliere o meno di applicare...). In tal senso, una chiarezza su concetti come quello di "etnia", "popolo", "identità" ci aiuterebbe molto a disinnescare motivazioni "bacate" e rivendicazioni "farlocche" che spesso finiscono per creare tensioni e difficoltà, quando non addirittura guerre e distruzioni.


1. POPOLI ED IDENTITÀ IN STORIA, ARCHEOLOGIA E GENETICA

Ci sono due errori molto comuni quando si parla di "popoli" e "identità" in storia e archeologia.

Il primo è quello di dare un valore "culturale" alle caratteristiche genetiche o linguistiche. Oggi, grazie agli studi sul DNA, abbiamo la possibilità di ottenere informazioni preziosissime su ascendenze e discendenze delle varie popolazioni odierne e antiche e sui legami genetici fra i diversi gruppi umani antichi. Inoltre non c'è nessun dubbio che la lingua sia, di fatto, un tratto fondamentale dell'identità culturale di un popolo, ma tra un abitante di Parigi e un ivoriense di Abidjan,  di differenze ce ne sono parecchie: parlano entrambi francese, appartengono entrambi alla "razza umana" ma sono molto diversi in abitudini, credenze, aspetto fisico etc etc.

Un dettaglio di non trascurabile importanza è che la maggior parte degli studi sono svolti attraverso il DNA mitocondriale, che si trasmette esclusivamente per linea femminile; per cui in questo modo si possono perdere delle sfumature non di secondo piano, ricordando che le dinamiche degli spostamenti possono essere molto diverse fra individui maschili e femminili. Un caso interessante è quello del Nordafrica, dove il DNA mitocondriale è fra i più “antichi” del mondo ed indica una migrazione nell'area molto antica, pre-olocenica: secondo alcuni Autori potrebbe essere il DNA mitocondriale delle prime femmine di Homo sapiens giunte nell'area circa 40.000 anni fa, quando si estinsero gli ultimi neandertaliani. Il cromosoma Y invece sembra più legato all'espansione neolitica dell'agricoltura del VI millennio AC. Quindi con i nuovi venuti c'è stata una massiccia sostituzione della linea diretta maschile della popolazione (Henn et al. 2012).

In ogni caso gli studi genetici ci hanno consentito di comprendere meglio tanti processi, specie per quanto riguarda il più antico popolamento umano, diciamo fino alla prima parte dell'Olocene e alla nascita delle prime civiltà pienamente storiche.
Ed è interessante notare, peraltro, che gli studi genetici applicati alla paleontologia umana hanno in genere confermato (e ancor meglio spiegato) certe intuizioni che già erano state proposte dall'antropologia fisica e dall'archeologia del paleolitico, a dimostrazione che certe metodologie vanno di pari passo; avere lo stesso risultato da tecniche indipendenti è una specie di “prova del nove” che consente di trasformare delle ipotesi in certezze.

Questi metodi ricalcano un po' quello che è successo confrontando i rapporti di parentela fra le varie specie ricavati dalla paleontologia con quelli ricavati con la genetica, potendo però usufruire di un numero maggiore di tipologie di informazione: rispetto alla Storia Naturale, nella quale si può solo disporre di ossa e di geni, nello studio dell'Umanità possiamo sfruttare, oltre a questi, i vari reperti degli scavi archeologici, a partire dai manufatti (dei quali possono essere notati pure precursori o derivati).
Un altro aspetto importante sono i confronti linguistici, anche se su questo ultimo punto si deve notare come non sempre linguistica e genetica vadano d'accordo, a causa di possibili “sostituzioni linguistiche”. Prendiamo ad esempio turchi e azeri: parlano lingue “turche” (inquadrabili fra le lingue uralo – altaiche) ma le loro caratteristiche genetiche e somatiche sono più da indoeuropei che da esponenti delle stirpi mongole (“stirpi”, non “razze” ci raccomandiamo!); questo perché le popolazioni indoeuropee che all'epoca professavano il cristianesimo e in precedenza religioni pagane o anche lo zoroastrismo, sono state in seguito sottomesse, con diverse modalità, da una elite turcofona. Altro caso del genere è rappresentato dalle popolazioni autoctone dell'America Latina: esiste ancora una consistente minoranza che parla regolarmente una lingua amerinda, il quechua, ma la stragrande maggioranza della popolazione parla lo spagnolo pur avendo tratti somatici e culturali inconfondibilmente locali, tutt'altro che indoeuropei.
Questo è successo anche in Sardegna, dove al pari dell'Etruria e di tutta l'area che va dall'Aquitania alla Penisola Iberica le lingue locali non indoeuropee (presumibilmente caucasiche di ceppo bascofono) sono state sostituite da idiomi neolatini a causa della conquista romana, con l'eccezione delle zone pirenaiche dove si parla ancora il basco.

Il problema dov'è allora? Sta nel fatto che, per popoli "recenti", inseriti a pieno titolo nel panorama di civiltà complesse pienamente storiche, il DNA ci racconta solamente una delle varie sfaccettature che contribuiscono a creare la "identità" di un popolo, e allo stesso modo succede esaminando le caratteristiche linguistiche.
Prendiamo appunto il caso della Sardegna: la prima risposta al quesito è che, se anche ci fosse un legame stretto da un punto di vista genetico tra Sardi nuragici e Filistei – e non ci risulta che ci sia – questo ci direbbe ben poco a livello culturale.

La storia della Sardegna, dal Neolitico a oggi, è storia di stratificazioni continue, pur su un nucleo molto compatto e relativamente isolato. Ma certe eventuali similarità culturali non sono dovute al DNA (altrimenti si finisce al "razzismo scientifico") ma ai forti scambi culturali con il mondo del Vicino Oriente, che in tutto il secondo millennio, e poi ancor più nel primo, investono tutti i popoli che si affacciano sul Mediterraneo; e i Sardi non fanno eccezione a questo aspetto.
Quindi il fatto che l'attuale popolazione sarda abbia caratteristiche di maggiore "uniformità" genetica che la collega più strettamente ai suoi antenati neo-eneolitici e dell'età del Bronzo, che alle popolazioni italiche, ci dice molto sulle origini e sulle dinamiche del popolamento dell'isola, ma ben poco da un punto di vista culturale: i Sardi attuali parlano l'italiano e un altro idioma neolatino, “sa limba sarda”, e non la lingua "mediterranea" dei loro antenati, (probabilmente una lingua ergativa legata al basco e alle lingue caucasiche), si professano cristiani e non adorano circoli di pietre o statue menhir, come i loro antenati, né Dei semitici come i loro colonizzatori fenici, mangiano un pane di grano duro molto simile a quello arabo e così via.

2. LA FALSITÀ DELLA CONTINUITÀ STORICA

Abbiamo citato i nazionalismi non a caso, perché il secondo errore è quello, chiamiamolo così, della "continuità storica immutabile".
Per farla breve: gli attuali "cittadini romani" non corrispondono ai cittadini romani dell'epoca augustea, perché nel frattempo c'è stato nel mezzo un sostanzioso numero di eventi e di processi che ha fatto sì che, pur rimanendo il nome ("romani") non sia possibile certo identificare come unica "etnia" i sudditi di Ottaviano e gli abitanti della Capitale. Allo stesso modo chi abita a Volterra o a Pienza sicuramente ha parti significative di DNA mitocondriale etrusco, ma non è assolutamente etrusco, nel senso che il legame con quella cultura è spezzato da un paio di millenni, legame che viene esaltato solo per motivi turistici, peraltro giustificatissimi.

Stesso dicasi per gli attuali Palestinesi (filasṭīniyyūn, in arabo) che portano certamente nel nome la denominazione ebraica degli antichi Filistei (felištīm), e che sono con ogni probabilità da mettere in relazione con i Peleset, popolo forse di origine micenea che si stabilì nell'area cananea a partire dal XIII secolo a.C.
Ma il legame tra antichi filistei e attuali palestinesi esiste solo nel nome: abitano la stessa terra, la Palestina appunto, ma a livello linguistico e culturale c'è ben poco da spartire. I primi, che se la loro origine fosse davvero micenea, potrebbero essere indoeuropei, si sono subito fortemente semitizzati con l'adozione della lingua cananea (tanto da non essere distinguibili dagli ebrei in età romana, perché parlavano tutti quanti l'aramaico); ma con l'avanzata araba nel VII sec. d.C. coloro che abitavano l'area si sono assimilati agli arabi, si sono convertiti alla religione islamica (a parte una minoranza che è rimasta cristiana) e si sono imparentati (proprio a livello di tribù) con gente che oggi definiremmo "siriani" e "giordani" (ma queste due nazioni hanno un “valore storico” tale da poter essere considerate delle “nazioni” oltre che degli “stati”?)
Quindi parlare di "continuità" tra antico e moderno in tutti questi casi è una cosa irrealistica e ha solo un mero scopo politico. L'identità non è uno "status quo" ma un processo continuo di scambi e rielaborazioni, cosa che qualcuno fa finta di non capire, per esempio coloro che professano idee nazionaliste.
NB: con questo non intendiamo assolutamente entrare nè nella questione politica medioorientale in generale, né in un giudizio sugli eventi bellici di questa disgraziata estate che non competono ad un post di questo tipo

3. IL CASO SARDEGNA FRA POPOLI DEL MARE E GENETICA

Quanto ai "popoli del mare" va notato che le fonti egizie parlano più genericamente di "genti straniere" e che in questi gruppi di predoni e mercenari abbastanza ben organizzati, sono certamente citati Peleset e Shardana (come anche i Turusha, cosa che ha fatto balenare un collegamento anche fra popoli del mare ed Etruschi). Ma non vuol dire che questi due gruppi siano in qualche modo legati geneticamente o culturalmente: anzi, è più probabile il contrario. È attestato che a più riprese (1350 a.C, 1175 a.C., 1080 a.C.), nutriti gruppi di questi "pirati" hanno compiuto scorribande in diverse aree del Vicino Oriente, tanto che alcuni di questi hanno finito per essere inglobati come mercenari nell'esercito egizio.
Queste migrazioni possono essere state innescate, almeno parzialmente, da questioni climatiche. Sicuramente la terza è in curioso collegamento con l'inizio del periodo siccitoso che ha determinato la crisi con cui si è conclusa l'età del bronzo: la diminuzione delle precipitazioni, che erano già prima al limite che consentiva una sussistenza basata su attività agro-pastorali, ha tolto in alcune aree del Levante la possibilità di sostentare una popolazione aumentata in tempi immediatamente precedenti caratterizzati da condizioni climatiche più favorevoli. Contemporaneamente era iniziato un ciclo di altre robuste migrazioni terrestri in tutto l'areale europeo che, per esempio, nella penisola italiana si sono riflesse nel rimescolio da cui sono poi uscite le culture italiche ed etrusche.

Le ondate precedenti potrebbero essere legate invece a crisi di sovrappopolazione, un po' come è successo in seguito, nel V secolo a.C, quando una parte degli abitanti delle Gallie furono costretti a emigrare e invasero la pianura padana e l'Iberia settentronale.

Venendo al caso specifico, identificare i Sardi con gli Shardana sembra essere più che altro una ipotesi basata solo sulla suggestione del nome e di alcuni elementi iconografici. In realtà ci sono parecchi aspetti che fanno rifiutare questo collegamento fra la Sardegna e i cosiddetti "popoli del mare" (semprechè siano esistiti, non tutti gli Autori sono d'accordo su questo): la difficoltà maggiore è squisitamente storiografica, in quanto la civiltà nuragica non pare abbia avuto in quelle fasi (diciamo attorno al X secolo a.C.) una discontinuità particolare che dimostri l'influenza di nuovi arrivati. Anzi, alla fin fine è l'unica civiltà che continua imperterrita anche nei secoli della grande siccità e delle grandi migrazioni che tra l'XI e l'VIII secolo a.C. ha investito Europa e Mediterraneo nel dopo età del bronzo.
Ci chiediamo come sarebbe stato possibile che un avvenimento come l'arrivo da fuori di un numeroso gruppo etnico non sia evidenziato da una discontinuità nella civilizzazione....

Da un punto di vista genetico i sardi sono invece una popolazione autoctona che si è installata lì parecchio tempo fa e sono geneticamente molto diversi dagli italiani di terraferma e dagli altri europee.
Per questo sono molto verosimili le argomentazioni secondo la quale nell'epoca nuragica nell'isola era parlata una lingua affine a quelle iberiche e quindi di tipo basco.
Altra dimostrazione che non era una lingua indoeuropea potrebbe essere il fatto che la conquista romana ha portato ad una sostituzione linguistica totale.

Da ultimo non va dimenticato che la Sardegna è stata in parte e a lungo sotto il dominio fenicio. E questa è una ottima spiegazione per la presenza di varianti genetiche che si ritrovano di preferenza lungo la costa meridionale del Mediterraneo orientale (notizia, si badi bene, della quale fino ad oggi non eravamo a conoscenza né siamo in grado di confermare).

4. L'INSEGNAMENTO DEL PRESENTE

Anche oggi arrivano in Sicilia centinaia di disperati che chiamiamo genericamente "migranti" ma tra un profugo afghano che spera di trovare lavoro in Germania, una donna che scappa con i suoi figli dalla guerra in Siria e dei giovani africani che vengono in Europa per finire a raccogliere pomodori nel meridione d'Italia, ci sono differenze culturali enormi.
Eppure noi non stiamo a fare tante suddivisioni e parliamo di "barconi" e "migranti". Lo stesso succede per le "genti straniere" delle fonti egizie: non è che mettendo insieme Peleset e Shardana (sempre ammesso e non concesso che questi ultimi siano i "Sardi" nuragici, il che appunto non pare troppo verosimile) ne venisse decretata l'affinità etnica e culturale.


Henn BM et al. (2012) Genomic Ancestry of North Africans Supports Back-to-Africa Migrations. PLoS Genet 8(1): e1002397. doi:10.1371/journal.pgen.1002397

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