sabato 7 giugno 2014

Le difficoltà dell'Università italiana di oggi sono lo specchio dei reali problemi del Paese - commento ad un articolo di Nicola Casagli


Se ad uno dei soliti quiz televisivi di oggi in cui nel migliore dei casi vince chi ha più intuito, non chi sa di più, venisse posta la domanda “qual'è il maggior problema delle università italiane” le risposte potrebbero essere “pochi finanziamenti”, “i baroni”, “scarsa qualità”, “il costo”. Cominciamo a escludere la “scarsa qualità”, visto come i nostri laureati abbiano mercato all'estero, anche e soprattuttto in Paesi come Germania, Inghilterra, USA, Francia etc etc, cioè nazioni con una indubbia ed importante storia accademica. Purtroppo in alcune aree baronaggio e nepotismo probabilmente continuano a regnare, non so. Finanziamenti e costi sono una questione diversa, di cui non si può parlare in poche righe e di cui oltretutto sarei assolutamente poco competente.
Ma la risposta esatta la conosce solo chi c'è dentro e a chi, esterno, conosce il problema, ed è la burocrazia. Ce lo dimostra il prof. Casagli che su ROAR ha scritto un articolo da buon toscano “un po'” polemico e irriverente sul peso che la burocrazia ha nell'università italiana e sulla perdita di tempo enorme che causa.

Il "pezzo" si trova sul sito della rivista "ROAR": e vi invito a leggerlo. Oltre a questo "avviso ai naviganti" faccio un breve commento.

Probabilmente con queste note si capisce anche come mai l'Italia universitaria abbia una quantità di personale amministrativo superiore alla media mondiale: districarsi fra ANVUR, VQR, ASN, GAV, AVA, AQ, AP, SUA, CEV, TECO, MEPA, CONSIP, U-GOV, DURC, DUVRI, CUP, CIG,  PROPER, PERLAPA ed altre sigle del genere (immagino che per molte di queste procedure ovviamente ci sarà la richiesta di password da ricordare in seguito ed altre facezie del genere) ricorda troppo il mitico "Lasciapassare A38" di Asterix e richiede, come nota giustamente l'Autore, al personale amministrativo l'obbligo “a lavorare con norme astruse e sistemi informatici cervellotici. Gli amministrativi devono fare i giuristi e gli informatici per poter svolgere il loro lavoro. E per questo frequentano continuamente corsi di formazione, dove vengono depressi dalle sempre più illogiche innovazioni introdotte per le finalità più disparate, ma mai per il miglioramento dell'amministrazione dell'Università”. 
Mentre “venti anni fa il personale amministrativo delle Università era impiegato per fare un lavoro normale, che richiedeva competenze normali per cui gli impiegati erano preparati, avevano studiato ed erano stati selezionati nei concorsi: un po' di contabilità, partita doppia, gestione degli inventari, contratti pubblici e poco altro”.

Casagli mostra in questo articolo gli ostacoli burocratici per tenere un corso di laurea e “erogare CFU” (una volta – dice – al posto di questo si insegnava agli studenti), prendere con sè dei collaboratori per qualche progetto temporaneo, comprare dei semplici oggetti per il laboratorio, segnalare i propri articoli per la valutazione della ricerca, utilizzare i finanziamenti, ottenere rimborsi spese, invitare conferenzieri da altre università, anche estere e cose che apparirebbero semplicissime come firmare un contratto.
Si sofferma anche sulle difficoltà di studenti extracomunitari alla luce della Bossi - Fini

La conclusione che faccio io è che queste norme astruse servono come in altri campi per ostacolare gli onesti, mentre ai disonesti non gliene può importare di meno. 
Come dice anche l'autore, apprendendo che il Piano Nazionale Anticorruzione è stato predisposto ai sensi della legge 6 novembre 2012 n. 190 “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”: 
cerco di capire qualcosa fra gli 83 commi che formano l'articolo 1 e capisco solo perché l'Italia genera la metà del giro d’affari della corruzione in Europa, con un costo per la collettività di 60 miliardi di euro per anno.
Annota poi una circostanza: il famigerato decreto – Tremonti disponeva provvedimenti per ridurre del 20% in cinque anni il finanziamento ordinario alle Università, con un taglio di 1,5 miliardi di euro. Curiosamente all'Art.14 lo stesso  decreto autorizzava spese per un importo corrispondente per finanziare l'Expo di Milano 2015. I risultati sono noti e sono notizia di cronaca di questi giorni: sono state create enormi difficoltà alle Università italiane e sono stati sprecati 1,5 miliardi con l'Expo ancora in alto mare.

E conclude tristemente: 
Venti anni fa mi ero appena sposato. Io e mia moglie, entrambi precari, possedevamo due auto italiane, un motorino italiano, un computer italiano, un costosissimo telefono cellulare italiano, una TV italiana e un certo numero di elettrodomestici italiani.
Oggi la mia famiglia possiede due auto giapponesi, uno scooter giapponese, quattro computer americani, tre smartphone americani, due tablet americani, due TV sud-coreane e un certo numero di elettrodomestici tedeschi.
La crisi dell’Università riflette la crisi del nostro Paese. Ne è la cartina di tornasole e l'inascoltato campanello di allarme.

Purtroppo in Italia i controlli spesso vertono su aspetti formali e non sostanziali.
E annoto che questo si applica a tanti campi.
Penso all'industria ferroviaria, a quella automobilistica o quella chimica, che in altre nazioni della UE stanno facendo cose egregie mentre qui si disfa quel poco che resta, al turismo che spesso ci evita per le nostre disorganizzazioni. Ma non solo. 
Penso alla oscena quantità di pratiche e permessi da ottenere anche solo per aprire un negozio o un laboratorio artigiano (mentre altri continuano a lavorare in condizioni indecenti senza che nessuno dica nulla, perchè i titolari sono i soliti a cui le regole non interessano). Per non parlare della giungla pericolosissima dello smaltimento rifiuti, dove abbiamo eccellenti dimostrazioni del fatto che le norme asfissianti non hanno impedito immense storture.

E penso che di eccellenze in Italia ne avremmo. Purtroppo negli ultimi decenni è stato distrutto il sistema - paese. 
Ricostruire è un dovere, cercando di lavorare, mettere meno lasciapassari A-38, usando comunque una severità sostanziale e non formale nei controlli (che VANNO fatti!) e senza dare colpe ai cattivoni di Berlino, Bruxelles o Pechino o di quasivoglia altro posto. 

3 commenti:

Francesco Penno ha detto...

Ho letto il post "Vent'anni dopo". Ho dedotto che è uno spreco finanziare l'Università e la ricerca perché equivale a finanziare l'inutile burocrazia.
E' illogica la mia deduzione oppure è illogico il modo in cui non-funziona l'Italia?

Scusate il modo provocatorio, ma quando cerchiamo di capire perché l'Italia è dal 1992 che perde di competitività e cresce meno della media dei Paesi OCSE, scopriamo che le metastasi del tumore della burocrazia hanno soffocato ogni ambito della vita civile, economica e culturale.
L'Università e la ricerca sono un di cui di tutta la vita della nazione.

Aldo Piombino ha detto...

provocatorio e amaro, ma di significato molto ampio..
faccio un esempio. Vero il 2000, mettiamo il 2001, non mi ricordo di preciso, subito prima di natale un'azienda inglese decise di costruire una nuova fabbrica, di dimensioni non eccezionali ma insomma per gli standard italiani "grandina".
Decisione quindi a Natale 2001, inaugurazione un anno e mezzo dopo, a pasqua 2003. In Italia quel tempo sarebbe passato solo per ottenere le autorizzazioni. Insisto che i controlli sprattutto quelli sostanziali, siano doverosi ma che c'è un altro sistema più agile per farli

zoomx ha detto...

ROARS non ROAR