martedì 29 gennaio 2013

Sulla sentenza del tribunale dell'Aquila contro la Commissione Grandi rischi


Non sono di proposito voluto intervenire fino ad oggi nella questione della sentenza al processo dell'Aquila. Una sentenza “esemplare” per qualcuno, assolutamente ignobile per altri. In primis aspettavo le motivazioni; ora che ce l'ho sarebbe indubbiamente interessante farlo, però leggere 900 pagine mi fa davvero fatica e inoltre ho altre cose da fare.
Meno male che il professor Marco Mucciarelli, un personaggio autorevole il cui punto di vista condivido in pieno, si è davvero sobbarcato la fatica di leggerle quelle 900 pagine e ha scritto un paio di post sul suo blog da cui è bene partire per un commento. Quindi anziché scrivere un doppione preferisco linkarveli. Questo è il primo e quest'altro il secondo
Annoto, tanto per completare i fatti, che secondo alcune informazioni l'apprendista stregone Giuliani sarebbe stato assolto dall'accusa di procurato allarme. Oggettivamente questa non me la ricordo ma non ho voglia di approfondire. Sarebbe un altro esempio da quelle parti di cattiva giustizia.

Mi limito a commentare una frase che Mucciarelli ha ripreso dalla sentenza e che la dice tutta sulle competenze scientifiche di chi ha giudicato i membri della Commissione Grandi Rischi. Eccolo:

La tesi secondo la quale l’attività di riduzione del rischio sismico consiste solo nel miglioramento delle norme sismiche, negli interventi di consolidamento strutturale preventivo e nella riduzione della vulnerabilità delle strutture esistenti ... dunque, non costituisce solo oggetto di una eccezione difensiva ma rappresenta, secondo gli imputati, il prevalente, se non addirittura l’unico, strumento di mitigazione del rischio sismico. Tale tesi difensiva appare assolutamente infondata. In tema di valutazione e di mitigazione del rischio sismico, l’affermazione secondo la quale “l’unica difesa dai terremoti consiste nel rafforzare le costruzioni e migliorare le loro capacità di resistere al terremoto” appare tanto ovvia quanto inutile.

Esaminiamo questo passaggio. Lì per lì mi sono alterato pensando che secondo la sentenza la prevenzione era un obbligo ma anche una cosa inutile. Diciamo che invece il discorso è un po' articolato. È comunque molto grave avere una sentenza in cui si sostiene il contrario di quello che sostengono la letteratura scientifica mondiale e l'evidenza dei fatti (in particolare mi riferisco al terremoto del Giappone del 2011), cioè negare che al giorno d'oggi la prevenzione sia l'unica attività intelligente per ridurre il rischio sismico.
E già qui....

Poi mi viene in mente un'altra cosa: se il giudice definisce “ovvia” la necessità della prevenzione questi concetti ce li ha davvero in mente.
Però, probabilmente, applicandola nel caso locale, secondo il giudice questa attività diventa “inutile” in quanto le caratteristiche edilizie del patrimonio locale non potevano essere in grado di passare indenni un evento sismico di quella portata. Questo è quanto è scritto nelle motivazioni della sentenza, come infatti riporta Mucciarelli su un passaggio che si riferisce al “Rapporto Barberi”, nel quale, secondo la sentenza, si rende evidente come non sia seriamente attuabile il proposito di ridurre il rischio sismico attaverso il richiamo alla attività di “messa a norma”. Per tali motivi "non appare possibile sostenere che la diffusione del cosiddetto. Rapporto Barberi possa aver determinato l’esaurimento dei compiti di analisi del rischio e di corretta e completa informazione gravanti sugli imputati alla data del 31.3.09 e che, a partire da tale diffusione, possono configurarsi profili di responsabilità solo per gli amministratori pubblici che non hanno provveduto all’adeguamento sismico degli edifici."

In altre parole, gli edifici sono messi in modo tale che con la prevenzione si fa poco e quindi la Scienza doveva supplire alle mancanze di altri settori con la previsione. E siccome l'hanno sbagliata, sono anch'essi responsabili e non lo sono solo i politici. Però anche i politici ne hanno. Quali? forse leggendo la sentenza si verrebbe a saperlo.

COSA SI DEVE INTENDERE PER PREVISIONE DEI TERREMOTI

La responsabilità della Commissione Grandi rischi è un concetto scientificamente folle e insussistente. 
Ricordo che prevedere i terremoti significa precisare, entro un certo limite di tempo, spazio e magnitudo un evento per cui ci dovrebbe essere un comunicato che recita più o meno così: 
dai dati in nostro possesso abbiamo previsto che il giorno X di questo mese si verificherà presso la località "nome" lungo la struttura sismica denominata "faglia di vattelappesca" un evento sismico di magnitudo M e con questo meccanismo focale. Pertanto presentiamo nella mappa allegata a questo comunicato il conseguente scuotimento del terreno. (ovviamente dovrebbero seguire delle disposizioni di protezione civile)

Oggi, purtroppo lo stato dell'arte delle ricerche in sismologia  non consente di fare questo e quindi non capisco la sentenza.

Un particolare importante è che la previsione deve essere affidabile, cioè non devono verificaesi né terremoti non previsti e neanche dei “falsi positivi”  (non tutti sanno, per esempio, che la tecnica del Radon, così pubblicizzata in Abruzzo, è stata scartata per i troppi "falsi positivi", cioè allarmi che non hanno avuto conferma)

Dopodichè, considerazione facile facile, a questa maniera si riuscirebbe ad evitare perdite umane (il che sarebbe sicuramente positivo), ma senza i correttivi che consentirebbero alla popolazione di stare in casa durante l'evento senza problemi non si sarebbero evitati lo stesso enormi danni al patrimonio edilizio.

E neanche viene segnalato dalla sentenza chi, come, dove e per quanto doveva essere allontanato dalle proprie case.

PREVENZIONE, PREVISIONE E SENTENZA

Questa della previsione è ovviamente una dimostrazione della incultura scientifica del collegio giudicante che considera la scossa della sera prima come una scossa premonitrice.
Ho avuto modo spesso di parlare dello scarso livello di conoscenza scientifica e tecnica degli italiani, a partire dalla classe politica a quella imprenditoriale e economico-finanziaria, in gran parte derivata da una cultura prevalente umanistica che snobba quella scientifica e quella tecnologica (Benedetto Croce ed il suo pensiero rappresentano solo la punta dell'iceberg di questa situazione). Forse anche il processo dell'Aquila contro la commissione grandi rischi rientra in questo filone.

Come dice Mucciarelli, Il fatto che le persone siano rimaste in casa dopo quella scossa perchè rassicurate è il filo conduttore del processo. Ma se quella scossa non ci fosse stata le persone sarebbero rimaste in casa comunque e l'intero processo non si sarebbe tenuto? La disinformazione di cui sono accusati gli esperti diventa tale solo se c'è una scossa premonitrice (che diventa tale con il senno di poi)?
Mi domando poi se durante il processo sia stata acquisita una perizia scientifica che abbia affermato che quella scossa della sera prima era davvero una scossa premonitrice.
Se sì, mi piacerebbe sapere su che basi. Se no, mi piacerebbe sapere con quale autorevolezza scientifica il collegio giudicante si sia permesso di esprimersi in merito.

Chiaramente, se ci fosse una perizia in materia, mi piacerebbe proprio conoscerla.

Aggiungo che essendo in corso uno sciame sismico, di scosse ce n'erano state tante nei giorni precedenti. Pertanto come mai proprio quella della sera prima è da considerarsi la premonitrice? Perchè il sisma peggiore si è manifestato proprio dopo quella scossa? 
Pensate inoltre che se si dovesse sgomberare precauzionalmente un'area se vi si verifica una scossa con M superiore a 2 avremmo una Italia eternamente in sgombero. E, ripeto per l'ennesima volta, magari succedesse che un terremoto forte avvenga durante una sequenza sismica. Purtroppo è la prima volta, che io sappia, che succede, anche se ho già scritto che forse da quelle parti nel XVIII secolo era già successa una cosa simile.
Peraltro anche lì precisai che:
1. parlavo con il senno di poi (troppo facile)
2. al solito tutti quelli che hanno gridato che la popolazione doveva essere evacuata non hanno mai proposto nè fino a che distanza dall'Aquila, nè da quando nè per quanto....

Un altro aspetto che richiamo è che sicuramente la commissione grandi rischi non è stata capita: non è passato il messaggio che indipendentemente dalla sequenza in corso la zona era da ritenersi comunque ad alto rischio e che la presenza della sequenza non diminuiva il rischio. Da qualche parte è venuto fuori addirittura che qualcuno abbia detto il contrario e cioè che grazie alla sequenza i rischi di una scossa forte erano più bassi del solito. Ma questo, volendo fare l'azzeccagarbugli, non significa che questo qualcuno abbia detto che il rischio non c'era ma che, al limite, la probabilità dell'evento si sarebbe abbassata (e non in ogni caso azzerata).

CONCLUDENDO

L'unico risultato certo è che “ufficialmente” c'è un colpevole dei morti. O, meglio, sono stati dati al popolo dei colpevoli. E, soprattutto, la classe politica ne è uscita indenne, nonostante qualche colpa ce l'abbia e lo abbia scritto anche la sentenza. E non solo a livello locale, ma anche a livello nazionale, come dimostra la storia della zonazione sismica in Italia, di cui ho appena scritto unpost a cui rimando.

in ogni caso, mi domando se, in base alla sentenza che non esclude colpe da parte della classe politica, siano stati avviati procedimenti anche nei confronti di queste persone.
Devo comunque riconoscere che non so francamente se ci fosse stato il tempo di fare qualcosa, se non chiudere a tempo indeterminato parecchie strutture, da quando L'Aquila e i suoi dintorni avrebbero dovuto essere inseriti in zona 1, secondo la carta MPS04 del 2006 (quella qui accanto)


lunedì 21 gennaio 2013

La zonazione sismica in Italia, una storia di rincorsa dietro gli eventi naturali


Il 30 luglio 1627 un terremoto devastante, a cui è collegato uno tsunami, ha interessato il Gargano. È a questo evento che risale, secondo molti Autori, un primo abbozzo di normativa sismica: nel Regno delle Due Sicilie venne raccomandato di costruire le nuove costruzioni utilizzando il “baraccato alla beneventana”, un sistema che consisteva in una intelaiatura in legno circondata da una muratura leggera. Questo atto fu redatto osservando che questa struttura si era rilevata particolarmente resistente alle sollecitazioni sismiche, a causa della minore rigidezza rispetto al “tutto in pietra”.
Questo è stato il primo step della storia della normativa antisismica del nostro Paese, normativa che come sappiamo purtroppo si è evoluta sempre rincorrendo gli eventi e che oggi risulta essere piuttosto inadeguata, se si guarda a nazioni come il Giappone.


Il terremoto del 1908 a Messina e dintorni portò il Governo di allora alla emanazione nel 1909 del R.D.193, che disponeva il divieto di edificazione su siti paludosi, franosi, molto acclivi o comunque instabili. La cosa significativa è che oggi questi concetti che appaiono ovvi a chi si occupa del problema, ancora faticano a farsi strada non solo nella Opinione Pubblica ma soprattutto in chi governa del territorio.

Nel RD 193 mancava una classificazione sismica del territorio nazionale, che venne alla luce solo 20 anni dopo, con il RDL 431 del 13 marzo 1927. In questo caso l'influenza della tragedia di Avezzano del 1915 è stata annacquata dalle vicissitudini belliche della Grande Guerra e della instabilità politica successiva. Il RDL 431 definiva due categorie, in funzione del grado di sismicità e della costituzione geologica, ma era assolutamente inadeguato in quanto teneva conto essenzialmente solo dei forti terremoti avvenuti negli ultimi anni: ovvero Sicilia, Calabria, Abruzzo e poco altro. Tutto il resto del Paese era esente dall’obbligo di applicazione della normativa antisismica, con il risultato che ogni nuovo evento costringeva ad aggiornare la situazione e così la lista era in continuo aggiornamento: man mano che si verificavano forti terremoti si aggiungevano nuovi comuni o si riclassificavano quelli già inclusi. Anche se tra il 1915 e il 1968 si sono verificati solo due eventi di una certa importanza, nel 1930 e nel 1962, entrambi in Irpinia,

La prima normativa sismica nazionale vera e propria arrivò con la legge n.64 del 2 febbraio 1974, non casualmente  sei anni dopo il terremoto del Belice del 1968 e due anni dopo la crisi sismica di Ancona del 1972. Veniva stabilito il quadro di riferimento per la classificazione sismica di tutto il territorio nazionale e per la redazione delle norme tecniche, che furono successivamente definite da appositi decreti ministeriali.

La terribile “doppietta” di Friuli 1976 e Irpinia/Basilicata 1980 ha determinato la concessione di finanziamenti al CNR per condurre studi, di concerto con le Università ed altri enti di ricerca, sulla sismicità del territorio nazionale. La comunità scientifica italiana si dimostrò all’altezza della situazione, lavorando in tempi talmente rapidi da consentire al Ministero dei Lavori Pubblici l'approvazione della prima vera classificazione sismica italiana basata su criteri scientifici e tecnologici già nel 1984. Questa prevede la classificazione di tutto il territorio nazionale in tre categorie sismiche.

Purtroppo il terremoto di San Giuliano di Puglia del 1° ottobre 2002 rivelò pesanti inadeguatezze della classificazione degli anni '80, in quanto quel comune non era fra quelli classificati come sismici.
La tragedia della scuola di San Giuliano ebbe un impatto mediatico ed emotivo straordinario (e non poteva essere altrimenti!) e quindi l'Opinione Pubblica chiedeva a gran voce un adeguamento. La comunità scientifica fu mobilitata, questa volta dal Dipartimento della Protezione Civile che aveva nel frattempo assunto competenze in materia, per aggiornare la classificazione sismica con le più moderne conoscenze tecniche e scientifiche.

Anche questa volta tutti lavorarono a tempo di record e la nuova mappa della sismicità dell’Italia fu emanata con l’ordinanza n. 3274 del 20 marzo 2003 (che, guarda caso, inseriva in zone ad alto rischio sismico proprio le aree colpite tra Emilia e Lombardia dal terremoto del 2012). Le zone con consistente rischio sismico sono enormemente più grandi rispetto alle classificazioni precedenti.

Nella nuova mappa si ragiona in termini quantitativi e probabilistici: tutto il territorio nazionale è classificato come sismico in 4 zone a pericolosità sismica decrescente; la discriminante per la classificazione è la definizione di una accelerazione massima del suolo con probabilità di accadimento del 10% in 50 anni.
Parallelamente veniva riscritta ed accompagnata alla nuova zonazione sismica, la normativa tecnica sulle costruzioni e sulle indagini geotecniche che poneva vincoli molto più stringenti rispetto alle precedenti normative sulla resistenza degli edifici ai terremoti.

La politica di decentramento amministrativo ha di fatto rallentato l'iter della vicenda: nei successivi tre anni le Regioni fornirono indicazioni per un ulteriore aggiornamento e miglioramento fino alla versione attualmente in vigore con l’ordinanza n. 3519 del 28 aprile 2006. Si può facilmente notare che - ad esempio - secondo questa carta il territorio della città dell'Aquila avrebbe dovuto essere inserita nella zona a massimo rischio sismico.

Fin dall’inizio le nuove norme tecniche per le costruzioni non ebbero tuttavia vita facile. Evidentemente la concertazione fra Ministero dei Lavori Pubblici e Dipartimento della Protezione Civile non funzionava così bene; ma appunto è stato il decentramento amministrativo, con l’allargamento della trattativa alle Regioni, a complicare decisamente le cose.
Voglio sopratutto far notare come spesso le Regioni hanno portato avanti le istanze di  amministrazioni comunali che spesso si opponevano per i più vari (e bassi) motivi alla inclusione dei loro territori in zona sismica, cercando sempre (e purtroppo talvolta ottenendo) una declassazione rispetto a quanto ipotizzato dalla comunità scientifica. Quindi l'ordinanza 3274 ha avuto una storia contrastante e contrastata fra modifiche, proroghe, rinvii e marce indietro a colpi di ordinanze del Dipartimento della Protezione Civile e di decreti del Ministero del Lavori Pubblici, dal sapore molto politico ma di dubbio valore dal punto di vista scientifico ).

Ma siccome la Natura fa il suo corso, proprio mentre veniva addirittura sciaguratamente ipotizzata l'intenzione di semplificare le norme per la costruzione in zone sismiche e continuava il balletto della classificazione e delle proroghe, il 6 Aprile 2009 arrivò la tragedia abruzzese.
La conclusione della storia a questo punto è ovvia. Nemmeno venti giorni dopo arriva il decreto-legge 39 del 28 aprile 2009, poi convertito nella legge n.77 del 24 giugno 2009, che pone fine alle discussioni e alle proroghe. Tutto era pronto già da marzo 2003 e si sono sprecati sei anni per futili motivi politici.
Poi sta a chi costruisce e chi controlla fare le cose perbene e questa è un'altra storia.... 

Da ultimo noto che sì, finalmente abbiamo qualcosa di serio (ma pur sempre soggetto ai capricci della politica) sulla prevenzione dei danni da terremoti, ma restano sempre in campo altre problematiche geologiche: frane, alluvioni, vulcani. Sulle quali ancora siamo in alto mare e, in molti casi, disattendendo, persino con atti pubblici come i Piani Regolatori, quello che era stato scritto nel Regio Decreto 103, 110 anni fa.....


mercoledì 9 gennaio 2013

L'origine degli Antropoidi fra Geologia e Paleontologia: Africa o Asia?


Gli Antropoidi sono il gruppo di Primati oggi più numeroso. Anzi direi che con l'eccezione dei Lemuri e poche altre specie gli Antropoidi sono i Primati. La comparsa degli Antropoidi è invece ancora dibattuta tra chi propone un'origine africana e chi propone un'origine asiatica. Troviamo i primi certi Antropoidi in Africa un po' meno di 40 milioni di anni fa, anche se per qualche ricercatore certe forme asiatiche preesistenti hanno già le caratteristiche degli Antropoidi. Voglio quindi fare un piccolo riassunto della situazione con poi un commento finale con il “piombino-pensiero” sull'argomento. Un pensiero che cerca di contestualizzare queste ricerche, per me troppo incentrate soltanto su aspetti morfologici dei fossili.

1. LA POSIZIONE DEI PRIMATI FRA I MAMMIFERI PLACENTATI 

Per parlare dell'origine degli Antropoidi occorre fare una breve premessa. I Primati sono Mammiferi e nella divisione “basale” di questa classe di vertebrati fanno parte degli “Euarcontoglires”. Vediamo subito di cosa si tratta. I Mammiferi Placentati compaiono nel Cretaceo, l'ultimo, lunghissimo Periodo dell'Era Mesozoica (o, almeno, il Placentato più antico rinvenuto fino ad oggi è Eomaia scansoria, che ha circa 125 milioni di anni. Juramaia sinensis è ancora più vecchio ma è ancora un misto fra Marsupiali e Placentati). Diciamo che sia ragionevole pensare al primo Mammifero Placentato come un qualcosa di simile ad un toporagno vissuto circa 150 milioni di anni fa in quella che oggi è la Cina Settentrionale. La differenza fra la geologia mondiale dell'epoca e quella di ora è che allora c'era, sia pure non del tutto, la Pangea; oggi le masse continentali sono un po' più sparpagliate.

Fattostà che quell'animaletto simile ad un attuale toporagno era piuttosto in gamba e i suoi discendenti si sono sparpagliati in breve per tutta la Pangea con eccezione dell'Australia (se come sembra un dente fossile fossile del Cenozoico, classificato come Tingamarra, non appartenga ad un placentato) e della Nuova Zelanda.
Il problema è che subito dopo l'arrivo di questi animaletti in Africa ed America Meridionale succede il patatrac, cioè la Pangea si rompe e si perdono i collegamenti fra le popolazioni. All'epoca erano tutti simili a Toporagni, non è che c'erano delle grandi differenze fra loro. Quindi per dirla come Dawkins, i "toporagni" rimasti in America Meridionale diventano gli antenati di Armadilli e Bradipi, cioè degli Xenarthri e quelli rimasti in Africa sono gli Afroteri (di cui fanno parte Elefanti e vari piccoli mammiferi africani, compresi gli attuali Toporagni); nel grande continente settentrionale, la Laurasia, formata da Eurasia (India esclusa) e Nordamerica, prosperano i Boreoeutheria, divisi in Euarcontoglires (dai quali derivano Roditori, Lagomorfi e Primati) e Laurasiateri (da cui vengono fuori tutti gli altri mammiferi placentati: Chirotteri, Artiodattili, Perissodattili, Carnivori, Cetacei etc etc etc).

Quindi la classificazione più basale dei Mammiferi Placentati riflette la disposizione delle masse continentali del Cretaceo Inferiore. Poi i movimenti dei continenti e altri accidenti vari porteranno Placentati della Laurasia in America Settentrionale (in almeno tre finestre temporali) e in Africa.
Questa classificazione geografica funziona benissimo a parte qualche caso riguardante alcuni Placentati della Laurasia: quelli finiti molto anticamente (nella prima finestra temporale) in Sudamerica, come Litopterni, Notoungulati e Astrapoteri, tutti più o meno parenti degli Artiodattili, oggi estinti ma dal passato glorioso lì ed in Antartide, e dei Primati e dei Roditori che troviamo nel Paleocene in Africa. In seguito Roditori e Primati saranno protagonisti di un arrivo in America Meridionale in circostanze ancora oggi poco chiare mentre tolti alcuni Roditori e le Scimmie del nuovo Mondo i Placentati sudamericani attuali derivano da antenati nordamericani, arrivati in America Meridionale quando è emersa la zona dell'istmo di Panama.

2. PALEOCENE: PRIMATI IN ASIA E AFRICA. QUALI GLI ANTENATI DEGLI ANTROPOIDI?

Ecco, questi primati paleocenici africani come Algeripithecus e Altiatlasius, i cui antenati sono in qualche modo arrivati in Africa attraversando il braccio di mare che la separava dalla odierna Penisola Iberica più o meno nello stesso momento in cui l'hanno fatto dei Roditori Caviomorfi, rappresentano il pomo della discorda: sono loro gli antenati degli Antropoidi (che quindi hanno consistenti radici africane nel Cretaceo, oppure questi ultimi derivano da Primati asiatici arrivati in Africa quando il blocco Afro – Arabico ha cozzato contro l'Eurasia?

Faccio una precisazione importante: quando si parla di Primati fossili, specialmente di epoche così lontane, si parla praticamente solo di denti: è decisamente difficile che i corpi di animali delle foreste tropicali si possano fossilizzare e i denti, la cosa più dura che c'è nello scheletro, sono le parti che hanno una possibilità meno remota di altre di arrivare a noi.

Di sicuro quando nel record fossile compaiono veri Antropoidi, cioè nell'Eocene Medio del Nordafrica, poco meno di 40 milioni di anni fa, mostrano già una grande biodiversità. Questo, come fa notare il paleontologo francese Jean-Jacques Jaeger può voler dire due cose: o sono le prime tracce di una evoluzione preesistente di cui ancora non sappiamo nulla, iniziatasi in zona già nel Cretaceo o rappresentano la colonizzazione contemporanea di vari gruppi provenienti dall'Asia.

Allora, secondo una serie di studi quelli di Algeripithecus e/o Altiatlasius sono i denti da cui sono derivati quelli degli Antropoidi. Altri invece sostengono che questo status spetta a denti di alcuni Primati asiatici dell'Eocene. La maggior parte degli Autori (ma non tutti) oggi concordano che Algeripithecus sia più vicino ai Lemuri che agli Antropoidi, mentre su Altiatlasius le idee sono un po' più vaghe.

3. ORIGINE DEGLI ANTROPOIDI E GEOLOGIA: UNA ORIGINE ASIATICA È PIÙ PROBABILE 

Ho letto parecchi articoli in materia e ho notato che esaminano questi denti fossili e ne tracciano la loro morfologia con una dovizia di particolari inimmaginabili per uno come me che sa “più o meno” che esistono nella bocca dei vertebrati delle ossa particolari.
Ma per il resto parlano poco o niente di una serie di considerazioni geologiche e paleontologiche su cui voglio invece soffermarmi, Ora, è chiaro che ciascuno possa dare più peso alle proprie conoscenze e alla propria materia che a quelle altrui (e di fatto io della morfologia dei denti dei Primati non ci capisco assolutamente nulla mentre sulla Geologia qualcosa posso permettermi di dire), ma non contestualizzano se non su base temporale le loro ricerche. Ed è proprio per valutare quale delle due correnti di pensiero sia quella più conforme alla verità secondo me occorre pensare al contesto geologico e paleontologico dell'epoca.

La prima cosa che salta agli occhi è una singolare coincidenza temporale: queste forme appaiono praticamente dal nulla insieme ad altri mammiferi placentati circa 39 milioni di anni fa; in contemporanea abbiamo un evento molto importante: il blocco composto da Africa e Arabia va a sbattere contro l'Eurasia, chiudendo la parte orientale della Tetide.
Le conseguenze faunistiche a livello di Mammiferi sono enormi: i Placentati laurasici irrompono in Africa e per gli Afroteri, proboscidati esclusi, o è la fine o è l'inizio del declino: alcuni si sono estinti subito o, come gli Arsinoiteri, poco dopo, altri si sono ridotti di nuovo a piccole forme come gli Afrosoricidae o i Tenrecidae. Scompaiono anche i Creodonti locali, placentati carnivori di non chiara affinità e, se non ricordo male,  gli ultimi Marsupiali africani,

La comparsa in Africa dei primi Antropoidi si pone in questo quadro di rimescolamento faunistico. Di fatto molti Autori parlano esplicitamente di una serie di denti trovati in sedimenti dell'Eocene Inferiore in Asia precursori di quelli degli Antropoidi.
Christopher Beard (uno dei massimi esperti di Primati dell'epoca) è convinto e non è il solo, che gli Antropoidi derivino da Primati asiatici di piccolissime dimensioni. Questa impressione sembra confermata dai fossili trovati in Libia dal gruppo di Jean-Jaques Jaegher e riferiti proprio all'inizio del rimescolamento, animali del peso massimo di 450 grammi. E che anche la separazione fra Platirrine (oggi rappresentate solo dalle Scimmie del Nuovo Mondo) e le Catarrine sia avvenuta a livello di forme di piccole dimensioni.
In questo quadro l'arrivo in Africa, propiziato dalla chiusura della Tetide Orientale, ha rappresentato per questi animali arboricoli una occasione eccezionale per colonizzare un vasto territorio di foreste calde ed umide dove, sfruttando diverse nicchie ecologiche, hanno potuto compiere una grande radiazione evolutiva e diversificarsi in un modo così massiccio.

Al contrario, appare difficile che proprio in questo contesto di oggettive difficoltà per le faune locali i Primati già presenti in Africa siano riusciti non solo a prosperare, ma addirittura ad innescare una così rapida radiazione evolutiva che in pochi milioni di anni porta non solo ad una eccezionale differenziazione ma anche ad un aumento significativo delle dimensioni. Anche perchè non è che ci siano in quella fase cambiamenti climatici così particolari che abbiano trasformato  radicalmente l'ambiente.

Per questo, e senza sapere niente sulla morfologia dei denti, ritengo molto più probabile l'origine degli Antropoidi a partire da piccole forme asiatiche dell'Eocene Inferiore che una derivazione dalle faune locali.

giovedì 3 gennaio 2013

"energia fatta in casa" - caffè-scienza del 22 - 11 - 2012


Non è possibile diminuire drasticamente l'uso dei combustibili fossili soltanto aumentando la quantità di energie rinnovabili, perchè le rinnovabili da sole non sono in grado di soddisfare i bisogni. Per conseguire l'obbiettivo è necessario diminuire i consumi. Però non è detto che diminuire i consumi significhi la decrescita: la più grande fonte di energia disponibile oggi è il risparmio, cioè migliorare l'efficienza energetica. Per farlo in molti casi basterebbe riporre una certa attenzione in quello che si fa.
Il caso della città di Malmoe, in Svezia, è chiarissimo: stanno puntando ad utilizzare il 100% di rinnovabili, ma questo non sarebbe stato possibile senza prima un ragionato programma di abbattimento dei consumi.
Il 22 novembre 2012 al Caffescienza di Firenze abbiamo parlato di “energia fatta in casa” con Sergio Gatteschi, presidente dell'Agenzia Fiorentina per l'Energia e Massimiliano Pancani, del settore energia della Provincia di Firenze, coordinati dal “nostro” Francesco Grasso.

Il consumo mondiale di energia è di 400 Esa Joule (400 x 10 18 Joule) ogni anno, ottenuti principalmente da fonti fossili. In pratica facciamo fuori 3 miglia cubiche di petrolio all'anno! È evidente che non si può andare avanti così, anche se ci sarebbero i margini per poter vivere bene lo stesso, in quanto bisogna considerare che di questa enorme quantità il 50% viene sprecato in varie maniere.

In buona parte questo dato è riferibile ad inefficienze sistemiche ma ci sono anche alcuni nostri comportamenti perfettamente evitabili e modificandoli potrebbero generare un certo risparmio. 
Per esemplificare l'Ingegner Pancani ha fatto vedere una simpatica presentazione in cui un suo amico, Andrea Chesi, dimostra come si possa diminuire (e di parecchio!) i consumi energetici casalinghi.
Si tratta di un appartamento di 70 metri quadri abitato da quattro persone (marito, moglie e due figli) al terzo piano di un condominio di 6 piani con riscaldamento centralizzato.
All'inizio ha verificato dei consumi per 2100 kw 330 euro l'anno, compreso acqua, luce, gas etc etc (ed escluso il riscaldamento centralizzato).

Le prime sorprese sono arrivate confrontando la potenza installata ed i consumi annui dei dispositivi elettrici. Sappiamo tutti che elettrodomestici come lavatrici, lavastoviglie. aspirapolvere o forno elettrico hanno una potenza installata molto elevata ed è infatti difficile usarne più di una contemporaneamente con i “classici” 3 kw e mezzo di potenza installata in casa, pena lo “scatto” del contatore ed il distacco dalla rete elettrica. La cosa a cui è difficile pensare è che fra gli oggetti con meno potenza installata ci sia il frigorifero (addirittura al 16° posto in classifica), con un valore tutto sommato piuttosto basso, molto meno ad esempio di tutte le luci per l'illuminazione domestica. All'ultimo posto (20°) non possono che esserci le lucine degli “stand-by” delle apparecchiature elettroniche.


Ebbene, la classifica dei consumi è completamente differente da quella della potenza installata: in testa troviamo il frigorifero e al secondo posto troviamo.... le lampadine in stand by! Quindi oggetti da 1.500 watt ma che stanno accesi solo poche ore alla settimana costano in un anno meno (sia pure di poco) di quei malefici, piccoli led da 4 watt, che però rimangono accesi in permanenza (il Chesi li definisce "subdoli"). Un dato che ci deve fare riflettere perchè averli accesi alla fine costa qualche decina di euro l'anno!
A questo proposito noto al presenza sul mercato di dispositivi marcati CE (assolutamente ovvio), nel cui libretto di istruzioni si legge che “per eliminare lo stand-by occorre staccare la spina dalla presa di corrente”. Evidentemente la normativa CE comprende solo questioni di sicurezza per l'utilizzatore ma non vuole incidere su consumi energetici “stupidi” come questi!

Guardiamo poi le eventuali differenze fra apparecchi appartenenti a classi diverse: un frigorifero in "classe A" costa 60 euro all'anno anno (circa 90 kg di petrolio equivalente); se di classe A++ si arriva a soli 35 euro all'anno. Se invece abbiamo un vecchio frigorifero in classe E il costo annuo è di ben 110 euro l'anno.
Quindi per risparmiare sulla bolletta della luce si deve focalizzare l'attenzione sui dispositivi che stanno accesi più spesso, in particolare una giusta regolazione della temperatura del frigorifero (compreso tenerlo sempre chiuso e non introdurvi cibi caldi), l'eliminazione degli stand-by e, ricordando che le lampadine ad incandescenza consumano 4 volte di più di una lampadina a basso consumo, tenere accese meno luci possibile.
Per quanto riguarda invece lavastoviglie e lavatrice, oltre ad avere apparecchi a basso consumo, è importante farle andare a pieno carico, perchè nel consumo incide molto il numero di cicli. Sono invece molto perplesso sulla questione di far lavorare questi dispositivi di notte: d'accordo, a qualcuno potrà costare meno, ma sono una fonte di rumore e quindi di disturbo per il sonno altrui. Insomma, è un sistema che non trovo per niente civile, almeno per chi non vive isolato in cima ad un monte (per qualche anno io ho vissuto così e devo dire che se non altro potevo sentire musica a qualsiasi ora... in un condominio non è consentito e/o è sicuramente scorretto in certe ore).

Un'altra cosa a cui fare attenzione è l'acqua. Parlando in questa sede di energia, è evidente che soprattutto parliamo di acqua calda, tralasciando tutti le altre questioni inerenti al suo consumo. Ebbene, è fondamentale ricordare che se abbiamo un miscelatore e lo teniamo “a metà”, anche quando non ne abbiamo bisogno la caldaia si accende tutte le volte che si apre il rubinetto. E quindi consuma.

Poi c'è la questione riscaldamento e condizionamento, che vale un buon 75% in media dei consumi energetici domestici: in particolare, quasi il 70% delle abitazioni di oggi consuma oltre 160 kWh/mq annuo pari a 16 litri gasolio/mq annuo....uno sproposito!!! Una “casa passiva” è invece in grado di richiedere meno di 15 kWh/mq all'anno, meno di 1,5 litri gasolio/mq annuo.

Su questo occorre andare davvero controcorrente rispetto alle italiche convinzioni: per il riscaldamento non è vero in senso assoluto che il termosingolo farebbe spendere di meno (pensate un po', ci hanno fatto credere che tante piccole caldaiette siano più efficienti di una caldaia grande....). 
Però è vero che spesso il riscaldamento centralizzato costa di più, un po' per gli impianti, in generale vecchi, talora fatiscenti e con un sistema di condutture poco efficace e malamente isolate, un po' per le caldaie spesso sovradimensionate, un po' perchè in assenza di regolazioni “locali” spesso succede che un appartamento abbia troppo caldo e qualcuno troppo freddo (così un condomino protesta perchè paga per non avere caldo e un altro protesta perchè paga per tenere aperte le finestre). In aggiunta i costi normalmente vengono spartiti in millesimi, e si paga sia se siamo in casa che no.
E infatti nelle inserzioni immobiliari la voce “termosingolo” è considerata un plus.

No, non dovrebbe funzionare così.
Proviamo a pensare a un condominio con tubazioni costruite in maniera intelligente, caldaie delle giuste dimensioni e, soprattutto, contatori di calorie all'ingresso di ogni appartamento (a sua volta dotato di valvole su ogni termosifone): ciascun condomino prenderebbe solo il calore che gli serve (e si motiverebbe il singolo a risparmiare, visto che più vuoi calore più consumi); in questo modo cesserebbe il gigantesco spreco delle finestre aperte ai piani bassi per il troppo caldo e gli impianti centralizzati non avranno più tutti quei problemi per i quali secondo la vox populi sono più costosi di quelli singoli (parlo di “costo” perchè il concetto di “efficienza” in Italia non viene considerato...). Ridurre i consumi significa inoltre anche poter utilizzare caldaie piccole con meno soggezioni nel servizio e nella manutenzione.

Altro trucco importante è quello di isolarsi dall'esterno, sigillando le finestre e chiudendo gli spifferi. Isolamento dei tubi e tenuta delle finestre sono cose che costano davvero poco e fanno molto. Diciamo che dovendo rifare i tubi del riscaldamento il costo con una buona coibentazione appare superiore ma il guadagno lo si consegue in pochissimo tempo.
E nei momenti in cui fa davvero freddo o fa davvero caldo, limitare a massimo una decina di minuti l'apertura delle finestre fa risparmiare parecchio.
Ovviamente quanto si dice sul riscaldamento si applica anche al condizionamento, in cui le “pompe di calore” stanno dando risultati egregi.

Con una “gestione pensata della casa” si può migliorare l'efficienza energetica e risparmiare parecchie centinaia di euro all'anno a famiglia, sia ricorrendo ad investimenti che è possibile si ripagano in pochissimo tempo, ma anche con il comportamento responsabile dei singoli, applicando una certa pignoleria; ad esempio spegnere tutti gli stand-by in Italia potrebbe risultare in un risparmio di una quarantina di euro all'anno per ciascun appartamento (e ufficio), ciascuno corrispondente a circa 50 kg equivalenti di petrolio all'anno. Con 60 milioni di italiani, ad una media di 3 abitanti per utenza si risparmierebbe una quantità di energia corrispondente a un milione di tonnellate di petrolio.
Vi pare poco? Secondo voi non ci sono margini per spendere meno, risparmiare energia e vivere bene lo stesso????
Chiaramente sarebbe utile quando ci sono pesanti lavori di ristrutturazione utilizzare tutti i “trucchi” possibili, in particolare una massiccia coibentazione.


Da ultimo, su come si dovrebbe costruire ORA: a Firenze è stato costruito dalla Urbano Cacciamani uno stabile nuovo vicino a Piazza Stazione )zona viale Belfiore) usando le migliori tecniche possibili (in questo termine è compresa anche la sostenibilità economica, cioè niente cose assurdamente costose, ma materiali ampiamente disponibili sul mercato) e, soprattutto, detto in soldoni, “tappando tutti i buchi possibili”: è una casa in classe "A" di CasaClima dove i consumi energetici per riscaldamento e condizionamento dei 17 appartamenti di varie metrature sommati tutti insieme sono stati per il primo anno di esercizio circa 1.200 euro complessivi, poco più di una media di 70 euro ciascuno. Alzi la mano chi spende per questo anche solo cinque volte tanto in un anno.....


Così facendo è possibile pensare alla realizzazione di case in grado di produrre in proprio almeno una significativa fetta dell’energia necessaria per il loro funzionamento tramite sistemi basati su energie rinnovabili. Con beneficio non solo per le tasche di chi ci abita, ma anche per l'ambiente, la salute pubblica e, buon ultima, la bilancia commerciale dello Stato.